Cass. Sez. III n. 1162 del 11 gennaio 2017 (Cc 15 nov 2016)
Presidente: Cavallo Estensore: Ramacci Imputato: Salabè ed altri
Ambiente in genere. Realizzazione di opera senza autorizzazione su area demaniale

La realizzazione di un'opera senza autorizzazione su area demaniale può integrare il reato permanente di abusiva occupazione se il godimento dell'area viene sottratto alla fruibilità collettiva, mentre configura il reato istantaneo di illecita innovazione nel caso in cui la nuova opera non determini alcuna limitazione al godimento comune del bene . La permanenza del reato di abusiva occupazione di spazio demaniale, inoltre, cessa solo quando vengano meno l'uso ed il godimento illegittimi. Non è affatto necessario che l'attività di ostacolo all'uso pubblico venga realizzata in modo da escludere la fruibilità da parte dei potenziali utenti, essendo sufficiente una condotta che limiti o comprima detto uso, poiché il bene giuridico tutelato dalla norma è costituito dall'interesse della collettività ad usare pienamente l'area demaniale


RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Roma, con ordinanza del 7/6/2016 ha confermato il decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale il 20/5/2016 e concernente alcuni manufatti, all’interno di uno stabilimento balneare di Ostia, denominato “La Casetta”, in ordine ai quali si ipotizzavano i reati di cui agli artt. 44, lett. c), 71 e 72 d.P.R. 380\01, 134, 136, 181, comma 1, lett. a) d.lgs. 42\2004, 54 e 1161 cod. nav., per i quali risultano indagati Anna Maria ANCILLI e Luigi SALABÈ.
Avverso tale pronuncia i predetti, unitamente a Giovanni SALABÈ, attuale amministratore della  società “La Casetta s.r.l.”, terzo interessato al procedimento penale, propongono congiuntamente ricorso per cassazione tramite i propri difensori di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2. Premesso che il Tribunale non avrebbe considerato come il sequestro sia stato emesso dal Giudice per le indagini preliminari in relazione al solo reato di cui all’art. 1161 Cod. Nav. e non anche per le altre violazioni denunciate ed avrebbe errato nel considerare Giovanni SALABÈ figlio di Anna Maria ANCILLI, trattandosi, invece, di un nipote, deducono, con un primo motivo di ricorso, la violazione degli artt. 321 cod. proc. pen. e 1161 cod. nav., rilevando che i giudici del riesame avrebbero errato nel non considerare che gli interventi realizzati consistono in mere innovazioni non autorizzate, effettuate in tempi lontani, sicché la contravvenzione ipotizzata, trattandosi di reato istantaneo, sarebbe ormai travolta dalla prescrizione.

3. Con un secondo motivo di ricorso lamentano che il Tribunale avrebbe offerto una motivazione meramente apparente in relazione alla circostanza, rilevata dalla difesa e considerata dallo stesso G.I.P., dell’avvenuto “incameramento” a favore dello Stato, nel 1990, di parte dei manufatti, i quali, in ragione di tale evenienza, non avrebbero potuto determinare un’occupazione abusiva del demanio marittimo.

4. Con un terzo motivo di ricorso rilevano che il Tribunale avrebbe rilevato la sussistenza del fumus commissi delicti senza considerare gli elementi addotti dalla difesa a sostegno della buona fede degli indagati e del terzo.

5. Con un quarto motivo di ricorso deducono l’omessa analisi, da parte dei giudici del riesame, degli ulteriori rilievi difensivi in punto di sussistenza del periculum in mora.
Insistono, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

6. Il Procuratore Generale, nella sua requisitoria scritta, ha chiesto l’annullamento senza rinvio dell’impugnata ordinanza limitatamente alla parte in cui fonda la conferma del sequestro sui reati di cui agli att. 44 d.P.R. 380\01 e 181, d.lgs. 42\2004 ed il rigetto, nel resto, dei ricorsi.   

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è solo in parte fondato.
Effettivamente, come pure rilevato dal Procuratore Generale nella sua requisitoria scritta ed osservato in premessa dai ricorrenti, il Tribunale, nella motivazione del provvedimento impugnato, fa spesso riferimento anche ai reati urbanistici e paesaggistici oggetto di indagine, mentre il G.I.P., come emerge dal decreto di sequestro, il cui dispositivo è parzialmente trascritto in ricorso, aveva solo in parte accolto al richiesta del Pubblico Ministero con limitato riferimento alla contravvenzione di cui agli artt. 54 e 1161 cod. nav.
Sul punto, dunque, il ricorso risulta fondato, ma tale evenienza, non risulta tuttavia produttiva di concrete conseguenze sul vincolo imposto ai beni sequestrati, che resta pienamente giustificato dalla ritenuta configurabilità della violazione contemplata dal codice della navigazione pure oggetto di provvisoria incolpazione.
Nel resto, il ricorso è infondato.

