Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 3264, del 13 giugno 2013
Ambiente in genere. Legislazione speciale post terremoto e tutela del valore ambientale

Sebbene in loco siano astrattamente applicabili sia la legislazione speciale post terremoto, come la normativa di tutela ambientale, ciò non importa un rapporto di pariteticità tra le stesse, atteso che i due ambiti fondano contesti applicativi di rango diverso, in quanto la disciplina emergenziale, tesa al recupero abitativo dell’esistente e alla ricostruzione a seguito dell’evento sismico, si inquadra, e non si sovrappone, alla disciplina di tutela del territorio, connotandone un’applicazione particolare, ma non necessariamente eccezionale. Pertanto, è del tutto evidente che, non è ravvisabile alcuna ragione valida per ritenere che l’opera di ricostruzione del patrimonio edilizio danneggiato dal sisma debba avvenire con sacrificio del valore ambientale, che, per giurisprudenza costante della Corte Costituzionale, è valore primario che a nessun altro può essere subordinato. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 03264/2013REG.PROV.COLL.

N. 09060/2006 REG.RIC.

N. 05367/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello n. 9060 del 2006, proposto dal 
CComune di Casola di Napoli, in persona del sindaco legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Felice Laudadio, ed elettivamente domiciliato, unitamente al difensore, presso Gian Marco Grez in Roma, via lungotevere Flaminio n. 46, come da mandato a margine del ricorso introduttivo;

contro

Cristina Coppola, rappresentata e difesa dall’avv. Benedetto Migliaccio, ed elettivamente domiciliata, unitamente al difensore, presso l’avv. Massimo Mauro in Roma, via Ludovisi n. 35, come da mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta;

nei confronti di

Luigi Iozzino, Alfonso Vicedomini, non costituiti in giudizio;




sul ricorso in appello n. 5367 del 2010, proposto da 
Cristina Coppola, rappresentata e difesa dall’avv. Benedetto Migliaccio, ed elettivamente domiciliata, unitamente al difensore, presso l’avv. Massimo Mauro in Roma, via Ludovisi n. 35, come da mandato a margine del ricorso introduttivo;

contro

Comune di Casola di Napoli, in persona del sindaco legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Erik Furno e Ernesto Furno, ed elettivamente domiciliato, unitamente ai difensori, presso Dora Guerriero Furno in Roma, viale dei Colli portuensiPortuensi n. 187, come da mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta;

nei confronti di

Luigi Iozzino, Alfonso Vicedomini, non costituiti in giudizio;

per la riforma

quanto al ricorso n. 9060 del 2006:

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione seconda, n. 7164 del 23 giugno 2006;

quanto al ricorso n. 5367 del 2010:

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione settima, n. 2090 del 12 aprile 2009, redatta in forma semplificata;



Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 marzo 2013 il Cons. Diego Sabatino e uditi per le parti gli avvocati Pasquale Fornaro (su delega di Felice Laudadio) e Barbara Pirocchi (su delega di Benedetto Migliaccio e Erik Furno);

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

Con ricorso iscritto al n. 9060 del 2006, il Comune di Casola di Napoli propone appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione seconda, n. 7164 del 23 giugno 2006 con la quale è stato parzialmente accolto il ricorso proposto da Cristina Coppola per l’annullamento: 1) del provvedimento adottato dal funzionario responsabile dell’Ufficio Ricostruzione del Comune di Casola, prot.llo 5837 del 13.9.2005, con cui si è disposto l’annullamento della revoca ( emessa in data 16.6.2005) del permesso di costruire n° 2 del 13.4.2005, relativo ai lavori di ricostruzione di un immobile demolito dagli eventi sismici del 23.11.1980, ubicato alla via Del Balzo s.n.c. e riportato al NCT al fol. 2 map. 469, autorizzando in tal modo l’esecuzione dei suddetti lavori; 2) di tutti gli atti preordinati, connessi e conseguenti.

A sostegno delle doglianze proposte dinanzi al giudice di prime cure, l’originaria parte ricorrente, proprietaria di un fondo confinante con quello oggetto dell’intervento assentito, esponeva che ai controinteressati, con atto del 13.4.2005, era stato rilasciato un permesso di costruire avente ad oggetto i lavori di ricostruzione di un immobile demolito dagli eventi sismici del 23.11.1980, ubicato alla via Del Balzo s.n.c. e riportato al NCT al fol. 2 map. 469.

Il suddetto provvedimento abilitativo fu oggetto, in un primo momento, di un atto di revoca, adottato in data 17.6.2005.

Ciò nondimeno, con successivo provvedimento n°5837 del 13.9.2005, assunto dal Comune intimato nell’esercizio dei poteri di autotutela, veniva annullata la detta revoca, determinando in tal modo il riespandersi degli effetti abilitativi dell’originario permesso di costruire.

