T.a.r. Veneto sent. 248 del 26 gennaio 2005
C.V.M. (Cloruro di vinile monomero) e scarico e smaltimento
Ric. n. 919/2004
Sent.n. 248/05
REPUBBLICA
ITALIANA
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, terza sezione, costituito da:
Umberto Zuballi Presidente
Claudio Rovis Consigliere
Angelo Gabbricci Consigliere, relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 919/2004, proposto da European Vinyls Corporation Italia S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. ti Capria, Marocco e Giuri, con domicilio eletto presso lo studio dell’ultimo in Venezia Marghera, via delle Industrie, n. 19/C;
contro
il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in persona del ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia, domiciliataria per legge;
il Magistrato alle acque, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;
la Regione Veneto, in persona del presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia, domiciliataria per legge;
la Commissione tecnica regionale, sez. ambiente, in persona del dirigente pro tempore, non costituita in giudizio;
e nei confronti di
Marghera Servizi Industriali S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;
per l’annullamento, in parte qua:
1) del provvedimento 29 gennaio 2004, prot. 224, del Magistrato delle Acque, Ispettorato generale per la laguna di Venezia, Marano e Grado e per l’attuazione della legge per la salvaguardia di Venezia, Ufficio per la salvaguardia di Venezia, di autorizzazione a scarichi idrici nella laguna di Venezia;
2) della deliberazione della Giunta Regionale del Veneto 30 dicembre 2003, n. 4361;
3) del parere della Commissione Tecnica Regionale, Sez. Ambiente 18 dicembre 2003 n. 3184,
per la parte in cui tali atti stabiliscono che, nell’impianto della ricorrente presso il Petrolchimico di Marghera, “fino alla scadenza della proroga del 30 giugno 2004, il valore medio di concentrazione di CVM allo scarico delle colonne di stripping sia pari a 1,0 µg/L e il limite di concentrazione di 3,7 µg/L (che risulta essere il valore massimo riscontrato da E.V.C. nel 2003) possa essere superato al massimo una sola volta”.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e della Regione Veneto;
viste le memorie prodotte dalle parti;
visti gli atti tutti di causa;
uditi nella pubblica udienza del 10 dicembre 2004 - relatore il consigliere avv. Angelo Gabbricci - l’avv. Marocco per la ricorrente e l’avv. dello Stato Gasparini per le pubbliche Amministrazioni; ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
A. All’interno del Petrolchimico di Venezia Marghera, stabilimento industriale posto sulla terraferma, ai confini con l’area lagunare, la European Vinyls Corporation (E.V.C.) Italia S.p.A. conduce un reparto identificato dalla sigla CV22, in cui viene prodotto cloruro di vinile monomero (CVM).
Le relative acque reflue di processo - quelle cioè impiegate direttamente nella produzione - subiscono un primo trattamento di purificazione nello stesso reparto, attraverso un procedimento detto stripping, con successiva filtrazione. Di seguito vengono immesse nella rete fognaria dello stabilimento e giungono all’impianto di depurazione SG31, cui fanno capo anche i reflui di altri reparti, e che è gestito da Marghera Servizi industriali S.r.l. (M.A.S.I.); così completato il trattamento, le acque sono quindi immesse in una canaletta, nella quale confluiscono ulteriori scarichi, e che, a sua volta, sfocia in laguna – questo scarico finale è identificato con la sigla SM15 – nel canale Malamocco-Marghera.
B. A partire dalla fine degli anni novanta, è in via di attuazione una nuova disciplina speciale (principalmente contenuta nel D.M. 23 aprile 1998) per gli scarichi nella laguna di Venezia, la quale si applica anche agli impianti industriali esistenti (tra cui quello della E.V.C.), e vieta, in particolare, l’eliminazione in tal forma di determinate sostanze, considerate particolarmente inquinanti: ciò ha imposto il graduale adeguamento degli impianti interessati, secondo progetti approvati negli ultimi anni dalla Regione Veneto, la cui realizzazione non ha però sempre rispettato le scadenze prestabilite.
