Cass. Sez. III n. 32864 del 6 settembre 2021 (UP 7 apr 2021)
Pres. Di Nicola Est. Zunica Ric. Cattaneo
Acque. Metodo di prelievo per il campionamento dello scarico
In tema di inquinamento idrico, la norma sul metodo di prelievo per il campionamento dello scarico ha carattere procedimentale e non sostanziale e, dunque, non ha natura di norma integratrice della fattispecie penale, ma rappresenta il mero criterio tecnico ordinario per il prelevamento, ben potendo il giudice, tenuto conto delle circostanze concrete, motivatamente ritenere la rappresentatività di campioni raccolti secondo metodiche diverse; dunque, le indicazioni sulle metodiche di prelievo e campionamento del refluo, contenute nell’allegato 5 del d. lgs. n. 152 del 2006 (campione medio prelevato nell'arco di tre ore), non costituiscono un criterio legale di valutazione della prova e possono essere derogate, anche con campionamento istantaneo, in presenza di particolari esigenze individuate dall’organo di controllo, delle quali deve essere data motivazione, come appunto avvenuto adeguatamente nel caso di specie.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 29 ottobre 2020, la Corte di appello di Milano confermava la sentenza del Tribunale di Milano del 9 settembre 2019, con la quale Vincenzo Cattaneo era stato condannato alla pena di 21.000 euro di ammenda (previa sostituzione della pena detentiva di mesi 1 di arresto nella corrispondente pena pecuniaria di 7.500 di ammenda, sommata alla pena di 13.500 euro di ammenda), in quanto ritenuto colpevole dei reati di cui agli art. 29 quattuordecies comma 4 lett. b) del d. lgs. n. 152 del 2006 (capo A) e 29 quattuordecies comma 3 lett. a) del d. lgs. 152 del 2006 (capo B), reati a lui contestati perché, quale procuratore speciale della società Gaser ossido duro s.r.l., con sede legale e operativa in Rozzano, autorizzata con decreto A.I.A. n. 5665 del 30 maggio 2007, non osservava le prescrizioni di cui al paragrafo E.2.1. del predetto decreto nell’effettuazione dello scarico in pubblica fognatura dei reflui industriali generati dalla propria attività di trattamenti galvanici, superando il valore limite relativamente sia alla sostanza pericolosa “zinco” (capo A), sia relativamente alla sostanza “alluminio” (capo B), fatti accertati in Rozzano rispettivamente il 17 novembre 2016 (capo A) e il 1° agosto 2016 (capo B).
2. Avverso la sentenza della Corte di appello, Cattaneo, tramite il suo difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando tre motivi.
Con il primo, la difesa deduce la violazione degli art. 198, 468 comma 2 e 526 cod. proc. pen. e l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dai due testi del P.M., osservando che gli stessi erano stati ammessi dal Tribunale con ordinanza del 15 aprile 2019, nonostante il mancato deposito in Cancelleria della lista testimoniale da parte del P.M., a nulla rilevando che gli stessi testimoni fossero stati indicati nella richiesta di decreto penale di condanna, non potendo il mancato deposito della lista testimoniale essere ritenuto “un mero disguido di trasmissione non imputabile alla parte”, atteso che gli adempimenti di cui all’art. 468 cod. proc. pen. non ammettono alcun atto equipollente al tempestivo deposito in cancelleria della lista, essendo questa un’iniziativa della parte processuale e non certo del G.I.P., che non aveva alcun onere di inserimento della richiesta di decreto penale di condanna nel fascicolo per il dibattimento.
Né il difensore era venuto meno ad alcun onere di diligenza al riguardo, essendo egli tenuto a verificare solo il tempestivo deposito in Cancelleria della lista testi, e ciò a prescindere da ogni rilievo sul fatto che, nella versione ritenuta “equipollente”, non erano illustrate le circostanze su cui doveva vertere l’esame.
A tale doglianza la Corte di appello non aveva fornito adeguata risposta, censurandosi in tal senso la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione.
Con il secondo motivo, è stata eccepita l’inosservanza degli art. 49 comma 2 cod. pen., 29 quattuordecies comma 4 lett. b) e comma 3 lett. a) del d. lgs. n. 152 del 2006, nonché dell’allegato V parte III del medesimo decreto, rilevandosi che il solo dato del superamento del limite indicato nel provvedimento autorizzativo e del parametro di cui alla Tabella del citato allegato V non può da solo ritenersi sufficiente a ritenere consumati i reati contestati, non potendo il precetto penale esaurirsi nella mera violazione delle prescrizioni di un atto amministrativo, ovvero l’a.i.a.; la mera presenza di zinco e cromo nello scarico, in assenza di un effettivo e concreto pregiudizio ambientale, non poteva dunque integrare la violazione delle norme oggetto di imputazione, risultando diversamente violato il canone dell’offensività della condotta.