Avverso tale atto, con il gravame ricorso deciso dalla prima sentenza in epigrafe, la parte privata ricorrente articolava le seguenti censure:

1) violazione e falsa applicazione della norma della l. 219/1981 e succ. mod., violazione dell’art. 5 della legge regionale n°35/1987. Le facoltà previste dalla normativa speciale sulla ricostruzione post – terremoto dovrebbero essere coniugate con le disposizioni a tutela dei beni oggetto di vincolo paesaggistico, che non consentirebbero l’approvazione di un progetto di demolizione e ricostruzione in assenza di uno strumento urbanistico reso conforme al P.U.T.;

2) ulteriore violazione e falsa applicazione della norma della l. 219/1981 e succ. mod., violazione dell’art. 5 della legge regionale n°35/1987. Salvo quanto sopra dedotto, il diritto alla ricostruzione potrebbe configurarsi nei soli limiti dell’esistente, condizione nella specie non rispettata;, né potrebbe accreditarsi, a fondamento dello ius aedificandi, l’efficacia della delibera consiliare n°32 del 7.11.2003, inidonea a fungere da strumento urbanistico, in quanto non adottata nel rispetto delle procedure previste per l’adozione di strumenti urbanistici;

3) ulteriore violazione e falsa applicazione della norma della l. 219/1981 e succ. mod., violazione dell’art. 5 della legge regionale n°35/1987. Il progetto approvato prevederebbe la ricostruzione di due distinte unità immobiliari ad uso abitativo, prive di collegamento logico con il sisma e da qualificarsi, invece, quale attività di nuova edificazione, non essendo rapportabili al pregresso manufatto per superfici, numero di unità, altezze, volumetrie e destinazioni d’uso;.

4) ulteriore violazione di legge – violazione delle norme generali e di quelle specifiche dettate dal d.p.r. 380/2001 e dalla legge regionale n°19/2001; illegittimità della demolizione e ricostruzione in violazione dei preesistenti limiti di sagoma, volumetrica, superfici utili e destinazioni d’uso. Per la nuova unità da realizzare sarebbe palese il cambio di destinazione d’uso;

5) eccesso di potere – violazione del disciplinare d’uso per le ricostruzioni di case sparse adottato dal Comune di Casola, eccesso di potere – violazione delle norme di edilizia locale sul distacco dai confini. Sarebbero configurabili variazioni di sagoma, dimensioni, volumetria, superfici utili, destinazioni d’uso anche rispetto al disciplinare approvato dal Comune resistente con la delibera consiliare n°32 del 7.11.2003;

6) violazione e falsa applicazione delle norme di salvaguardia del piano regolatore in itinere – illegittimità derivata – eccesso di potere. Il progetto assentito violerebbe le norme di salvaguardia, in quanto in contrasto con le previsioni del P.R.G. adottato, per la parte che introduce norme di rispetto stradale;

7) illegittimità derivata, eccesso di potere, violazione delle norme sulle distanze dai confini liberi. Sarebbero state, altresì, violate le norme sui distacchi delle costruzioni dai confini;

8) eccesso di potere per erroneità manifesta – travisamento istruttorio. Il provvedimento impugnato illegittimamente computerebbe solo il confine dell’esclusiva proprietà Coppola, senza tener conto del viale comune;

9) travisamento istruttorio.

Costituitiosi il Comune di Casola di Napoli ed i controinteressati Luigi Iozzino e, Alfonso Vicedomini, il ricorso veniva deciso con la su accennata prima sentenza appellata. In essa, il T.A.R. riteneva parzialmente fondate le censure proposte, sottolineando l’illegittimità dell’operato della pubblica amministrazione, in relazione al necessario inquadramento della normativa speciale antisismica nell’ambito della tutela del territorio e ritenendo quindi inesistenti i presupposti per il rilascio dell’atto abilitativo principalmente gravato. Nel contempo, veniva respinta la domanda risarcitoria pure proposta proposta.

Contestando le statuizioni del primo giudice, il Comune appellante evidenzia l’errata ricostruzione in fatto ed in diritto operata dal giudice di prime cure, riproponendo la propria diversa ricostruzione.

Nel giudizio di appello, si è costituita Cristina Coppola, chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso.

All’udienza del 22 maggio 2007, l’istanza cautelare veniva respinta con ordinanza n. 2591/2007.

Con successivo ricorso iscritto al n. 5367 del 2010, Cristina Coppola propone appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione settima, n. 2090 del 12 aprile 2009, redatta in forma semplificata, con la quale è stato respinto il ricorso proposto contro il Comune di Casola di Napoli, Luigi Iozzino e Alfonso Vicedomini per l'annullamento:

quanto al ricorso introduttivo, del permesso a costruire n. 1 rilasciato con provvedimento in data 24.11.2008 con il quale il Comune di Casola, in asserita ottemperanza alla sentenza del T.A.R. Campania n. 7164/2006 (con la quale è stato disposto "l'annullamento dei provvedimenti adottati dal Funzionario responsabile dell'Ufficio Ricostruzione del Comune di Casola in data 13 settembre 2005 prot. n. 5837 con cui "revocando la revoca in data 16 giugno 2005 del permesso a costruire n. 2 rilasciato al sig. Vicedomini Alfonso nato a Casola di Napoli il 3.3.1934 ed ivi residente alla via Del Balzo 12 ed al sig. Luigi Iozzino nato a Casola di Napoli il 20.10.1950 ed ivi residente alla via Del Balzo 24", ha in effetti concesso la prescritta autorizzazione), ma in palese conflitto ed inesorabile violazione con tale decisione - ha rilasciato nuovamente il medesimo permesso a costruire già annullato, relativamente alla presunta ricostruzione - ma in realtà alla edificazione ex novo di immobili privi di qualsivoglia riferimento per volumetria, consistenza, altezze e destinazione d'uso con le presistenze - di un immobile demolito a seguito degli eventi sismici del 1980, ubicato in Casola di Napoli alla via Del Balzo s.n.c. e riportato al NCT al fol. 2 map. 469, con adeguamento delle aree di parcheggio ai sensi della l. 122/89;

