“LA RESPONSABILITA’  AMMINISTRATIVO- CONTABILE  NELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI”
di:
ROSA FRANCAVIGLIA
SOSTITUTO PROCURATORE GENERALE  PRESSO LA PROCURA REGIONALE  DELLA CORTE DEI CONTI - ROMA
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·        LA RESPONSABILITA’ AMMINISTRATIVO - CONTABILE

 

Non vi è dubbio che nell’espletamento di ogni attività lavorativa pubblica si pongano in essere atti e comportamenti produttivi di effetti giuridici con risvolti spesso di natura economica.

L’adozione di tali atti avviene consapevolmente da parte del dipendente con la conseguenza che egli ne diventa pienamente responsabile per le conseguenze da essi derivanti.

Tutto ciò premesso, si vuole precisare che con l’espressione responsabilità amministrativo-contabile ci si riferisce alla responsabilità a contenuto patrimoniale di amministratori o dipendenti pubblici per i danni causati all’ente nell’ambito o in occasione del rapporto d’ufficio.

L’accertamento della predetta responsabilità comporta la condanna al risarcimento del danno a favore dell’amministrazione danneggiata.

A tal proposito è utile specificare quale è la differenza tra la responsabilità amministrativa e la responsabilità civile dei funzionari.

La distinzione è abbastanza semplice.

Se un funzionario o impiegato arreca danno ad un terzo estraneo alla pubblica amministrazione, la nostra Costituzione prevede (art. 28) che, sia il funzionario che la stessa amministrazione, insieme, debbano risarcire il terzo del pregiudizio subito e ciò in virtù del principio che la pubblica amministrazione debba sempre rispondere per i danni arrecati dai propri agenti anche a titolo di colpa lieve.

La responsabilità civile tutela, quindi, la posizione del terzo contro la p.a.

Al contrario, la responsabilità amministrativa tutela la stessa pubblica amministrazione nei confronti dei danni che le arreca il funzionario o l’impiegato all’interno del rapporto d’ufficio, obbligando il funzionario a risarcire il danno arrecato all’ente a causa della sua condotta. Ma ciò esige la soglia minima della colpa grave ossia si risponde a titolo di dolo o di colpa grave ma non di mera colpa ( lievissima – lieve o media ).

Con riferimento, invece, al rapporto tra responsabilità amministrativa e responsabilità penale dei funzionari, bisogna tenere presente che la responsabilità penale presuppone l’accertamento di un fatto costituente reato al fine della irrogazione di una pena.

Poiché ogni fattispecie incriminatrice è diversa dall’altra, vi saranno dei casi in cui il reato presuppone anche un danno patrimoniale (esempio tipico: l’appropriazione di denaro o beni della p.a.), altri da cui ne prescinde e così via. In altri termini, non sempre i fatti che possono dar luogo a responsabilità penale coincidono con quelli che possono dare luogo alla responsabilità amministrativa. In ogni caso, anche ove i fatti fossero coincidenti, il giudizio penale e quello di responsabilità amministrativa sono autonomi e separati, non sussistendo una prevalenza del giudizio penale sugli altri giudizi.

Per capire quale sia lo scopo o funzione della responsabilità amministrativa occorre valutare il sistema delle responsabilità dei pubblici funzionari e impiegati pubblici nel suo complesso.

Accanto alla responsabilità penale (che punisce i comportamenti più gravi) ed alla responsabilità civile (obbligo del risarcimento del danno) preordinata alla tutela dei terzi danneggiati, l’ordinamento ha previsto una forma particolare di responsabilità per reagire ai comportamenti illeciti produttivi di danno nei confronti della collettività, attribuendo l’azione ad un organo terzo e neutrale estraneo all’amministrazione (il pubblico ministero contabile o requirente o parte pubblica che è titolare dell’ esercizio dell’ azione erariale di responsabilità).

Lo scopo della responsabilità amministrativo-patrimoniale è, quindi, quello di prevenire comportamenti illeciti (stante la minaccia della sanzione) ( funzione di deterrenza ) e reprimerli ove si siano verificati ( funzione sanzionatoria ), condannando i responsabili, sulla base delle particolari regole del giudizio di responsabilità, a risarcire di persona il danno provocato. Da qui il carattere misto di deterrenza e sanzionatorio di detta responsabilità; di converso quella contabile è tipicamente restitutoria.

Relativamente ai soggetti che possono essere chiamati a rispondere a titolo di responsabilità amministrativa, giova ricordare che la Corte dei Conti giudica sulla responsabilità di tutti gli amministratori, dipendenti pubblici e soggetti che siano legati alla p.a. da un rapporto d’impiego contrattualizzato o meno che sia ovvero di servizio ovvero anche nelle ipotesi di maneggio di pubblico denaro.

Non solo quindi gli impiegati pubblici, ma anche i titolari di incarichi elettivi (gli organi politici di derivazione elettiva - ad esempio: sindaco – consiglieri comunali, provinciali e regionali) od onorari, e i c.d. funzionari di fatto, cioè quelli che svolgono di fatto funzioni pubbliche pur non avendo ricevuto alcuna investitura formale.

La giurisprudenza contabile, conforme quella della Corte di Cassazione, ha ritenuto sottoposti alla propria giurisdizione anche soggetti estranei alla p.a. ma inseriti in modo stabile nel proprio apparato organizzativo (ad esempio: i direttori dei lavori – i collaudatori- i progettisti). Anche le persone giuridiche possono essere sottoposte alla giurisdizione della Corte.

Ancora: la Corte di Cassazione ha riconosciuto la giurisdizione della Corte dei conti anche nei confronti degli amministratori degli enti pubblici economici (SS.UU. Cassazione civile, ordinanza n. 19667 del 22 dicembre 2003) e delle s.p.a. partecipate in modo totalitario o prevalente da pubblici poteri (Sentenza n. 3899 del 26 febbraio 2004).

In merito ai presupposti della responsabilità amministrativa, affinché un soggetto possa essere chiamato a rispondere in sede di responsabilità amministrativa occorre che lo stesso, con una condotta dolosa o gravemente colposa collegata o inerente al rapporto esistente con l’amministrazione, abbia causato un danno pubblico risarcibile che si ponga come conseguenza diretta e immediata di detta condotta.

La responsabilità è personale e non si trasferisce agli eredi se non in casi eccezionali (per dolo ed arricchimento illecito del dante causa).

Ma cosa si intende per colpa grave?

Il concetto di gravità della colpa è relativo, nel senso che la stessa va valutata in relazione alla diversa natura delle funzioni, o mansioni, svolte dall’agente pubblico e alla specificità del contesto organizzativo.

La colpa è grave quando si discosta notevolmente dallo standard normale richiesto dal tipo di prestazione svolta.

Nel valutare la colpa il giudice deve porsi nella stessa situazione in cui si trovava il funzionario quando ha agito (c.d. giudizio ex ante di prognosi postuma in concreto). Inoltre, al giudice non è consentito giudicare una scelta discrezionale riservata all’amministrazione laddove si integrino i presupposti dell’ esimente della insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali.

La limitazione della responsabilità alle ipotesi di dolo e colpa grave, introdotta con generalità dalla legge 20 dicembre 1996 n. 639, che ha riformato la disciplina della responsabilità amministrativa, non deve indurre a ritenere che vi sia una particolare tolleranza nei confronti dei comportamenti scorretti e negligenti dei dipendenti pubblici. Il legislatore ha voluto, tenuto conto della complessità dell’azione amministrativa, limitare la responsabilità alle fattispecie più gravi addossando in parte sulla stessa amministrazione il rischio derivante da eventuali danni ad opera dei propri dipendenti.

Circa i casi in cui il funzionario può evitare la responsabilità, si evidenzia che, in linea generale, il funzionario può invocare a propria discolpa l’errore professionale scusabile (complessità di una normativa, oscillanti orientamenti della giurisprudenza… etc.) oppure una irrazionale situazione organizzativa addebitabile all’amministrazione.

Nel caso di organi collegiali è responsabile solo chi ha espresso voto favorevole alla deliberazione o chi si è astenuto senza motivare l’ astensione con dei temperamenti.

Per quel che riguarda i titolari di organi politici, gli stessi non rispondono se hanno approvato in buona fede atti di uffici tecnici o amministrativi ( cosiddetta esimente politica della buona fede degli organi elettivi o politici ).

Ma come si individua il danno da risarcire?

Il danno pubblico risarcibile è un danno patrimoniale nel senso che presuppone un pregiudizio economico inteso come perdita, distruzione, sottrazione di beni o valori della p.a., ovvero come mancato guadagno.

Il concetto di danno, inoltre, va rapportato al concetto di bene pubblico tutelato.

Anche il pregiudizio di un bene immateriale (ad esempio l’immagine e il prestigio dell’amministrazione) è un danno risarcibile.

Secondo le regole generali, per essere risarcibile il danno deve essere certo, attuale ed effettivo ma non definitivo.

Nel quantificare il danno il giudice deve, comunque, tenere conto dei vantaggi conseguiti dalla collettività amministrata in relazione al comportamento degli amministratori o dipendenti sottoposti al giudizio di responsabilità (in altri termini, se dalla condotta illecita del funzionario è derivata anche un’utilità, di ciò bisogna tener conto per determinare l’ammontare del danno) ( utile versione o compensatio lucri cum damno ).

Occorrono perché si integri illecito contabile: elemento psicologico ( dolo o colpa grave )- nesso causale – condotta attiva od omissiva – evento di danno pubblico. In ipotesi di illecito in concorso vige il principio per cui la responsabilità parziaria pro quota ossia per colpa grave è la regola, mentre quella solidale per dolo è l’ eccezione.

Quindi, nel caso in cui vi siano più responsabili, non valgono le regole civili della solidarietà, per le quali ognuno dei responsabili risponde per l’intero danno, ma ciascuno risponde solo della propria quota di danno, salvo il caso di dolo.

La responsabilità solidale ovviamente è rafforzativa dell’ obbligazione risarcitoria.

Nell’ ambito dei rapporti interni chi paga può esperire azione di regresso nei confronti dei concorrenti. E’ evidente difatti che ancorché l’ illecito sia doloso si possa ricostruire l’ apporto causale di ciascuno in misura uguale o differenziata alla verificazione dell’ evento di danno.

Con particolare riguardo, poi, alla liquidazione del nocumento e cioè alla sua effettiva determinazione, si rammenta che sin dalle più antiche leggi di contabilità era previsto il potere della Corte di ridurre l’addebito dei pubblici ufficiali stipendiati.

Anche la legge di contabilità di Stato del 1923 (regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440) stabilisce che la Corte dei Conti “valutate le singole responsabilità può porre a carico dei responsabili tutto o parte del danno accertato o del valore perduto”.

Il potere riduttivo dell’ addebito da porre a carico del responsabile (o dei responsabili) è sopravvissuto nel tempo, anche in seguito alla riforma del 1996, e consente al giudice di ridurre l’entità del risarcimento in relazione a vari fattori quali il grado di gravità della colpa e altre circostanze (precedenti di servizio del dipendente etc...).

 

·        CARATTERI DELLA GIURISDIZIONE DELLA CORTE DEI CONTI E RAPPORTO CON LA GIURISDIZIONE PENALE

Occorre prendere le mosse dall’ art. 103 Cost, II comma che recita testualmente: “La Corte dei Conti ha giurisdizione nelle materie di Contabilità Pubblica e nelle altre specificate dalla Legge”.

Per Contabilità Pubblica si intende quel complesso di principi e norme che regolano l’attività gestoria dello Stato e degli altri enti pubblici.

Secondo autorevole dottrina, elementi caratterizzanti la giurisdizione contabile sono: pienezza, esclusività, necessarietà, inquisitorietà, obbligatorietà della presenza del Pubblico Ministero nonchè ampia discrezionalità del giudice nel determinare la misura del danno anche non patrimoniale.

Per quanto concerne la prescrizione dell’azione erariale, ai sensi dell’art. 1, co. 2, della l. 14 gennaio 1994, n. 20, come sostituito dall'art. 3, d.l. 23 ottobre 1996, n. 543, conv. in l. 20 dicembre 1996, n. 63, il termine di prescrizione deve essere computato “dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso” mentre rileva la “data della sua scoperta” in caso di “occultamento doloso del danno”.

Più precisamente, il “dies a quo” per il computo del decorso prescrizionale va individuato nel momento in cui diviene perfetta la fattispecie dannosa nei suoi elementi costitutivi dell’azione-omissione e dell’effetto lesivo di questa nella sua intera riconoscibilità; qualora, pertanto, l’effetto lesivo del patrimonio pubblico si verifichi in un momento successivo rispetto a quello del compimento dell’azione-omissione, è da questo secondo momento che inizia a decorrere la prescrizione (Corte dei Conti, Sez. Lazio, n. 2130/06).

La locuzione “fatto dannoso” interpreta il fatto quindi come comprensivo sia dell'evento dannoso e sia della esteriorizzazione o conoscibilità obiettiva dello stesso, in quanto la decorrenza della prescrizione va differita sino alla manifestazione dell'evento nella sfera del danneggiato, momento in cui si definisce la possibilità e l'interesse a far valere il diritto al risarcimento del danno (Corte dei Conti, Sezione I, 15 settembre 2005, n. 297; id., Sezione III, 14 febbraio 2005, n. 76); in particolare, la giurisprudenza ha precisato che la conoscenza del fatto coincide con la “oggettiva conoscibilità dei fatti da intendersi come possibilità giuridica della loro conoscenza e non nella concreta conoscenza degli stessi” (Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale Regione Basilicata, 19 febbraio 2004, n. 42; id., Sezione I, 19 giugno 2003, n. 214/A), attribuendo rilievo, comunque, al momento in cui l'A.G.O. dispone il rinvio a giudizio penale per fatti coincidenti con gli illeciti contabili (Corte dei Conti, Sezione I, 13 ottobre 2004, n. 348/A).

