Cass. Sez. III sent. 1894 del 23 gennaio 2007 (cc. 14 dicembre 2006)
Pres. Grassi Est. Fiale Ric. Bruno
Urbanistica. Legittimità titolo abilitativo (poteri del giudice penale e giudiacato aministrativo).

Il giudice penale, ne1 valutare la sussistenza o meno della liceità di un intervento edilizio, deve verificarne fa conformità a tutti i parametri di legalità fissati dalla legge, dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dal titolo abilitativo edificatorio. Il reato di esecuzione di lavori edilizi in assenza di permesso di costruire può pertanto ravvisarsi anche in presenza di un titolo edilizio illegittimo slavo che provvedimenti giurisdizionali del giudice amministrativo passati in giudicato abbiano espressamente affermato la legittimità della concessione o della autorizzazione edilizia ed il conseguente diritto del cittadino alla realizzazione dell'opera

 Udienza in Camera di consiglio del 14.12.2006
SENTENZA N. 1324
REG. GENERALE n. 39113/06


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE III PENALE


Composta dagli III. mi Signori


Omissis

 

ha pronunciato la seguente


SENTENZA

 

sul ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica preso il Tribunale di Cosenza

 

avverso l'ordinanza 19-9-2006, pronunciata dal Tribunale per il riesame di Cosenza nei confronti di :

 

1 - BRUNO Vittorio, n. a Cosenza il 19-11-1969

 

2 - BRUNO Paolo, n. a Mottafollone il 26-3-1935

 

3 - PIRAGINE Anna Maria Carmela, n. ad Altomonte il 22-8-1945

 

Sentita la relazione fatta dal Consigliere dr.. Aldo Fiale

 

udito il Pubblico Ministero nella persona del dr. Francesco SALZANO che ha concluso per l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata.

 

Udito il difensore, avv.to. Pierfrancesco BRUNO, anche per delega degli avv.ti. Michele DONADIO e Saverio Rocco CETRARO, il quale ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità avverso il rigetto del ricorso del P.M.

 

FATTO E DIRITTO


Il Tribunale di Cosenza, con ordinanza del 19.9.2006, accoglieva l'istanza di riesame proposta nell'interesse di Bruno Vittorio, Piragene Anna Maria Carmela (proprietari della superficie fondiaria oggetto di edificazione) e Bruno Paolo (legale rappresentante della s.r.l. "MIVI", esecutrice materiale delle opere edilizie) avverso il decreto 14.7.2006 con il quale il G.I.P. del Tribunale di Castrovillari aveva disposto il sequestro preventivo di un corpo di fabbrica a cinque livelli fuori terra, da adibire a parcheggio, in corso di completamento su un'area sita in prossimità della cinta muraria del castello di Altomonte in relazione ad una serie di ipotizzati reati di edificazione abusiva (art. 44 del T.U. a 380/2001).


Il Tribunale - nel disporre "la restituzione del manufatto in sequestro agli aventi diritto" - rilevava che, quanto all'attività costruttiva in oggetto:


a) erano stati rilasciati dall'Amministrazione comunale di Altomonte:


- concessione edilizia a 25/2002,

- permesso di costruire n. 8/2003,

- permesso di costruire in variante n. 28/2005 (rilasciato da commissario ad acta];


b) i titoli abilitativi n. 25/2002 e n. 8/2003 erano stati poi annullati in via di autotutela dal responsabile dell'ufficio tecnico comunale, con ordinanza n. 42/2004, ma il giudice amministrativo aveva annullato detto provvedimento ablatorio;


c) gli organi di giustizia amministrativa avevano "costantemente concluso nel senso della legittimità dell'intervento edificatorio in contestazione", sicché "i titoli edilizi originariamente emessi ed il successivo permesso relativo al progetto di variante, in forza dei quali i ricorrenti hanno dato inizio all'esecuzione dei lavori di costruzione del parcheggio appaiono atti legittimi".


Avverso l'anzidetta ordinanza ha proposto ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Cosenza, il quale ha rilevato - sotto il profilo della violazione di legge - che:


a) secondo la giurisprudenza di legittimità, deve escludersi "che una qualsiasi pronuncia del giudice amministrativo, coinvolgente l'atto amministrativo costituente elemento di fattispecie penalmente rilevante, possa inibire al giudice ordinario la valutazione dei profili di illegittimità dello stesso".