quanto al ricorso per motivi aggiunti depositato in data 12 marzo 2009: a) del provvedimento in data 18.10.2005 con cui il Funzionario del Comune di Casola di Napoli avrebbe decretato la conformità al PUT del piano di Recupero dei fabbricati danneggiati dal terremoto; b) del decreto in data 21.10.2005 con cui si decretava l'approvazione del Piano di Recupero e si conferiva l'esecutività al Piano di Recupero dei fabbricati colpiti dagli eventi sismici; c) di ogni altro atto e provvedimento preordinato, collegato, connesso o comunque pertinente; nonché per il risarcimento dei danni subiti in conseguenza degli illegittimi atti impugnati, da quantificarsi in corso di causa o da determinarsi in via equitativa ai sensi degli artt. 34 e 35 del d.lgs. n. 80/1998, come novellati dall’art. 7 della legge n. 205/2000, stabilendo i criteri di liquidazione del danno ed il termine da assegnarsi ex art. 35 comma 2 cit..

A sostegno delle doglianze proposte dinanzi al giudice di prime cure, la parte ricorrente aveva premesso:

che il Comune di Casola di Napoli aveva rilasciato ai controinteressati Iozzino Luigi e Vicedomini Alfonso il permesso di costruire n. 2 del 13.04.05;

che successivamente tale permesso di costruire veniva revocato e che, con il provvedimento adottato dal funzionario responsabile dell’Ufficio Ricostruzione del Comune di Casola, prot. 5837 del 13.9.2005, si disponeva era stato disposto l’annullamento della revoca (emessa in data 16.6.2005) del permesso di costruire n° 2 del 13.4.2005, relativo ai lavori di ricostruzione di un immobile demolito dagli eventi sismici del 23.11.1980, ubicato alla via Del Balzo s.n.c. e riportato al NCT al fol. 2 map. 469, autorizzando in tal modo l’esecuzione dei suddetti lavori;

che, pertanto, la ricorrente impugnava aveva impugnato dinanzi al Tar quest’ultimo provvedimento, ottenendone l’annullamento con sentenza n. 7164/2006;

che la sentenza non veniva era stata impugnata dal Comune, non dai controinteressaticontrointeressati, ma dal Comune, ma il Consiglio di Stato respingeva l’istanza di sospensione della sentenza e la ricorrente proponeva aveva proposto istanza per l’esecuzione della medesima sentenza non sospesa, ai sensi dell’art. 33 l. Tar come riscritto dalla l. 205/2000;

che dunque il Comune, in asserita ottemperanza a tale sentenza, in realtà adottava lo stesso permesso di costruire già annullato dal Tar, con cui autorizzava non già una ricostruzione di immobile demolito in seguito al sisma del 1980, ma una nuova costruzione, che, per volumetria, altezze, e destinazione d’uso, non aveva alcun riferimento con l’immobile preesistente;

che pertanto la ricorrente impugnava tale atto;,

ma che nelle more del giudizio , venutaiva a conoscenza dell’adozione del Piano di recupero -, elemento nuovo che ad avviso dell’Amministrazione legittimava avrebbe legittimato il nuovo permesso di costruire -, sicché ella proponeva motivi aggiunti avverso il Piano di recupero stesso;

che la ricorrente riteneva i provvedimenti impugnati illegittimi per i seguenti motivi, quanto al ricorso introduttivo: 1) violazione o elusione del giudicato, atteso che la sentenza affermava la non conformità del permesso di costruire agli strumenti urbanistici vigenti; orbene, il Comune ha aveva adottato, di fatto, lo stesso atto senza che gli strumenti urbanistici sianofossero mutati; 2) il Comune basa il proprio atto su un Piano di recupero del 21.09.05, che non è sopravvenuto alla sentenza e non può costituire costituente dunque una novità nell’ambito esecutivo della sentenza ottemperanda; inoltre, il nuovo atto eraè privo del visto regionale di conformità al PUT e non èera adeguato al Piano paesistico; 3) atteso il divieto di autorizzazione paesaggistica in sanatoria, le opere realizzate devono dovrebbero essere demolite e non possono essere sanate; 4) la perizia del geometra Gallo, su cui il provvedimento impugnato si fonda, è priva di data e di timbri di deposito del protocollo; è sarebbe quindi impossibile verificare la data della sua acquisizione agli atti del Ccomune; è sarebbe, inoltre, priva di attestazione di autenticità quanto alla sua provenienza; in ogni caso la perizia non aveva affermato affatto quanto sostenuto dalla p.a. e dai controinteressati, perché essendosi limitata a confermare il carattere meramente rurale delle opere esistenti al momento del terremoto (stalle a comodi), in mancanza dunque di senza che risulti un atto da cui si evincae il mutamento di destinazione urbanistica;

nonché per i seguenti motivi aggiunti: 1) violazione dell’art. 14 l. reg. 14/82, atteso che il Piano è stato elaborato quando il Comune non era dotato di alcuno strumento urbanistico principale adeguato al PUT; pertanto non poteva essere attestata la conformità del Piano di recupero al PUT, attesao la mancanza del PRG adeguato al PUT; 2) poiché sonoessendo in vigore le norme di salvaguardia, l’edificazione non potevauò essere consentita; 3) eccesso di potere per travisamento del fatto, atteso che si cercherebbea di legittimare un aumento di volumetria facendolo passare per volumi tecnici.