Sul punto si rammenta che l’art. 129, co. 3, disp. att. c.p.p. così dispone: “Quando esercita l'azione penale per un reato che ha cagionato un danno per l'erario, il pubblico ministero informa il procuratore generale presso la Corte dei Conti ( rectius: regionale), dando notizia della imputazione.”; la giurisprudenza prevalente considera irrilevante la comunicazione ex art. 129 disp.att.c.p.p. (Corte dei Conti, Sezione III, 10 giugno 2004, n. 311/A) ai fini del decorso della prescrizione; la circostanza del mancato ricevimento della prescritta comunicazione da parte della Procura regionale - o, in altra prospettiva, la violazione dello specifico obbligo da parte del P.M. penale - è un semplice dato di fatto, non idoneo ad interrompere il termine prescrizionale stabilito dalla legge a tutela dei diritti delle parti coinvolte nel processo contabile, diritti che non possono essere sacrificati a causa di disguidi interni alle istituzioni giudiziarie (Corte dei Conti, Sez. Lombardia, 12 dicembre 2005, n. 728; contra Corte dei Conti, Sez. Umbria, n. 418/2004).

Peraltro, si sottolinea che l’omogeneizzazione del termine di prescrizione ad anni cinque è stato previsto dall’art. 2, della l. 19 gennaio 1994, n. 20, che è norma successiva all’entrata in vigore del Codice di procedura penale varato nel 1988; la successione delle norme conferma l’intento del legislatore di assicurare alle Procure contabili la tempestiva conoscenza delle notizie di danno e di garantire, allo stesso tempo, l’autonomia dell’azione di responsabilità da quella penale, ormai pacifica dopo l’abrogazione della pregiudiziale penale.

Per quanto concerne gli aspetti strictu sensu processuali, sulla base della vigente normativa, si afferma la piena autonomia del giudizio contabile rispetto a quello penale; va pertanto escluso che l’accertamento del fatto dedotto nel giudizio erariale dipenda dalla decisione definitiva di quello acclarato in sede penale che si pone come vincolante per il primo. La c.d. pregiudizialità da cognizione di reato che si estendeva anche alla materia contabile era infatti sancita dal vecchio art. 3 c.p.p, che prevedeva la sospensione del giudizio civile fino alla sentenza istruttoria di proscioglimento o alla sentenza irrevocabile o decreto penale irrevocabile, ma anche in costanza di tale regime, gran parte dei giudici contabili applicava l’istituto sospensorio in forma discrezionale sulla base del principio di autonomia dei giudizi. L’art. 652 c.p.p. ha ridefinito il rapporto tra giudizio erariale e processo penale non più in termini di pregiudizialità necessaria ma di separatezza e la questione della sospensione del giudizio di responsabilità amministrativa è senz’altro riconducibile alla disciplina contenuta nell’art. 295 c.p.c.; pur tuttavia, ai sensi dell’art. 337, II comma, c.p.c., si ammette che al primo giudizio possa applicarsi la sospensione facoltativa se ritenuta utile per la individuazione dei fatti e la raccolta di prove.; la dottrina (ex plurimis Pelino-Santoro) ritiene che la sospensione si renda indispensabile soprattutto quando siano sub iudice il fatto materiale comune e la sussistenza dell’elemento psicologico del dolo specifico penalmente rilevante che eventualmente costituisca la base dell’azione di responsabilità intentata.

 Dall’acclarata autonomia dei due giudizi (penale ed erariale) discende altresì che per i giudici contabili i dati desumibili dal processo penale quali p. es. le dichiarazioni testimoniali, vengano in rilievo nel giudizio per responsabilità erariale non quali prove in senso tecnico, bensì quali elementi da valutare nel loro complesso e che in base all’art. 116 del c.p.c. concorrano alla formazione del libero convincimento del giudice, costituendo indizi gravi, precisi e concor­danti, tali da integrare la pre­sunzione semplice di cui agli artt. 2727 e 2729 c.c. (Corte dei Conti, Sez. Lombardia, sent. n. 199/2003 e Sez. Terza di Appello, sent. n. 75/2005).

 

·        DANNO ALL’IMMAGINE PUBBLICA

Con la sentenza n. 3227/2006, la Sezione Giurisdizionale Sicilia della Corte dei Conti ha ravvisato il requisito soggettivo della colpa grave nel comportamento di un dirigente di vertice dell’Amministrazione dell’Interno, condannato con sentenza penale irrevocabile per favoreggiamento ad appartenenti a sodalizio di tipo mafioso.

I giudici contabili hanno riscontrato che tale condotta ha determinato un danno all’immagine dell’ufficio del dirigente dell’Interno concretizzatosi in una diminuzione di potenzialità della capacità operativa dell’ente per distorta organizzazione dei pubblici poteri; di conseguenza, essi hanno condannato il convenuto al relativo risarcimento liquidato in via equitativa ex art. 1226 c.c..

Per quanto concerne il danno all’immagine, esso si qualifica come ipotesi di danno proprio della giurisprudenza contabile, da intendersi come pregiudizio da clamor fori o da strepitus fori ossia come lesione all’immagine ed al prestigio della Pubblica Amministrazione dimostrabile mediante specifici elementi idonei a comprovare l’effettivo avvenuto discredito della Pubblica Amministrazione in conseguenza della condotta posta in essere dal responsabile (Francaviglia, 2006).

La provenienza esclusivamente interna all’Amministrazione alla quale appartiene il soggetto agente della condotta lesiva dell’immagine e del prestigio dell’Amministrazione stessa evoca nell’ambito della responsabilità patrimoniale, la distinzione tra illeciti propri ed illeciti comuni, tipica della responsabilità penale; così come nell’illecito penale esistono reati che possono essere posti in essere solo dai dipendenti pubblici, allo stesso modo nella responsabilità patrimoniale esistono danni che possono essere realizzati solo da dipendenti e/o amministratori pubblici (Longavita, 2006).

I giudici della Corte dei Conti accogliendo la definizione data dalla giurisprudenza ordinaria, qualificano il danno all’immagine subito dall’amministrazione pubblica alla stregua di danno esistenziale quale “forzosa rinuncia allo svolgimento di attività non remunerative, fonte di compiacimento o benessere per il danneggiato, perdita non causata da una compromissione dell’integrità psico-fisica”.

“La lesione della possibilità di svolgere tali tipi di attività rappresenta un danno ingiusto ex art. 2043 c.c. e l’ingiustizia del danno ne determina necessariamente la risarcibilità “e “la violazione di questo diritto all’immagine, intesa come diritto al conseguimento, al mantenimento ed al riconoscimento della propria identità come persona giuridica pubblica è economicamente valutabile (Corte dei Conti, SS RR. Sent. n.10/2003).

A corollario di tale impostazione si pone l’individuazione degli interessi meritevoli di tutela che giustifichino il risarcimento del danno esistenziale: l’impostazione condivisa dalla Sezioni riunite ritiene risarcibili, a tale titolo, tutti i pregiudizi provocati da lesioni di diritti costituzionalmente protetti ai sensi dell’art. 2043 c.c; le tre figure di danno risarcibile sono quindi costituite da danno patrimoniale, dal danno morale e dal danno esistenziale, al cui interno sono individuabili le sottocategorie del danno biologico di natura psicofisica e le altre ipotesi risarcitorie diverse dalla tutela del diritto alla salute (Poto).

La copertura costituzionale del diritto della Pubblica Amministrazione alla tutela della propria immagine ed identità personale, è rappresentata dall’art. 2 Cost., che tutela le formazioni sociali, e dall’art. 97 Cost., che fissa i parametri di imparzialità e buon andamento dell’agire amministrativo (Zito, 2002) e il danno s’identifica nella mancata realizzazione della specifica finalità perseguita dalla norma di tutela e coincide con la sua violazione.

Più propriamente è il cosiddetto danno morale come conseguenza della lesione all’immagine che deriva da eventuali comportamenti delittuosi, essendo pacifico che anche una persona giuridica possa subire un danno non patrimoniale per pregiudizio alla funzionalità, al prestigio, alla reputazione ed all’immagine (Pelino Santoro, 2006).

Il punto differenziale di maggior rilievo tra il danno all’immagine di diritto comune, ex art. 10 c.c., ed il danno all’immagine della p.a., può individuarsi nella diversa direzione dell’attacco che perpetra la lesione: esterna al soggetto nel caso di lesione all’immagine comune, interna all’ente, nel caso di lesione dell’immagine pubblica (Corte dei Conti, sez. Umbria, 557/2000).

Ed invero, nell’un caso (attacco esterno), solitamente si lede l’immagine quale bene-valore identificativo dell’ente o di una sua qualità estrinseca, che sicuramente non minaccia l’esistenza stessa dell’ente medesimo; nell’altro caso (attacco interno), invece, si lede l’immagine quale bene-valore coessenziale all’esercizio concreto dei poteri e delle funzioni pubbliche che l’ordinamento assegna all’ente (Longavita, op. cit.).

D’altra parte grava sul dipendente pubblico il dovere di tutelare l’immagine pubblica dell’Amministrazione quale valore di etica pubblica così come oggettivizzato nei codici di comportamento dei pubblici dipendenti , previsti dall’art. 58-bis del d. lgs. 29/93 e s.i.m.. ed anche alla luce dei principi generali in materia di promozione di immagine della P.A. di cui alla L. 150/2000.

Inizialmente si riconduceva il danno morale nell’ampia nozione di diritto pubblico comprensivo anche delle lesioni di interessi pubblici in senso giuridico a carattere non strettamente patrimoniale di cui all’art. 2059 c.c. e non suscettibile direttamente di valutazione economica (Corte dei Conti, sez. I, sent. n. 55/94; Corte dei Conti, sez. II, sent. n.114/94).

Attualmente l’indirizzo prevalente tende a collocarlo in una nozione lata di danno patrimoniale inteso come pregiudizio suscettibile di valutazione economica, configurando il danno morale non con riferimento al ristoro delle sofferenze fisiche (pretium doloris), ma come conseguente alla grave perdita di prestigio, la quale, anche se non comporta una diminuzione patrimoniale diretta, è suscettibile di valutazione patrimoniale sotto il profilo della spesa necessaria al ripristino del bene giuridico leso.

In merito a quest’ultimo aspetto, dottrina autorevole (Perin) afferma che è innegabile che la spesa necessaria al ripristino dell’immagine pubblica non coincide necessariamente, ed anzi quasi mai coincide, con la spesa sostenuta per il ripristino dell’immagine stessa, esprimendo la prima un valore astratto e di stima delle risorse occorrenti per raggiungere gli standard di prestigio pubblico esistenti prima della lesione, e la seconda un valore reale e di contenuto di quanto già sborsato per recuperare il prestigio perso, senza tuttavia indicare la misura di tale recupero.

Il danno, in sostanza, consisterebbe nella lesione dei beni immateriali della reputazione e della estimazione dell’ente e concretamente inciderebbe in via immediata sul rapporto di affectio societatis, ovvero sulla fiducia che lega la cittadinanza agli amministratori eletti ed in via mediata sulla capacità di realizzazione dei fini istituzionali minando la base del buon funzionamento dell’istituzione (Corte dei Conti, sez. II, sent. n. 285/03).

Con riferimento a tale tipo di pregiudizio, la Cassazione ha riconosciuto la giurisdizione della Corte dei Conti, trattandosi di danno che, anche se non comporta una diminuzione patrimoniale diretta, è tuttavia suscettibile di una valutazione patrimoniale sotto il profilo della spesa necessaria per il ripristino del bene giuridico leso (C. Cass., S.U., sent. n. 17078/2003); la giurisdizione, però, presuppone che il fatto lesivo dell’immagine sia correlato al rapporto di servizio da intendersi anche in senso lato (Corte dei Conti, sez. Lombardia, sent. n. 249/05).

Circa l’eventuale rilevanza penale della componente fattuale, precedentemente la giurisdizione contabile rimaneva preclusa per danni conseguenti a reati commessi nell’ambito dell’esercizio di attività imprenditoriali degli enti pubblici economici (C. Cass., S.U., sent. n. 1193/2000).

Affinché sussista la lesione del prestigio occorre, inoltre, che i fatti penali abbiano avuto una risonanza ed eclatanza notevoli nell’opinione pubblica (Corte dei Conti, sez. Toscana, sent. n. 558/96); non occorre nemmeno che sia intervenuta una sentenza di condanna poiché è sufficiente che il fatto sia astrattamente previsto come reato come si desume dall’art. 198 c.p., secondo cui l’estinzione del reato e delle pene non comporta l’estinzione delle obbligazioni civili (C. Cass., sent. n. 11038/97); se però è intervenuta una sentenza di assoluzione, viene meno il presupposto cui gli artt. 2059 c.c. e 185 c.p.p. subordinano il risarcimento (Corte dei Conti, sez. I, sent. n. 221/a del 2002) in quanto l’assoluzione penale per gli stessi fatti esclude di per sé la sussistenza di un qualsiasi danno all’immagine anche in sede contabile (Corte dei Conti, sez. I, sent. n. 289/a del 2002); la prova, può desumersi anche da una sentenza di patteggiamento la quale pur non accertando la sussistenza del reato ne presuppone la commissione.

Parimenti, va chiarito che quando il danno all’immagine rappresenta un’appendice di una più complessa ipotesi di danno, non si pongono problemi sugli elementi che la compongono, ed in particolare su quello soggettivo; si viene a costruire cioè una sorta di illecito gestorio aggravato dall’evento (detrimento dell’immagine e del prestigio) che viene quindi oggettivamente addossato al responsabile senza ulteriori accertamenti (Sciascia, 2003).

Con riferimento ai profili che attengono all’an del danno all’immagine, e cioè all’individuazione della condotta gravemente offensiva del prestigio e della personalità pubblica che reca sempre con se una spesa necessaria al ripristino del bene giuridico leso, si può precisare che:

a)                          sul piano oggettivo, deve contraddistinguersi per una sua intrinseca capacità offensiva per le specifiche connotazioni fenomeniche e di fatto che la caratterizzano, sia essa sanzionata o meno penalmente;

b)                         sul piano soggettivo, deve essere sostenuta dal dolo, se non penale almeno contrattuale, in pratica la condotta tenuta deve essere tale da evidenziare che chi ha agito, con le modalità con cui ha agito, per il bene coinvolto e per il grado di lesione arrecato, aveva la coscienza e la volontà di ledere il dovere, gravante sul medesimo, di espletare le sue funzioni con disciplina ed onore ex art. 54 Cost.;

c)                          sul piano teleologico deve avere ad oggetto un ben-valore particolarmente sensibile ed espressivo dell’immagine pubblica, quale: la giustizia, la salute, l’ordine pubblico, la sicurezza, ecc.;

d)                         sul piano sociale, infine la condotta come tale deve procurare un certo allarme tra i consociati, e quindi, un cerco clamor, a prescindere dalle notizie che di essa ne abbiano dato gli organi di informazione.

