Di seguito, alcune fra le sentenze della Cassazione, le più significative, in tema di "delega di poteri e competenze" in materia ambientale. IL PUNTO SULL

 

E' un principio accettato dalla maggior parte della dottrina giuridica e della giurisprudenza che nell'ipotesi di una "struttura imprenditoriale complessa", il datore di lavoro possa adempiere agli obblighi impostigli dalla legge affidando alcuni e determinati compiti esecutivi ad altri soggetti attraverso lo strumento della "delega di attribuzioni e competenze". Conseguentemente, all'interno di "strutture imprenditoriali complesse" l'indagine sui soggetti penalmente responsabili per l'inosservanza agli obblighi imposti dalla normativa, non può che consistere nel ricercare la responsabilità laddove si trovano, in concreto, le competenze e i poteri.

 

- Cassazione pen., sez. 3a, in sent. n. 6204 dell'1/7/1983, secondo la quale in tema di personalità della responsabilità penale, in riferimento all'art. 27 della Costituzione ed all'art. 40 cod. pen. (rapporto di causalità), l'amministratore o il legate rappresentante di una società non può essere automaticamente tenuto responsabile, a causa della carica ricoperta, di tutte le infrazioni penali verificatesi nella gestione dell'ente e la responsabilità deve essere esclusa tutte le volte che egli abbia preposto ai vari servizi soggetti qualificati ed idonei forniti, tra l'altro, della necessaria autonomia e dei poteri discrezionali per la condotta dei relativi affari (fattispecie relativa ad affermazione di responsabilità, per avere omesso di provvedere agli incombenti di cui alla legge 10 maggio 1976, n. 319, di un legale rappresentante di una società, il quale aveva negato di esservi tenuto, senza però segnalare la persona responsabile della omissione predetta);

- Cassazione pen., sez. 3a, in sent. n. 1235 del 30/1/1989, secondo la quale in tema di tutela delle acque dell'inquinamento, con la espressione "chiunque apre o comunque effettua nuovi scarichi" (art. 21, primo comma, legge 10 maggio 1976, n. 319), il legislatore ha inteso riferirsi a qualsiasi persona che, avendo il potere di disporre, effettui scarichi nelle acque indicate nell'art. 1 della citata legge; nel caso di società, destinatari della norma sono, avuto riguardo ai rispettivi poteri e mansioni: l’amministratore della società, il direttore generale, che sovraintende al funzionamento dell'impresa nel suo complesso e quindi anche agli scarichi (e la responsabilità dell'uno non esclude quella dell'altro), colui, al quale, eventualmente, sia stato conferito, nell'organizzazione dell'impresa, specifico incarico di presiedere a tale incombenza; in tale ultima ipotesi i soggetti responsabili possono fornire la prova della loro estraneità dello specifico settore o della delega conferita ad una determinata persona;

- Cassazione pen., sez. 3a, in sent. n. 14342 del 31/10/1990, secondo la quale in tema di tutela delle acque dall'inquinamento, il legale rappresentante di una impresa non è penalmente responsabile, qualora abbia affidato la gestione ed il controllo degli impianti di depurazione ad un funzionario o direttore; tale affidamento deve però risultare dalla struttura organizzativa della società o ente e deve essere conferito mediante delega espressa e formale ed approvata dagli organi statutari;

- Cassazione pen., sez. 2a, in sent n. 3852 del 6/4/1991, secondo la quale il socio amministratore di una società di persone, curata da altro socio, non ha soltanto il diritto, ma il dovere di amministrare, sicchè il volontario disinteresse dall'amministrazione dell'azienda costituisce violazione di un preciso dovere e quindi colpa (fattispecie in tema di scarico non autorizzato di insediamento produttivo);

