Cass. Sez. III n. 36741 del 8 ottobre 2021 (CC 6 lug 2021)
Pres. Di Nicola Est. Zunica Ric. Piazza
Ambiente in genere.Occupazione abusiva di beni del demanio marittimo

In tema di occupazione abusiva di beni del demanio marittimo, va disapplicata la normativa di cui all’art. 24, comma 3-septies, d.l. 24 giugno 2016, n. 113, conv. in l. 7 agosto 2016, n. 160, in quanto la stessa, stabilizzando gli effetti della proroga automatica delle concessioni demaniali marittime prevista dall’art. 1, comma 18, d.l. 30 dicembre 2009, n. 194, conv. in legge 26 febbraio 2010, n. 25, contrasta con l’art. 12, par. 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE del 12 dicembre 2006 (c.d. direttiva Bolkestein) e, comunque, con l’articolo 49 TFUE). Ai fini dell’integrazione del reato previsto dall’art. 1161 cod. nav., la proroga legale dei termini di durata delle concessioni demaniali marittime presuppone la titolarità di una concessione demaniale valida ed efficace e presuppone altresì un’espressa richiesta da parte del soggetto interessato al fine di consentire la verifica, da parte dell’Autorità competente, dei requisiti richiesti per il rilascio del rinnovo.

RITENUTO IN FATTO

          1. Con ordinanza del 15 febbraio 2021, il Tribunale del riesame di Roma confermava il decreto del 13 ottobre 2020, eseguito il 1° dicembre 2020, con cui il G.I.P. del Tribunale di Roma aveva disposto il sequestro preventivo di una porzione di area demaniale marittima, ubicata all’interno del complesso residenziale denominato “Maresole” sito sul lungomare di Ostia, su cui insiste un corpo di fabbrica con relative pertinenze in uso a Rita Piazza, indagata del reato di cui all’art. 1161 del Codice della Navigazione, a lei contestato per avere detenuto il lotto in questione sulla base di una concessione demaniale marittima scaduta da anni e non rinnovata.
            2. Avverso l’ordinanza del Tribunale romano, la Piazza, tramite i suoi difensori di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando due motivi.
           Con il primo, il ricorrente eccepisce la violazione degli art. 1161 cod. nav., 43 e 47 comma 3 cod. pen., contestando preliminarmente l’affermazione iniziale dell’ordinanza impugnata circa l’inammissibilità dell’istanza di riesame, in base al presupposto secondo cui l’indagata non avrebbe interesse alla restituzione del bene, essendo pendente la richiesta di rinnovo della concessione. Si osserva in proposito che la mancanza del titolo concessorio in capo alla ricorrente rappresenta il presupposto della contestazione e non esclude affatto l’interesse della Piazza, quale indagata, di richiedere un vaglio giurisdizionale in merito alla sua posizione e alla ipotetica restituzione del bene a lei sequestrato; tanto premesso, la difesa evidenzia che, contrariamente a quanto sostenuto dai giudici cautelari, non integra l’abusiva occupazione dello spazio demaniale marittimo la prosecuzione dell’occupazione dopo la scadenza del provvedimento concessorio di cui sia stata richiesto tempestivamente il rinnovo, fermo restando che, nel caso di specie, la concessione non è mai stata oggetto di revoca o di diniego, ravvisandosi, a fronte delle richieste di rinnovo proposto con corresponsione dei relativi canoni concessori autodeterminati e delle varie interlocuzioni intercorse negli anni con gli organi preposti, solo l’inerzia decisoria della P.A., che peraltro non ha mai rivendicato il bene, per cui l’indagata ha agito con atteggiamento di buona fede, commettendo un errore scaturito dall’interpretazione della legge extra-penale, idoneo a escludere il dolo.
Peraltro il Tribunale, investito di analogo gravame proposto da altra indagata, Maria Grazia Ciarletta, fruitrice di un cottage ubicato nel medesimo complesso residenziale, ha già disposto il dissequestro dell’immobile in sequestro, valorizzando le argomentazioni difensive volte a rimarcare la continuativa interlocuzione con le Autorità amministrative, finalizzata al rinnovo o alla proroga della concessione nonché la carenza dell’elemento soggettivo richiesto, che, stante la presenza dell’avverbio “arbitrariamente”, presuppone la precisa consapevolezza, insussistente nel caso di specie, di agire in violazione delle disposizioni amministrative che regolano la materia delle concessioni.