Premettendo quindi che per i giudici contabili della precitata sentenza delle sezioni riunite il danno all’immagine deve essere individuato nell’ambito dei danni non patrimoniali come danno-evento e non come danno-conseguenza e che se la prova della lesione è in re ipsa è sempre necessaria la prova ulteriore dell’entità del danno, è con riferimento ai precedenti canoni che il giudice determina equitativamente ex art. 1226 c.c. il danno all’immagine procedendo all’applicazione congiunta e coordinata di tutti i citati criteri; a tal proposito, si sottolinea altresì che tali valutazioni discrezionali devono essere congruamente motivate tenendo conto di ulteriori riferimenti quali la collocazione del danneggiante in seno all’organizzazione amministrativa; la titolarità o meno di potere rappresentativo all’esterno, le dimensioni dell’ufficio di servizio, l’entità dell’indebito vantaggio conseguito ed altri ancora utili e necessari per contenere l’amplissimo potere incardinato a tal proposito dal giudicante contabile così come paventato dalle stesse sezioni riunite più volte summenzionate che, al fine di circoscrivere, affermano che detto danno è quantificabile sia rapportandolo alle spese già sostenute che a quelle da sostenere.

 
 
 
 

·        LA RESPONSABILITA’ DEI DIPENDENTI STATALI – QUADRO NORMATIVO

·                                            L’art. 28 della Costituzione recita:

I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti.

In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici.

Il secondo capoverso dell’articolo 28 della Costituzione estende la responsabilità personale dei dipendenti pubblici, allo Stato e agli Enti pubblici economici.

Tale norma ha lo scopo ben preciso di accordare alla pubblica amministrazione, l’imputazione di responsabilità, ovviamente solo civile; (in quanto sia la penale che l’amministrativa sono personali e quindi imputabili solo a persone fisiche), per il fatto compiuto dai propri collaboratori.

Questo tipo di responsabilità si dice diretta ovvero la P.A. risponde in quanto soggetto direttamente coinvolto nell’illecito civile e non per fatto altrui, come nelle imprese private la cui responsabilità è regolata dall’articolo 2049 c.c.

·                                            Art. 22 del Decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 - Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato.

L'impiegato che, nell'esercizio delle attribuzioni ad esso conferite dalle leggi o dai regolamenti, cagioni ad altri un danno ingiusto ai sensi dell'art. 23 è personalmente obbligato a risarcirlo.

L'azione di risarcimento nei suoi confronti può essere esercitata congiuntamente con l'azione diretta nei confronti dell'Amministrazione qualora, in base alle norme ed ai principi vigenti dell'ordinamento giuridico, sussista anche la responsabilità dello Stato.

L'amministrazione che abbia risarcito il terzo del danno cagionato dal dipendente si rivale agendo contro quest'ultimo a norma degli articoli 18 e 19.

 

·        IPOTESI DI ILLECITO ERARIALE IN AMBITO GIUDIZIARIO

Diverse ipotesi di responsabilità amministrativa sono ascrivibili a carico degli operatori della giustizia ordinaria, eventualmente estensibili alle altre (amministrativa, tributaria, ecc.).

Per esempio, si è ravvisata la responsabilità amministrativa del personale di cancelleria per il mancato versamento di assegni ricevuti in pagamento di sanzioni pecuniarie e rimborso di spese di giustizia (Corte dei Conti, Sez. Puglia, sent. n. 533/2002), per gli ammanchi di somme di cui abbia avuto il maneggio (Corte dei Conti, Sez. Sicilia, sent. n. 10/1993), per l’appropriazione di depositi giudiziari (Conti, Sez. Puglia, sent. n. 13/2003), per il negligente o mancato recupero di crediti iscritti a campione penale (Corte dei Conti, Sez. Sicilia, sent. n. 19/1993) ma si è esclusa la colpa grave per il danno da prescrizione degli stessi crediti per inefficienze operative antecedenti all’assunzione della carica (Corte dei Conti, Sez. Lazio, sent. n. 2149/1998) nonché per intervenuta amnistia (Corte dei Conti, Sez. II, sent. n. 13/1996); di recente, un dirigente di cancelleria è stato ritenuto responsabile dei ritardi nella procedura di dissequestro di beni con conseguente pagamento di indebiti compensi per la protratta custodia (Corte dei Conti, Sez. Trentino, sent. n. 57/2005).

Gli ufficiali giudiziari sono stati riconosciuti responsabili dalla Corte per il mancato versamento di bolli e tasse (Corte dei Conti, Sez. Sicilia, sent. n. 10/1993) e dei superi dei diritti percepiti (Corte dei Conti, Sez. Puglia, sent. n. 350/2001) nonché per il danno all’immagine derivante dalla divulgazione di atti giudiziari di cui erano a conoscenza in occasione del loro servizio (Corte dei Conti, Sez. Umbria, sent. n. 628/1998) e per danni ad amministrazioni terze conseguenti ad irregolari notifiche di avvisi di accertamento tributario (Corte dei Conti, Sez. Toscana, sent. n. 1050/1999).

Il curatore fallimentare non è soggetto alla responsabilità amministrativa in quanto la sua attività non è svolta per conto dell’amministrazione ma in posizione neutrale tra gli opposti interessi del fallito e della massa dei creditori (Corte dei Conti, Sez. I, sent. n. 196/A del 2000); quest’ultima posizione non appare del tutto condivisibile, tenuto conto che spesso in tale tipo di procedure sono coinvolte attività patrimoniali di matrice pubblica e il curatore ancorché privato professionista si pone in rapporto di ausiliarietà con il giudice (Corte dei Conti, Sez. Lombardia, sent. n. 733/2005).

 Con riferimento al C.T.U., si è rilevato peraltro che la qualità professionale del convenuto (C.T.U.) è ancor più significativa ai fini del riconoscimento del rapporto di servizio tra il professionista e l’ente danneggiato poiché, con la nomina da parte del giudice istruttore ai sensi degli artt. 191 ss. c.p.c., il consulente tecnico diventa ausiliario del giudice e, come tale, ne condivide taluni obblighi: egli assume l’incarico, salvo astensione per giusti motivi o ricusazione su richiesta di parte (art. 63 c.p.c.), presta giuramento, dichiarando “di adempiere le funzioni affidategli al solo scopo di fare conoscere al giudice la verità” (art. 193 c.p.c.) e soggiace al regime di responsabilità stabilito per i periti (art. 64 c.p.c.). 

Tali considerazioni confortano la possibilità di intravedere ulteriori forme di responsabilità amministrativa a carico di altri soggetti qualificati quali amministratori giudiziari e via dicendo.

Appare chiaro quindi come la complessa macchina giudiziaria generi una serie di vicende per le quali vanno a profilarsi differenti gradi di responsabilità amministrativa a carico dei soggetti giuridici coinvolti e la cui molteplicità andrà col tempo ad arricchirsi in considerazione sia delle novità legislative intervenute in materia di riforma dell’ordinamento giudiziario – si veda ad esempio il D. Lgs. 240/2006 che attribuisce in via esclusiva la responsabilità della gestione delle risorse umane e materiali degli uffici giudiziari ai dirigenti amministrativi preposti - che delle attuali tendenze di carattere organizzativo volte ad aprire sempre più le dinamiche processuali ad operatori “esterni” - è di questi giorni argomento di discussione e trattativa con le parti sindacali la proposta dell’Amministrazione della giustizia di istituire l’ufficio del processo, da intendersi quale organo di staff del magistrato, che prevede anche il coinvolgimento dei praticanti avvocati quali tecnici di supporto al magistrato medesimo nell’esercizio delle attività giurisdizionali, come la predisposizione di provvedimenti o la ricerca di

 

2.                              precedenti giurisprudenziali

 

·        LA RESPONSABILITA’ DEI MAGISTRATI

Giova ricordare che il personale di magistratura gode di un regime particolare sia in ordine alla responsabilità civile verso i terzi, sia riguardo la responsabilità amministrativa per i danni indiretti.

La guarentigia della responsabilità amministrativa, tuttavia, copre solo la funzione giurisdizionale e non anche quella burocratico-amministrativa, che viene in evidenza nella preposizione alla struttura organizzativa o ad un centro di spesa.

Secondo la giurisprudenza contabile, infatti, il magistrato, nel conferire gli incarichi e nel sottoscrivere i relativi provvedimenti di liquidazione dei compensi, espleta in forma discrezionale un’attività di natura gestionale amministrativa e come tale idonea ad incidere sulle pubbliche finanze.

L’indipendenza della funzione giudiziaria non è ostativa ex se alla possibilità che la legge disciplini casi e forme di responsabilità, sia pure in regime differenziato, essendo stato ammesso che i magistrati, per i danni conseguenti ad atti giudiziari quand’anche strumentali all’esercizio della funzione giurisdizionale, possano essere assoggettati alla giurisdizione della Corte dei Conti (Corte Cost., sent. n. 385/1996); entro tale ambito è stato peraltro espressamente previsto che i magistrati, unitamente ai funzionari amministrativi, siano responsabili delle liquidazioni e dei pagamenti per spese di giustizia e siano tenuti al risarcimento del danno subito dall’erario a causa di errori ed irregolarità, secondo la disciplina generale in tema di responsabilità amministrativa ex art. 172 D.P.R. 30 maggio 2002, n.115. In concreto, i magistrati sono stati ritenuti responsabili in via amministrativa per l’illecito pagamento di indennità ai giudici popolari (Corte dei Conti, Sez. Emilia, sent. n. 521/03), per l’irregolare gestione dei campioni demaniali (Corte dei Conti, Sez. Lazio, sent. n. 2149/98) e per l’attività di presidente della commissione elettorale (Corte dei Conti, SS.RR. sent. n. 726/A del 1991); per il passato sono stati ritenuti responsabili anche per inosservanza di obblighi di vigilanza sui dipendenti addetti al servizio di cancelleria (Corte dei Conti, Sez. I, n. 57/71 - Sez. II, sent. n. 31/74), ma tale responsabilità è oggi difficilmente verificabile, sia per la diversa organizzazione degli uffici, sia per il maggior livello di colpa richiesto (Pelino – Santoro, op. cit.).

Parimenti, si è ritenuta sussistente la giurisdizione per il danno all’immagine conseguente a comportamento dei magistrati esorbitante dai propri compiti in carenza di potere e/o caratterizzati da rilievo penale (Corte dei Conti, Sez. Campania, ord. n. 207/03; Corte dei Conti, Sez. Piemonte, sent. n. 773/03).

I magistrati possono essere responsabili anche delle modalità di esercizio della funzione giurisdizionale se strumentalizzate ad un interesse economico personale, come, ad esempio, l’artificiosa disarticolazione di fattispecie omogenee da parte di un giudice di pace per lucrare maggiori compensi (Corte dei Conti, Sez. Abruzzo, sent. n. 503/04).

In relazione ai doveri derivanti dallo status di dipendenti pubblici sono stati ritenuti responsabili per l’uso illegittimo dell’autovettura di servizio (Corte dei Conti, Sez. Trentino, sent. n. 108/97), come pure per l’indebita percezione di indennità (Corte dei Conti, SS. RR., sent. 2 novembre 1993 n. 911/A).

Il giudice contabile è invece carente di giurisdizione per tutte le attività riconducibili alla funzione giudiziaria (Corte dei Conti, Sez. Sicilia, sent. n. 394/95).

Nella funzione giurisdizionale, insindacabile dal giudice contabile, sono stati fatti rientrare anche gli atti di dissequestro di beni in deposito giudiziario (Corte dei Conti, Sez. Calabria, sent. n. 490/03), pronuncia questa appellata da parte della Procura Generale argomentando che la restituzione dei beni sequestrati è attività dovuta, scevra di margini di discrezionalità (art. 159 del D.P.R. n. 115/02) e correlata ad adempimenti aventi natura diversa dall’esercizio della funzione giurisdizionale, che implicano profili di spesa incidente direttamente sul bilancio erariale e che pertanto, non rientrano nella fattispecie di regresso ex L. 117/88; in sede di appello è stata sollevata questione di costituzionalità per l’art. 172 cit., relativamente alla responsabilità conseguente alla mancata o ritardata adozione di atti giudiziari di dissequestro dei beni (Corte dei Conti, Sez. I, ord. n. 13/05), trattandosi di atti strumentali alla funzione giudiziaria.

La predetta responsabilità del magistrato è stata altresì riconosciuta in ipotesi di illegittimo raddoppio dei compensi peritali per difetto di valutazione finale della complessità e dell’anormalità della prestazione peritale nonché per il rilascio sistematico della clausola di provvisoria esecuzione del provvedimento di liquidazione nel procedimento penale talora anche in mancanza di apposita richiesta, in assenza di espressa disposizione legislativa (Corte dei Conti, Sez. Lombardia, sent. n.553/06).

In altra vicenda, i giudici contabili hanno censurato il fatto che il magistrato, alla luce dell’esperienza e della qualificazione professionale posseduta, a fronte di numerose fatture, tanto ravvicinate nel tempo quanto rilevanti per l’entità delle somme esposte, non si fosse posto prima facie il problema se le stesse apparissero rispondenti alle reali esigenze imposte dalla consulenza tecnica; il collegio, avendo riscontrato che le prestazioni in questione avrebbero potuto essere svolte con una spesa sensibilmente inferiore a quella sostenuta dalla PA, configurano la colpa grave del magistrato sulla base della mancata attuazione dei doverosi controlli che lo avrebbero messo in condizione di sindacare con cognizione di causa la legittimità delle richieste di liquidazione e dei provvedimenti di pagamento poi adottati (Corte dei Conti, Sez. Calabria, sent. n. 411/06).

 

3.     LA RESPONSABILITA’ DEI CONTABILI E CONSEGNATARI

Gli agenti contabili delle amministrazioni sono quelli incaricati della riscossione o che ricevano somme dovute allo Stato o altre delle quali lo Stato diventa debitore o abbiano maneggio di qualsiasi pubblico denaro ovvero debito di materia, nonché coloro che si ingeriscano senza legale autorizzazione, devono rendere il conto della loro gestione e sono soggetti alla giurisdizione della Corte dei Conti (art. 74 L.C.S.).

Il maneggio che caratterizza l’agente contabile non significa mera disponibilità giuridica della somma ma richiede la effettiva disponibilità manuale, comportante materiale detenzione del denaro o dei valori, indipendentemente dal titolo o dalla causa giuridica.