Costituitiosi il Comune di Casola di Napoli, Luigi Iozzino e Alfonso Vicedomini, il ricorso veniva deciso con la sentenza appellata, redatta in forma semplificata. In essa, il T.A.R. riteneva irricevibile il ricorso per tardività, rigettando contestualmente la domanda risarcitoria.

Contestando le statuizioni del primo giudice, la parte appellante evidenzia l’errata ricostruzione in fatto ed in diritto operata dal giudice di prime cure, riproponendo le proprie censure.

Nel giudizio di appello, si è costituito il Comune di Casola di Napoli, chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso.

All’udienza del 20 luglio 201, l’istanza cautelare veniva accolta con ordinanza n. 3397/2010.

Alla pubblica udienza del 19 marzo 2013, i due ricorsi sono stati congiuntamente discussi e assunti in decisione.

DIRITTO

1. - In via preliminare e a norma dell’art. 70 del codice del processo amministrativo, va disposta la riunione dei diversi appelli, in quanto attinenti a vicende connesse.

2. - L’appello del Comune di Casola di Napoli non è fondato e va deve essere respinto per i motivi di seguito precisati.

3. - Va E’ preliminarmente da esaminareto il quarto motivo di doglianza, dove il Comune lamenta la mancata valutazione dell’irricevibilità del ricorso di primo grado.

3.1. - La doglianza va respinta.

È certamente vero che il provvedimento impugnato è stato notificato alla parte ricorrente il 15 settembre 2005, mentre l’atto introduttivo del giudizio di primo grado è stato notificato al Comune di Casola nei termini, ossia il 15 novembre 2005, mentre ai controinteressati solo il successivo 24 novembre 2005, oltre dunque la scadenza di legge.

È, tuttavia, vero, altresì, come ha benben ho notato il primo giudice, che l’originaria ricorrente aveva tempestivamente affidato il ricorso all’ufficiale Giudiziario, avendolo consegnato proprio il 15 novembre 2005. Nei confronti dei controinteressati il mancato perfezionamento del relativo procedimento è stata conseguenza del fatto che gli stessi avessero indicato all’amministrazione, e la stessa avesse inserito nell’atto de quoa, un domicilio diverso da quello effettivamente avuto. In effetti, la difficoltà di reperimento dei controinteressati è dipesa da una scelta adottata dagli stessi in sede d’instaurazione del contatto amministrativo e dalla validazione di tale decisione da parte del Comune stesso.

Bene ha fatto quindi il giudice di prime cure a ritenere l’errore scusabile, non potendosi immaginare che la parte pubblica e quella privata controinteressata possano giovarsi dell’errore indotto ein altri indotto e da loro stesse provocato.

L’eccezione va quindi respinta.

4. - Con il primo motivo di doglianza, il Comune lamenta la mancata corretta interpretazione della disciplina vigente, in relazione al coordinamento tra normativa di tutela paesistica ex lege.

4.1. - La censura va respinta.

Le premesse di fatto per la ricostruzione del regime urbanistico nell’area in esame non sono contestate tra le parti, e possono essere sinteticamente riassunte.

Il Comune di Casola, già dichiarato di notevole interesse pubblico con D.M. del 28 marzo 1985, ricade nell’ambito di efficacia del Piano urbanistico territoriale e del Piano paesistico per la Penisola sorrentina e la Costiera amalfitana, di cui alla legge rRegionale Campania n°35/1987. Inoltre, il Comune stesso non è provvisto di piano regolatore adeguato al suddetto P.U.T., né dotato di Piano di recupero ai sensi e per gli effetti della legge 219/1981, atteso che risultarisultando unicamente l’adozione, con delibera consiliare n°32 del 7 novembre 2003, di un disciplinare per regolamentare le attività di ricostruzione degli edifici isolati e delle case sparse danneggiate dal sisma del 1980, la cui valenza pianificatoria è decisamente contestata dalla parte qui appellata.

Sulla scorta di tali elementi va valutata la legittimità del gravato permesso di costruire n°2/2005, nuovamente efficace, dopo l’iniziale ritiro, a seguito dell’atto di autotutela n°5837/2005 che ha annullato la precedente revoca.

La Sezione ritiene di condividere pienamente l’iter argomentativo svolto dal T.A.R. campano, che appare coerente con la gerarchia degli interessi pubblici rilevanti nella questione.

In primo luogo, sebbene in area siano astrattamente applicabili sia la legislazione speciale post terremoto, come puresia la normativa di tutela ambientale, ciò non importa un rapporto di pariteticità tra le stesse, atteso che i due ambiti fondano contesti applicativi di rango diverso, in quanto la disciplina emergenziale, tesa al recupero abitativo dell’esistente e alla ricostruzione a seguito dell’evento sismico, si inquadra, e non si sovrappone, alla disciplina di tutela del territorio, connotandone un’applicazione particolare, ma non necessariamente eccezionale. Pertanto, è del tutto lineare l’affermazione del T.A.R., quando evidenzia che “non è ravvisabile alcuna ragione valida per ritenere che l’opera di ricostruzione del patrimonio edilizio danneggiato dal sisma debba avvenire con sacrificio del valore ambientale, che, per giurisprudenza costante della Corte Costituzionale, è valore primario che a nessun altro può essere subordinato”.