- Cassazione pen., sez. 3a, in sent. n. 4262 dei 15/4/1991, secondo la quale in materia di inquinamento delle acque (che è sanzionato penalmente per la grande rilevanza degli interessi pubblici coinvolti) la legge 319/1976 pone la responsabilità a carico di "chi effettua lo scarico", intendendo così coinvolgere tutti i soggetti che hanno poteri di rappresentanza e gestione dell’insediamento produttivo; poiché la responsabilità penale è personale, non vale ad escluderla una delega a personale interno od esterno alla unità produttiva da cui ha origine l’inquinamento, in quanto l'evento è ritenuto dal legislatore (che non contempla ipotesi di delega) così grave da impegnare direttamente il soggetto che ha poteri reali di gestione e che, di conseguenza, può prevenire il fenomeno attraverso misure adeguate attinenti al tipo e modo di produzione, alla organizzazione del lavoro e all'adozione di appropriati impianti di depurazione;

- Cassazione pen., sez. 3a, in sent n. 12411 del 7/12/1991, secondo la quale in tema di tutela delle acque dall'inquinamento (nella specie scarichi con valori superiori ai limiti tabellari), l'amministratore di grandi complessi industriali può andare esente da responsabilità, quando abbia conferito con precise deleghe la verifica ed il controllo di determinati settori a soggetti dotati di piena autonomia (nella specie la corte ha ritenuto che mancasse la documentazione della preventiva delega);

- Cassazione pen., sez. 3a, in sent. n. 2330 del 3/3/1992, secondo la quale in tema di tutela delle acque dall'inquinamento se il titolare di una azienda (nella specie società per azioni) affidi per la molteplicità dei compiti istituzionali o per la complessità dell'organizzazione aziendale, in base a precise disposizioni preventivamente adottate secondo le disposizioni statutarie, la direzione di singoli rami o impianti e persone, dotate di capacità tecnica ed autonomia decisionale, la responsabilità penale ricade su questi ultimi soggetti, quando si accerti che il titolare stesso non abbia interferito nella loro attività;

- Cassazione pen., sez. 3a, in sent. n. 2687 del 14/3/1992, secondo la quale in tema di tutela delle acque dall'inquinamento, nel caso di consorzi che svolgono una seria incidenza nella vita produttiva delle imprese componenti (nella specie "manutenzione degli impianti", "acquisizione di singole strutture", "coordinamento gestionale produttivo") le sanzioni penali per le violazioni alla legge n. 319 del 1976 sono applicabili nei confronti del rappresentante non solo dell'ente, che ~ quale gestore dell'attività dei gruppo, ma anche del singolo organismo consorziato, concorrente nell'illecito; in tema di tutela delle acque dall’inquinamento, la legge n. 319 del 1976 punisce tutti i soggetti che effettuano gli scarichi e cioè che di fatto esercitano funzioni amministrative e di gestione; nel caso di società o consorzi rispondono pertanto - a titolo di concorso - i soggetti che, a vario titolo, hanno la rappresentanza, amministrazione e direzione dell'organismo complessivo.;

- Cassazione pen., sez. 3a, in sent. n. 3853 del 3/4/1992, secondo la quale in materia di tutela delle acque dall’inquinamento, la responsabilità dell'amministratore di un insediamento produttivo può essere esclusa dalla convincente dimostrazione che esso abbia posto in essere tutto quanto dovuto, nell'ambito delle sue attribuzioni, al fine di evitare le conseguenze dannose dei reati alcuni contestati, l'affidamento a persone, professionalmente attrezzate, di ogni attività necessaria e doverosa nella suddetta materia, esclude la responsabilità dell'amministratore, non potendosi neppure porre a suo carico l'omissione di controllo sull'attività dei tecnici incaricati, qualora egli non sia in grado di sindacare il loro operato, non essendo in possesso delle necessarie cognizioni tecniche (nella fattispecie era stato dato incarico ad una ditta specializzata per la ripulitura dei depuratore ed era stato nominato un addetto all'impiantistica); invece, l'amministratore di un insediamento produttivo è responsabile per la mancata richiesta di autorizzazione allo scarico, essendo il connesso dovere posto a carico proprio di chi ha la responsabilità legale della ditta;

- Cassazione pen., sez. 3a, in sent n. 6550 dei 29/5/1992, secondo la quale in tema di tutela delle acque dall'inquinamento, la responsabilità per la sorveglianza dello scarico non può essere delegata totalmente ad altri, in quanto la L. 10 maggio 1976, n. 319, affida al "titolare" questa incombenza, richiamando l'adozione di misure positive ed adeguate di prevenzione (nella fattispecie, il giudice di merito, con apprezzamento considerato incensurabile dalla Cassazione, aveva ritenuto che la persona alla quale era stato affidato l’incarico di vigilanza dei depuratore fosse priva di preparazione specifica e che i controlli delle apparecchiatura elettroniche erano effettuati ad eccessiva distanza temporale, cioè ogni mese);