Nella specie, le pronunzie del giudice amministrativo ritenute risolutive dal Tribunale si riferiscono a vizi attinenti alla motivazione dei provvedimenti presi in esame o afferiscono a difetti di procedura, sicché non potrebbe ritenersi preclusa al giudice ordinario la delibazione riguardante elementi diversi da quelli sui quali si è formato il giudicato amministrativo;


b) la vicenda in esame sarebbe caratterizzata dai seguenti profili di illegittimità sui quali il Tribunale ha omesso qualsiasi valutazione:


- il fabbricato é ubicato a distanza mediamente pari a mt. 3,40 dalle mura di cinta del castello di Altomonte, oggetto di tutela speciale in forza del D.M 9.5.1994. Una tale distanza si porrebbe in contrasto con la misura minima di salvaguardia (10 metri) prescritta dalla legge 12.4.1990, n. 23 della Regione Calabria, che vieta inoltre interventi edilizi ex novo del tipo di quello assentito;


- lo stesso fabbricato, di ben cinque piani fuori terra in cemento armato, da adibirsi a parcheggio, é ubicato in una zona urbanistica ove un intervento siffatto non sarebbe consentito, poiché le norme tecniche di attuazione del programma di fabbricazione del Comune di Altomonte la destinano a "verde privato", consentendovi esclusivamente la posa in opera di attrezzature per il gioco e lo sport, di percorsi per la ginnastica psicomotoria all'aperto, la costruzione, previa indagine geologica specifica di piscine di piccole e medie dimensioni, anche ad uso promiscuo, privato e pubblico, e la messa in opera di piccole casette in legno prefabbricate, ad un solo livello, a servizio delle eventuali attività ricreative;

c) il manufatto, pur nella sua destinazione a parcheggio, si porrebbe in violazione dell'art. 9 della legge 24.3.1989. n 122 (c.d. legge Tognoli);


d) l'edificazione sarebbe stata attuata in violazione delle distanze, prescritte dai titoli abilitativi, rispetto alla confinante proprietà di tale Giulio Sciarra;


e) l'accertamento effettuato dal Tribunale si sarebbe dovuto limitare al controllo di compatibilità tra la fattispecie concreta e quelle legali ipotizzate, sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, non censurabili in punto di fatto. Il giudice del riesame, invece, avrebbe illegittimamente esteso la propria cognizione agli aspetti fattuali della vicenda:


f) il Tribunale avrebbe violato, infine, gli artt. 324, comma 7, e 309, comma 9, c.p.p., disponendo la restituzione del manufatto senza previamente annullare il decreto di sequestro preventivo.


****************


1. Quanto ai profili di ammissibilità del ricorso, deve preliminarmente rilevarsi che, per giurisprudenza costante di questa Corte Suprema, in materia di misure cautelari reali, legittimato a ricorrere contro i provvedimenti del tribunale del riesame, ai sensi dell'art. 325 c.p.p., è solo il pubblico ministero presso detto tribunale e non anche quello che aveva richiesto l'applicazione della misura.


Questa III Sezione - con sentenza n. 13969 del 23.3.2004 - ha affermato che è inammissibile il ricorso proposto da un pubblico ministero incompetente che porti la firma di adesione del competente organo dell'accusa, poiché un gravame originariamente inammissibile non é idoneo a produrre l'impulso necessario per originare il giudizio di impugnazione.


Nella fattispecie in esame, però, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Castrovillari ha redatto il ricorso e si è limitato a trasmetterlo esclusivamente ai Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Cosenza, il quale - dopo averlo sottoscritto - ha provveduto ritualmente a presentarlo, depositandolo nei modi di legge.


Non è configurabile, pertanto, un ricorso '`per relationem" nè alcuna "inammissibilità originaria", perché, indipendentemente dalla persona fisica che ha materialmente redatto l'atto di gravame, questo è stato depositato come "atto proprio" dal pubblico ministero competente.

 

Debbono ritenersi casi rispettati i requisiti di forma e di sostanza previsti per tale impugnazione.


2. Tanto premesso sotto l'aspetto procedurale, il ricorso risulta fondato nel merito e merita accoglimento nei limiti e con le specificazioni di seguito enunciati.