La giunta regionale veneta ha illustrato tale situazione nel preambolo della deliberazione 30 dicembre 2003, n. 4361 – uno degli atti qui impugnati – con cui ha disposto di prorogare a determinati soggetti i termini di adeguamento, consentendo dunque che, fino alla nuova scadenza, i loro impianti di depurazione continuassero ad operare secondo le precedenti regole, fatte salve eventuali prescrizioni temporanee più rigorose.
Tra tali impianti è incluso anche quello di E.V.C., cui la proroga è stata concessa nei limiti e con le prescrizioni proposte dalla Commissione tecnica regionale sezione ambiente (C.T.R.A.), con il parere 18 dicembre 2003, n. 3184: ed è proprio una di tali prescrizioni – quella riportata in epigrafe, e che più oltre verrà riesaminata in dettaglio – ad aver condotto la E.V.C. a proporre il ricorso in esame anche avverso tale parere.
C. Il Magistrato alle acque aveva in passato autorizzato lo scarico finale SM15, cui si è accennato, fino al 31 dicembre 2003, e poi per un altro mese, in attesa appunto di eventuali proroghe regionali del termine per l’introduzione dei nuovi limiti allo scarico.
Dopo che la giunta ebbe assunto la ricordata deliberazione 4361/03, lo stesso Magistrato, con il provvedimento 29 gennaio 2004, prot. 224, rinnovò la precedente autorizzazione allo scarico SM15 in favore delle aziende che lo utilizzavano anche indirettamente - e, tra queste, come detto, E.V.C. – stabilendo però, tra l’altro, che i soggetti autorizzati avrebbero dovuto rispettare le prescrizioni stabilite nei pareri emessi dalla C.T.R.A.: sicché E.V.C. ha impugnato sotto questo specifico profilo anche l’autorizzazione allo scarico.
D. Si sono costituiti in giudizio il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, da cui il Magistrato alle acque dipende, nonché la Regione Veneto, concludendo entrambi per la reiezione.
DIRITTO
1.1. Dalla precedente narrazione emerge come oggetto del ricorso sia la legittimità di una prescrizione, contenuta nel parere 18 dicembre 2003, n. 3184, della C.T.R.A., e poi recepita sia nella deliberazione di giunta 4361/03, sia nella successiva autorizzazione allo scarico 29 gennaio 2004, entrambi impugnati: ed è dunque a quel primo atto che si fare anzitutto riferimento.
1.2. Come già esposto il parere impugnato si conclude bensì per la proroga del termine per l’adeguamento degli scarichi della E.V.C. alla nuova disciplina speciale, subordinatamente all’osservanza delle prescrizioni contenute nel suo precedente “considerato”.
In questo, per quanto riguarda gli apparati di produzione del cloruro di vinile monomero (CVM), viene intanto ricordato che il progetto di adeguamento è sottoposto a “verifica di VIA nazionale presso il Ministero dell’Ambiente”; così, in attesa che quel procedimento si concluda, si ritiene tra l’altro opportuno che, fino alla scadenza della proroga fissata al 30 giugno 2004, “il valore medio di concentrazione di CVM allo scarico delle colonne di stripping” (questo, come già visto, costituisce una prima fase di depurazione delle acque di processo) “sia pari a 1,0 µg/L e il limite di concentrazione di 3,7 µg/L (che risulta essere il valore massimo riscontrato da E.V.C. nel 2003) possa essere superato al massimo una sola volta”.
2.1. Il primo motivo di ricorso – violazione e falsa applicazione degli artt. 117 e 118 Cost.; violazione e falsa applicazione dell’art. 2 d.l. 29 marzo 1995, n. 96, convertito in l. 206/95 e dell’art. 54 del d. lgs. 31 marzo 1998, n. 112, nonché del d.m. 23 aprile 1998; incompetenza – assume che, per effetto delle disposizioni citate, la competenza alla fissazione dei limiti allo scarico in laguna appartiene al Ministro dell’ambiente, mentre la Regione interessata interverrebbe esclusivamente con funzione consultiva non vincolante: tale sarebbe anche la conclusione cui è pervenuta la Corte costituzionale con la sentenza 54/2000, resa sul d.m. 23 aprile 1998, nella quale si sarebbe chiarito che sono riservate allo Stato competenze di carattere generale, quali la fissazione dei limiti di accettabilità delle emissioni, mentre sono attribuite alle Regioni le competenze specifiche inerenti i provvedimenti per le autorizzazioni degli scarichi industriali.