Gli agenti amministrativi sono invece coloro assumono un obbligo di vigilanza e sono tenuti a dimostrare la consistenza e la movimentazione dei beni in carico a mezzo di apposite scritture con obbligo di rendicontazione amministrativa annuale; è la classica figura del consegnatario dei beni mobili dell’ufficio (arredi, computer, ecc.) - che spesso negli uffici giudiziari è formalmente il Magistrato Capo dell’ufficio (Presidente della Corte, Presidente del Tribunale, Giudice di Pace Coordinatore, ecc.)- che ogni anno deve rendicontare in merito ai beni presi in carico dall’ufficio (con il Mod. 130 PGS) ovvero a quelli dismessi per trasferimento, cessione o distruzione, alla Ragioneria Provinciale del Tesoro.

 

·        GIURISPRUDENZA CONTABILE SU MINISTERO GIUSTIZIA.

·        In materia di consulenze

 

            Con la sentenza n. 411/2006, la Sezione Giurisdizionale Calabria ha ravvisato il requisito soggettivo della colpa grave nel comportamento del Sostituto Procuratore della Repubblica, già condannato in primo grado in sede penale per peculato, per non avere debitamente controllato sotto il profilo amministrativo-contabile le attività di trascrizione delle intercettazioni da lui disposte prima della relativa liquidazione stante l’ abnormità delle spese fatturate dal consulente.

            Il convenuto, sostengono ancora i giudici, anche se organo magistratuale, nel conferire gli incarichi e nel sottoscrivere i relativi provvedimenti di liquidazione dei compensi espleta in forma discrezionale un’attività di natura gestionale amministrativa e come tale idonea ad incidere sulle pubbliche finanze.

Nel merito, i giudici censurano il fatto che il magistrato, alla luce dell’esperienza e della qualificazione professionale posseduta, a fronte di numerose fatture, tanto ravvicinate nel tempo quanto rilevanti per l’entità delle somme esposte, non si fosse posto prima facie il problema se le stesse apparissero rispondenti alle reali esigenze imposte dalla consulenza tecnica.

I giudici calabresi, avendo accertato che le prestazioni in questione avrebbero potuto essere svolte con una spesa sensibilmente inferiore a quella sostenuta dalla PA, configurano la colpa grave del PM citato in giudizio sulla base della mancata attuazione dei doverosi controlli che lo avrebbero messo in condizione di sindacare con cognizione di causa la legittimità delle richieste di liquidazione e dei provvedimenti di pagamento poi adottati.

Di seguito la sentenza.
 
SEZIONE GIRISDIZIONALE PER LA REGIONE CALABRIA

Presidente f.f.: R. Scerbo – Relatore: D. Guzzi   

FATTO

La Procura regionale presso questa Sezione giurisdizionale della Corte dei conti, con atto di citazione depositato il 7 marzo 2005, ha convenuto in giudizio il dott. D. L. per sentirlo condannare al risarcimento del danno di € 629.157,65 cagionato al Ministero della Giustizia.

Riferisce l’Organo inquirente che con note del 21 gennaio 2003 e del 26 luglio 2004, l’Autorità giudiziaria di Salerno comunicava che il dott. D. era stato sottoposto ad un procedimento penale in esito al quale, con sentenza n. 361 del 2 agosto 2003 emessa a seguito di un giudizio per rito abbreviato, era stato condannato alla pena di due anni di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali.

Con detta sentenza, il dott. D. veniva infatti giudicato responsabile di una serie di reati commessi nell’anno 2000 nell’esercizio delle sue funzioni di Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro e in particolare dei reati di cui agli artt. 56 e 323 del c.p., perchè, attraverso il conferimento di 50 incarichi di consulenza al sig. A. Antonio e alla di lui moglie S. P., consentiva agli stessi di beneficiare dei compensi dovuti per le vacazioni ma in misura superiore alle quattro al giorno previste dalla vigente normativa; dei reati di cui agli artt. 314 e 61 n. 7, perchè, avendo in ragione del suo ufficio la disponibilità di denaro con cui direttamente liquidare gli onorari e le spese sostenute dai consulenti tecnici, sottoscriveva n. 34 decreti di liquidazione per anticipo dei costi di noleggio di apparecchiature tecniche ed elettroniche presso la ditta individuale OMISSIS di P. S., consentendo dunque l’illegittimo pagamento della somma di euro 514.744,69; dei reati di cui agli art. 314, 56 e 61 n. 7, perchè sottoscriveva due decreti di liquidazione di anticipazioni occorrente per le spese di acquisto di audiocassette, consentendo così all’A. e alla sig.ra S. di appropriarsi della somma di euro 114,32; perchè sottoscriveva n. 11 decreti per la liquidazione di anticipo per spese relative al conferimento di altrettanti incarichi di consulenza tecnica nell’ambito di un procedimento penale, permettendo quindi ai coniugi A. di appropriarsi della somma di euro 167.522,60; perchè vistava ed autorizzava, sulla scorta dell’allegazione di una falsa fattura, il pagamento alla ditta OMISSIS s.r.l., il cui amministratore unico era S. P., della somma di euro 520,58; perchè sottoscriveva n. 18 decreti di liquidazione in base ad altrettante domande presentate dall’A. per il pagamento di onorari e per il conguaglio di spese documentate da false fatture di noleggio di un elevato numero di apparecchiature tecniche della citata ditta OMISSIS s.r.l.

Dai reati suddetti, secondo il Procuratore regionale sarebbe derivato un danno all’erario pari ad euro 629.157,65, danno che vede come unico responsabile il dott. D..

In ragione di ciò, lo stesso è stato invitato a controdedurre alle accuse rivoltegli ai sensi dell’art. 5 della legge n. 19 del 14 gennaio 1994, cosa che l’interessato ha fatto con una memoria depositata il 13 gennaio 2005 con la quale ha pure chiesto di essere personalmente ascoltato.

L’audizione personale è avvenuta il 16 febbraio 2005, ma le difese opposte dall’interessato non sono state evidentemente ritenute tali da giustificare la sua condotta.

A questo riguardo, l’Organo inquirente ha evidenziato che non può considerarsi idoneo a superare i motivi dell’addebito il fatto che il D. si dichiari estraneo alle condotte delittuose per cui è stato condannato, dalle quali sostiene altresì di non aver tratto alcun vantaggio economico. Ciò che rileva, secondo il Procuratore, è che lo stesso sia stato giudicato colpevole da una sentenza anche se emessa a seguito di un processo per rito abbreviato, peraltro scelto dall’imputato, e poco importa che allo stato sia pendente l’appello avverso detta pronuncia, atteso che le motivazioni in esso contenute sono esclusivamente dirette a contestare il riconoscimento di colpevolezza in ordine al reato di peculato e si basano appunto sul fatto che l’interessato non avrebbe ricevuto alcun ritorno economico dai fatti per i quali è stato condannato.

A ciò aggiungasi, secondo il Procuratore regionale, che per costante giurisprudenza di questa Corte dei conti è acclarata l’autonomia tra il giudizio contabile e quello penale, per cui il giudice della responsabilità amministrativa può senz’altro procedere all’accertamento dei fatti e alla verifica delle incolpazioni avvalendosi del potere sindacatorio che gli artt. 14 e segg. del R.D. n. 1033/1938 gli riconoscono in maniera autonoma e distinta rispetto al giudice penale.

A questa stregua non si potrebbe nutrire alcun dubbio sulla responsabilità amministrativa per i gravi fatti di cui si è reso protagonista il D., senz’altro autore di una condotta connotata dall’elemento soggettivo della colpa grave e parimenti fonte di danno erariale a carico del Ministero della Giustizia.

Il convenuto si è costituito con il ministero dell’avv. Antonio Chiarella e con una memoria depositata il 3 gennaio 2006.

Il legale si è innanzi tutto soffermato sull’avventata definizione che del suo assistito ha dato la Procura regionale con l’atto di citazione, ove lo ha infatti qualificato responsabile dei fatti in questione.

A tal proposito il difensore non ha mancato di ricordare che il dott. D. è stato condannato ma solo in primo grado e che allo stato, pendente l’appello, manca un giudizio  definitivo. Nel merito, l’avv. Chiarella ha preso in esame le varie imputazioni penali ed ha evidenziato che per il secondo e il terzo capo, è stata la stessa Procura regionale a riconoscere che non c’è stato danno, per cui, mancando la causa petendi, non vi può essere luogo a procedere. Quanto agli altri capi di imputazione e in particolare a quello da cui sarebbe derivato il danno all’erario di euro 629.157,65 a seguito della sottoscrizione di n. 36 decreti di liquidazione in favore delle ditte amministrate dall’A. e dalla sig.ra S., liquidazione sì disposta per il noleggio di apparecchiature elettroniche e per l’acquisto di audiocassette, ma sulla scorta di false fatturazioni, il legale ha evidenziato che il D., nella sua qualità di Sostituto Procuratore della Repubblica di Catanzaro, si è avvalso, com’era normale che avvenisse per procedimenti penali contro la criminalità organizzata, dell’ausilio di consulenti per effettuare le trascrizioni delle intercettazioni telefoniche ed ambientali.

E se le persone a cui sono stati affidati gli incarichi hanno presentato fatture false, di ciò, secondo il difensore, il dott. D. era certamente all’oscuro, per cui non poteva che emettere i decreti di liquidazione per una prestazione che egli riteneva effettivamente resa. Del resto, dette trascrizioni sono state utilizzate nel corso di importanti procedimenti penali, tanto che a questo riguardo il legale ha chiesto che si voglia disporre l’esperimento della prova testimoniale mediante l’escussione di alcuni testi e tra questi anche di alcuni magistrati.

Riguardo poi alla autonomia tra il giudizio contabile e quello penale, sulla quale anche secondo il legale non si possono nutrire dubbi, va però evidenziato che il Procuratore regionale si è semplicemente rifatto alle ipotesi accusatorie e alle motivazioni della sentenza penale, senza cioè essere stato in grado di svolgere alcun autonomo accertamento per sostenere la tesi accusatoria di responsabilità erariale che tuttavia ha ritenuto di rivolgere al dott. D..

Per cui delle due l’una: o vie è autonomia tra i due giudizi o, viceversa, esiste una stretta correlazione, ma se così stanno le cose, occorre sospendere questo processo in attesa della definizione di quello penale.

Ancora, l’avv. Chiarella ha chiesto che si voglia disporre l’integrazione del contraddittorio con la chiamata in giudizio dei sigg. A. e S., essendo evidente la loro partecipazione al danno erariale siccome configurato dalla Procura regionale.

In conclusione, considerato che nei confronti del dott. D. non sussiste la violazione di obblighi di servizio e in ogni caso è certo che egli non abbia tenuto una condotta gravemente colposa, così come è indubbio che non rilevi un danno, il difensore ha chiesto che l’interessato venga assolto da ogni addebito, mentre la controparte venga condannata alla rifusione delle spese, con competenze ed onorari del presente giudizio da distrarsi in favore del convenuto ex art. 93 del c.p.c.

Nel corso dell’odierna udienza, l’avv. Giovanna Soluri ha insistito per la sospensione del presente giudizio in attesa che sulla sentenza penale di condanna a carico del dott. D. si pronunci la Corte di Appello. Il legale ha inoltre ribadito la richiesta di integrazione del contraddittorio con la citazione in giudizio dei sigg.ri A. e S.. Nel merito, riportandosi alle argomentazione difensive contenute nella memoria di costituzione, l’avv. Soluri ha contestato l’esistenza del danno, giacchè è evidente che le prestazioni tecniche fornite dai consulenti incaricati hanno trovato impiego in numerosi procedimenti penali e in differenti gradi di giudizio, e ha escluso la colpa grave nella condotta del convenuto, in quanto non vi è dubbio che egli non sapesse delle presunte falsità in fatturazione commesse dai sigg.ri A. e S., nè si può dire che il magistrato fosse tenuto a svolgere un controllo sulla documentazione fiscale esibita ai fini della liquidazione dei compensi dovuti.

L’avv. Soluri ha quindi concluso con la richiesta di assoluzione del dott. D..

Il dott. Pier Paolo Grasso, Pubblico Ministero, ha invece contestato le conclusioni formulate dal difensore, osservando quanto alla invocata sospensione di questo giudizio, che il giudizio di appello sulla sentenza di condanna emessa nei confronti del dott. D., si può considerare sin d’ora del tutto ininfluente riguardo alla presente controversia, ciò perché l’impugnazione di quella pronuncia è solo finalizzata a contestare la sussistenza del reato di peculato con la dimostrazione che il dott. D. non ha tratto vantaggio economico dalle proprie azione, ma non è certo diretta a escludere la rilevanza in punto di fatto delle condotte realizzate dal convenuto, di talchè si deve escludere ogni possibile rilevanza pregiudiziale alla pronuncia che il giudice di secondo grado andrà a rendere sulla sentenza emessa dal Tribunale di Salerno. Allo stesso modo, il dott. Grasso ha contestato il giuridico fondamento della richiesta di integrazione del contraddittorio con soggetti che, non essendo parte di un rapporto di servizio con la pubblica amministrazione, difettano del requisito della legittimazione passiva nei confronti del giudice della responsabilità amministrativa. Nel merito, il Pubblico Ministero ha sottolineato la gravità della condotta tenuta dal D., il quale non è vero che non avesse alcun dovere di controllare la regolarità della documentazione presentata dalle ditte incaricate, anche nella considerazione del fatto che la materia aveva costituito oggetto di una circolare del Capo dell’Ufficio di Procura diretta a disciplinare le condizioni per il conferimento degli incarichi di consulenza esterna.

Per tali ragioni, ad avviso del Pubblico Ministero deve essere senz’altro accolta la domanda risarcitoria a carico del dott. D..

Dopo una breve replica con la quale l’avv. Soluri ha ancora insistito sulla mancanza di danno erariale, la causa è stata ritenuta per la decisione.

Considerato in

 
D I R I T T O
 

I. In via preliminare, il Collegio deve pronunciarsi sulla richieste di sospensione del giudizio e di integrazione del contraddittorio avanzate dal difensore del convenuto con la memoria di costituzione e ribadite nel corso del dibattimento.