3. La vicenda in esame è caratterizzata dalle seguenti scansioni fattuali e procedimentali;

* Il Comune di Altomonte rilasciava a Piragine Anna Maria Carmela:


- in data 29.7.2002, la concessione edilizia n. 25/2002 per l'esecuzione di lavori "di restauro, consolidamento e ristrutturazione funzionale" del castello dei Conti di Altomonte (già destinato anche a struttura alberghiera e di ristorazione), che prevedevano l'aggiunta di nuove camere e la realizzazione di un'area da destinare a parcheggio;


- in data 1.10.2003, il permesso di costruire n. 8/2003 per l'esecuzione di lavori di costruzione di un parcheggio multipiano con struttura in cemento armato.


* Iniziati i lavori per la realizzazione del parcheggio, la Soprintendenza per i beni architettonici ed ambientali per la Calabria, sul rilievo che l'area interessata era da sottoporre ad estensione del vincolo gravante sul complesso monumentale del castello, sollecitava una revisione del progetto del parcheggio e disponeva la sospensione dei lavori.


La Piragine, uniformandosi a tale sollecitazione, redigeva un progetto di variante (che prevedeva una diversa pianta dell'edificio, una maggiore altezza ed una superficie ridotta), in relazione al quale la Soprintendenza rilasciava il nulla-osta, con provvedimento del 14.4.2004, indicando talune prescrizioni relative all'uso dei materiali ed alle tecniche costruttive da seguire nell'esecuzione dell'opera

* Il responsabile dell'ufficio tecnico comunale, invece:


- con ordinanza del 17.6.2004, rigettava la medesima istanza di variante;


- con ordinanza n. 42 del 27.7.2004, nell'esercizio dei poteri di autotutela, annullava i due titoli abilitativi edilizi dianzi citati ed ordinava la demolizione delle opere fino a quel momento eseguite.


* Il TAR Calabria - Catanzaro.


- con ordinanze nn. 558 e 564 del 7.10.2004 (confermate dal Consiglio di Stato, con ordinanza del 22.2.2005), disponeva rispettivamente, in via cautelare, la sospensione dell'esecuzione: a) del provvedimento di annullamento della concessione edilizia n. 25/2002; b) nonché del provvedimento di diniego dell'approvazione del progetto di variante per la realizzazione del parcheggio, dichiarando l'obbligo del Comune di riesaminare la relativa istanza della Piragine.


* Lo stesso TAR Calabria quindi, in sede di merito e facendo seguito alle anzidette sospensioni cautelari, con sentenza n. 499 del 10.3.2006, Annullava:

 
- il provvedimento comunale di annullamento in autotutela, rilevando che l'Amministrazione non aveva compiutamente ed adeguatamente motivato tale decisione, limitandosi ad invocare un generico e non sufficiente interesse al ripristino della legalità;

 

- il diniego di approvazione del progetto di variante, rilevando che esso si basava su asserite illegittimità dei titoli edilizi originari che non era possibile valutare in sede di delibazione sulla variante.


* Essendo tuttavia rimasta inerte l'Amministrazione comunale sulla richiesta di variante pure dopo il provvedimento di sospensiva del diniego, il TAR (con ordinanza del 25.7.2005) procedeva alta nomina di un commissario ad acta (poi designato dal Prefetto di Cosenza nella persona del vice prefetto aggiunto dr.ssa Anna Aurora Colosimo), la quale - previa acquisizione di un parere di un docente universitario di scienze delle costruzioni - approvava il progetto di variante, rilasciando il permesso di costruire n. 28 del 16.11.2005.


* Il TAR Calabria, con sentenza n.500 del 10.3.2006. respingeva il ricorso proposto dal Comune avverso detto provvedimento commissariale.


4. II TAR Calabria - Catanzaro:


a) Con l'anzidetta ordinanza cautelare a 558 del 7.10.2004, ha disposto la sospensione del provvedimento (n. 42/2004) di annullamento parziale della concessione edilizia n. 25/2002, rilevando che il Comune non aveva ottemperato all'onere "di offrire congrua motivazione a sostegno della misura di autotutela adottata, con particolare riguardo alla sussistenza di un interesse pubblico prevalente su quello privato, diverso dalla mera esigenza di ripristino della legalità e dall'interesse alla protezione del valore storico-architettonico dell'area interessata, esulante dalle competenze comunali tanto più in presenza del nulla-osta formulato dalla Soprintendenza per i beni architettonici e per il passaggio per la Calabria".