Gli elementi testuali di tale diversa rilevanza degli interessi in gioco appaiono palesi dalla lettura dei testi normativi evocati dallo stesso giudice, vale a dire: l’art.5 della legge Regione Campania n. 35 del 1987, che introduce una specifica misura di salvaguardia, prodromica all’approvazione dei piani regolatori generali comunali ovvero all’adeguamento di quelli eventualmente vigenti alle prescrizioni del piano urbanistico territoriale (sentenza Corte Cost. 7 novembre 1994 n.379), con l’evidente fine di tutelare i valori paesistici; la funzione del P.U.T., indicata dagli artt.1 bis e quinquies della legge n.431 del 1985, come elemento presupposto necessario per l’edificazione nelle zone paesaggisticamente vincolate, che si connotanoconnotate in relazione all’art. 2 della stessa legge, i cui contenuti “costituiscono norme fondamentali di riforma economico sociale della Repubblica”; l’art. 56 della legge n.219 del 1981, il quale, sebbene nel contesto della legislazione emergenziale, continua a prevedere che la disciplina sulla ricostruzione post- terremoto debba raccordarsi con il sistema normativo posto a protezione dei valori paesaggistici con i quali interferisce, evidenziando un chiaro rapporto di subordinazione; e infine la circostanza che lo stesso art. 5 comma 8 della citata legge regionale della Campania n. 35 del 1987 preveda unicamente l’adozione e l’approvazione dei piani esecutivi e loro varianti, prima che sia approvato il piano regolatore generale ovvero della variante di adeguamento, approvazione che può avvenire solo in conformità allo strumento paesistico.

È quindi ampiamente condivisibile la lettura fatta dal T.A.R., che vede la dichiarazione di “preminente interesse nazionale dell’opera di ricostruzione e sviluppo delle zone delle Regioni Basilicata e Campania disastrate dal terremoto”, contenuta nell’art. 2 della legge n. 219 del 1991, come comunque inquadrata nel contesto generale degli interessi pubblici e dunque sottoposta a quelli di maggior impatto dimensionale e, conclusivamente, non idonea a fondare l’eccezionalità della disciplina e la sua capacità di resistere alla sopravvenuta normativa contenuta nella disciplina a tutela dell’ambiente.

Venendo Passando poi ddal piano dei principi a quello della concreta attuazione pianificatoria, la soluzione normativa, data dall’art. 5 “Norme di salvaguardia” della già citata legge Regione Campania n. 35 del 27 giugno 1987, recante il “Piano urbanistico territoriale dell' area sorrentino – amalfitana”, è quella di imporre che gli strumenti urbanistici, siano anche settoriali ed attuativi, debbano essere conformi al P.U.T., e che tale conformità debba essere valutata in sede di approvazione. La norma non richiama, e quindi esclude, l’applicabilità della fattispecie di cui al comma 15 dell’art. 28 della legge 219 del 1981, ossia la diretta assentibilità di interventi ricostruttivi nel caso di edifici isolati o di case sparse da ritenersi, pertanto, implicitamente esclusa dalla porta operativa della suddetta disposizione regionale, in quanto non necessitanti di uno strumento pianificatorio a monte.

Se è, quindi, questo il contesto disciplinare operante, va confermata la lettura data dal giudice di prime cure, cheil quale, evidenziata l’assenza di alcuna pianificazione conforme alla normativa paesistica regionale, ha escluso che nel territorio del Comune di Casola di Napoli potessero aversi interventi edilizi, ove presupponentiche, per la loro esecuzione, presupponevano il previo rilascio della concessione edilizia.

5. - Con il secondo motivo di diritto, il Comune appellante lamenta l’erroneità della sentenza nella parte in cui non avrebbe riconosciuto la possibilità che la delibera consiliare n° 32 del 7 novembre 2003 avrebbe avuto l’efficacia di uno come strumento urbanistico, rendendo quindi legittimo l’intervento edilizio.

5.1. - La censura non ha pregio.

L’evocato provvedimento, ossia la delibera consiliare n°32 del 7 novembre 2003, che consente, in attesa dell’esecutività del piano di recupero, i lavori di ricostruzione di edifici isolati e case sparse, consentendo permettendo variazioni lineari delle dimensioni che definiscono l’impianto planimetrico preesistente, la traslazione della sagoma del fabbricato, la realizzazione di sottotetti, locali per impianti tecnici, cantine e garages, oltre balconi e terrazze anche non preesistenti, non ha natura di strumento pianificatorio..

Come evidenziato sopra, con un’evidenza ricostruttiva fondata sulla costruzione gerarchica del rapporto tra gli interessi, la disciplina eccezionale di cui all’art. 28 comma 15 della legge n. 219 del 1981 si giustifica perché autorizza interventi di riparazione e ricostruzione che non necessitano non necessitanti di una previa pianificazione a monte. Al di fuori di tale contesto (e, come si vedrà, l’intervento realizzato non può essere considerato di mera riparazione o ricostruzione), vige la norma di divieto di cui all’art. 5 della legge regionale della Campania 35 del 1987, per cui gli interventi di trasformazione del territorio soggetti a concessione devono passare tramite l’adozione di strumenti urbanistici adeguati al P.U.T..

6. - Con il terzo motivo di censura, viene lamentato come l’intervento ammesso sia del tutto conforme all’area di sedime, permettendo quindi di ricondurre il manufatto al concetto di ristrutturazione edilizia.

6.1. - L’argomento è infondato.