Al contrario, conclude la ricorrente, la d.g.r. 4361/03, pur non avendo formalmente carattere normativo, avrebbe di fatto fissato, seppur per relationem, un nuovo limite allo scarico, risultando pertanto illegittima nella parte in cui, appunto, eccede la propria sfera di competenza.
2.2. Nel secondo motivo (violazione e falsa applicazione, sotto altro profilo, del d.m. 23 aprile 1998; incompetenza relativa sotto altro profilo ed illogicità manifesta) si rappresenta come il progetto di adeguamento, presentato da E.V.C., fosse stato approvato dalla giunta regionale ancora con la d.g.r. 21 dicembre 2001, n. 3749.
In tale provvedimento, tra l’altro, si era disposto, in conformità a quanto previsto nel d.m. 23 aprile 1998, che la stessa E.V.C. era tenuta al rispetto dei valori limite indicati nel d.P.R. 962/73 ovvero dei limiti diversi, più restrittivi, eventualmente già fissati con l’autorizzazione allo scarico: viceversa, prosegue E.V.C., con il provvedimento impugnato la giunta ha introdotto, a distanza di due anni, una nuova prescrizione a carico della società ricorrente, consistente appunto in un limite più restrittivo di concentrazione per il CVM.
Sempre il parere della C.T.R.A., qui impugnato, specificherebbe che i limiti allo scarico possono essere fissati o in un atto legislativo, come appunto il d.P.R. 962/1973, ovvero con l’autorizzazione allo scarico di acque reflue.
Emergerebbe allora con evidenza la sua illogicità: nel momento in cui ammette la propria incompetenza, e quella della Regione quanto alla fissazione dei limiti, contemporaneamente impone proprio limiti più restrittivi, in contrasto anche con il proprio precedente parere, emesso all’atto dell’approvazione del progetto di adeguamento.
Infine, la ricorrente ricorda come l’adeguamento degli scarichi, ex d.m. 23 aprile 1998, sia espressamente finalizzato all’eliminazione di determinate sostanze vietate, tra le quali non figurerebbe il CVM: anche sotto questo profilo, pertanto, la giunta regionale sarebbe incompetente a stabilire limiti più restrittivi, giacché il suo potere sarebbe limitato a tali sostanze vietate, mentre, a sua volta, la commissione regionale, quale organo tecnico della giunta, non potrebbe disporre di una competenza diversa o più ampia rispetto a quella dell’organo al quale presta ausilio.
2.3. Il terzo motivo di ricorso è compendiato nella violazione e falsa applicazione del d.P.R. 962/73, ed altresì nell’eccesso di potere per erronea presupposizione di fatto.
Osserva invero la ricorrente che il ripetuto d.P.R. 962/73 fissa il limite allo scarico in laguna dei composti organici clorurati – come il CVM - in 0,05 mg/l – pari cioè a 50 milionesimi di grammo o microgrammi (µg.), limite poi confermato anche dal d.m. 30 luglio 1999.
Al contrario, i provvedimenti impugnati non solo richiedono il rispetto di limiti massimi nettamente inferiori a quelli di legge, ma addirittura lo impongono non allo scarico finale in laguna (come invece stabilito dal d.P.R. 962/73), ma all’uscita della sezione di strippaggio, e prima che sugli scarichi vengano effettuati tanto la filtrazione, da parte della stessa E.V.C. Italia, quanto il trattamento presso il depuratore esterno M.A.S.I..
2.4. Il quarto motivo (eccesso di potere per disparità di trattamento) muove dall’affermazione che la competenza statale di fissare i limiti di accettabilità e i limiti di scarico troverebbe la sua giustificazione anche nell’esigenza di determinare parità di condizioni e trattamento tra tutti gli operatori nello stesso settore: pertanto, le prescrizioni contenute in atti applicativi non sono rimesse alla mera valutazione discrezionale dell’autorità amministrativa, ma devono trovare la propria fonte in atti normativi, per rispettare il principio di parità di trattamento e di libertà di iniziativa economica.