 I.1 Ad avviso dell’avv. A.Chiarella, il processo per responsabilità erariale che vede coinvolto il dott. D. sconta la pregiudiziale rappresentata dalla pendenza del giudizio di appello avverso la sentenza di condanna emessa a suo carico dal Tribunale di Salerno con il n. 361 del 2 agosto 2003, per cui l’odierno procedimento dovrebbe essere sospeso in attesa che si pronunci la Corte di Appello.

Il rapporto fra il giudizio nella sede contabile e quello penale, dopo l’abrogazione della previgente formulazione dell’art. 3 del c.p.p., è notoriamente connotato da piena autonomia per l'assenza di qualsiasi pregiudizialità.

Al riguardo la giurisprudenza di questa Sezione (ex plurimis sent. n. 852/2005 del 26 luglio 2005) ha infatti chiarito che a norma dell’art. 26 del R.D. 13 agosto 1933, n. 1038 – Regolamento di procedura dei giudizi dinanzi la Corte dei conti – e del rinvio dinamico alle disposizioni del codice di procedura civile “in quanto siano applicabili e in quanto non siano modificate dalle disposizioni del presente regolamento”, la materia della sospensione del giudizio di responsabilità amministrativa è senz’altro riconducibile alla disciplina contenuta nell’art. 295 del codice di rito.

Tale disposizione ha stabilito che “il giudice dispone che il processo sia sospeso in ogni caso in cui egli stesso o altro giudice deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa” e, com’è pacifico, lo scopo che con questa norma il legislatore si è prefisso di raggiungere è stato quello di evitare giudicati contrastanti in tutti i casi in cui, a fronte di due processi autonomi e paralleli, fosse però impossibile, per ragioni di competenza giurisdizionale, l’attrazione dinanzi ad un unico giudice di entrambi i giudizi (Sezioni Unite della Corte di Cassazione – sentenza 19 febbraio 1997, n. 1532).

 Stando così le cose e tornando al caso di specie, pur nell’autonomia del giudizio per responsabilità amministrativa, va da sé che la sospensione possa essere disposta in tutti i casi in cui il giudice contabile sia chiamato a giudicare condotte fonte di danno erariale che tuttavia sono anche all’esame del giudice penale, in quanto trattasi di comportamenti che si concretizzano in altrettante fattispecie di reato e vi sia identità fattuale tra le due fattispecie trattate nei diversi giudizi, al punto che anche il danno erariale non può essere diversamente configurato se non in rapporto alla condotta delittuosa, ma quando tutto ciò non ricorre, per cui il giudice contabile si trova a giudicare su questioni che, rientrando ratione materiae nella sua competenza esclusiva, sono solo apparentemente sovrapponibili a quelle oggetto del giudizio penale, ecco che la sospensione del primo processo non ha ragion d’essere, in quanto non è possibile configurare tra le due cause alcun rapporto di pregiudizialità a norma dell’art. 295 del c.p.c.

E’ quindi evidente che la soluzione da dare a siffatta questione non possa prescindere da una approfondita analisi della causa petendi e del petitum sostanziale (Corte Cassazione a Sez. Unite, sent. n. 10189 del 15-10-1998). Infatti, ciò che deve avere rilevanza è appunto la situazione giuridica obiettiva tesa al ripristino dell’interesse leso (bene della vita – petitum sostanziale), denunciata con la domanda attrice in conseguenza di un fatto dannoso causato da comportamenti che si assumono essere stati contrari ad obblighi di servizio e connotati dal dolo o dalla colpa grave (causa petendi).

Per decidere se sospendere o meno il presente procedimento, occorre dunque prendere in esame il merito della vicenda tratta a giudizio.

1.2 L’altra questione pregiudiziale riguarda la richiesta di integrazione del contraddittorio con i coniugi A. e S..

A tal proposito va preliminarmente detto che sul problema della chiamata in giudizio iussu iudicis, questa Sezione ha chiarito con numerose pronunce il proprio orientamento (tra le tante cfr., da ultimo, sent. n. 501/2004 del 24/6/2004, sent. 966/2004 del 21 dicembre 2004 e sent. 482/2005 del 14 aprile 2005) ed ha in linea di principio osservato che la soluzione da dare a siffatta questione richiede a sua volta che la disciplina codicistica e segnatamente le norme riguardanti la citazione disposta ex officio del giudice per ragioni di opportunità (art. 107) e quella ordinata, sempre ex officio, nel caso di litisconsorzio necessario (artt. 102), sia vista alla luce delle peculiarità che connotano il processo per responsabilità contabile nella sua fase procedimentale e in quella del conseguente rapporto processuale.

Tali peculiarità, com’è noto, sono principalmente rappresentate dal fatto che la fase giudiziale della controversia prende avvio con l’azione risarcitoria, il cui esercizio è di esclusiva competenza della Procura regionale e che, per effetto della novella recata (decreto legge n. 543/1996, convertito nella legge 23 dicembre 1996, n. 639) alla disciplina di riforma dei giudizi innanzi la Corte dei conti (14 gennaio 1994, n. 20), nel caso in cui venga riconosciuta la responsabilità contabile, la conseguente obbligazione   è personale, parziaria e non più solidale (salvo che nei casi di dolo o di illecito arricchimento del convenuto).

In ragione di ciò, a fronte di un supposto danno erariale, al Procuratore presso la Corte di conti spetta di indagare sull’apporto causale e di valutare l’elemento soggettivo, dolo o colpa grave, insito nelle condotte tenute dai presunti responsabili legati all’amministrazione da un rapporto di servizio, sì da convenire in giudizio coloro che sono ritenuti meritevoli della condanna risarcitoria per la parte del pregiudizio patrimoniale cagionato; al giudice contabile spetta invece di giudicare la parte citata e nel far ciò gli compete anche il potere di modulare, se del caso, il quantum debeatur, ossia di determinare il danno da imputare anche in considerazione delle condotte di soggetti estranei al processo qualora dovesse emergere che con i loro comportamenti vi abbiano avuto parte, così da evitare che i soggetti citati in giudizio debbano sopportare il peso di un risarcimento che invece sarebbe spettato ad altri se ritualmente convenuti.

In aggiunta a quanto sin qui osservato in linea di principio, va anche detto che nel caso di specie rileva un altro imprescindibile motivo che si oppone alla chiamata in giudizio dei sigg.ri A. e S..

Nei loro confronti, come ha condivisibilmente osservato la Procura regionale, non è possibile configurare quel rapporto di servizio con la pubblica amministrazione, elemento che notoriamente costituisce il presupposto principale affinchè possa configurarsi la responsabilità amministrativa per danno erariale.

Entrambi i soggetti in questione, in quanto titolari di una consulenza resa nell’esercizio di un’attività di impresa liberamente esercitata sul mercato, difettano in concreto della legittimazione passiva a comparire davanti a questo giudice, proprio perchè erano parte di un rapporto negoziale instaurato con la pubblica amministrazione sulla base di un accordo contrattuale per lo svolgimento di un’attività privata, sebbene destinata ad essere utilizzata dall’amministrazione stessa. Nè a diversa conclusione può portare il fatto che i sunnominati fossero stati incaricati di siffatte prestazioni da un pubblico ufficio, in quanto è di tutta evidenza che il conferimento di detto incarico è sì avvenuto nell’esercizio di un’attività discrezionale, che per quanto fosse realizzata da un organo magistratuale, era pur sempre di natura gestionale e amministrativa e come tale in grado di incidere sulle pubbliche finanze, ma senza alcun esercizio di potere autoritativo come, ad esempio, nel caso del rapporto di concessione in cui invece si assiste ad un effetto traslativo di pubbliche funzioni in capo al concessionario.

In concreto, dunque, il conferimento dell’incarico ai coniugi A. e S. era la conseguenza di un contratto di diritto privato finalizzato a prestazioni specialistiche, per il cui svolgimento gli interessati si sarebbero dovuti avvalere di mezzi e personale proprio, con oneri patrimoniali e conseguenti rischi a loro esclusivo carico (com’è nell’ordine naturale delle cose in qualunque attività di impresa) e senza alcuna dipendenza funzionale oppure organizzativa che potesse in qualche modo far configurare un rapporto organico tra gli interessati e il Ministero della Giustizia.

II. Esaminate le questioni pregiudiziali, il Collegio può affrontare il merito della vicenda a giudizio, anche con l’obiettivo di sciogliere la riserva poc’anzi formulata sulla richiesta  fatta dalla difesa del convenuto di sospensione del processo.

Nel merito occorre valutare se ricorrono a carico del dott. D. gli elementi che, sotto il profilo oggettivo e soggettivo (danno, apporto causale al suo verificarsi e colpa grave o dolo nella condotta posta in essere), fondano la responsabilità risarcitoria per danno all’erario.

A tal fine giova ricordare che secondo la prospettazione di parte attrice, il danno di euro 629.157,65 si è verificato nel periodo febbraio-settembre 2000 ed è riconducibile alla “dolosa inosservanza di quei doveri di diligenza professionale e di quegli obblighi di ufficio e di servizio quali si debbono collegare alla posizione di magistrato di procura” (pag. 9 atto di citazione) e inoltre detto danno sarebbe derivato “dalla liquidazione di somme ai consulenti tecnici a titolo di anticipazioni di spese per l’asserito, ma in realtà, non effettuato noleggio di apparecchiature, determinando in tal modo un’appropriazione ingiustificata di una ingente quantità di denaro appartenente alla pubblica amministrazione da parte dei consulenti e in particolare di A. A. e di S. P.” (pag. 10 della citazione).

Se ne deve dunque dedurre che, secondo la Procura regionale, avendo essa ravvisato il dolo nella condotta del D. e l’elemento oggettivo del vantaggio patrimoniale quanto meno dei sigg.ri A. e S., il danno sarebbe stato causato dal convenuto esclusivamente attraverso una condotta di reato e precisamente mediante la consumazione del delitto di peculato, una tesi accusatoria che dimostra come la Procura regionale abbia inteso riferirsi esclusivamente alle risultanze dell’indagine penale condotta a carico del D. (del resto non poteva essere diversamente, atteso che la sola documentazione in atti che rileva è stata acquisita in esito a quel procedimento) e alle argomentazioni svolte dal Tribunale di Salerno con la sentenza di condanna n. 361/2003 a seguito del giudizio per rito abbreviato.

Ora, che nell’istruttoria del procedimento per danno erariale e anche nei giudizi che ne conseguono sia possibile utilizzare il quadro probatorio di un’indagine penale, che risulti poi acclarato da una sentenza di condanna ancorchè non definitiva, ad avviso del Collegio risulta pacifico anche alla luce della condivisibile giurisprudenza contabile – secondo tale orientamento i dati desumibili dal processo penale   (le dichiarazioni testimoniali rese du­rante la fase istruttoria davanti agli organi di polizia giudiziaria e tutta la restante documentazione comunque acquisita agli atti di quel processo e poi traslata nel presente procedimento) vengono in rilievo nel giudizio per responsabilità erariale non quali prove in senso tecnico, bensì quali elementi da valutare nel loro complesso e che in base all’art. 116 del c.p.c. concorrono alla formazione del libero convincimento del giudice, costituendo indizi gravi, precisi e concor­danti, tali da integrare la pre­sunzione semplice di cui agli artt. 2727 e 2729 c.c. (Sezione Lombardia, sent. n. 199/2003 del 14 febbraio 2003 e Sezione Terza di Appello, sent. n. 75/2005 del 14 febbraio 2005) - e tuttavia, coerentemente con quanto in precedenza osservato in ordine all’autonomia che caratterizza il giudizio di responsabilità amministrativa rispetto a quello penale, il Collegio è sì legittimato a prendere in esame la sentenza di condanna penale emessa nei confronti del D. e la documentazione probatoria che la supporta, ma con l’obiettivo di accertare se la condotta del convenuto debba essere censurata sotto il profilo della responsabilità risarcitoria in quanto causa di un danno erariale.

Diversamente opinando e se tale autonoma valutazione non fosse consentita al giudice contabile, ecco che rivivrebbe la pregiudiziale penale ex art. 3 del c.p.p. nella formulazione precedentemente vigente, pregiudiziale che invece è possibile configurare solo nei casi previsti dall’art. 295 del c.p.c.

II.1 Essendo questi i termini dell’accusa erariale e posto che nessun dubbio può seriamente configurarsi in punto di fatto circa l’avvenuta sottoscrizione dei provvedimenti di liquidazione da parte del dott. D. (ciò emerge chiaramente dalla sentenza di condanna n. 361/2003 del Tribunale di Salerno e non risulta certo contestato dalla difesa del convenuto, nè con gli scritti difensivi depositati per questo giudizio, nè con l’atto di appello del 3 ottobre 2003 avverso la pronuncia di primo grado), ritiene questo giudice che la questione da risolvere riguardi il fatto se il convenuto, nel conferire gli incarichi e nel sottoscrivere i relativi provvedimenti di liquidazione dei compensi, abbia violato doveri di servizio e se tale inosservanza c’è stata, occorre valutare se la stessa si sia consumata con l’elemento soggettivo del dolo e con quello della colpa grave, perchè su un fatto non possono esserci sin d’ora dubbi e cioè che il dott. D., come già evidenziato quando si è affrontato il problema della integrazione del contraddittorio, nell’adottare i provvedimenti di liquidazione in favore dei consulenti, lo ha sì fatto nella sua qualità di magistrato presso la Procura della Repubblica di Catanzaro, ma espletando un’attività amministrativa disciplinata da regole che avrebbe dovuto osservare per la legittimità dei provvedimenti che andava ad adottare siccome destinati ad incidere sulle pubbliche finanze.

Infatti, la materia dei compensi spettanti ai consulenti e ai periti nominati dall’autorità giudiziaria per fini di giustizia, trovava all’epoca dei fatti puntuale disciplina nella legge 8 luglio 1980, n. 319 (tale legge, ad eccezione dell’art. 4, è stata abrogata dall’art. 299 del D.Lgs 30 maggio 2002, n. 113 e dall’art. 299 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, con la decorrenza indicata nell’art. 302 dello stesso decreto e cioè dall’1 luglio 2002)

Tale normativa, nel distinguere i compensi in onorari (fissi e variabili) e in indennità (le tabelle contenenti gli importi sono state poi approvate con il D.P.R. 14 novembre 1983, n. 820), prevedeva espressamente (art. 7, comma 2) che il giudice accertasse le spese sostenute da consulenti tecnici ed escludesse dal rimborso quelle non necessarie per l’espletamento dell’incarico (ai fini della liquidazione e a norma della citata disciplina, i consulenti dovevano infatti presentare una nota specificante le spese ed allegare ad essa la relativa documentazione contabile ed amministrativa).