Come evidenziato dal T.A.R. e non contestabile dalla documentazione agli atti, l’edificio in esame ha una tipologia costruttiva profondamente diversa da quella preesistente, con variazioni e traslazioni delle originarie sagome, realizzazione ex novo di una cantinola al piano interrato e di locali box, oltre ad un sottotetto termico in aggiunta ai due piani terra già esistenti.

Si tratta quindi di un intervento che, quand’anche fosse inquadrabile nella nozione di ristrutturazione edilizia di tipo forte, avrebbe avuto comunque bisogno di un titolo edilizio, evenienza non possibile stante l’accertata carenza dello strumento urbanistico conforme alla strumentazione paesistica.

7. - Sulla scorta di tali ragioni, l’appello iscritto al n. 6060 del 2006 proposto dal Comune di Casola di Napoli deve essere integralmente respinto.

8. - Va ora posto all’esame l’appello iscritto al n. 5367 del 2010, con cui Cristina Coppola lamenta l’elusione del giudicato derivante dalla sentenza appena gravata.

L’appello è fondato e merita accoglimento entro i termini di seguito precisati.

9. - Come evidenziato dalla narrazione in fatto, la questione sottoposta dall’appellante Cristina Coppola attiene alla successiva fase della vicenda, quella dove il Comune di Casola di Napoli, chiamato all’adempimento della sentenza del T.A.R. della Campania n. 7164 del 2006, sopra scrutinata (con la quale è stato disposto l'annullamento dei provvedimenti adottati dal responsabile dell'ufficio rticostruzione del Comune di Casola in data 13 settembre 2005 prot. n. 5837 con cui "revocando la revoca in data 16 giugno 2005 del permesso a costruire n. 2 rilasciato al sig. Vicedomini Alfonso nato a Casola di Napoli il 3.3.1934 ed ivi residente alla via Del Balzo 12 ed al sig. Luigi Iozzino nato a Casola di Napoli il 20.10.1950 ed ivi residente alla via Del Balzo 24", ha in effetti concesso la prescritta autorizzazione), ha rilasciato nuovamente il medesimo permesso a costruire di un immobile demolito a seguito degli eventi sismici del 1980, ubicato in Casola di Napoli alla via Del Balzo s.n.c. e riportato al NCT al fol. 2 map. 469, con adeguamento delle aree di parcheggio ai sensi della l. 122/89.

Il giudice di prime cure ha ritenuto il ricorso irricevibile, atteso che “nel permesso di costruire impugnato con ricorso introduttivo sono chiaramente indicati tutti gli atti che hanno scandito il percorso di approvazione del Piano di recupero, nonché l’approvazione del Piano di recupero stesso”, che “la ricorrente ha conosciuto l’esistenza di tale atto quando ha preso visione del permesso di costruire impugnato con ricorso introduttivo, con conseguente tardività del ricorso per motivi aggiunti avverso l’approvazione del Piano di recupero” e che “la tardività del ricorso per motivi aggiunti comporta l’infondatezza del ricorso introduttivo, atteso che – come si evince dalla sentenza Tar Campania, Napoli, II, 7164/2006 – il provvedimento di annullamento della revoca del permesso di costruire in precedenza rilasciato ai controinteressati era stato annullato proprio per la mancata approvazione di uno strumento urbanistico conforme al P.U.T.”.

9.1. - Ritiene la Sezione che l’argomentazione del T.A.R. vada integralmente riscritta, dovendosi capovolgere l’iter concettuale utilizzato e rovesciare gli strumenti ermeneutici impiegati.

Va in primo luogo osservato come il concetto di elusione del giudicato miri a stigmatizzare una vicenda particolarmente “maliziosasconveniente”, caratterizzata dall’aspetto defatigante e insidioso, che permette all’amministrazione, in illusorio falso ossequio alla decisione del giudice, di rivedere le proprie determinazione in senso asseritamente rispettoso, ma fondamentalmente contrario alla statuizione giurisdizionale. Si tratta di un fenomeno che ha attirato l’attenzione di questa Sezione, che lo ha spesso osservato in una pluralità di espressioni, evidenziando come, anche in chiave semantico - lessicale, l'elusione configuri un fenomeno diverso dall'aperta violazione del decisum, sussistendo venendo ad emersione in quei casi in cui l'amministrazione, pur formalmente provvedendo a dare esecuzione ai precetti rivenienti dal giudicato, tenda in realtà a perseguire l'obiettivo di aggirarli sul piano sostanziale, in modo da pervenire surrettiziamente al medesimo esito già ritenuto illegittimo. La giurisprudenza che si registraregistrabile in materia rileva che il vizio in questione sussiste laddove l'amministrazione, piuttosto che riesercitare la propria potestà discrezionale in conclamato contrasto con il contenuto precettivo del giudicato amministrativo, cerchi di realizzare il medesimo risultato con un'azione connotata da un manifesto sviamento di potere, mediante l'esercizio di una potestà pubblica formalmente diversa in palese carenza dei presupposti che la giustificano (in questi sensi, Consiglio di Stato sez. IV, 21 novembre 2012 n. 5903; id., 1 aprile 2011, n. 2070).