2.5. Inoltre (V motivo: eccesso di potere per carenza d’istruttoria e di motivazione) i provvedimenti impugnati risultano del tutto privi di adeguata istruttoria, quanto all’imposizione di limiti più restrittivi.
Osserva invero la ricorrente come sia la giunta regionale, sia il Magistrato alle acque facciano espresso riferimento al parere emesso dalla C.T.R.A..
Quest’ultima, peraltro, non risulta aver svolto attività istruttorie, né quanto alla presenza del CVM nelle acque reflue di processo, né quanto alle conseguenze che la presenza di tale sostanza, in concentrazione inferiore al limite di legge applicabile, potrebbe causare: la commissione tecnica regionale si limita a stabilire acriticamente, come limite massimo, quello riscontrato da E.V.C. nel corso del 2003, senza avere prima compiuto alcuna autonoma valutazione, e senza tenere in alcun conto le osservazioni presentate dalla stessa E.V.C. in una nota del 22 dicembre 2003.
Non si giustifica perciò che un dato di fatto, e cioè il valore massimo riscontrato dalla ricorrente, venga qualificato come valore di concentrazione massima; né va dimenticato, soggiunge la ricorrente, che i monitoraggi effettuati da E.V.C. non erano destinati ad individuare un valore limite o medio di concentrazione, i quali richiederebbero metodiche diverse.
2.6. Infine, l’ultimo motivo è rubricato nell’eccesso di potere per illogicità manifesta e travisamento dei fatti, e concerne il provvedimento del Magistrato alle acque, il quale non ha incluso nell’autorizzazione gli scarichi di due società, perché non possiedono immissioni dirette, ma solo indirette, nello scarico SM15.
Nota tuttavia la ricorrente che la prescrizione imposta ad E.V.C. dal Magistrato, mediante il rinvio al parere della C.T.R.A. concerne proprio uno scarico di tipo “indiretto”, del tutto paragonabile a quelli che la stessa Autorità ha ritenuto di escludere dall’autorizzazione, giacché anche questi ultimi sono convogliati all’impianto M.A.S.I., e confluiscono infine nello scarico SM15: da ciò l’illogicità e il travisamento dei fatti alla base della prescrizione impugnata.
2.7. Da ultimo, nello stesso VI motivo, la ricorrente introduce l’ulteriore rilievo che i provvedimenti impugnati impongono come valore medio di concentrazione del CVM allo scarico delle colonne di stripping il valore di 1,0 µg/L.
Ora, non solo il parere del C.T.R.A. non precisa l’ambito temporale entro cui deve essere valutato il campione medio, ma, soprattutto, il valore indicato si discosterebbe di poco dal limite di concentrazione di CVM previsto per le acque potabili dal d. lgs. 31/2001, e pari a 0,5 µg/L: ciò confermerebbe l’illogicità della prescrizione di un valore di concentrazione per il CVM, prima che i trattamenti siano completati, paragonabile a quello stabilito per le acque potabili.
3. Orbene, l’art. 1 del d.m. 30 luglio 1999 –
nel fissare limiti agli scarichi industriali e civili che recapitano nella
laguna di Venezia e nei corpi idrici del suo bacino scolante – stabilisce che
tali limiti sono stabiliti nei valori di cui all’allegata tabella A, la quale
sostituisce a regime quella contenuta nel d.P.R. 20 settembre 1973, n. 962.
Nella II Sezione della tabella, per i composti organici clorurati, non citati altrove, è previsto un limite allo scarico pari a 0,05 mg/l, e cioè a 50 µg/L: dunque, oltre tredici volte superiore a quello massimo, stabilito nella prescrizione introdotta con gli atti qui impugnati, la quale, inoltre, non fa riferimento al punto di scarico in laguna, ovvero all’uscita dall’impianto di trattamento M.A.S.I. – dove un pericolo d’inquinamento diviene concreto - ma ad una fase intermedia del trattamento sul refluo: sicché già su tale fondamento il ricorso potrebbe essere accolto, con specifico riferimento al III motivo di ricorso (§ 2.3.).