Il Tribunale avrebbe dunque omesso di confrontarsi con i puntuali rilievi difensivi esposti nella memoria prodotta nell’udienza camerale, venendo fuorviato dalle sommarie informazioni dell’arch. Cinzia Esposito, direttrice del PAU di Roma Capitale, senza considerare che, sino al 27 febbraio 2020, data di approvazione della legge regionale n. 1 che ha introdotto nuove competenze amministrative in materia, il Comune di Roma non avrebbe potuto avviare alcun procedimento nei confronti del complesso “Maresole”, in quanto privo di finalità turistico-ricreative.
           Con il secondo motivo, la ricorrente deduce il difetto di motivazione del provvedimento impugnato, non avendo il Tribunale attribuito alcun rilievo alla circostanza, ampiamente documentata, della costante interlocuzione tra le Autorità amministrative e l’indagata, volta a ottenere la concessione demaniale.
Non si è dunque considerato che il legittimo affidamento del privato sull’operato della P.A., le costanti interlocuzioni avvenute, i pregressi provvedimenti concessori e l’imposizione delle tasse comunali hanno inciso in maniera dirimente sull’esistenza del fumus commisi delicti, escludendone la configurabilità, tanto più che alcun procedimento penale a carico dei titolari di concessione associati al complesso in questione, solo astrattamente riconducibile alla categoria degli stabilimenti balneari, è stato mai definito con una pronuncia di condanna, essendo sempre intervenute archiviazioni o sentenze assolutorie nel merito.
        Con memoria pervenuta il 15 giugno 2021, i difensori della ricorrente hanno proposto un motivo nuovo, con cui hanno contestato nuovamente il giudizio sul fumus del reato contestato, rilevando che la concessione rilasciata alla società Maresole rientra tra quelle di cui all’art. 1 comma 1 lettera F del d.l. n. 400 del 1993, trattandosi di struttura balneare realizzata a scopo abitativo-residenziale, tanto è vero che la P.A. ha ritenuto nel corso degli anni che i cottages del complesso “Maresole” rientrassero tra i beni demaniali marittimi destinati all’uso di residenza estiva, per cui rispetto all’immobile in uso alla ricorrente, doveva essere riconosciuto il rinnovo automatico delle concessioni, e quindi la proroga ex lege, sino al 2033, ai sensi dell’art. 10 della legge n. 88 del 2001 e dell’art. 13 della legge n. 172 del 2003, senza che fosse necessaria una nuova manifestazione della volontà delle parti o un’iniziativa apposita della P.A.
Il Tribunale del riesame avrebbe inoltre omesso di considerare che, laddove la concessione demaniale riguardante il cottage in sequestro rientrasse nel novero delle concessioni non inerenti il settore turistico-ricreativo, ma nel residenziale puro e semplice, l’ente comunale non avrebbe alcuna competenza, atteso che, prima dell’entrata in vigore della legge regionale n. 1 del 2020, al Comune di Roma non spettava alcuna competenza in merito alle questioni amministrative relative al rilascio, al rinnovo, alla proroga o alla revoca delle concessioni demaniali marittime aventi finalità diverse da quelle turistico-ricreative.

CONSIDERATO IN DIRITTO

       Il ricorso è infondato.
       1. Iniziando dal primo motivo, occorre innanzitutto premettere che non è condivisibile l’affermazione, contenuta nella parte iniziale dell’ordinanza impugnata, secondo cui la richiesta di riesame proposta dalla Piazza sarebbe inammissibile per mancanza in capo alla ricorrente di un titolo giuridico che possa consentirle di ottenere la restituzione del bene sequestrato.
E invero l’interesse a impugnare va valutato e ritenuto sussistente allorché il gravame sia in concreto idoneo a determinare, con l’eliminazione del provvedimento impugnato, una situazione pratica più favorevole per l’impugnante, dovendo farsi riferimento alla prospettazione rappresentata nel mezzo di impugnazione e non alla effettiva fondatezza della pretesa azionata (Sez. Un., n. 28911 del 28/03/2019, ric. Massaria, Rv. 275953-02).
Essendo tuttora pendente, secondo la prospettazione della ricorrente, il procedimento volto ad ottenere il rinnovo/proroga della concessione demaniale, ovvero essendone addirittura intervenuto il rinnovo ex lege sino al 2033, come argomentato nei motivi aggiunti, sussiste l’interesse della ricorrente (da tempo nel pacifico possesso del bene) alla proposizione dell’istanza di riesame.