Come si può quindi agevolmente osservare, il dott. D. era tenuto ad un controllo amministrativo e contabile sui documenti che i consulenti incaricati andavano presentando a corredo delle note di spesa e doveva parimenti svolgere un preventivo accertamento, prima dell’adozione dei provvedimenti di liquidazione, innanzi tutto volto a verificare se le apparecchiature e i materiali noleggiati fossero stati necessari all’espletamento della consulenza e quindi a valutare la regolarità generale della documentazione presentata.

Da quanto sin qui evidenziato è possibile chiaramente dedurre, in linea con l’impostazione di metodo che il Collegio si è data, che ai fini dell’odierno thema decidendum il fatto che le fatture presentate fossero false o che il convenuto fosse al corrente che il noleggio veniva effettuato dall’A. presso la ditta della coniuge S. P. (circostanze tutte portate a sostegno dell’atto di citazione e, per come dedotte nella parte motiva della sentenza di condanna n. 361/2003, costituenti altrettanti elementi della responsabilità penale del D.), ha sì rilevanza, giacchè si tratta di situazioni che, se fondate, sono destinate ad incidere sull’elemento soggettivo, aggravandone il quadro e la conseguente valutazione che della condotta dannosa è tenuto a fare il giudice contabile, ma non si può certo dire che tali situazioni siano in linea di principio dirimenti ai nostri fini, perchè ciò che conta nel giudizio per responsabilità amministrativa è l’accertamento dell’esistenza di un obbligo di servizio in capo al funzionario e la sua inosservanza con dolo o colpa grave ed è proprio nella misura in cui tale accertamento può essere utilmente ed autonomamente compiuto che sta la ragione della separatezza tra il giudizio di responsabilità amministrativa e quello penale.

E da quanto osservato in riferimento alla normativa che disciplinava la liquidazione dei compensi ai consulenti di giustizia, non vi è dubbio che il dott. D. avesse l’obbligo di osservare regole poste dal legislatore con il chiaro fine garantire, anche in un settore comprensibilmente determinante per la tutela degli interessi collettivi come quello delle indagini giudiziarie contro la criminalità organizzata, un’oculata e prudente gestione delle risorse pubbliche mediante un controllo preventivo sul quantum delle spese che i consulenti incaricati asserivano di avere sostenuto per l’espletamento dell’incarico loro conferito.

A questo punto si può sciogliere la riserva formulata in merito alla istanza di sospensione del giudizio e agevolmente comprendere come essa non sia meritevole di accoglimento, in quanto è di tutta evidenza che oggetto del processo penale d’appello non potrà che essere la condotta del D. in ordine al reato di peculato (almeno per quanto riguarda il capo di imputazione penale da cui la Procura regionale ha tratto spunto per configurare il danno erariale), una fattispecie delittuosa connotata dall’elemento soggettivo del dolo e da quello oggettivo del vantaggio patrimoniale; mentre oggetto del presente processo è l’accertamento della responsabilità in ordine all’asserito danno erariale mediante una condotta dolosa o gravemente colposa realizzata in violazione degli obblighi derivanti dal rapporto di servizio del convenuto con il Ministero della Giustizia, una fattispecie ontologicamente diversa da quella oggetto del giudizio penale e che alla luce dei tratti distintivi che in concreto la connotano è del tutto autonoma da quella oggetto del giudizio di appello, sicchè da quest’ultimo non può subire alcuna pregiudiziale sia di natura processuale che di merito.

Ciò posto, ritiene il Collegio che nessun serio dubbio si può avere sul fatto che il dott. D. fosse nella condizione di osservare le suddette disposizioni di servizio, essendo ciò evidente sia per la qualifica di magistrato inquirente nell’ambito della Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, sia perchè la legge n. 319/1980 era stata inviata a tutti i magistrati dell’Ufficio dal Procuratore della Repubblica con una circolare del 2 ottobre 1996 e sia, infine, perchè lo stesso Procuratore, con una precedente circolare dell’8 novembre 1993, rendeva noto a tutti i sostituti di avere ordinato alla cancelleria che i compensi dei consulenti fossero liquidati al minimo di legge, per cui uno spostamento del compenso verso un valore “medio o massimo”  era possibile ma solo previo esame della relazione da parte del magistrato interessato.

Conseguentemente va da sé che il problema da affrontare riguarda il fatto se l’odierno convenuto abbia violato le regole che la legge richiedeva fossero di contro osservate.

II.2 Ad avviso del Collegio al quesito occorre dare una risposta positiva, nel senso che il dott. D. si è reso autore di una condotta palesemente in contrasto con i doveri di servizio che nel caso di specie avrebbe dovuto rispettare.

L’opinione contraria non sarebbe ragionevolmente sostenibile ove si volesse porre attenzione al fatto che, in relazione a n. 6 procedimenti penali e precisamente a quelli connotati dai nn. 192/99/21, 1369/97/21, 520/00/21, 822/94/21, 369/98/21, 25/95/21, il convenuto, avendo già conferito incarichi per la trascrizione, il filtraggio e l’informatizzazione su cd delle intercettazioni telefoniche, sottoscriveva in favore della ditta OMISSIS di Catanzaro di cui era titolare l’A., n. 14 decreti di liquidazione spese, mentre in favore della ditta OMISSIS s.r.l. di Messina di cui era titolare la sig.ra S., ne sottoscriveva 20, per complessivi 34 provvedimenti; che con tali decreti si disponeva il pagamento di una somma invero ingente e cioè pari ad euro 514.744,69; che i decreti di liquidazione sono stati adottati in corrispondenza di altrettante fatture tutte emesse in un arco di tempo oggettivamente breve (febbraio – luglio 2000); che, sempre in relazione ai suddetti procedimenti penali e sempre nello stesso periodo, il convenuto sottoscriveva altri due provvedimenti di liquidazione per l’anticipo di spese occorrenti al noleggio di apparecchiature, pagamenti per complessivi euro 114.320,00, risultati incassati dall’A. e dalla sig.ra A. R., che però era una dipendente della ditta individuale OMISSIS; che, dunque, complessivamente i pagamenti disposti dal dott. D. erano stati pari ad euro 630.064,69.

Ebbene, a fronte di tali oggettive circostanze e pur non considerando la disciplina legislativa di cui s’è dato conto e le disposizioni interne impartite dal Capo dell’Ufficio di Procura, ritiene questo Collegio che prima ancora che la legge, avrebbe dovuto essere la consapevolezza di gestire pubblico denaro ad imporre al convenuto una condotta sicuramente improntata a maggiore prudenza e avvedutezza, uno stato soggettivo che sicuramente lo avrebbe indotto ad effettuare i doverosi controlli sui documenti contabili e fiscali di volta in volta presentati dall’A..

Per le considerazioni che precedono, non appare in definitiva meritevole di accoglimento la tesi difensiva secondo la quale, in quanto magistrato, il D. non aveva il dovere di effettuare controlli sulle richieste di liquidazione per le spese che il consulente asseriva di aver sostenuto in relazione agli incarichi.

Ciò è tanto più vero, quanto più si consideri, oltre a quanto sin qui osservato, che era stato lo stesso convenuto a disporre che apparecchiature elettroniche di proprietà della Procura della Repubblica fossero messe a disposizione del consulente A. per poter effettuare le prestazioni richieste, e conseguentemente ad avviso del Collegio è del tutto insostenibile che il magistrato, a fronte di numerose fatture, tanto ravvicinate nel tempo quanto rilevanti per l’entità delle somme esposte, non si ponesse prima facie il problema se le stesse fossero rispondenti alle reali esigenze imposte dalla consulenza tecnica e quindi attuare i doverosi controlli che lo avrebbero messo in condizione di sindacare con cognizione di causa la legittimità delle richieste di liquidazione e dei provvedimenti di pagamento poi adottati.

In concreto, ciò che in questa sede si vuole affermare non è tanto il fatto che le fatture fossero false e che i materiali audiovisivi non fossero stati acquistati o che le apparecchiature elettroniche non fossero state noleggiate (si tratta di un giudizio che ovviamente esula dall’ambito di competenza di questo giudice), bensì che alla luce dell’esperienza e della qualificazione professionale posseduta, il magistrato avrebbe dovuto rendersi conto che il consulente incaricato, potendo contare anche sulle attrezzature di proprietà dello stesso ufficio, avrebbe portato a termine la prestazione senza il noleggio dalla ditta OMISSIS di 123 apparati di cui 16 riproduttori a cassetta singola, 18 a doppia cassetta, 71 a bobina, 6 videoregistratori, 12 DSP e il noleggio dalla ditta OMISSIS s.r.l. di 143 apparecchiature di cui 16 riproduttori a cassetta singola, 74 a doppia cassetta 27 a bobina, 13DSP e 13 DAT.

Si tratta di elementi acclarati nella sentenza n. 361/2003 del Tribunale di Salerno e desumibili dalla consulenza tecnica di ufficio condotta dall’ing. Giuseppe D., dati che la difesa non ha certo contestato, così come non ha contestato l’altro dato oggettivo riferito nella sentenza e risultante all’esito delle perquisizioni effettuate nei locali della ditta OMISSIS e cioè che in uso risultavano solo 11 apparecchiature, di cui 4 riproduttori a doppia piastra, 1 DAT, 4 riproduttori monocassetta, 1 amplificatore, 1 registratore portatile; mentre nei locali della ditta OMISSIS sono stati rinvenuti solo 19 apparecchiature di cui 7 registratori monocassetta, 6 RT, 1 videoregistratore, 1 stereo, 1 lettore a bobina, 2 registratori a doppia piastra e 1 amplificatore.

Un numero di apparecchiature sensibilmente inferiore rispetto a quello fatturato e pagato dalla pubblica amministrazione, ma che nondimeno ha sicuramente consentito di portare a termine le consulenze ove si consideri che, almeno per le attrezzature ritrovate nei locali della prima ditta, la dipendente A. R. ebbe a dichiarare il 2 marzo 2001 che “non ho mai visto altre apparecchiature nel laboratorio di Catanzaro Lido”.

In conclusione, il dott. D. non poteva non rendersi conto della abnormità delle spese fatturate dal consulente e a questa stregua non poteva che svolgere quel controllo sulla loro necessità prima di disporre la liquidazione.

II.3 Alla stregua delle osservazioni che precedono è possibile fare chiarezza sull’elemento soggettivo che ha connotato la condotta dannosa del D..

Ad avviso del Collegio, il convenuto si è reso autore della violazione del proprio dovere di servizio sicuramente con colpa grave e tanto basta per poter affermare la sua responsabilità risarcitoria.

Sul punto occorre in generale premettere che la giurisprudenza contabile ha statuito (Corte conti, SS.RR. 10 giugno 1997 n. 56/A) che la colpa grave consiste nella evidente e marcata trasgressione degli obblighi di servizio o di regole di condotta che siano ex ante ravvisabili e riconoscibili per dovere professionale d' ufficio, e che, in assenza di oggettive ed eccezionali difficoltà, si concretizzano nell'inosservanza di quel minimo di diligenza imposto dalle circostanze del caso concreto ovvero in una evidente imperizia o in un irrazionale imprudenza; con la citata pronuncia, le Sezioni Riunite hanno altresì chiarito che non ogni condotta in ipotesi censurabile può integrare gli estremi della colpa grave, ma solo quella connotata da precisi elementi qualificanti, che – in mancanza di un criterio generale - vanno accertati di volta in volta dal giudice in relazione alle caratteristiche del fatto, all'atteggiamento soggettivo dell'autore, nonché al rapporto tra tale atteggiamento e l' evento dannoso.

Tali principi, nell’applicazione fatta dai giudici di merito, hanno contribuito a far assumere diverse accezioni qualificanti all’elemento in parola e tra queste è opportuno ricordare, in quanto esaustivamente espressive del significato che ad avviso del Collegio occorre dare alla colpa grave affinchè sia elevata ad elemento essenziale della responsabilità amministrativa, quella che l’identifica con “un'intensa negligenza” (Corte conti, Sez. I Centr. 16 marzo 2000 n. 83/A) o, ancora più significativamente, quella che riconduce la colpa grave a “un’inescusabile negligenza e una antigiuridicità evidente” (Sez. I Centr. 27 gennaio 2003 n. 32).

Nel caso di specie, alla luce delle osservazioni e delle censure sin qui formulate, non v’è chi non veda come il D. si sia reso autore di una condotta che ben si attaglia ai connotati della colpa grave nei termini descritti.

III. Occorre ora valutare in quale misura il danno, che parte attrice ha quantificato in euro 629.157,65, debba essere imputato al responsabile.

A questo riguardo, considerato che nessun motivo ha il Collegio di dubitare che le consulenze svolte dall’A. siano state poi utilizzate nei procedimenti penali di riferimento e in quelli ad essi connessi, ma rimanendo coerente alla conclusione cui è pervenuto e cioè che le prestazioni in questione avrebbero potuto essere svolte con una spesa sensibilmente inferiore a quella sostenuta alla pubblica amministrazione, ritiene questo giudice che la determinazione del danno erariale non possa prescindere dalla condivisibile opinione manifestata dal consulente tecnico d’ufficio nel procedimento penale a carico del D..

Come è agevole desumere dalla sentenza n. 361/2003 del Tribunale di Salerno, L’ing. G. De Falco a questo proposito ha osservato che “un prezzo di acquisto degli apparecchi delle categorie, scaturite da un’analisi di mercato nazionale ed internazionale .... si è avuto che il prezzo totale di acquisto degli apparecchi massimi necessari all’effettuazione della consulenza è pari a circa 129.900.000 delle vecchie lire.

Così opinando e sul presupposto che detto valore, pari ad euro 67.087,75, debba essere detratto da quello di euro 630.064,69 liquidato dal dott. D. con i 36 decreti di pagamento in favore dei coniugi A. e S., ritiene il Collegio che nessuna utilità possa essere riconosciuta alla richiesta, che pertanto deve essere respinta, formulata dal difensore del D. di dar corso ad una prova per testi con il precipuo scopo di dimostrare l’utilizzazione nei diversi procedimenti penali delle consulenze svolte e quindi di fornire la prova della inesistenza del pregiudizio erariale.

 Conclusivamente il convenuto deve essere condannato al risarcimento di un danno pari ad euro 562.977,44, che dovrà essere maggiorato in conformità a quanto di seguito statuito.