4.1. Sul punto, la tesi difensiva principale proposta dalle Amministrazioni resistenti – e, in particolare, dal Ministero delle infrastrutture – è che le acque di processo in questione rientrerebbero nell’ambito di applicazione della normativa sui rifiuti, e non potrebbero essere regolamentate dalla normativa sugli scarichi idrici.
Anzitutto, infatti, contenendo CVM, i reflui costituirebbero una soluzione di bassobollenti clorurati, classificata come rifiuto riutilizzabile ex d.m. 12 giugno 2002, e ciò non precluderebbe di smaltirli mediante condotta fognaria presso l’impianto di trattamento condotto da Marghera servizi industriali S.r.l. (M.A.S.I.) all’interno del Petrolchimico, ma ciò sarebbe tuttavia consentito soltanto previo “rilascio di specifica autorizzazione da parte degli organi competenti in materia di controllo e gestione dei rifiuti”, e nel rispetto delle prescrizioni in materia.
Soltanto qualora tali rifiuti fossero convogliati per il trattamento ad un impianto di depurazione “facente parte di un consorzio per l’effettuazione in comune della depurazione e dello scarico, tale impianto”, conformemente a quanto stabilito dall’art. 45, II comma, del d. lgs. 152/99 (su cui v. ultra) non sarebbero più soggetti alla normativa sui rifiuti.
In questo caso, infatti, l’impianto tratterebbe reflui propri e non di terzi, e quindi, come impianto di depurazione al servizio di uno stabilimento industriale, sarebbe “assoggettato soltanto all’autorizzazione allo scarico ai sensi del d. lgs. 152/99 e non a quella prevista dal d. lgs. 22/97”, che disciplina lo smaltimento dei rifiuti.
Tuttavia, ciò nella specie non si è verificato: quello de quo sarebbe dunque uno scarico indiretto, in cui il rapporto tra acque di processo e corpo recettore viene interrotto dall’attività di un soggetto diverso dal produttore dello scarico, al quale viene conferito il liquame per il trattamento: situazione nella quale, peraltro, non potrebbe trovare applicazione la disciplina sugli scarichi idrici.
4.2. Invero, è anzitutto esatta l’osservazione della ricorrente, per cui né il parere della C.T.R.A., né i due successivi provvedimenti che lo recepiscono, qualificano i reflui provenienti dal reparto CV22 come rifiuti liquidi, soggetti alla disciplina di cui al d. lgs. 22/97.
Peraltro, ove in effetti la relativa disciplina fosse applicabile, e consentisse di assumere la prescrizione in questione, la determinazione gravata non potrebbe essere annullata solo perché l’Amministrazione non ha espressamente indicato la fonte della potestà esercitata.
4.3. Ciò posto, si è già ricordato che le acque di processo del reparto CV22 attraverso una canalizzazione confluiscono all’impianto di depurazione SG31, e vengono quindi scaricate in laguna.
Secondo un orientamento giurisprudenziale che si può ritenere ormai consolidato, la nozione di scarico, introdotta dal d. lgs. 152/99, “costituisce il parametro di riferimento per stabilire, per le acque di scarico e per i rifiuti liquidi, l’ambito di operatività delle normative in tema di tutela delle acque e dei rifiuti, sicché solo lo scarico di acque reflue liquide, semiliquide e comunque convogliabili, diretto in corpi idrici ricettori, specificamente indicati, rientra in tale normativa; per contro, i rifiuti allo stato liquido, costituiti da acque reflue di cui il detentore si disfaccia senza versamento diretto nei corpi ricettori, avviandole cioè allo smaltimento, trattamento o depurazione a mezzo di trasporto su strada o comunque non canalizzato, rientrano nella disciplina dei rifiuti e il loro smaltimento deve essere autorizzato” (così Cass. pen., III, 29 marzo 2000, n. 5000; conf. id., 29 marzo 2002, n. 1383): e, coerentemente con tale affermazione, “l’immissione non autorizzata di acque reflue industriali senza il tramite di una condotta, o di un sistema di convogliabilità, non è punita ai sensi del d. lgs. 11 maggio 1999 n. 152, attesa la nozione di scarico contenuta nell’art. 2 comma 2 lett. bb) del citato decreto, dovendosi diversamente configurare l’ipotesi di abbandono incontrollato di rifiuti (liquidi) sanzionata all’art. 51 d.lg. febbraio 1997 n. 22” (id., 4 febbraio 2003, n. 12005).