Tanto premesso, si deve rimarcare tuttavia la genericità della doglianza circa il rilievo dell’inammissibilità dell’istanza di riesame, posto che tale istanza, come la stessa ricorrente riconosce, è stata comunque decisa nel merito dal Tribunale, che l’ha respinta, per cui trova applicazione il principio secondo cui è affetto da difetto di specificità, con violazione dell’art. 581 cod. proc. pen., il ricorso per cassazione che critichi una sola delle rationes decidendi poste a fondamento della decisione, ove siano entrambe autonome ed autosufficienti (Sez. 3, n. 2754 del 06/12/2017, dep. 2018, Rv. 272448; Sez. 3, n. 30021 del 14/07/2011, Rv. 250972); sotto altro angolo visuale, ricorre negli stessi casi il difetto di concreto interesse a impugnare, in quanto l’eventuale apprezzamento favorevole della doglianza non condurrebbe comunque all’accoglimento del ricorso (cfr. in termini Sez. 6, n. 7200 del 08/02/2013, Rv. 254506).
2. Nel resto, il primo motivo è invece infondato.
Deve essere in primo luogo affrontato il tema del rinnovo ex lege delle concessioni demaniali a uso turistico-ricettivo sollevato con la memoria contenente motivi aggiunti, doglianza che, ove fondata, escluderebbe in radice l’abusiva occupazione del bene demaniale.
Premesso che la questione non risulta essere stata specificamente dedotta con la richiesta di riesame, ritiene il Collegio di doverla comunque esaminare poiché l’ordinanza impugnata espressamente esclude l’applicabilità della disciplina sul rinnovo automatico (o proroghe legali) delle concessioni demaniali ad uso turistico-ricreativo, sul rilievo che nella specie si tratta di concessione per uso residenziale privato, sicché la censura di violazione di legge è ammissibile.
La stessa, tuttavia, non è fondata.
          2.1. Va in primo luogo osservato che, trattandosi di valutazione in fatto, l’affermazione circa la tipologia della concessione demaniale non può essere sindacata in sede di legittimità, né se ne può in questa sede approfondire la logicità, posto che il ricorso per cassazione proposto contro provvedimenti adottati in sede di impugnazione in materia di sequestri è consentito – a norma dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen. - soltanto per violazione di legge e, quanto alla giustificazione della decisione, costituisce violazione di legge deducibile mediante ricorso per cassazione soltanto l’inesistenza o la mera apparenza della motivazione, ma non anche la sua illogicità manifesta, ai sensi dell’art. 606, comma primo, lettera E), cod. proc. pen. (cfr. Sez. 2, n. 5807 del 18/01/2017, Rv. 269119; Sez. 5, n. 35532 del 25/06/2010, Rv. 248129).
La motivazione può essere definita soltanto apparente, ciò che integra gli estremi della violazione di legge di cui all’art. 125, comma 3, cod. proc. pen. deducibile anche nel ricorso per cassazione avverso provvedimenti cautelari reali, quando sia fondata su argomentazioni che non risultano ancorate alle peculiarità del caso concreto (Sez. 4, n. 43480 del 30/09/2014, Rv. 260314), o quando si tratti di un vizio tanto radicale da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza che consentano di rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (cfr. Sez. Un., n. 25932 del 29/05/2008, Rv. 239692; Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Rv. 269656; Sez. 3, n. 4919 del 14/07/2016, Rv. 269296; Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, Rv. 254893).
Nel caso di specie, considerato anche che la questione non risulta essere stata specificamente devoluta e argomentata nei motivi di riesame, non può tuttavia parlarsi di motivazione apparente, essendo chiaro che il Tribunale ha appunto escluso l’applicabilità della disciplina qui invocata in base al rilievo che la concessione aveva ad oggetto, come pure in ricorso si riconosce, una porzione di bene demaniale destinata ad uso privato e residenziale (sia pure turistico).
2.2. In secondo luogo, occorre rilevare che la disciplina in questione, come reso evidente dall’art. 1 del d.l. n. 400 del 1993, (quale inserito dalla legge di conversione, e poi abrogato, e a cui hanno fatto riferimento le discipline normative succedutesi in tema di proroga automatica), si riferisce esclusivamente a concessioni finalizzate all’esercizio di attività imprenditoriali.
 La suddetta previsione, difatti, al primo comma stabilisce che “la concessione  dei  beni  demaniali  marittimi  può essere rilasciata, oltre che per servizi pubblici  e  per  servizi e attività portuali e produttive, per l’esercizio delle seguenti attività: a) gestione di stabilimenti balneari; b) esercizi di ristorazione e  somministrazione  di  bevande,  cibi precotti e generi di monopolio;  c) noleggio di imbarcazioni e natanti in genere;  d) gestione  di  strutture  ricettive  e attività  ricreative e sportive; e) esercizi commerciali; f) servizi di altra natura e  conduzione di strutture ad uso abitativo, compatibilmente con le esigenze di  utilizzazione di cui alle precedenti categorie di utilizzazione”.
