Cass. Sez. III n. 27111 del 4 luglio 2008 (Cc.. 22 mag. 2008)
Pres. Altieri Est. Lombardi Ric. Giangrande
Acque. Scarico senza autorizzazione

L\'esistenza di caditoie e di un sistema di canalizzazione delle acque reflue determina la configurabilità del reato di scarico senza autorizzazione, mentre non vale ad escluderlo il fatto che la immissione non sia effettuata in pubbliche fognature, ma nel suolo o nel sottosuolo. Nella nozione di acque reflue industriali rientrano tutte le acque derivanti dallo svolgimento di una qualsiasi attività commerciale o produttiva, quale, nel caso in esame, il lavaggio dei piazzali adibiti allo stoccaggio dei rifiuti o dei mezzi adoperati per il loro trasporto
Considerato in fatto e in diritto
Con la impugnata ordinanza il Tribunale di Palermo, in accoglimento dell’appello del P.M. avverso il provvedimento del G.I.P. del medesimo Tribunale in data 24.8.2007, ha disposto il sequestro preventivo di due aree, rispettivamente di mq 1.000 e mq. 350, nei confronti di Giangrande Lea in relazione ai reati di cui agli art. 256, comma primo lett. b), e 137 del D. Lgs. n. 152/2006.
L’ordinanza ha rilevato che secondo le risultanze delle indagini di polizia giudiziaria le due aree oggetto del provvedimento, ubicate nell’isola ecologica della soc. “Alto Belice Ambiente ATO Palermo 2” S.p.A., della quale è rappresentante legale la Giangrande, venivano utilizzate dalla predetta società per lo stoccaggio provvisorio di rifiuti solidi urbani sulla base di autorizzazioni rilasciate dal commissario straordinario per la emergenza rifiuti in Sicilia, la cui efficacia doveva ritenersi venuta meno a causa della cessazione dei poteri attribuiti alla predetta autorità; che inoltre la validità della nuova autorizzazione, ottenuta dalla società in data 1.10.2007 per la gestione dell’impianto, era subordinata alla prescrizione che lo stoccaggio dei rifiuti venisse effettuato (per tipologie omogenee) in settori coperti, o in scarrabili coperti e/o cassonetti coperti; inoltre che l’avvio dell’attività dell’impianto era subordinata al rilascio dell’autorizzazione allo scarico delle acque reflue; che secondo l’accertamento del NOE dei C.C. i rifiuti venivano stoccati in aree esterne prive di copertura e la società non era munita dell’autorizzazione allo scarico delle acque reflue; che, con riferimento alla necessità della predetta autorizzazione, le acque provenienti dall’impianto dovevano essere considerate acque reflue industriali, derivando anche dal lavaggio del piazzale, sul quale risultavano depositati rifiuti, nonché dei mezzi utilizzati dall’azienda per la raccolta dei rifiuti e delle attrezzature ivi esistenti, sicché doveva ritenersi del tutto insufficiente l’autorizzazione relativa allo scarico dei reflui provenienti dai locali adibiti ad uffici e servizi igienici.
L’ordinanza ha altresì ritenuto sussistenti le esigenze cautelari connesse all’esigenza di impedire la prosecuzione dell’attività effettuata in violazione delle disposizioni citate.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il difensore dell’indagata, che la denuncia per violazione ed errata applicazione degli art. 137 e 256, comma primo lett. b), del D. Lgs n. 152/06.
Si deduce che il sequestro dell’impianto si palesa del tutto ingiustificato per insussistenza di qualsiasi attività illecita, avendo ottenuto la società della quale è rappresentante l’indagata l’autorizzazione ex art. 210 del D. Lgs n. 152/06. Si contesta inoltre che le acque meteoriche o da dilavamento provenienti dalle aree sequestrate abbiano natura di reflui industriali e che, in ogni caso, possa essere ravvisata un’ipotesi di immissione delle stesse in pubbliche fognature, poiché le predette acque meteoriche confluiscono, peraltro in modo discontinuo ed occasionale, attraverso apposite caditoie metalliche eseguite nella pavimentazione dei piazzali, in canali naturali di scolo invernale.
Il ricorso non è fondato.
Preliminarmente la Corte osserva che non può essere presa in esame in sede di legittimità l’autorizzazione allo scarico delle acque reflue in impianto di disoleazione, rilasciata alla ricorrente in data 29.2.2008, poiché la legittimità della misura cautelare deve essere valutata in base alla situazione esistente al momento della sua adozione, mentre i fatti intervenuti successivamente devono essere sottoposti all’esame del giudice di merito, perché valuti il permanere delle esigenze cautelari alla luce della nuova situazione di fatto.
Tanto premesso, si osserva che il Tribunale della libertà ha puntualmente indicato gli elementi fattuali in base ai quali è stato ravvisato il fumus dei reati oggetto di indagine, consistenti nella inosservanza delle prescrizioni cui era subordinata l’autorizzazione alla gestione dell’impianto e, cioè, che lo stoccaggio dei rifiuti venisse effettuata (per tipologie omogenee) in settori coperti, o in scarrabili coperti e/o cassonetti coperti, nonché nell’omesso preventivo ottenimento da parte della Giangrande dell’autorizzazione allo scarico delle acque reflue.
In ordine a tale ultimo provvedimento autorizzatorio, la cui necessità peraltro è dimostrata dalla stessa autorizzazione ottenuta dall’indagata successivamente all’adozione della misura cautelare, è appena il caso di osservare che secondo il consolidato indirizzo interpretativo di questa Suprema Corte l’esistenza di caditoie e di un sistema di canalizzazione delle acque reflue determina la configurabilità del reato, mentre non vale ad escluderlo il fatto che la immissione non sia effettuata in pubbliche fognature, ma nel suolo o nel sottosuolo (cifr. sez. III, 23.3.2004 n. 13967, Scartabello, RV 228449).
Inoltre nella nozione di acque reflue industriali rientrano tutte le acque derivanti dallo svolgimento di una qualsiasi attività commerciale o produttiva, quale, nel caso in esame, il lavaggio dei piazzali adibiti allo stoccaggio dei rifiuti o dei mezzi adoperati per il loro trasporto (cfr. sez. III, 200435870, Arcidiacono, RV 229012; sez. III, 200324322, Terranova, RV 225313).
Nel resto le censure della ricorrente sono di natura sostanzialmente fattuale ovvero inconferenti, in quanto non correlate alla natura della contestazione, che riguarda l’inosservanza delle prescrizioni dell’autorizzazione, emerse dalle indagini di polizia giudiziaria, circa la necessità che lo stoccaggio dei rifiuti venisse effettuato in aree coperte, o non tengono conto della natura industriale delle acque reflue per le quali è stata contestata la carenza di autorizzazione.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. al rigetto dell’impugnazione segue a carico della ricorrente l’onere del pagamento delle spese processuali.