4.4. L’Amministrazione richiama per vero un’altra sentenza (Cass. pen., III, 24 giugno 1999, n. 2358), che giustificherebbe la qualificazione di rifiuto liquido per i reflui EVC: ma la lettura della sua motivazione conduce ad un esito affatto opposto.
Questa, tra l’altro, dopo aver riportato ampi stralci della relazione governativa al d. lgs. 152/99, ne conclude che “non sembra dubitabile la scomparsa di quello che la giurisprudenza qualificava come scarico indiretto … Più esattamente”, seguita la pronuncia, “dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 152-1999, se per scarico si intende il riversamento diretto nei corpi recettori, quando il collegamento tra fonte di riversamento e corpo ricettore è interrotto, viene meno lo scarico (indiretto) per far posto alla fase di smaltimento del rifiuto liquido”; e poco più sopra, sempre richiamando – e condividendo – la citata relazione governativa, la decisione puntualizza come “il trasporto di acque reflue mediante autobotte, o altri mezzi, interrompendo il nesso funzionale e diretto dell’acqua reflua con il corpo idrico ricettore e la riferibilità al titolare dello scarico, è soggetto alla disciplina sui rifiuti così come si evince dall’art. 36 [del d. lgs. 152/99], che sottopone alla disciplina del d. lgs. 5.2.1977 n. 22, e successive modifiche, il trasporto di rifiuti costituite da acque di scarico, nonché il successivo smaltimento in impianti di trattamento”.
Di seguito, su tale fondamento, sempre la stessa sentenza considera infine la fattispecie sottoposta al suo esame. Il giudice di merito aveva accertato che, oltre a reflui direttamente convogliati nell’impianto di depurazione da un’impresa privata e dalle pubbliche fognature, il depuratore interessato - la pronuncia si riferisce al suo sequestro penale - “raccoglieva anche rifiuti liquidi conferiti da stabilimenti industriali operanti anche fuori del territorio regionale”, per cui, secondo la Corte, “l’impianto gestito dall’indagato non esercitava solo la fase dello scarico idrico (come tale soggetto alla legge sulla tutela delle acque) ma anche lo smaltimento di rifiuti liquidi conferiti a distanza (come tale soggetto alla disciplina del D.Lgs. 22-1997)”.
5.1. L’interpretazione – che, come si è visto, è sostanzialmente uniforme - proposta dal giudice penale nelle richiamate decisioni appare dal Collegio pienamente condivisibile, ed applicabile alla fattispecie de qua.
Invero, il citato art. 2, lett. bb), qualifica come scarico “qualsiasi
immissione diretta tramite condotta di acque reflue liquide, semiliquide e
comunque convogliabili nelle acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in
rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte
a preventivo trattamento di depurazione”; e, a sua volta, il d. lgs. 22/97
all’art. 8, lett. e), esclude dal campo di applicazione della normativa sui
rifiuti “le acque di scarico, esclusi i rifiuti allo stato liquido”.
Ancora, l’art. 36 del d. lgs. 152/99 - nel testo
da ultimo sostituito da dall’art. 16, d.lg. 18 agosto 2000, n. 258 - regola la
materia del trattamento di rifiuti presso impianti di trattamento delle acque
reflue urbane, assoggettandola alla disciplina del d. lgs. 22/97, e dalla
lettura della disposizione si desume pacificamente (cfr. in particolare il comma
VII) che tale attività presuppone il trasporto dei reflui liquidi, ed esclude
dunque il caso della loro canalizzazione, dalla struttura che li produce
all’impianto di depurazione.