È quindi evidente, agli occhi di questo giudice, come il fenomeno in sé si caratterizzi dal punto di vista sostanziale, ossia in relazione al risultato raggiunto, che èoggettivamente contrario al decisum (in una ottica vicina alle posizioni della Corte europea dei diritti dell’uomo, su cui vedi sentenza 18 novembre 2004, Zazanis c. Grecia, recentemente richiamata in Consiglio di Stato ad. plen., 15 gennaio 2013 n. 2), più che dal punto di vista formale dell’illegittimità dei singoli atti che sostanziano l’elusione. In effetti, impiegando un concetto che la dottrina amministrativista ha mutuato da quella civilista, si assiste qui a una vera e propria operazione amministrativa, condotta dal soggetto pubblico che, con uno o più atti diversi, consegue un risultato vietato dall’ordinamento, secondo uno schema normativo che ha un suo prototipo disciplinare nella fattispecie regolata dall’art. 1344 codice civile.

Il che implica, in primis, una constatazione di tipo ontologico e, conseguentemente, un’immediata influenza sul modus agendi del giudicante.

Dal primo punto di vista, la ricostruzione del fenomeno elusivo passa attraverso la complessiva disamina dell’insieme di atti e comportamenti tenuti dall’amministrazione, per cui appare recessiva il criterio discretivo basato sulla legittimità del singolo provvedimento, dovendosi invece valutare l’insieme degli atti adottati, in relazione al risultato finalmente ottenuto e non potendosi neppure escludere, in via di principio, che il risultato elusivo consegua ad atti singolarmente non viziati. Tale logica appare direttamente derivata dalla previsione normativa data dall’art. 21 septies della legge n. 241 del 1990. Infatti, è in tale “ambiente” che il legislatore, inquadrando il fenomeno dell’elusione e della violazione del giudicato nel tema della nullità, e non dell’annullabilità, del provvedimento amministrativo, ne modifica i connotati essenziali, sottoponendolo ad una diversa disciplina e allontanandolo dal regime decadenziale vigente per impugnativa degli atti meramente illegittimi.

Dal secondo punto di vista, quello delle modalità di scrutinio giurisdizionale, proprio perché il regime disciplinare muta a seconda della tipologia di vizio di cui è affetto l’atto, trasmutandosi dalla mera illegittimità alla più grave e tranciante nullità, la prima fase dell’accertamento devoluto al giudice è quello dell’esatta qualificazione della patologia lamentata dalla parte, al fine di poter concretamente applicare il regime conseguente. Proprio perché tale accertamento avviene in una fase di “azzardo” conoscitivo, l’applicazione immediata del meccanismo dell’irrecivibilità si dimostra una vera fallacia, atteso che esso applica una norma valevole generalmente per i casi di vizi di illegittimità ad una fattispecie in cui non è ancora accertato quale sia la disciplina invocabile.

In concreto, la decisione del T.A.R. è del tutto errata. E ciò non solo perché, con il capovolgimento argomentativo appena vagliato, prima ancora di considerare l’esistenza o meno della vantata elusione del giudicato, ha applicato il termine decadenziale e ritenuto irricevibile il ricorso, ma soprattutto perché ha disatteso le esigenze di efficienza della giustizia e di garanzia delle parti sottese alla grave sanzione della nullità prevista per i casi in questione.

9.2. - Superata la fase rescindente e ai fini della qualificazione in concreto del comportamento del Comune, occorre sottolineare come, alla luce degli elementi derivanti dalla sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione seconda, n. 7164 del 23 giugno 2006, il nuovo rilascio del titolo edilizio sia palesemente contrario al contenuto della decisione.

Qui, infatti, il giudice di prime cure, con argomentazione condivisa dalla Sezione, come sopra visto, ha affermato come la normativa emergenziale per la ricostruzione post terremoto in Campania non potesse essere utilizzata per permettere interventi ricostruttivi non compatibili con l’assetto di tutela paesistico delineato dalla legge regionale.

Invece, nel caso in specie, è stato utilizzato espressamente lo stesso strumento, peraltro sulla base di un procedimento amministrativo viziato quanto meno per perplessità.

Infatti, nel caso in esame, la detta compatibilità è stata data ottenuta sulla basein vista dell’adottato il Piano di recupero (dichiarato conforme al P.U.T. sulla base di un provvedimento del 18 ottobre 2005), per cui, come afferma il T.A.R. “l’impugnativa di quest’ultimo atto era indispensabile per ottenere l’annullamento del permesso di costruire n. 1/2008, non potendosi negare che l’approvazione del predetto Piano costituisce un elemento nuovo rispetto al rilascio del permesso di costruire n. 2 del 13.04.05, ciò che esclude la configurabilità del vizio di violazione o elusione del giudicato (ciò prescindendo dalla complessa questione sulla configurabilità di tale vizio qualora, come nel caso di specie, il giudicato non si sia ancora formato e la sentenza sia semplicemente esecutiva)”.

Osserva la Sezione che il provvedimento di dichiarazione di conformità al P.U.T. del piano di recupero (e ponendo in disparte tutte le osservazioni della parte appellante che evidenzia come tale atto, sebbene anteriore, non sia stato mai depositato nell’ambito del processo culminato con la sentenza n. 7164 del 2006) appare quanto mai perplesso, atteso che non è dato cogliere quale sia il potere concreto esercitato.