b) Con l'anzidetta sentenza n. 499 del 10.3.2006:


ba) ha ribadito tale assunto, considerando "censurabile l'apparato motivazionale del provvedimento di autotutela, dal quale non traspare né l'indicazione dell'interesse pubblico, connotato da attualità e concretezza; al ritiro dei due titoli edilizi, né l'esito dell'obbligatorio giudizio di comparazione tra detto interesse e quello dei ricorrenti alla conservazione dei titoli medesimi", nonché evidenziando che "per giurisprudenza consolidata non può costituire interesse pubblico al ritiro quello al ripristino, in via di autotutela; della legalità, espressamente richiamato nel provvedimento oggetto di gravame";


bb) quanto al rigetto dell'istanza di variante, ha affermato il principio secondo il quale "l'Amministrazione non avrebbe potuto rivalutare profili urbanistici inerenti il progetto originario, già definiti con il rilascio dei titoli edilizi, salvi gli effetti conseguenti al legittimo esercizio del potere di autotutela, in altri termini, dalla natura del procedimento di variante discende, in linea di principio, che non può essere questa la sede per rivedere valutazioni già definitivamente espresse nell'ambito del procedimento sfociato nel titolo edilizio a monte, giacché - diversamente opinando - il procedimento di variante permetterebbe all'Amministrazione di eludere i principi che presiedono al legittimo esercizio del potere di autotutela".


c) Con l'anzidetta sentenza n. 500 del 10.3.2006:


ca) ha considerato prive di pregio alcune censure riferite dalla ricorrente Amministrazione comunale alla pretesa mancata indicazione della posizione planimetrica del fabbricato negli elaborati del progetto di variante, nonché ad una presunta non conformità alla situazione reale delle risultanze dì taluni atti progettatati allegati a sostegno della istanza di variante:


cb) ha affrontato poi la questione dell'edificazione del manufatto a poche decine di centimetri da un rudere di proprietà di tale Sciarra Giulio, in eccepita violazione della disciplina sulle distanze legali fissata dall'art. 9 del D.M. n 1444/1968, rilevando anzitutto che il proprietario di quel rudere ha concesso a Bruno Vittorio, coniuge della Piragine (con contratto di permuta del 4.11.2005), il diritto "ad edificare, aprire affacciate, balconi e finestre sui confine del terreno".


Ha quindi evidenziato che la disciplina delle distanze legali minime tra costruzioni posta dall'art. 9 del D.M., n. 1444/1968 (che nella specie si assume violata) "non è applicabile ai rapporti tra privati, trattandosi di disposizione esclusivamente dedicata ai Comuni, i quali sono tenuti al rispetto delle menzionate distanze nella predisposizione degli strumenti urbanistici. Ne consegue che: a) se lo strumento urbanistico si ponga in contrasto con l'art. 9 del D.M. n 1444/1968, esso può essere finanche disapplicato dal giudice ordinario, che può riconoscere immediata precettività al predetto art. 9, divenuto, per inserzione automatica, parte integrante dello strumento urbanistico in sostituzione della disposizione disapplicata; b) se lo strumento urbanistico non stabilisca distanze legali minime per le costruzioni in una determinata area, dall'impossibilità di applicazione dell'art, 9 D.M. n. 1444/1968 nei rapporti interprivati discende che alla costruzioni si applica la disciplina codicistica, con possibilità di edificazioni sul confine o in aderenza (artt. 873 segg. cod. civ.)".


Nella specie il giudice amministrativo ha affermato che "gli strumenti urbanistici vigenti nel Comune di Altomonte non prescrivono distanze minime tra costruzioni" e ne ha tratto, alla stregua dei principi sopra enunciati, la conclusione dell'impossibilità di applicazione diretta dell'art. 9 del D.M. n 1444/1968 e della possibilità, invece, di edificazioni sui confine o in aderenza.


5. Il Tribunale del riesame, con riferimento alle anzidette pronunzie del giudice amministrativo, nell'ordinanza costituente oggetto del presente ricorso, ha affermato - come già si è detto - che le stesse decisioni avrebbero "costantemente concluso nel senso della legittimità dell'intervento edificatorio in contestazione", sicché "i titoli edilizi originariamente emessi ed il successivo permesso relativo al progetto di variante, in forza dei quali i ricorrenti hanno dato inizio all'esecuzione dei lavori di costruzione del parcheggio, appaiono atti legittimi (né risulta evidente un contrasto con norme imperative talmente grave da determinare non la mera illegittimità degli atti, ma la illiceità dei medesimi e, dunque, la loro nullità)".