- Pretura di Genova (l'unica decisione di un certo rilievo in tema di D.P.R. 175/1988), in sent. del 19/4/1993, secondo la quale il rapporto di sicurezza previsto dal D.P.R. 17 maggio 1988 n. 175 è un atto di primaria importanza per le aziende a rischio, al quale non possono ritenersi esonerati neppure i vertici delle aziende stesse;

- Cassazione pen., sez. 3a, in sent. n. 6031 dei 14/6/1993, secondo la quale in materia di inquinamento delle acque, la responsabilità penale ai sensi dell'art. 21, L. 10 maggio 1976, n. 319, è posta a carico di "chiunque effettua" lo scarico, nel senso della riferibilità a tutte le persone che rappresentano l'ente e di fatto ne hanno la gestione e va ricercata in termini non solo formali, ma sostanziali sulle persone che avevano il potere-dovere di prevenire l'inquinamento e non hanno provveduto; non basta, dunque, una delega formale ad escludere la responsabilità penale del titolare e rappresentante legale di una impresa, anche di notevole complessità, ove l'inquinamento sia conseguenza di cause strutturali (omessa predisposizione di impianti e soluzioni tecniche adeguate) dovute ad omissione di scelte generali, talora di rilevante peso economico, e neppure basta una delega ad operatori di livello inferiore, se manchi il controllo sul concreto esercizio dei poteri delegati, sicchè solo in casi eccezionali da provare rigorosamente può essere esclusa la penale responsabilità dei soggetti titolari o dei dirigenti generali di una grande impresa;

- Cassazione pen., sez. 3a, in sent. n. 8538 dei 14/,9/1993, secondo la quale in tema di tutela delle acque dall'inquinamento, la delega a terzi può escludere la responsabilità del titolare solo quando l'azienda ha notevoli dimensioni e si articola in varie branche, che rendano impossibile ad una sola persona il controllo dell'intera attività produttiva; in questi casi è necessario che al delegato sia attribuita completa autonomia decisionale e finanziaria per provvedere all'adeguamento delle situazioni produttive ai dettami normativi, in ogni caso il titolare delegante è responsabile qualora i fatti penalmente rilevanti dipendano dalla gestione centrale dell'azienda o quando, venuto a conoscenza di disfunzioni nei reparti affidati al delegati, non compia alcuna attività per adeguare gli impianti alle norme di legge (fattispecie relativa a rigetto di ricorso di imputati condannati per contravvenzioni in materia di discariche abusive e di inquinamento dei suolo con acque reflue della lavorazione di castagne);

- Cassazione pen., sez. 3a, in sent. n. 11660 dei 24/11/1994, secondo la quale in materia di tutela dell'ambiente dall’inquinamento, l'individuazione dei soggetti responsabili all'interno di una persona giuridica, sia essa privata o pubblica, non può essere effettuata in base al mero criterio oggettivo della rappresentanza legale o della titolarità formale, sia perchè di regola non trattasi di reati proprio

(potendo essere realizzata da "chiunque"), sia perchè non si può prescindere dalla organizzazione e distribuzione delle competenze all’interno della struttura in aderenza al principio della personalità della responsabilità penale, e in considerazione della rilevanza degli interessi pubblici coinvolti (fattispecie di reati in tema di rifiuti ospedalieri e dispersione di emissioni in atmosfera imputati a direttori sanitari di ospedale; la Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza di assoluzione del pretore il quale aveva ritenuto che l’obbligo di richiedere le autorizzazioni competeva agli organi amministrativi della u. s. l. e non ai direttori sanitari);