In quest’ottica, due “superamenti istantanei” a distanza di mesi, di cui uno riferito a una sostanza non oggetto di monitoraggio, nell’ambito di lunghi periodi di controllo favorevoli all’impianto autorizzato, non possono ritenersi penalmente rilevanti, in mancanza di verifiche sulla gravità e sulla durata delle violazioni.
Del resto, osserva la difesa, prevedendo la stessa autorizzazione il monitoraggio degli scarichi sulla scorta della media dei risultati di rilevazioni periodiche, non poteva attribuirsi all’unico e istantaneo prelievo l’idoneità a rappresentare una violazione dei limiti di emissione, tanto più in ragione dei margini di tolleranza delle rilevazioni, incompatibili con un accertamento a mezzo prelievo istantaneo.
In quest’ottica, si osserva che l’unica indicazione normativa rinvenibile nell’ordinamento, ovvero l’allegato V parte 3 punto 1.2.2. del d. lgs. n. 152 del 2006, esprime favore per la campionatura media, ben più attendibile del prelievo istantaneo, che peraltro non era giustificato da emergenze ambientali in corso.
A tali obiezioni la Corte territoriale avrebbe mancato di fornire risposta.
Con il terzo motivo, infine, oggetto di doglianza è l’erronea applicazione degli art. 40 e 43 cod. pen., censurandosi l’attribuzione all’imputato della posizione di garanzia, non avendo la Corte territoriale tenuto conto che, per espressa ammissione dell’amministratore delegato della Gaser ossido duro, Gianluca Franzosi, questi non aveva mai delegato in concreto le prerogative contenute nella procura speciale formalmente conferita all’imputato, avendo l’amministratore delegato assunto direttamente l’esercizio e il controllo di tutte le attività relative allo scarico industriale presso il sito produttivo di Rozzano.
Le dichiarazioni del teste Franziosi avevano dunque valore esimente per l’imputato, avendo il primo escluso che il secondo si sia mai occupato della gestione delle matrici ambientali o di prevenzione nel sito produttivo, a nulla rilevando che Cattaneo collaborasse con la società di consulenza che istruiva le pratiche ambientali per conto della Gaser ossido duro, non provando tale circostanza, peraltro smentita dalle dichiarazioni del teste Pozzoni, l’effettivo esercizio in concreto della delega ambientale conferita al ricorrente.
In ogni caso, aggiunge la difesa, quand’anche fosse stata attribuita all’imputato la posizione di garanzia sulla scorta di una formale qualifica di procuratore in materiale ambientale, il giudizio di responsabilità non poteva comunque prescindere da una valutazione in concreto che tenesse conto delle dimensioni e delle condizioni dell’azienda e delle circostanze in cui si è verificato l’evento.
Ma anche su questi aspetti, la Corte di appello sarebbe rimasta silente.
Con memoria del 29 marzo 2021, il difensore di Cattaneo ha insistito nell’accoglimento del ricorso, sviluppandone ulteriormente le argomentazioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
1. Iniziando dal primo motivo, occorre premettere che, come si evince dalla disamina degli atti processuali, consentita dalla tipologia dell’eccezione sollevata, all’udienza del 15 aprile 2019, il Tribunale ammetteva, tra le altre, anche le prove testimoniali richieste dal P.M., precisando che l’indicazione dei testi di accusa era contenuta nella richiesta di decreto penale, non inserita erroneamente nel fascicolo processuale per una svista non imputabile al P.M.
In ogni caso, il giudice monocratico precisava i testi in esame erano di fondamentale importanza ricostruttiva, per cui il loro esame si sarebbe comunque reso essenziale ai sensi dell’art. 507 cod. proc. pen.
Anche sotto tale aspetto veniva dunque ammesso l’esame dei testi del P.M.
Ciò posto, osserva il Collegio che la prima ratio decidendi non può essere ritenuta corretta, non potendo il deposito della lista testimoniale essere sostituito dall’indicazione dei testi contenuta irritualmente nella richiesta di decreto penale nella prospettiva, del tutto ipotetica, dell’instaurazione del giudizio ordinario, in vista del quale sarebbe stato dunque onere del P.M. procedere al tempestivo deposito della lista, secondo la scansione delineata dall’art. 468 cod. proc. pen.