5.2. Ora, con specifico riferimento alla fattispecie, non pare revocabile in dubbio che la “rete fognaria”, cui si riferisce l’art. 2, sia quella pubblica: tale non è invece la canalizzazione che, dal reparto EVC, dove si produce il cloruro di vinile, conduce all’impianto di depurazione M.A.S.I..
Così, in nessuna delle successive fasi i reflui sono oggetto di un trasporto: sicché manca quella “interruzione funzionale del nesso di collegamento diretto tra la fonte di produzione del liquame ed il corpo ricettore”, la quale determinerebbe “la trasformazione del liquame di scarico in un ordinario rifiuto liquido, con la conseguente inapplicabilità delle disposizioni del d.lg. 11 maggio 1999 n. 152, ed il necessario rispetto delle previsioni del d.lg. 5 febbraio 1997 n. 22” (Cass. pen., sez. III, 17 dicembre 2002, n. 8758).
5.3. Del resto, la continuità della canalizzazione è implicitamente riconosciuta anche dall’Amministrazione, la quale sostiene l’esistenza d’una soluzione di continuità sotto un profilo esclusivamente giuridico, costituito dalla circostanza che l’impianto M.A.S.I. non è consortile.
Peraltro, la circostanza appare affatto irrilevante, alla stregua della nozione di scarico fin qui esaminata, dove la soluzione di continuità va intesa in senso materiale e funzionale: né conduce a conclusioni diverse la disposizione di cui all’art. 45, II comma, del d. lgs. 152/99, la quale stabilisce che, ove tra più stabilimenti sia costituito un consorzio per l’effettuazione in comune dello scarico delle acque reflue provenienti dalle attività dei consorziati, l’autorizzazione è rilasciata in capo al consorzio medesimo.
La prescrizione, come è evidente, nulla afferma circa la natura dei reflui canalizzati in un impianto non consortile, né, d’altro canto, impone la costituzione del consorzio: come osserva la ricorrente nella sua memoria, ove il consorzio manchi, l’autorizzazione sarà rilasciata a tutti i gestori degli stabilimenti le cui acque reflue compongono lo scarico; ove il Consorzio esista ne seguiranno effetti soltanto formali relativi all’intestazione dell’autorizzazione.
5.4. Infine, non può neppure trovare accoglimento la tesi per cui, costituendo il PVC un rifiuto riutilizzabile, i reflui che lo contengono non possono essere qualificati come acque di scarico.
Il recupero non costituisce un’operazione necessaria, né ovviamente uno scarico cessa in sé di essere tale, in relazione alle sostanze che contiene - e basta richiamare la tabella, allegata al citato d.P.R. 962/73, la quale, per gli elenchi che include, presuppone appunto che negli scarichi possano essere presenti le sostanze più disparate: si tratta piuttosto di distinguere tra scarichi ammessi e vietati: e, nei limiti prescritti, lo è anche quello che contiene il PVC.
6.1. La tesi difensiva principale delle Amministrazioni resistenti può ritenersi così superata: non trova applicazione alla fattispecie la disciplina in materia di rifiuti, sicché non v’è alcun motivo di verificare se la prescrizione impugnata potesse così giustificarsi.
È peraltro da rilevare come, sia pure in subordine, le difese dei resistenti propongano un’altra soluzione interpretativa, e cioè che la prescrizione – almeno con riferimento al provvedimento del Magistrato alle acque – troverebbe fondamento nell’art. 34, II comma, del ripetuto d. lgs. 152/99, per cui “tenendo conto della tossicità, della persistenza e della bioaccumulazione della sostanza considerata nell’ambiente in cui è effettuato lo scarico, l’autorità competente in sede di rilascio dell’autorizzazione può fissare, in particolari situazioni di accertato pericolo per l’ambiente anche per la compresenza di altri scarichi di sostanze pericolose, valori-limite di emissione più restrittivi di quelli fissati ai sensi dell’articolo 28, commi 1 e 2”, il quale definisce i valori limite di emissione ordinari previsti nei successivi allegati.
6.2. Ora, è intanto da osservare come non trovi espresso riscontro negli atti impugnati la volontà di esercitare il potere conferito dalla norma citata, evocata per la prima volta soltanto negli scritti difensivi.