Infatti, secondo la ricostruzione operata dalla difesa, il piano di recupero è stato dichiarato conforme al P.U.T. (autorizzando quindi il rilascio dei titoli edilizia) sulla base di una indicazione della Ggiunta regionale, la quale, esplicitamente chiamata a pronunciarsi sulla “giusta applicazione dell’art. 1 della L.R. 38/1994”, ha affermato che tale potestà era attribuita al Comune. Va peraltro evidenziato che il citato art. 1, di cui si pretende l’applicazione, lungi dall’esprimersi in merito alla conformità dei piani attuativi al P.U.T., afferma che “La verifica della conformità al Piano urbanistico territoriale degli interventi di cui alle lettere a) e d) del secondo comma e di cui al terzo comma è invece delegata al Sindaco.” Come si vede, non si parla di conformità di piani, ma di conformità di singoli interventi che deve essere attestata dal Comune, contrariamente a quanto è avvenuto nel caso in specie.

In merito invece all’attività pianificatoria, va evidenziato che l’art. 34 comma 14 del Decreto legislativo 30 marzo 1990, n. 76 “Testo unico delle leggi per gli interventi nei territori della Campania, Basilicata, Puglia e Calabria colpiti dagli eventi sismici del novembre 1980, del febbraio 1981 e del marzo 1982” prevede: “I piani esecutivi coerenti con lo strumento urbanistico vigente o che disciplinano interventi di ristrutturazione anche urbanistica senza alcuna maggiorazione della volumetria preesistente, diventano efficaci con l'approvazione della deliberazione ai sensi dell'articolo 59 della legge 10 aprile 1953, n. 62, e dell'approvazione è dato attestato dal sindaco con apposito decreto affisso per 15 giorni all'albo comunale”. Ne deriva che il procedimento agevolato di formazione del piano esecutivo, dove l’approvazione si ha nella forma semplificata ora vista, può aver luogo nei soli casi di coerenza con lo strumento urbanistico vigente o nel caso preveda interventi di ristrutturazione senza aumento di volumetria. Entrambi i presupposti sono, però, smentiti dalle osservazioni svolte in precedenza, visto che non è contestato che il Comune sia sprovvisto di uno strumento urbanistico pianificatorio generale (e non se ne parla nemmeno nella relazione istruttoria sul piano di recupero del 16 ottobre 2005) e che l’intervento ammesso e qui contestato evidenziava modificazione strutturali di tipo planovolumetrico.

Per cui, il provvedimento de quoa appare, con una osservazione in via incidentale valevole ai fini della qualificazione dell’azione del Comune come elusiva del giudicato, illegittimo, quanto meno sotto forma di qualificazione del potere esercitato.

9.3. - In concreto, il Comune di Casola di Napoli, si è avvalso degli strumenti della ricostruzione emergenziale post- terremoto per superare i vincoli imposti dalla disciplina di tutela del paesaggio, fondando la pretesa di conformità del proprio comportamento su un provvedimento perplesso dal punto di vista del potere esercitato e, in pratica, violando i contenuti della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione seconda, n. 7164 del 23 giugno 2006. La disamina della fattispecie evidenzia quindi ragioni sostanziali (l’aggiramento del contenuto decisorio della sentenza del 2006) e ragioni formali (l’utilizzo di una procedura perplessa anche sotto il profilo della legittimità) che rendono palese l’esistenza del vizio vantato dall’appellante.

Si è di fronte qui ad una patente elusione del giudicato, per cui le argomentazioni del giudice di prime cure, sulla irricevibilità del ricorso, appaiono inconferenti, trattandosi di un vizio sottoposto al regime della nullità e quindi non soggetto al termine decadenziale previsto per l’impugnativa degli atti illegittimi. Deve invece dichiararsi la nullità degli atti gravati, in quanto configuranti la patologia di cui all’art. 21 septies della legge n. 241 del 1990.

10. - L’accertata illegittimità del comportamento amministrativo non porta tuttavia all’accoglimento della pretesa risarcitoria, atteso che la parte privata appellante non ha evidenziato alcun argomento a fondamento della propria pretesa. Proprio la carenza di elementi di sostegno esclude anche la possibilità di una condanna in forma generica (di cui peraltro la giurisprudenza esclude la compatibilità con il processo amministrativo:, da ultimo Consiglio di Stato, sez. VI, settembre 2009 n. 5266; id., 4 aprile 2011 n. 2102), atteso che tale provvedimento si ha “quando è già accertata la sussistenza di un diritto, ma è ancora controversa la quantità della prestazione dovuta”, mentre nel caso in esame manca proprio la prova del danno.

11. - Conclusivamente, l’appello del Comune di Casola di Napoli va respinto, mentre deve essere accolto, nei limiti sopra evidenziati, quello proposto da Cristina Coppola. Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, così provvede:

1. dDispone la riunione degli appelli n. 9060 del 2006 e n. 5367 del 2010;

2. rRespinge l’appello n. 9060 del 2006;

3. aAccoglie l’appello n. 5367 del 2010 e, per l’effetto, in riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione settima, n. 2090 del 12 aprile 2009, accoglie il ricorso di primo grado;

4. cCondanna il Comune di Casola di Napoli a rifondere a Cristina Coppola le spese di giudizio, che liquida in €. 10.000,00 (euro diecimila, comprensivi di spese, diritti di procuratore e onorari di avvocato) oltre I.V.A., C.N.A.P. e rimborso spese generali, come per legge.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 19 marzo 2013, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta - con la partecipazione dei signori:

Paolo Numerico, Presidente

Diego Sabatino, Consigliere, Estensore

Andrea Migliozzi, Consigliere

Fulvio Rocco, Consigliere

Massimiliano Noccelli, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 13/06/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)