- Cassazione pen., sez. 3a, in sent. n. 12710 dei 21/12/1994, secondo la quale nelle fattispeci contravvenzionali la buona fede può acquistare giuridica rilevanza solo a condizione che si traduca in mancanza di coscienza dell’illiceità del fatto (commissivo od omissivo) e derivi da un elemento positivo, estraneo all'agente, consistente in una circostanza che induce alla convinzione della liceità dei comportamento tenuto; la prova della sussistenza di un elemento positivo di tal genere, però, deve essere data dall'imputato, il quale ha anche l'onere di dimostrare di avere compiuto tutto quanto poteva per osservare la norma violata (nella specie, relativa a rigetto di ricorso, la Cassazione ha ritenuto che tale onere probatorio non potesse ritenersi adempiuto attraverso la mera produzione in giudizio di una fattura rilasciata da un architetto, che il ricorrente assumeva di avere incaricato di provvedere alle pratiche amministrative necessarie per l’autorizzazione dell'impianto-forno per le carrozzerie di autoveicoli da lui esercitato, allorchè si consideri inoltre che il conferimento dell'incarico professionale, anche così configurato, non esonerava il ricorrente medesimo comunque dal vigilare affinchè l'incaricato espletasse puntualmente l'attività affidatagli);

- Cassazione pen., sez. 3a, in sent n. 378 del 30/3/1995, secondo la quale in materia di tutela della qualità dell'aria, il d. p. r. 24 maggio 1988, n. 203 prescrive per gli impianti esistenti un triplice obbligo: presentare tempestivamente la domanda di autorizzazione, osservare le prescrizioni dell'autorizzazione o quelle imposte dalla autorità competente, realizzare il progetto di adeguamento nei tempi e modi indicati nella domanda di autorizzazione; non può perciò, valere come domanda una istanza non sottoscritta o incompleta e generica, in quanto l'art. 12 dei predetto decreto prescrive che la domanda sia specifica e finalizzata ad un reale adeguamento ai valori delle emissioni consentiti e, perciò, esige che sia allegato il progetto di adeguamento (nella specie, relativa ad annullamento con rinvio di sentenza di non doversi procedere perchè il fatto non sussiste, trattavasi di una grande autocarrozzeria, il cui titolare non aveva presentato una regolare domanda e, soprattutto, non si era adeguato ai valori prescritti);

- Cassazione pen., sez. 3a, in sent. n. 4422 del 3/5/1996, secondo la quale in materia di tutela delle acque dall'inquinamento, se la norma penale prevede un reato che è proprio dei titolare dell'impresa (in qualunque modo egli sia indicato nella norma medesima), anche in caso di delega ad altri delle sue funzioni, il titolare non si spoglia delle responsabilità, poiché l’obbligo originario si trasforma in obbligo di garanzia, ed egli risponde a norma dell'art. 40 cod. pen. a meno che nessuna colpa gli sia addebitabile; se invece la norma penale pone il reato a carico di chiunque, trovandosi in una certa situazione, ometta il comportamento dovuto o compia l’azione vietata, l'obbligo di osservare il precetto penale incombe allora a chi esercita determinate funzioni e dunque al delegato; ne consegue che, nel caso di reato per il quale il conferimento di delega comporta che esso non sia attribuibile al titolare, quest'ultimo va esente da responsabilità a condizione che la delega sussista e che il delegato sia stato posto in condizione di osservare il precetto penale;

- Cassazione pen., sez. 3a, in sent. n. 1570 dei 6/5/1996, secondo la quale in materia di tutela delle acque dall’inquinamento non basta una delega formale ad escludere la responsabilità penale del direttore di un'impresa, anche di notevoli dimensioni, ove l’inquinamento sia conseguenza di cause strutturali dovute ad omissioni di scelte generali, e neppure basta una delega ad operatori di livello inferiore, se manchi il controllo sul concreto esercizio dei poteri delegati, sicché solo in casi eccezionali da provare rigorosamente può essere esclusa la penale responsabilità dei soggetti titolari o dei direttori generali di una grande impresa;