Inoltre, tale potere può essere esercitato, come si è visto, soltanto in presenza di un’articolata serie di presupposti, di cui gli atti gravati non recano traccia, e che dovrebbero a loro volta giustificare i valori più restrittivi in concreto determinati: valori non possono essere evidentemente stabiliti ad libitum, ma devono essere invece conferenti con la situazione di pericolo ambientale concretamente riscontrata.
Così, in tale situazione, il Collegio deve concludere che la prescrizione, nell’originario intento dell’Amministrazione attiva, non sia stata affatto adottata nell’esercizio dei poteri attribuiti dall’art. 34, e che soltanto le difese processuali abbiano cercato di attribuirle tale fondamento, ma inutilmente, stante l’inammissibilità dell’integrazione del provvedimento in corso di giudizio.
Del resto, anche in tali difese, le Amministrazioni non sono potute andare molto oltre l’affermazione che il CVM è una sostanza pericolosa: asserzione indiscutibile ma certamente insufficiente a dare riscontro al disposto della norma di legge.
È stata bensì prodotta un’indagine preliminare, databile al 2004, redatta dal Magistrato alle acque sulle caratteristiche qualitative dei canali industriali posti in prossimità del Petrolchimico: peraltro, proprio tale indagine (pag. 5), afferma che nel canale Malamocco Marghera, presso il punto in cui sbocca lo scarico finale SM15, nei numerosi controlli eseguiti non è mai stata rilevata una concentrazione misurabile di CVM.
6.3. Trova dunque definitiva conferma il terzo motivo di ricorso: la prescrizione de qua è stata adottata in violazione della disciplina vigente in materia di scarichi.
Comunque, se pure si volesse ritenere che la stessa prescrizione possa astrattamente trovare il suo fondamento nel ripetuto art. 34, la stessa – e così i due provvedimenti impugnati – sarebbero comunque illegittimi, in relazione alle carenze istruttorie lamentate nel quinto e nel sesto motivo di ricorso.
È infatti evidente che la C.T.R.A. non ha verificato l’esistenza di particolari situazioni di accertato pericolo per l’ambiente, né ha determinato la soglia di emissioni sulla base di una valutazione tecnica, in relazione alle circostanze concrete, limitandosi ad utilizzare un dato fornito, con finalità diverse, dalla stessa ricorrente; né ha fornito adeguate giustificazioni, quanto al punto dello scarico – dopo la sezione interna di stripping – cui le soglie sono state riferite.
Ora, i limiti stabiliti da atti normativi generali si devono presumere ordinariamente congrui, ma è certamente possibile che tali limiti siano inadeguati, in relazione alle peculiarità di specifiche situazioni, le quali possono richiedere ulteriori restrizioni.
Peraltro, il potere di fissare limiti più severi agli scarichi, per essere esercitato legittimamente, richiede – non foss’altro per le sue intuibili ricadute – un’adeguata verifica della situazione in atto, sul cui fondamento dovranno essere emesse prescrizioni che tendano a contemperare i diversi interessi coinvolti, e ciò dovrà trovare riscontro negli atti del procedimento e nel provvedimento finale: mentre nulla di tutto ciò è accaduto in specie.
7. In conclusione, il ricorso può essere accolto per le ragioni sin qui esposte, con l’assorbimento delle residue censure: le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, terza Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, annulla l’autorizzazione 29 gennaio 2004, prot. 224, del Magistrato delle Acque, e la d.g.r. 30 dicembre 2003, n. 4361, limitatamente alla parte in cui, rinviando al parere C.T.R.A. 18 dicembre 2003, n. 3184, stabiliscono particolari valori del CVM nello scarico dell’impianto della ricorrente.
Condanna in solido il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la Regione Veneto alla rifusione delle spese di causa a favore della ricorrente, liquidandole in €. 6.000,00, di cui €. 1000,00 per spese e la parte residua per diritti ed onorari, oltre i.v.a. e c.p.a. .
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia, nella Camera di consiglio addì 10 dicembre 2004.
Il Presidente l’Estensore