Ha concluso, pertanto, per l'insussistenza del fumus dei reati ipotizzati, con argomentazioni che il ricorrente P.M. ha contestato attraverso la formulazione dei motivi di ricorso dianzi enunciati.


6. A fronte delle contestazioni del P.M. ricorrente, va rilevato che - secondo la giurisprudenza costante di questa Corte Suprema - nei procedimenti incidentali aventi ad oggetto provvedimenti di sequestro:


- la verifica delle condizioni di legittimità della misura da parte del Tribunale non può tradursi in una anticipata decisione della questione di merito concernente la responsabilità degli indagati in ordine al reato o ai reati oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al controllo di compatibilità tra fattispecie concreta e fattispecie legale ipotizzata, mediante una valutazione prioritaria ed attenta della antigiuridicità penale del fatto (Cass., Sez. Unite, 7.11.1992, ric. Midolini);


- l'accertamento della sussistenza del "fumus commissi delicti"' va compiuto sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati in punto di fatto, per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno valutati così come esposti, al fine di verificare se essi consentono di sussumere l'ipotesi formulata in quella tipica. Il Tribunale, dunque, non deve instaurare un processo nel processo, ma svolgere l'indispensabile ruolo di garanzia, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull'esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando sotto ogni aspetto l'integralità dei presupposti che legittimano il sequestro" (Cass., Sez. Un., 29.1.1997, n. 23, ric. P.M. in proc. Bassi e altri).


7. Per quanto più specificamente riguarda la fattispecie in esame, va poi ribadito il principio secondo il quale il giudice penale, nel valutare la sussistenza o meno della liceità di un intervento edilizio, deve verificarne la conformità a tutti i parametri di legalità fissati dalla legge, dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dal titolo abilitativo edificatorio (vedi Cass., Sez. Un., 28.11.2001, Salvini). Deve escludersi infatti che - qualora sussista difformità dell'opera edilizia rispetto a previsioni normative statali o regionali ovvero a prescrizioni degli strumenti urbanistici - il giudice debba comunque concludere per la mancanza di illiceità penale qualora sia stata rilasciata concessione edilizia o permesso di costruire, in quanto detti provvedimenti non sono idonei a definire esaurientemente lo statuto urbanistico ed edilizio dell'opera realizzanda.


Nel caso di accertata difformità da disposizioni legislative o regolamentari, ovvero dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici, non si configura una non consentita "disapplicazione", da parte del giudice penale dell'atto amministrativo concessorio (vedi Cass., Sez. Un., 12.11,1993, Borgia), in quanto lo stesso giudice, qualora come presupposto o elemento costitutivo di una fattispecie di reato sia previsto un atto amministrativo ovvero l'autorizzazione del comportamento del privato da parte di un organo pubblico, non deve limitarsi a verificare l'esistenza ontologica dell'atto o provvedimento amministrativo, ma deve verificare l'integrazione o meno della fattispecie penale, "in vista dell'interesse sostanziale che tale fattispecie assume a tutela, nella quale gli elementi di natura extrapenale convergono organicamente, assumendo un significato descrittivo" (vedi Cass., Sez. Un., 28,11.2001, Salvini; nonché Sez. VI, 18.3.1998, n. 3396, Calisse ed altro)


Punto fermo è, dunque, che il reato di esecuzione di lavori edilizi in assenza di permesso di costruire può ravvisarsi anche in presenza di un titolo edilizia illegittimo (si vedano le ampie argomentazioni svolte in proposito da questa Sezione con la sentenza 21.3.2006, ric. Di Mauro ed altro, che il Collegio integralmente condivide).