Anche la previsione contenuta in quest’ultima lettera, invocata dalla ricorrente, va dunque intesa come riferita alla conduzione imprenditoriale di strutture ad uso abitativo insistenti sul demanio marittimo, ciò che trova conferma nel fatto che la disciplina domestica sulle proroghe automatiche delle concessioni demaniali marittime ha interferito, determinando una querelle giurisprudenziale in sede interna e sovranazionale, con il principio di libertà di concorrenza e di stabilimento stabilito dalla disciplina di matrice eurounitaria, in particolare con la dir. 2006/123/CE del 12 dicembre 2006 (c.d. direttiva Bolkestein) e con l'articolo 49 TFUE (cfr. Sez. 3, n. 21281 del 16/03/2018, Rv. 273222, pronuncia questa con cui è stato affermato che, in tema di occupazione abusiva di beni del demanio marittimo, va disapplicata la normativa di cui all’art. 24, comma 3-septies, d.l. 24 giugno 2016, n. 113, conv. in l. 7 agosto 2016, n. 160, in quanto la stessa, stabilizzando gli effetti della proroga automatica delle concessioni demaniali marittime prevista dall’art. 1, comma 18, d.l. 30 dicembre 2009, n. 194, conv. in legge 26 febbraio 2010, n. 25, contrasta con l’art. 12, par. 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE del 12 dicembre 2006 (c.d. direttiva Bolkestein) e, comunque, con l’articolo 49 TFUE).
2.3. Va peraltro aggiunto che, come questa Corte già avuto modo di precisare proprio ai fini dell’integrazione del reato previsto dall’art. 1161 cod. nav., la proroga legale dei termini di durata delle concessioni demaniali marittime presuppone la titolarità di una concessione demaniale valida ed efficace (cfr. Sez. 3, n. 32966 del 02/05/2013, Rv. 256411 e Sez. 3, n. 29763 del 26/03/2014, Rv. 260108) e presuppone altresì un’espressa richiesta da parte del soggetto interessato al fine di consentire la verifica, da parte dell’Autorità competente, dei requisiti richiesti per il rilascio del rinnovo (Sez. 3, n. 33170 del 09/04/2013, Rv. 257261); ora, non può sottacersi che non solo la ricorrente non argomenta la sussistenza di tali presupposti, donde la genericità, sul punto, della doglianza, ma, non avendo devoluto la questione davanti al giudice del merito cautelare al fine di consentire i necessari accertamenti in fatto, non può pretendere che in questa sede si ritenga fondata la prospettazione dell’avvenuto rinnovo ex lege per escludere in radice il fumus del reato ipotizzato.
3. Ciò premesso, non potendosi ritenere applicabile quella disciplina, è un fatto, non contestato neppure nell’originario ricorso, che l’occupazione del bene demaniale da parte dell’odierna ricorrente sia avvenuta sine titulo, per moltissimi anni, a seguito della scadenza dell’originario titolo concessorio.
Sul piano oggettivo, dunque, non v’è dubbio sulla sussistenza del fumus del reato di cui all’art. 1161 cod. nav.
3.1. Con riguardo, poi, al requisito della arbitrarietà che deve connotare la condotta illecita, è ben vero che occorre la precisa consapevolezza di occupare abusivamente uno spazio demaniale (cfr. Sez. 3, n. 37165 del 06/05/2014, Rv. 260179), ma l’ordinanza impugnata fornisce dell’avverbio “arbitrariamente” un’interpretazione conforme a quella della giurisprudenza maggioritaria, del tutto condivisibile: l’occupazione dello spazio demaniale marittimo è dunque “arbitraria” e integra il reato di cui all'art. 1161 cod. nav. se non legittimata da un valido ed efficace titolo concessorio, rilasciato in precedenza e non surrogabile da altri atti, ovvero allorquando sia scaduto o inefficace il provvedimento abilitativo (cfr. Sez. 3, n. 50145 del 10/05/2018, Rv. 274520).
L’occupazione dello spazio demaniale marittimo può essere quindi definita arbitraria, ai sensi degli art. 54 e 1161 cod. nav., sia quando non è legittimata da un titolo concessorio valido ed efficace, sia quando la concessione sia stata in precedenza rilasciata a un soggetto diverso da quello intenzionato a utilizzare il bene pubblico (Sez. 3, n. 4763 del 24/11/2017, dep. 2018, Rv. 272031 e Sez. 3, n. 40029 del 23/09/2008, Rv. 241294). Né rileva, al fine di escludere il requisito dell’arbitrarietà, l’eventuale acquiescenza degli organi preposti e il conseguente consenso dell’avente diritto, configurandosi anche in tale ipotesi il reato di cui all’art. 1161 cod. nav. (Sez. 3, n. 3672 del 30/11/2005, dep. 2006, Rv. 233288).