2. I ricorrenti rilevano, nel primo motivo di ricorso, che la contravvenzione al codice della navigazione sarebbe estinta per prescrizione, rilevandone la natura istantanea, consistendo gli interventi realizzati in semplici innovazioni e non in ampliamenti abusivi, suscettibili di configurare una permanente occupazione arbitraria del demanio marittimo.
Va a tale proposito ricordato che, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, la realizzazione di un'opera senza autorizzazione su area demaniale può integrare il reato permanente di abusiva occupazione se il godimento dell'area viene sottratto alla fruibilità collettiva, mentre configura il reato istantaneo di illecita innovazione nel caso in cui la nuova opera non determini alcuna limitazione al godimento comune del bene (Sez. 3, n. 39455 del 22/5/2012, Giorgino, Rv. 254332; Sez. 3, n. 20766 del 3/5/2006, Ferrante, Rv. 234481; Sez. 3, n. 11541 del 16/2/2006, P.G. in proc. Giuliano ed altro, Rv. 233676).
La permanenza del reato di abusiva occupazione di spazio demaniale, inoltre, cessa solo quando vengano meno l'uso ed il godimento illegittimi (Sez. 3, n. 27071 del 29/5/2014, P.G. in proc. Diotallevi, Rv. 259306; Sez. 3, n. 16417 del 16/3/2010, Apicella, Rv. 246765; Sez. 3, n. 6450 del 1/2/2006, Falcione, Rv. 233314 ed altre prec. conf.).
Si è ulteriormente precisato come non sia affatto necessario che l'attività di ostacolo all'uso pubblico venga realizzata in modo da escludere la fruibilità da parte dei potenziali utenti, essendo sufficiente una condotta che limiti o comprima detto uso, poiché il bene giuridico tutelato dalla norma è costituito dall'interesse della collettività ad usare pienamente l'area demaniale (Sez. 3, n. 1358 del 30/10/2014 (dep. 2015), Iversa, Rv. 261956. V. anche Sez. 3, n. 15415 del 17/02/2016, Nica, Rv. 266814; Sez. 3, n. 42404 del 29/9/2011, Farci, Rv. 251400).
Sulla base di tali condivisibili principi va rilevato come, nel caso in esame, il Tribunale abbia espressamente dato atto, con valutazione evidentemente fondata sugli elementi fattuali posti a sua disposizione e non autonomamente valutabili in questa sede di legittimità, che gli interventi realizzati erano tali da impedire la fruizione a terzi dell’area illegittimamente occupata.

3. Quanto al secondo motivo di ricorso, rileva il Collegio che, diversamente da quanto in esso sostenuto,  non si verte affatto in una ipotesi di motivazione meramente apparente.
L’ordinanza impugnata analizza la natura e consistenza delle opere attraverso il confronto tra le risultanze degli accertamenti svolti nell’ambito delle indagini relative al procedimento in corso e la descrizione degli interventi contenuta nei titoli pubblici a sua disposizione, che indica espressamente nell’atto di incameramento del 9/3/1990, cui fa ripetutamente riferimento il ricorso ed in un verbale di constatazione del 1/2/1992, dando atto della presenza di opere diverse da quelle oggetto di concessione o autorizzazione.
I ricorrenti, dunque, pur facendo riferimento alla violazione di legge, ipotizzando una motivazione soltanto apparente, in realtà pongono in discussione la ricostruzione dei fatti operata dai giudici, lamentando carenze argomentative che devono, però, ritenersi inammissibili in quanto riferite ad un supposto vizio di motivazione e ciò in quanto il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza emessa in sede di riesame di provvedimenti di sequestro (probatorio o preventivo) può essere proposto esclusivamente per violazione di legge e non anche con riferimento ai motivi di cui all’articolo 606, lettera e), cod. proc. pen.

4. Con riferimento al terzo motivo di ricorso va ricordato come, in tema di misure cautelari reali, si sia ripetutamente affermato, riguardo alla valutazione sull'elemento soggettivo del reato, che il controllo demandato al giudice del riesame sulla concreta fondatezza dell'ipotesi accusatoria secondo il ricordato parametro del fumus del reato può riguardare anche l'eventuale difetto dell'elemento soggettivo, purché di immediato rilievo (Sez. 6, n. 16153 del 6/2/2014, Di Salvo, Rv. 259337; Sez. 2, n. 2808 del 2/10/2008, (dep. 2009), Bedino, Rv. 242650;  Sez. 4, n. 23944 del 21/5/2008, Di Fulvio, Rv. 240521; Sez. 1, n. 21736 del 11/5/2007, Citarella, Rv. 236474. Si veda anche Corte Cost. ord. 157, 18 aprile 2007, menzionata in gran parte delle ricordate decisioni).
Si è inoltre rilevato che il sequestro preventivo è legittimamente disposto in presenza di un reato che risulti sussistere in concreto, indipendentemente dall'accertamento della presenza dei gravi indizi di colpevolezza o dell'elemento psicologico, atteso che la verifica di tali elementi è estranea all'adozione della misura cautelare reale (Sez. 6, n. 45908 del 16/10/2013, Orsi, Rv. 257383; Sez. 6, n. 10618 del 23/2/2010 , P.M. in proc. Olivieri, Rv. 246415; Sez. 1, n. 15298 del 4/4/2006, Bonura, Rv. 234212 ed altre prec. conf.).
Ciò posto, deve osservarsi che, in ogni caso, i giudici del riesame, esaminando le vicende contrattuali che hanno interessato nel tempo lo stabilimento, hanno comunque dato atto di un dato fattuale ritenuto rilevante e, segnatamente, della diretta gestione, da parte della società “La Casetta”, di significative attività svolte nell’area demaniale occupata (bar, ristorante, tavola calda, discoteca ed intrattenimento musicale serale) anche nel periodo in cui era stato stipulato un contratto di affitto con altra società, ricavando, sulla base della presenza sul posto, la consapevolezza da parte dei ricorrenti, della realizzazione degli interventi abusivi.
Anche in questo caso, quindi, non si versa in ipotesi di motivazione inesistente o meramente apparente e le censure svolte in ricorso si risolvono in una valutazione critica del percorso argomentativo seguito dal Tribunale inammissibile per le ragioni già in precedenza esposte.