Ciò posto, deve tuttavia ribadirsi che, come già affermato da questa Corte (Sez. 1, n. 19511 del 15/01/2010, Rv. 247193), non dà luogo a nullità dell’ordinanza di ammissione della prova testimoniale l’eventuale irregolarità nella presentazione della lista dei testi, dovendosi al riguardo aggiungere che è invece legittima la seconda ratio decidendi evocata nell’ordinanza del 15 aprile 2019, avendo la giurisprudenza di legittimità elaborato l’ormai consolidato principio secondo cui il potere del giudice di assumere d’ufficio nuovi mezzi di prova a norma dell’art. 507 cod. proc. pen. può essere esercitato anche con riferimento a quelle prove per la cui ammissione si sia verificata la decadenza delle parti per omesso tempestivo deposito della lista testimoniale, ai sensi dell'art. 468, comma 1, cod. proc. pen., poichè il requisito della “novità” non è limitato ai soli mezzi di prova che non avrebbero potuto essere richiesti dalle parti al momento del deposito delle liste testimoniali (cfr. in termini Sez. 5, n. 32017 del 16/03/2018, Rv. 273643 e Sez. 3, n. 38222 del 25/05/2017, Rv. 270802).
È stato in tal senso evidenziato (Sez. 2, n. 46147 del 10/10/2019, Rv. 277591), in particolare, che il potere del giudice di disporre d’ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova ex art. 507 cod. proc. pen. anche con riferimento a prove testimoniali indicate in liste depositate tardivamente è funzionale all’esigenza di garantire il controllo giudiziale sull’esercizio dell'azione penale e sul suo sviluppo processuale, ovvero sulla completezza del compendio probatorio su cui deve fondarsi la decisione, con la precisazione che l’assegnazione al giudice di tale potere non è in contrasto con le indicazioni della Costituzione e della Corte EDU, che si limitano a garantire il contraddittorio nella formazione della prova, ma non inibiscono il controllo sulla completezza del compendio probatorio, necessario corollario della indisponibilità dell'azione penale, conseguente al riconoscimento della natura ultraindividuale degli interessi tutelati dalla giurisdizione penale.
Di qui l’infondatezza della doglianza difensiva.
2. Passando al secondo e al terzo motivo, suscettibili di essere trattati unitariamente, perché tra loro sostanzialmente sovrapponibili, deve osservarsi che la formulazione del giudizio di colpevolezza dell’imputato in ordine ai due reati a lui ascritti non presenta vizi di legittimità rilevabili in questa sede.
E invero, premesso che la ricostruzione della vicenda non è controversa, essendo oggetto di discussione la metodologia dell’accertamento e l’ascrivibilità dei fatti all’imputato, deve osservarsi che su questi due aspetti non si registrano criticità.
In particolare, le due conformi sentenze di merito hanno richiamato le analisi operate il 4 agosto e il 17 novembre 2016 presso la sede di Pozzo della Gaser Ossido duro s.r.l., sulle acque reflue prelevate, con campione istantaneo, dal pozzetto di reflui industriali, da cui sono emersi valori superiori a quelli consentiti per due sostanze, ovvero l’alluminio (3,5 mg/l a fronte del limite di 2 mg/l, superiore al valore per cui era stata rilasciata l’autorizzazione integrata ambientale) e lo zinco (valore di 4,4 mg/l a fronte del limite di legge di 1 mg/l).
Ora, quanto alla questione relativa alle modalità di effettuazione dei prelievi, i giudici di merito hanno evidenziato come nei due verbali di campionamento sia stato spiegato che il prelievo era rappresentativo dello scarico finale, posto che la composizione qualitativa era resa omogenea dal lungo tempo di ritenzione del sistema di trattenimento delle acque, essendo state adoperate adeguate cautele affinché la gamella inserita nel pozzetto non toccasse il fondo e le pareti.
In ogni caso, come confermato dal teste Cribio in maniera più esplicativa rispetto alla sintesi dei verbali, era stata rilevata l’esistenza di un impianto di depurazione a monte del pozzetto in cui le acque trovavano occasione di convergenza per un tempo non breve (circa 3 ore), trovandosi dunque il pozzetto a valle di un sistema di depurazione composto da varie vasche, che già tendevano a equalizzare il campione, dopo la raccolta degli scarichi, dovendosi altresì escludere che l’esito delle analisi sia stato falsato dal sommovimento dell’acqua del pozzetto in occasione dell’immersione della gamella per il prelievo, risultando dalle immagini fotografiche che l’acqua scaricata era di per sé “turbolenta” e tale da smuovere costantemente le acque; dunque, la rilevazione eseguita doveva ritenersi corretta, fermo restando che le analisi erano state condotte previo regolare avviso alla parte della facoltà di assistervi e di essere rappresentata.