 
P . Q. M
 

La Sezione, definitivamente pronunciando:

CONDANNA D. L. a risarcire il danno cagionato al Ministero della Giustizia che si liquida in euro 562.977,44.

Tale importo dovrà inoltre essere aggiornato sulla base della svalutazione monetaria rilevata dall’indice ISTAT nel periodo compreso tra la data della domanda giudiziale e quella della pubblicazione della presente sentenza e successivamente aumentato degli interessi legali da tale ultima data fino al pieno ed effettivo soddisfo.

Alla soccombenza segue la condanna al pagamento delle spese di giudizio che sino alla pubblicazione della presente sentenza si liquidano in    

 

Manda alla Segreteria per gli adempimenti di rito.

Così deciso nella Camera di consiglio del 24 gennaio 2006.

     

Depositata in segreteria in data 08/05/2006

 

·        In materia di UNEP

 

REPUBBLICA ITALIANA                                                     .

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE SICILIANA
composta dai magistrati:

dott.       SALVATORE CULTRERA    Presidente f.f.

dott.       VALTER DEL ROSARIO       Consigliere- relatore

dott.ssa ORIANA CALABRESI                      Primo Referendario
ha pronunciato la seguente
SENTENZA N. 686/2007

nel giudizio per responsabilità amministrativa iscritto al n. 45070 del registro di segreteria, promosso dal Procuratore Regionale della Corte dei Conti per la Sicilia nei confronti di XXXXXX XXXXXX, nato a XXXXX il XXXXX, residente ad XXXXXX ;

visti: il T.U. 12.7.1934, n.1214; il R.D. 13.8.1933, n.1038; il D.L. 15.11.1993, n.453, convertito, con modificazioni, in L. 14.1.1994, n.19; la L. 14.1.1994, n.20; il D.L. 23.10.1996, n.543, convertito, con modificazioni, in L. 20.12.1996, n.639;

visti tutti gli atti e documenti di causa;

uditi nella pubblica udienza del 6.2.2007 il relatore dott. Valter Del Rosario ed il Pubblico Ministero dott. Tommaso Brancato; non costituitosi in giudizio il convenuto XXXXXX.

FATTO E DIRITTO

Con atto di citazione regolarmente notificato alla controparte il 9.10.2006 e preceduto da rituale invito a dedurre, la Procura Regionale della Corte dei Conti per la Sicilia ha convenuto in giudizio di responsabilità amministrativa XXXXXX XXXXXX, ex Ufficiale Giudiziario in servizio presso l'Ufficio Notifiche, Esecuzioni e Protesti del Tribunale di XXXXXX, al fine di ottenerne la condanna al risarcimento del danno, da lui ingiustamente cagionato al Ministero della Giustizia, quantificato complessivamente in € 9.520,80 (rectius: € 9.554,45, come si desume inequivocabilmente sommando le singole partite di danno specificate nell'atto di citazione).

A tal proposito il P.M. contabile ha riferito che, con sentenza del Tribunale di Siracusa n.299 (rectius: n.440), pronunziata nell'udienza del 2.5.2003 e pubblicata l'11.7.2003, confermata (salvo riduzione della pena inflitta) dalla Corte d'Appello di Catania con sentenza n.2331/D, pronunziata nell'udienza del 23.11.2004 e pubblicata il 29.11.2004, il XXXXXX è stato condannato per aver commesso i reati di cui agli artt.: 314, comma 1; 479- 61 n.2; 485 e 491 del c.p..

Infatti, è stato giudizialmente accertato (sulla base delle numerose prove acquisite nel corso delle indagini eseguite dalla Procura della Repubblica nonché della confessione resa dal XXXXXX in occasione dell'interrogatorio cui è stato sottoposto dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Siracusa) che il suddetto Ufficiale Giudiziario:

s'era appropriato, nel corso di tre distinte procedure esecutive da lui condotte, degli assegni bancari consegnatigli dai debitori esecutati al fine di adempiere alle loro obbligazioni nei confronti dei rispettivi creditori;

aveva provveduto ad incassare, direttamente o previa girata a terzi, le somme di denaro recate dagli assegni (in alcuni casi apponendo la firma falsa del vero creditore);

aveva omesso di comunicare ai medesimi creditori l'avvenuta consegna degli assegni da parte dei debitori ed, al fine di occultare il proprio fraudolento comportamento, aveva redatto falsi verbali di “pignoramento infruttuoso”.

In particolare, il XXXXXX risulta essersi appropriato delle somme recate da:

due assegni (rispettivamente, uno da £ 500.000 ed uno da £ 2.500.000) consegnatigli in data 18.5.1999 dal sig. Cannata e destinati al sig. Taurino;

tre assegni (da £ 2.950.000 ciascuno) consegnatigli in data 21.6.1999 dal sig. Pustizzi e destinati alla “A.T.R. Catania s.r.l.”;

due assegni (rispettivamente, uno da £ 3.000.000 ed uno da £ 3.650.000) consegnatigli in data 30.6.1999 dal sig. Tringali e destinati alla società “New Madras”.

Riassunti i fatti accertati nell'ambito del procedimento penale, il P.M. contabile ha evidenziato che il XXXXXX con il suo fraudolento comportamento (oltre che commettere i gravi reati per i quali è stato condannato dal Giudice penale) ha arrecato un notevole danno patrimoniale al Ministero della Giustizia.

Infatti, egli, nello svolgimento delle sue funzioni di Ufficiale Giudiziario, s'è appropriato di somme di denaro recate da assegni bancari, che l'Ufficio Notifiche, Esecuzioni e Protesti del Tribunale di XXXXXX avrebbe dovuto obbligatoriamente consegnare ai creditori che avevano promosso le procedure esecutive e del cui mancato versamento l'Amministrazione della Giustizia ha indubbiamente dovuto rispondere finanziariamente e contabilmente nei confronti dei medesimi creditori.

In udienza, il P.M., dopo aver sottolineato che non risulta che il XXXXXX abbia provveduto alla restituzione di quanto illecitamente sottratto, ha chiesto la condanna del medesimo a risarcire il danno cagionato al Ministero della Giustizia, quantificato in € 9.554,45 (cui devono aggiungersi la rivalutazione monetaria, a decorrere dalla data di compimento di ciascun illecito, e gli interessi legali, a decorrere dalla data di pubblicazione della sentenza emessa da questa Sezione), nonché al pagamento delle spese di giudizio.

Il XXXXXX non ha inviato deduzioni alla Procura regionale né, sebbene regolarmente citato in giudizio, s'è costituito innanzi a questa Corte.

La Sezione giurisdizionale, esaminata la documentazione acquisita (ed, in particolare, le sentenze emesse dal Tribunale penale di Siracusa e dalla Corte d'Appello di Catania nonché la confessione resa dal XXXXXX innanzi al Giudice per le Indagini Preliminari), reputa che la richiesta risarcitoria formulata dalla Procura Regionale nei confronti del XXXXXX sia giuridicamente fondata, avendo il medesimo cagionato dolosamente, nell'espletamento delle sue funzioni, un ingiusto danno finanziario al Ministero della Giustizia.

PER QUESTI MOTIVI

la Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana, definitivamente pronunciando, CONDANNA XXXXXX XXXXXX al pagamento, in favore del Ministero della Giustizia, della sorte capitale di € 9.554,45.

Poiché tale importo corrisponde a quanto complessivamente il XXXXXX s'impossessò in maniera illecita in tre distinte occasioni, il medesimo è altresì condannato a versare quanto dovuto a titolo di rivalutazione monetaria, da calcolarsi secondo le seguenti modalità:

dal 18.5.1999 e sino alla data di pubblicazione della presente sentenza, su € 1.549,37 (pari a £ 3.000.000);

dal 21.6.1999 e sino alla data di pubblicazione della presente sentenza, su € 4.570,64 (pari a £ 8.850.000);

dal 30.6.1999 e sino alla data di pubblicazione della presente sentenza, su € 3.434,44 (pari a £ 6.650.000).

Dalla data di pubblicazione della sentenza e sino all'adempimento del suo debito, il XXXXXX è obbligato a versare al Ministero della Giustizia gli interessi legali sulle somme così rivalutate.

Il XXXXXX è infine condannato al pagamento delle spese di giudizio, quantificate, a tutt'oggi, in € 80,05 (Euro ottanta/05).

Così deciso a Palermo, nella camera di consiglio del 6.2.2007.      
            L'ESTENSORE                               IL PRESIDENTE f.f.

      F.to (Valter Del Rosario)                 F.to (Salvatore Cultrera)

 
 
sentenza pubblicata in data 15 marzo 2007 a Palermo
il funzionario di cancelleria
          F.to Dr.ssa Rita Casamichele
 

·        In materia diUFFICIO DEL GIUDICE DI PACE

 
SENTENZA N. 5/2007 DELLA CORTE DEI CONTI
 

SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE TRENTINO ALTO ADIGE

 
 
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE GIURISDIZIONALE REGIONALE

PER IL TRENTINO - ALTO ADIGE CON SEDE IN TRENTO

composta dai seguenti Magistrati:

dott. Ignazio de MARCO                             Presidente

dott. Damiano RICEVUTO                           Consigliere

dott.ssa Grazia BACCHI                              Consigliere - Relatore

pronuncia la seguente

S E N T E N Z A

sul giudizio di responsabilità iscritto al n. 3250 del registro di Segreteria,

promosso dal Procuratore Regionale a carico della dott.ssa ***** *****, nata a

***** il *****, residente in *****, via ***** n. *****,

elettivamente domiciliata presso l'avvocato Patrizio MOLESINI in Trento, via

Grazioli n. 99; del dott. ***** *****, nato a Ton il 15 luglio 1946,

residente in *****, via ******* n. 39/a, elettivamente domiciliato

in Trento, via Mazzini n. 47, presso lo studio dell'avvocato Gennaro ROMANO;

del rag. ***** *****, nato a ******* il *********, residente in

*****, via *****n. *****, elettivamente domiciliato

presso l'avvocato Maria Cristina OSELE in Trento, via Calepina n. 65 .

Uditi, nella pubblica udienza del 28 novembre 2006, con l'assistenza del

Segretario sig.ra Patrizia DALSASS, il Consigliere Relatore dott.ssa Grazia

BACCHI; il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale

dott. Carlo MANCINELLI, e gli avvocati Patrizio MOLESINI, Maria Cristina OSELE e

Gennaro ROMANO, difensori dei convenuti;

esaminati tutti gli atti ed i documenti di causa;

RITENUTO IN FATTO

Con atto di citazione in data 12 gennaio 2006, ritualmente notificato alle parti

interessate, il Procuratore Regionale presso questa Sezione Giurisdizionale ha

convenuto in giudizio la dott.ssa ***** *****, già Giudice di Pace coordinatore

dell'Ufficio di *****, il dott. ***** *****, cancelliere coordinatore

ed il rag. ***** *****, cancelliere presso lo stesso Ufficio, contestando

loro di avere provocato danno da disservizio all'Ufficio del Giudice di Pace di

***** in relazione all'attività svolta dalla cancelleria dal 1° gennaio

2002, e per sentirli quindi condannare al pagamento, in favore della Regione

Trentino - Alto Adige, rispettivamente della somma di euro 10.695,86 a titolo di

danno emergente, e della ulteriore somma di euro 2.000,00 per il lucro cessante;

della somma di euro 23.991,87 per il danno emergente, e della ulteriore somma di

euro 4.000,00 per il lucro cessante; della somma di euro 2.228,40 per il danno

emergente, e della ulteriore somma di euro 200,00 per il lucro cessante; il

tutto oltre interessi, rivalutazione monetaria e spese del procedimento.

Al proposito, il Pubblico Ministero ha rappresentato che, in seguito a verifica

ispettiva espletata dal 29 al 31 luglio 2003, il dott. *****,

ispettore in quiescenza del Ministero di Giustizia, incaricato di eseguire

l'accertamento, ha predisposto una relazione analitica sullo stato

dell'organizzazione dei servizi civili e penali di cancelleria, sulla tenuta dei

fascicoli processuali e dei registri, nonché sulle modalità di svolgimento degli

adempimenti previsti dalla legge e dai regolamenti per le attività d'ufficio del

cancelliere e del personale amministrativo, avendo riscontrato grave disordine

nella gestione e nella custodia dei fascicoli relativi a procedimenti civili

ormai definiti, in violazione tra l'altro delle prescrizioni di cui agli artt.

36 e 74 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, tale da

offrire agli utenti un'immagine negativa dell'ufficio e della organizzazione dei

servizi di giustizia, e da rendere anche difficile la esecuzione delle verifiche

ispettive, nonché irregolarità altrettanto gravi a causa del ritardo nella

istituzione dei nuovi registri di cancelleria e delle carenze nella tenuta dei

medesimi.

Quanto alla gestione dei servizi in materia penale, dagli accertamenti ispettivi

è emerso che gli atti (comunicazioni, notifiche, ricevute postali) erano

conservati in disordine sui tavoli e negli armadi della cancelleria, in attesa

dell'inserimento nei relativi fascicoli, in modo tale da determinare

l'impossibilità di verificare l'espletamento degli adempimenti obbligatori per

legge, mentre gli originali delle sentenze erano ancora contenuti nei fascicoli,

poiché ne era stato omesso l'inserimento nella raccolta annuale.

Le irregolarità riscontrate hanno, tra l'altro, determinato la scadenza dei

termini per l'impugnazione di numerose sentenze emesse negli anni 2002 - 2003;

l'omessa trasmissione al P.M. di estratti esecutivi relativi a sentenze

riportanti condanne a pene paradetentive divenute irrevocabili; le sistematiche

omissioni rispettivamente della formazione della scheda per il casellario

giudiziale, dell'apertura dell'articolo di credito per il recupero delle pene

pecuniarie e delle spese di giustizia in relazione a sentenze di condanna

irrevocabili, nonchè della tempestiva trasmissione dei fascicoli processuali

alla cancelleria del giudice delle impugnazioni, subito dopo l'espletamento

degli adempimenti di rito.

Anche nei servizi penali, così come in quelli civili, sono state riscontrate

irregolarità nella tenuta dei registri, nessuno dei quali è stato numerato e

vidimato dal cancelliere prima della messa in uso, in violazione delle

pertinenti prescrizioni normative.

In seguito alla verifica ispettiva, il Dirigente della Ripartizione I - Affari

del Personale della Regione Autonoma Trentino Alto Adige ha irrogato al dott.