Vanno ribaditi altresì i principi (recentemente enunciati da Cass., Sez. III, 28.9.2006, Consiglio) secondo i quali:


a) il giudice penale, allorquando accerta profili di illegittimità sostanziale di un titolo abilitativo edilizio, procede ad una identificazione in concreto della fattispecie sanzionata e non pone in essere alcuna "disapplicazione" riconducibile all'art. 5 della legge 20 marzo 1863, n 2248. allegato E), né incide, con indebita ingerenza, sulla sfera riservata alla Pubblica Amministrazione, poiché esercita un potere che trova fondamento e giustificazione nella stessa previsione normativa incriminatrice;


b) la non-conformità dell'atto amministrativo alla normativa che ne regola l'emanazione alle disposizioni legislative statali e regionali in materia urbanistico-edilizia ed alle previsioni degli strumenti urbanistici può essere rilevata non soltanto se l'atto medesimo sia illecito, cioè frutto di attività criminosa, ed a prescindere da eventuali collusioni dolose del soggetto privato interessato con organi dell'amministrazione. Il sindacato del giudice penale, al contrario, è possibile tanto nelle ipotesi in cui l'emanazione dell'atto sia espressamente vietata in mancanza delle condizioni previste dalla legge quanto in quelle di mancato rispetto delle norme che regolano l'esercizio del potere,


c) spetta in ogni caso al giudice del merito, e non certo a quello del riesame di provvedimenti di sequestro, la individuazione, in concreto, di eventuali situazioni di buona fede e di affidamento incolpevole.


8. Questa Corte ha pure affermato, però, che il potere del giudice penale di accertare la conformità alla legge ed agli strumenti urbanistici di una costruzione edilizia trova un limite nei provvedimenti giurisdizionali del giudice amministrativo passati in giudicato che abbiano espressamente affermato la legittimità della concessione o della autorizzazione edilizia ed il conseguente diritto del cittadino alla realizzazione dell'opera (vedi Cass., Sez. III, 21.10.2003, n. 34707, Luterano di Scorpianello).


L'ordinanza impugnata ha fatto riferimento, al riguardo, alla decisione 3.4.1996, n. 54, Ciaburri, di questa III Sezione, massimata nel senso che "l'autorità giudiziaria ordinaria non ha il potere di valutare la conformità a legge di un "arret" di un'altra giurisdizione [nella specie, una sentenza del Tribunale amministrativo regionale coperta da giudicato che affermava la legittimità di una costruzione: n.d.r.]: ciò in quanto il cittadino - pena la vanificazione dei suoi diritti civili - non può essere privato della facoltà di fare affidamento sugli strumenti della tutela giurisdizionale posti a sua disposizione dall'ordinamento".


Questo Collegio condivide e riafferma detto orientamento, ma rileva che esso non può trovare applicazione nel caso di specie, in quanto, contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale del riesame, le anzidette pronunzie definitive del TAR Calabria - Catanzaro - che hanno di per sè comportato l'automatica riespansione con efficacia ex tunc della posizione soggettiva caducata dal provvedimento di autotutela annullato - non hanno affermato la legittimità della concessione edilizia n. 25/2002 e del permesso di costruire n. 8/2003 per la insussistenza dei vizi riscontrati dal Comune alla stregua delle previsioni della legge statale 24.3.1989, n. 122 e della legge 12.4.1990, n. 23 della Regione Calabria, nonché con riferimento alle prescrizioni fissate dal vigente programma di fabbricazione del Comune di Altomonte.


Esse si sono limitate, invece, a pronunciare un annullamento, per mero difetto di motivazione, rilevando che l'Amministrazione comunale, allorquando intenda adottare, in sede di autotutela, un provvedimento di annullamento di titoli abilitativi edilizi, non può limitarsi ad indicare i vizi di detti titoli e le norme urbanistiche con le quali gli stessi si pongono in contrasto, ma deve esplicare le concrete ragioni di interesse pubblico che giustificano l'adozione dell'atto di annullamento e compiere un'adeguata ponderazione di tutti gli interessi implicati, non essendo sufficiente, al riguardo: il mero richiamo all'opportunità di ripristinare la legalità violata ed esulando in ogni caso dalle competenze comunali valutazioni sovrapponentisi a quelle già espresse dalla competente Soprintendenza, istituzionalmente preposta alla tutela del valore storico-architettonico dell'area interessata.


E' soltanto questa la statuizione passata in giudicato e che resta insindacabile da parte del giudice penale. L'Amministrazione comunale di Altomonte conserva intatto, in ogni caso, il potere di effettuare quella comparazione tra l'interesse pubblico all'adozione dell'atto di annullamento e gli interessi privati sacrificati, la cui indispensabilità è stata affermata dal giudice amministrativo.