5. Va altresì rilevato che, nel ricorso, ci si duole ripetutamente del fatto che i giudici del riesame non avrebbero considerato gli elementi offerti dalla difesa, che vengono puntualmente riportati.
Occorre ricordare, a tale proposito, come la giurisprudenza di questa Corte abbia affermato che compito del Tribunale del riesame è pure quello di espletare il proprio ruolo di garanzia non limitando la propria cognizione alla astratta configurabilità del reato, dovendo invece considerare e valutare tutte le risultanze processuali in modo coerente e puntuale, esaminando, conseguentemente, non solo le allegazioni probatorie del Pubblico Ministero, ma anche le confutazioni e gli altri elementi offerti dalla difesa degli indagati che possano influire sulla configurabilità e sussistenza del fumus del reato ipotizzato (ex pl., Sez. 6, n. 49478 del 21/10/2015, P.M. in proc. Macchione, Rv. 265433; Sez. 5, n. 49596 del 16/9/2014, Armento, Rv. 261677; Sez. 5, n. 28515 del 21/5/2014, Ciampani e altri, Rv. 260921; Sez. 4, Sentenza n. 15448 del 14/3/2012, Vecchione, Rv. 253508; Sez. III n. 27715\2010 cit.; Sez. 3, n. 26197 del 5/5/2010, Bressan, Rv. 247694; Sez. III n. 18532\ 2010 cit., con ampi richiami ai precedenti).
Si tratta di argomentazioni che il Collegio condivide e che chiariscono esattamente come il sindacato del Tribunale del riesame, lungi dall’estendersi ad ogni questione prospettata dall’indagato, resta comunque vincolato entro limiti ben precisi, rappresentati dalla effettiva influenza della questione dedotta sulla  fondatezza del fumus del reato.
Il principio di diritto è stato successivamente riaffermato più volte (Sez. 3, n. 13038 del 28/2/2013, Lapadula, Rv. 255114; Sez. 3 n. 19658 del 9/5/2012, Basile, non massimata; Sez. III n. 19331, 17 maggio 2011, non massimata; Sez. 3 n. 7242, 27/4/2011, Tocchini non massimata), con l’ulteriore precisazione che la valutazione richiesta al Tribunale del riesame non può ritenersi dovuta in presenza di qualsiasi allegazione difensiva che si risolva in una mera negazione degli addebiti o in una diversa lettura degli elementi acquisiti, ma solo quando la rilevanza dell’apporto della difesa sia di immediata evidenza ed oggettivamente determinante in relazione al "fumus commissi delicti".
Date tali premesse, deve osservarsi che, nella fattispecie, il Tribunale ha fatto buon uso dei principi in precedenza richiamati, fornendo comunque risposta alle doglianze mosse dalla difesa.

6. I principi richiamati vanno considerati anche nell’esaminare il quarto motivo di ricorso, poiché i ricorrenti lamentano l’assenza di motivazione in ordine al periculum in mora e ciò in quanto non sarebbe stata tenuta nel dovuto conto la dedotta volontà di regolarizzare la situazione dello stabilimento e le volumetrie contestate.
Invero il Tribunale, dopo aver rilevato che l’insussistenza del periculum era stata dedotta dalla difesa in relazione al fatto che le opere realizzate sarebbero risalenti nel tempo o, comunque, non in corso di realizzazione, ha più volte richiamato la natura permanente dell’abusiva occupazione dell’area demaniale fornendo, conseguentemente, implicita risposta alla doglianza.
Il riferimento alla natura permanente del reato, inoltre, altrettanto implicitamente esclude ogni rilevanza della dichiarata volontà di regolarizzazione valorizzata nel motivo di ricorso.

7. L’ordinanza impugnata deve pertanto essere annullata senza rinvio limitatamente alla parte in cui fonda la conferma della misura reale sui reati di cui agli artt. 44 d.P.R. 380\01 e 181, d.lgs. 42\2004, rigettando nel resto il ricorso.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata limitatamente alla parte in cui fonda la conferma della misura reale sui reati di cui agli artt. 44 d.P.R. 380\01 e 181, d.lgs. 42\2004. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in data 15.11.2016