E ciò senza considerare che, come precisato nell’ordinanza impugnata, appare inverosimile che una persona che paga un canone per l’occupazione abusiva di un immobile demaniale (contestando i canoni solo in ordine all’ammontare o ai criteri di quantificazione) possa essere convinto della legittimità dell’occupazione.
Non giova alla ricorrente neppure l’invocato orientamento, peraltro spiegabile alla luce della specificità del caso sub iudice, nel senso che l’occupazione si era protratta per un breve lasso di tempo, in attesa della decisione sul richiesto rinnovo, secondo cui, stante la necessaria connotazione arbitraria della condotta, non commette il reato chi prosegua nell'occupazione del demanio marittimo dopo la scadenza del provvedimento concessorio di cui abbia chiesto tempestivamente il rinnovo (cfr. Sez. 3, n. 29915 del 13/07/2011, Rv. 250666).
Nel caso di specie, infatti, l’occupazione sine titulo si è protratta per circa vent’anni, per cui non sussiste un reale contrasto di giurisprudenza sul punto che consenta di accogliere la subordinata richiesta della ricorrente di rimettere la decisione del ricorso alle Sezioni Unite.
3.2. In ogni caso, l’ordinanza impugnata argomenta in maniera non illogica le ragioni per cui l’elemento soggettivo non può dirsi ictu oculi insussistente e la decisione si sottrae a censure in questa sede.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, infatti, in sede di riesame dei provvedimenti che dispongono misure cautelari reali, al giudice è demandata una valutazione sommaria in ordine al “fumus” del reato ipotizzato relativamente a tutti gli elementi della fattispecie contestata, sicché lo stesso giudice può rilevare anche il difetto dell'elemento soggettivo del reato, ma a condizione che esso emerga “ictu oculi” (Sez. 3, n. 26007 del 05/04/2019, Rv. 276015; Sez.  2, n. 18331 del 22/04/2016, Rv. 266896 e Sez.  4, n. 23944 del 21/05/2008, Rv. 240521), ciò che, nella specie, l’ordinanza ha con effettiva motivazione escluso, anche in relazione al requisito di antigiuridicità speciale.
4. Quanto al secondo motivo di ricorso, con il medesimo si contesta il vizio di motivazione dell’ordinanza, sicché, in forza dei principi in precedenza richiamati (§ 2.1.), non potendosi parlare di assenza o apparenza della motivazione, la doglianza non è proponibile in sede di impugnazione dei provvedimenti cautelari reali. Tantomeno può addebitarsi al giudice penale del merito cautelare di non essersi fatto carico di scrutinare le eventuali responsabilità delle amministrazioni che avrebbero illegittimamente omesso di accogliere le richieste di rinnovo della concessione demaniale, né può dirsi – come si afferma invece in ricorso – che con il sequestro si sarebbe di fatto anticipata la soluzione dell’iter pendente, il quale seguirà il suo corso, potendo la ricorrente far valere in tale sede le proprie pretese di carattere amministrativo.
Invero, ciò che in questa sede va considerato, ai sensi dell’art. 321, comma 1, cod. proc. pen., è unicamente la necessità di interrompere la protrazione della condotta illecita di occupazione abusiva di bene demaniale, il cui fumus l’ordinanza impugnata ha adeguatamente argomentato.
Né ovviamente rilevano – come correttamente nota il provvedimento – l’allegato degrado di un’attigua area su cui è stato mantenuto per lungo tempo analogo sequestro preventivo, ovvero il favorevole esito del procedimento cautelare avviato nei confronti di altra persona occupante diversa porzione del complesso “Maresole,” essendosi in tal caso escluso, con valutazione necessariamente “individualizzata”, il fumus del reato sul piano dell’elemento soggettivo.
Peraltro, il Tribunale ha correttamente precisato che il sequestro preventivo è stato disposto in funzione della sola occupazione abusiva, per cui, in assenza di contestazioni sui reati urbanistici o ambientali, non rileva, anche nell’ottica della valutazione del periculum in mora, né l’esistenza di interventi edilizi abusivi, né la loro ultimazione, né la possibilità che ve ne possano essere di ulteriori.
Né l’eventualità, tutt’altro che scontata, di un rinnovo della concessione o del rilascio di una nuova concessione esclude l’antigiuridicità della situazione in atto.
5. Alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso proposto nell’interesse della Piazza deve essere pertanto rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, ex art. 616 cod. proc. pen.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 06/07/2021