Detto giudice, in particolare, non ha affrontato i profili di illegittimità posti a base del provvedimento di sequestro preventivo adottato dal G.I.P. del Tribunale di Castrovillari riguardanti:


- la prospettata difformità dei titoli edilizi dalle previsioni delle norme tecniche di attuazione del programma di fabbricazione del Comune di Altomonte, che destinerebbero la zona in cui sorge il nuovo fabbricato a "verde privato", ove sarebbero consentite esclusivamente la posa in opera di attrezzature per il gioco e lo sport, di percorsi "verde vita" per la ginnastica psicomotoria all'aperto, la costruzione, previa indagine geologica specifica, di piscine di piccole e medie dimensioni, anche ad uso promiscuo, privato e pubblico, e la messa in opera di piccole casette in legno prefabbricate, ad un solo livello, a servizio delle eventuali attività ricreative.


- la prospettata violazione delle misure di salvaguardia imposte dalla legge regionale n. 23/1990 per i Comuni (come quello di Altomonte) non dotati di piano regolatore generale, quanto alle distanze dell'erigendo fabbricato dalle mura di cinta (la cui effettiva esistenza ed i cui elementi di individuazione sono contestati dagli indagati) del castello di Altomonte, oggetto di tutela speciale in forza del D.M 9.5.1994;


- la prospettata violazione delle disposizioni poste dalla legge 24.3.1989, n. 122 (c.d. legge Tognoli) in materia di realizzazione di parcheggi, tenuto conto che, nella specie, il realizzando parcheggio ha natura privata - pure essendo previsto l'obbligo di "consentirne l'uso gratuito per manifestazioni indette dal Comune nel centro storico compatibilmente con l'inesistenza di impegni lavorativi di massa da parte del Castello dei Conti di Altomonte" (vedi la concessione edilizia n. 25/2002) - e la disciplina dell'utilizzazione di esso risulta avere costituito oggetto di un protocollo di intesa, stipulato tra l'Amministrazione comunale e la Piragene (vedi il permesso di costruire n. 8/2003).


Con la sentenza n. 500 del 10.3.2006 il TAR Calabria - Catanzaro ha affrontato espressamente, invece, la questione delle distanze del manufatto dal contiguo fondo di proprietà Sciama (pure oggetto di specifica contestazione di reato, ma non risulta che tale sentenza sia passata in giudicato, mentre Giulio Sciama, con successiva denuncia del 30.5.2006, ha dato comunicazione di pretesa invasione, nell'esecuzione dei lavori in oggetto, della corte di un proprio fabbricato.


Anche la sentenza del TAR n. 499 del 10.3.2006 si è limitata ad affermare il principio secondo il quale, in sede di delibazione di una istanza di "variante" a concessione edilizia già rilasciata, l'Amministrazione non può legittimamente addurre a ragioni di diniego vizi che non attengono alla variante stessa, procedendo a nuova e diversa valutazione di profili urbanistici riguardanti il progetto originariamente assentito, già definiti con il rilascio del precedente titolo edilizio, ma deve provvedere al previo, o contestuale, annullamento d'ufficio della concessione originaria, da disporsi con specifica e motivata valutazione dei contrapposti interessi coinvolti.


9. La illegittimità dei titoli abilitativi edilizi, ritenuta dal G.I.P. in sede cautelare, non si pone quindi, all'evidenza, in contrasto con nessun giudicato amministrativo.


A fronte delle opposte conclusioni alle quali é pervenuta l'ordinanza impugnata, deve disporsene, conseguentemente, l'annullamento con rinvio al Tribunale di Cosenza, che - alla stregua dei principi di diritto dianzi enunciati - dovrà procedere a nuova delibazione dell'istanza di riesame attraverso la puntuale valutazione di tutti i profili di illegittimità delineati nel provvedimento applicativo della misura di cautela reale e contestati dalla difesa.


La questione relativa alla sussistenza dell'elemento psicologico degli ipotizzati reati, resta demandata, invece, al giudice del merito e non può essere risolta in sede cautelare.

 

P. Q. M.


La Corte Suprema di Cassazione,


visti gli artt. 608, 127 e  325 c.p.p.,


annulla l'ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Cosenza per nuovo esame.


Così deliberato in ROMA, nella camera di consiglio del 14.12.2006


L' estensore              Il presidente
 Aldo Fiale                   Aldo Grassi