- Cassazione pen., sez. 3a, in sent. n. 5242 dei 27/5/1996, secondo la quale la "personalizzazione" della responsabilità, riconoscendo la legittimità della delega e l’autonomia dei poteri-doverí del delegato, è configurabile anche nella materia ambientale; i criteri per ritenere legittima ed applicabile la medesima vanno individuati sotto due profili: sotto l’aspetto oggettivo sono le dimensioni dell'impresa, che devono essere tali da giustificare la necessità di decentrare compiti e responsabilità, l'effettivo trasferimento dei poteri in capo al delegato con l’attribuzione di una completa autonomia decisionale e di gestione e con piena disponibilità economica, l'esistenza di precise ed ineludibili norme interne o disposizioni statutarie, che disciplinino il conferimento della delega ed adeguata pubblícità della medesima, uno specifico e puntuale contenuto della delega; sotto l'aspetto soggettivo vanno considerati: la capacità e l’doneità tecnica dei soggetto delegato, il divieto di ingerenza da parte del delegante nell’espletamento della attività del delegato, l'insussistenza di una richiesta da parte del delegato, la mancata conoscenza della negligenza o della sopravvenuta inidoneità del delegato;

- Cassazione pen., sez. 3a, in sent. n. 7300 del 20/7/1996, secondo la quale in materia di inquinamento atmosferico, la permanenza del reato di omessa presentazione della domanda di autorizzazione, di cui all'art. 25 d.p.r. 24 maggio 1988, n. 203 (equiparabile alla condotta di presentazione della domanda incompleta, ove priva delle obbligatorie ed essenziali indicazioni relative alla quantità ed alla qualità delle emissioni) radica la responsabilità di coloro i quali hanno proseguito nell'esercizio degli impianti sapendo e comunque dovendo sapere (e controllare) che la domanda di autorizzazione non era stata presentata, a suo tempo, con le prescritte modalità, dal precedente amministratore;

- Cassazione pen., sez 3a, in sent n. 775 dei 9/10/1996, secondo la quale in tema di tutela delle acque dall'inquinamento, al sindaco non è addebitabile alcun profilo di colpevolezza - nella specie quale responsabile dei macello comunale per l’avvenuto superamento di alcuni limiti di accettabilità qualora trovi giustificazione che egli non abbia curato di persona i doveri inerenti alla sua posizione di destinatario della norma penale e non abbia impedito il verificarsi dell'evento in ragione dell'ordinamento dell'ente di appartenenza e della disposta, rituale delega, nonché in relazione alla particolare natura tecnica delle funzioni delegate, estranee alla politica ambientale ed ai suoi compiti di "governo" dell'ente e qualora, in considerazione delle circostanze di fatto e della natura del precetto violato, il sindaco medesimo non sia nelle condizioni di rendersi conto preventivamente della inadempienza del delegato e quindi della necessità dei suo intervento al fine di garantire il rispetto della norma penale violata dallo stesso delegato (la Cassazione, nell'annullare senza rinvio la sentenza di condanna, ha osservato che il dirigente di un ufficio, delegato di specifiche incombenze ambientali proprie del legale rappresentante dell'ente, risponde penalmente per l’inosservanza degli obblighi rientranti nelle funzioni trasferibili, già di competenza del sindaco, su cui grava, a seguito ed in ragione della delega, un nuovo, specifico dovere di vigilanza e controllo dell'incaricato;

- Cassazione pen., sez. 6a, in sent. n. 9715 dei 29/10/1997, secondo la quale in materia di smaltimento di rifiuti, i compiti e le funzioni dell’amministratore di un'impresa, al fini dell'ottemperanza alle disposizioni di cui al d.p.r. 10 settembre 1982, n. 915, possono essere delegati solo in presenza di determinate condizioni, tra le quali vanno annoverate, in primo luogo, le dimensioni rilevanti dell'azienda; in tal caso, infatti, è ovvio che il soggetto non può eseguire contemporaneamente tutti i numerosi adempimenti ai quali dovrebbe sovrintendere, per la regola logica, ancor prima che giuridica, secondo cui "ad impossibilia nemo tenetur"; in tali ipotesi il rappresentante legale può dunque delegare ad altri in tutto o in parte le proprie mansioni, ma continua a persistere la sua responsabilità penale qualora egli sia consapevole delle inadempienze del delegato e non abbia comunque provveduto all'adempimento richiesto ovvero quando, pur potendo sottoporre a controllo l'operato del medesimo, lo abbia volontariamente omesso.

 

Fabio Colesanti