Ora, tale impostazione risulta coerente con la condivisa affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 36701 del 03/07/2019, Rv. 277158, Sez. 3, n. 26437 del 13/04/2016, Rv. 267110 e Sez. 3, n. 30135 del 05/04/2017, Rv. 270325), secondo cui, in tema di inquinamento idrico, la norma sul metodo di prelievo per il campionamento dello scarico ha carattere procedimentale e non sostanziale e, dunque, non ha natura di norma integratrice della fattispecie penale, ma rappresenta il mero criterio tecnico ordinario per il prelevamento, ben potendo il giudice, tenuto conto delle circostanze concrete, motivatamente ritenere la rappresentatività di campioni raccolti secondo metodiche diverse; dunque, le indicazioni sulle metodiche di prelievo e campionamento del refluo, contenute nell’allegato 5 del d. lgs. n. 152 del 2006 (campione medio prelevato nell'arco di tre ore), non costituiscono un criterio legale di valutazione della prova e possono essere derogate, anche con campionamento istantaneo, in presenza di particolari esigenze individuate dall’organo di controllo, delle quali deve essere data motivazione, come appunto avvenuto adeguatamente nel caso di specie.
A ciò deve solo aggiungersi che le doglianze circa il non corretto rilevamento dei campioni sono state formulate in termini ipotetici e non adeguatamente specifici, non essendo stata cioè chiarito se e in che misura gli esiti dei prelievi siano erronei, non potendosi per altro verso ritenere decisiva l’obiezione secondo cui nel corso di altri monitoraggi non vi siano state anomalie, ben potendo queste riguardare situazioni contingenti, ma non per questo non pericolose.
Quanto all’asserita lesione del principio di offensività della condotta, ne è stata ragionevolmente esclusa dai giudici di merito la configurabilità, atteso che i valori registrati si sono discostati in maniera significativa dai limiti consentiti (4,4 mg/l a fronte del limite di 1 mg/l e 3,5 mg/l di alluminio a fronte del limite di 1 mg/1), per cui, anche in considerazione della tipologia delle sostanze in eccesso (zinco e alluminio), si era in presenza di violazioni non proprio formali e irrisorie delle prescrizioni, dovendosi altresì considerare che l’autorizzazione amministrativa rilasciata alla Gaser non lasciava margini di tolleranza rispetto ai valori limite dell’alluminio e non prevedeva il rilascio del zinco, avendo in ogni caso il teste Cribio precisato che anche una concentrazione istantanea di determinate sostanze può danneggiare significativamente la rete fognaria.
3. Immune da censure è anche l’attribuzione all’imputato delle condotte illecite, essendo stata valorizzata in tal senso la procura notarile del 18 novembre 2011, debitamente registrata, con cui Cattaneo era stato formalmente delegato dal legale rappresentante della Gaser a operare “nel nome e nell’interesse della società”, quale coordinatore tecnico, sia rispetto alla sicurezza e alla salute dei lavoratori, sia con riferimento a tutta la materia ambientale, ai sensi del d. lgs. n. 152 del 2006, presentando la delega un contenuto molto ampio in ordine ai compiti affidati all’odierno imputato; il dato formale della delega, in maniera non illogica, è stato posto in correlazione dai giudici di merito con le qualità professionali di Cattaneo, che non è un soggetto inesperto nel settore, essendo egli anche un collaboratore esterno della società, a lui facendo capo lo studio di consulenza SG in materia di sicurezza e tutela ambientale.
Il Tribunale, con motivazione ripresa dalla Corte di appello, è dunque pervenuto alla conclusione che non si era in presenza di una delega virtuale, come sostenuto dal teste Franzosi, e ciò sia perché non è stato plausibilmente spiegato il motivo per cui il legale rappresentante della Gaser, dopo aver delegato formalmente l’imputato, abbia poi voluto esercitare personalmente i compiti delegati, sia perché Cattaneo è risultato effettivamente coinvolto nelle attività concernenti l’ambito di operatività della delega, avendo il teste Cristian Pozzoli, uno dei collaboratori esterni della Gaser, riferito di essersi rapportato con lo studio SG, gestito dal ricorrente, per preparare le risposte da fornire alle contestazioni mosse, così da farlo interloquire con gli enti pubblici interessati, ciò a conferma del coinvolgimento sostanziale di Cattaneo nelle fasi operative in cui venivano in rilievo aspetti tecnici relativi alla materia ambientale delegatagli.
E del resto è significativa la circostanza che Cattaneo, ricevuta nel 2011 una delega di funzioni a suo dire solo formale, non abbia negli anni mai chiesto la revoca di un atto che gli attribuiva precise responsabilità in ambiti così delicati.
In quanto sorretto da considerazioni coerenti con le acquisizioni probatorie e non manifestamente illogiche, il percorso argomentativo delle sentenze di merito in punto di responsabilità non presta dunque il fianco alle censure difensive.
4. In conclusione, alla stregua delle considerazioni svolte, si impone il rigetto del ricorso proposto nell’interesse di Cattaneo, con onere per il ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., di sostenere il pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 07/04/2021