***** *****, cancelliere coordinatore, la sanzione della sospensione dal

servizio con privazione della retribuzione per giorni otto, a causa di: “grave

negligenza nell'esecuzione delle proprie funzioni ed insufficiente rendimento

nello svolgimento delle stesse, con sistematica violazione delle norme di legge,

di regolamento e disposizioni ministeriali; comportamenti non conformi a

principi di correttezza nei confronti del Giudice di Pace e di altra

collaboratrice dell'ufficio, in quanto posti in essere anche in pubblico”,

mentre nei confronti del cancelliere rag. ***** ***** ha irrogato la

sanzione del richiamo verbale per la mancata tempestiva informazione

all'Amministrazione di quanto accadeva presso l'Ufficio.

La Procura Regionale ha quindi contestato l'ipotesi del danno da disservizio

nei confronti della dott.ssa ***** ***** nella qualità di Giudice di Pace -

Coordinatore dell'Ufficio di *****, del dott. ***** ***** nella

qualità di cancelliere coordinatore, ed infine nei confronti del rag. *****

***** nella qualità di cancelliere, rilevando come dalle prove documentali

acquisite risultino molteplici e sistematiche disfunzioni ed irregolarità

riconducibili a condotte commissive ed omissive realizzate in contrasto tanto

con le disposizioni che disciplinano i servizi di cancelleria, quanto con la

normativa che statuisce i doveri d'ufficio nella gestione amministrativa

dell'Ufficio del Giudice di Pace, condotte che hanno determinato grave disordine

organizzativo, generando gravi e permanenti inefficienze nella gestione dei

servizi civili e dei servizi penali, afferenti tra l'altro la custodia e la

tenuta dei fascicoli e dei registri di cancelleria.

Ad avviso del Requirente, gli atti del procedimento disciplinare nei confronti

del dott. ***** e del rag. ***** - in particolare i verbali di audizione, le

contestazioni degli addebiti ed i provvedimenti disciplinari irrogati

-rappresenterebbero anch'essi prova diretta delle gravi disfunzioni

organizzative nella gestione della cancelleria dell'Ufficio del Giudice di Pace

di *****.

Richiamando le contestazioni degli addebiti disciplinari, l'attore ha

addebitato le disfunzioni organizzative alla carenza di razionale distribuzione

dei carichi di lavoro, alla arbitraria concentrazione degli adempimenti nella

persona del cancelliere coordinatore dott. ***** al quale sarebbero imputabili

condotte commissive ed omissive incompatibili con lo statuto del lavoro presso

le PP.AA., ed anche alla sotto-utilizzazione del cancelliere *****, il quale

comunque nelle funzioni di fatto espletate avrebbe operato con negligenza e

trascuratezza.

Individuando il concretarsi, nella fattispecie, di un danno erariale sussumibile

sotto la categoria generale del danno da disservizio, da intendere quale

fattispecie deviante dalla corretta utilizzazione delle risorse umane,

finanziarie e strumentali assegnate per l'adempimento della missione

istituzionale riservata alla P.A., e citando recenti orientamenti della

giurisprudenza contabile, il Requirente ha indicato come il danno da disservizio

sia utilizzato per misurare valori di difficile espressione economica, quali la

diminuzione di rendimento dell'azione amministrativa, e recepisca ogni tipologia

d'illecito, di natura sia dolosa che colposa, purchè sia presente il tratto del

pregiudizio da minore produttività dei fattori e delle risorse umane,

economiche e finanziarie in concreto inserite nell'avviamento dell'apparato

pubblico.

Nella specie, salvo diverse configurazioni alternative rimesse alla

discrezionalità del Giudice, il danno da disservizio si esprimerebbe nella

doppia componente del danno emergente e del lucro cessante, poiché da un verso

l'amministrazione avrebbe remunerato prestazioni viziate da diseconomicità e

disutilità per la palese difformità dagli obblighi di servizio, mentre per altro

verso le macroscopiche disfunzioni organizzative dei servizi di cancelleria

avrebbero pregiudicato l'avviamento dell'ufficio ingenerando situazioni di

scarso rendimento, eliminabili mediante lo svolgimento di attività di ripristino

alle quali sono connessi costi economici ulteriori e supplementari.

Pertanto, riprendendo le considerazioni svolte dall'ispettore *****,

evidenziando quindi come le risultanze ispettive e disciplinari convergano

nell'accertamento del “deficit di coordinamento” delle attività del personale

assegnato all'ufficio del Giudice di Pace, e confutando le controdeduzioni degli

odierni convenuti, l'attore ha indicato in primo luogo la responsabilità del

Giudice di Pace coordinatore, dott.ssa ***** *****, alla quale a norma

dell'art. 6 - comma 2 - del D.Lgs. n. 267/1992, (disposizioni richiamate

dall'art. 1 della L.R. n. 3/1995 e confermate dall'art. 1 della L.R. n. 8/1999),

risultava intestata la competenza all'esercizio delle funzioni dirigenziali di

natura amministrativa, consistenti nel potere di organizzazione e di

ripartizione del lavoro, nonché nel potere di vigilanza del personale

dell'Ufficio, e che avrebbe espletato le funzioni di direzione funzionale

dell'ufficio omettendo l'adozione di ordini di servizio a garanzia della

razionale redistribuzione dei carichi di lavoro e confermando l'incarico di

direzione della segreteria nei confronti del dott. *****, nonostante la

sussistenza di pregressi comportamenti contrari ai doveri d'ufficio.

Rilevando la analoga rilevanza causale della condotta del dott. ***** *****,

poiché il medesimo avrebbe omesso di effettuare gli adempimenti resi obbligatori

dalle disposizioni normative che disciplinano i servizi di cancelleria, il

Requirente ha sostenuto che questi a propria volta non solo avrebbe

arbitrariamente concentrato gli adempimenti obbligatori sulla propria persona,

in luogo di procedere alla razionale ed organica redistribuzione dei carichi di

lavoro all'interno dell'ufficio, ma avrebbe anche tenuto comportamenti lesivi

della dignità e del prestigio della funzione giurisdizionale, verso la quale i

servizi di cancelleria si collocano in relazione di ausilio strumentale.

Pertanto, le dedotte situazioni di carenze d'organico e di professionalità

apparirebbero da un lato prive di puntuali riscontri documentali, e dall'altro

lato insufficienti a giustificare od a rendere causalmente irrilevanti i palesi

vizi della funzione di coordinamento e di direzione dei servizi di cancelleria.

Infine, rilevando l'autonomia funzionale delle competenze riservate al

cancelliere, l'attore ha indicato che anche la condotta del cancelliere rag.

***** ***** sarebbe viziata da grave trascuratezza, da modesta diligenza e da

scarso rendimento in quanto questi avrebbe comunque svolto di fatto funzioni di

tenuta dei registri di segreteria, rendendo le proprie prestazioni con modalità

sindacabili per i conseguenti risultati.

I comportamenti contestati in concorso colposo avrebbero determinato una

situazione di disorganizzazione dei servizi di cancelleria, con la connessa e

consequenziale impossibilità di conseguire le utilità tipiche dell'azione

amministrativa, ed il conseguente profilarsi del danno patrimoniale “da

disservizio”.

In relazione al danno causato all'Amministrazione Regionale, l'attore ha

indicato come essa non solo abbia sostenuto i costi per l'intervento ispettivo,

ma abbia anche impegnato risorse supplementari per ripristinare la funzionalità

dell'attività amministrativa dell'Ufficio del Giudice di Pace di *****

ed instaurare i procedimenti disciplinari nei confronti del dott. ***** e del

rag. *****.

Circa la quantificazione del danno prospettato, correlata alla persistenza nel

tempo delle condotte costitutive di gravi violazioni dei doveri d'ufficio, il

Requirente ha adottato il parametro delle retribuzioni percepite dai convenuti

per gli anni 2002 e 2003 sul presupposto della loro corrispettività con l'esatto

adempimento delle prestazioni di servizio, indicando come la stima della

componente di lucro cessante sia invece quantificabile sulla scorta di criteri

equitativi.

La Procura regionale, indicando parametri ritenuti idonei a discriminare le

posizioni soggettive in relazione alla effettiva incidenza temporale e causale

delle condotte, ha quindi proceduto alla determinazione dell'addebito

individuale nei confronti della dott.ssa ***** mediante riferimento

all'indennità di coordinamento liquidata dal gennaio 2002 al luglio 2003 per

complessivi euro 10.695,86 da incrementare con criteri equitativi nella misura

di euro 2.000,00 per la stima del lucro cessante; nei confronti del cancelliere

dott. ***** nella misura di complessivi euro 23.991,87 pari al 50% delle

retribuzioni percepite negli anni 2002/2003, nonché nella misura di ulteriori

euro 4.000,00 per il computo dei profili di lucro cessante; nei confronti del

cancelliere *****, in considerazione del minore apporto causale al concretarsi

della fattispecie dannosa, l'addebito è stato determinato nella misura di euro

2.228,40 pari al 10% delle retribuzioni percepite nel periodo d'investitura

delle funzioni, oltre euro 200,00 per la stima del lucro cessante.

Con comparsa in data 6 marzo 2006 si è costituita in giudizio la dott.ssa *****

*****, rappresentata e difesa dall'avv. Patrizio MOLESINI del Foro di Trento, e

con memoria depositata il 13 aprile successivo, effettuando preliminarmente una

sintetica cronistoria dei fatti riguardanti l'andamento dell'Ufficio del Giudice

di Pace di *****, presso il quale ha iniziato ad operare nel luglio

1999, affiancando il Giudice Coordinatore e quindi sostituendolo nel luglio

dell'anno 2000, ha individuato nel comportamento del dott. *****, operante

presso lo stesso Ufficio dal 1998, la principale causa ostativa al buon

andamento dell'Ufficio, ugualmente garantito tuttavia dalla presenza di due

collaboratrici esperte, la dott.ssa ***** e la signora *****, fino al loro

trasferimento avvenuto rispettivamente il 1° giugno 2002 ed il 15 settembre

successivo, e la loro sostituzione con la signora *****, peraltro presente in

modo saltuario, e dal rag. ***** *****; successivamente, nel 2003, si sono

quindi aggiunti a tale dotazione il sig. ***** ***** dal 3 febbraio al 31

marzo e la signora ***** ***** dal 7 aprile al 6 ottobre.

La dott.ssa ***** ha quindi rappresentato di avere inviato una prima lettera di

richiamo al dott. ***** nel luglio 2001, censurando il suo comportamento

personale, nota alla quale ha fatto seguito, dopo vari richiami verbali, un

ulteriore richiamo scritto l'8 marzo 2003, con il quale il Giudice di Pace

faceva espresso riferimento alla tenuta dei registri: tale richiamo faceva

seguito alla nota del 6 marzo precedente con la quale la Regione le aveva

comunicato che in esecuzione del CCNL aveva individuato il dott. ***** tra i

cancellieri coordinatori, il cui incarico, con relativa indennità, avrebbe avuto

decorrenza dopo l'affidamento formale da parte del Giudice Coordinatore. La

dott.ssa ***** avrebbe chiesto quindi un incontro con il dirigente

corresponsabile della Ripartizione per il Personale della Regione per il giorno

19 marzo 2002, il quale alla data prefissata era tuttavia indisponibile;

pertanto, il 27 marzo successivo la convenuta avrebbe inviato al dirigente

stesso una nota riservata personale con la quale comunicava che, se il

comportamento del dott. ***** non fosse cambiato, ella non avrebbe provveduto a

conferirgli l'incarico di cancelliere coordinatore. In seguito ad un incontro

successivo tra il dott. ***** ed il responsabile della Ripartizione per il

Personale della Regione, la dott.ssa ***** avrebbe ricevuto rassicurazioni

verbali da parte di quest'ultimo circa il fatto che il cancelliere si era

impegnato a cambiare atteggiamento, e provvedeva di conseguenza a conferirgli

l'incarico di coordinatore con decorrenza 1° agosto 2002, come precisato con

nota indirizzata alla Regione il 27 luglio precedente. Con il trasferimento

delle signore ***** e *****, concomitante con l'attività di trattazione delle

cause penali, sarebbero quindi esplose le problematiche dipendenti dal

comportamento del dott. *****, nuovamente denunciato dalla convenuta nel luglio

2003 all'assessore Regionale competente all'atto delle dimissioni dall'Ufficio,

con il conseguente avvio del procedimento ispettivo dalle cui conclusioni è

scaturito il presente giudizio.

La dott.ssa *****, dopo avere precisato che fino all'epoca del trasferimento

delle signore ***** e ***** l'Ufficio non aveva subito disfunzioni e che

successivamente ella aveva provveduto a denunciare anche verbalmente agli organi

competenti la situazione critica in cui quest'ultimo versava, ha respinto le

contestazioni attoree assumendo di non avere avuto poteri che le consentissero

di imporre al cancelliere di mutare atteggiamento; peraltro, a norma dell'art.

74 dellle disp. att. c.p.c. la regolarità della tenuta dei registri, dei

fascicoli, della raccolta delle sentenze e delle comunicazioni di rito sarebbe

di competenza esclusiva del cancelliere e non del Giudice di Pace, al quale

sarebbe invece devoluta la funzione di organizzazione e ripartizione del lavoro,

nonché di vigilanza sul personale dell'Ufficio, e non l'organizzazione della

cancelleria, di esclusiva competenza del cancelliere coordinatore anche secondo

quanto disposto dalla Giunta Regionale con delibera n. 1381 del 10 settembre

1998. La convenuta ha quindi precisato che al Giudice di Pace coordinatore non

sarebbe devoluta la ripartizione degli incarichi per la gestione della

cancelleria, peraltro di fatto dotata di soli tre addetti, la cui presenza

sarebbe stata estremamente frammentaria dopo il trasferimento e la sostituzione

delle collaboratrici prima ricordate, ed il cui impegno, in mancanza di

direttive ed insegnamenti da parte del cancelliere coordinatore, sarebbe stato

comunque insufficiente alla copertura delle conseguenti lacune. Ricordando

quindi la mancanza di poteri disciplinari da parte del Giudice Coordinatore nei

confronti del personale dell'Ufficio, gerarchicamente dipendente dalla Regione e

messo unicamente a disposizione del Giudice stesso, e sostenendo di avere più

volte denunciato la situazione dell'Ufficio agli organi competenti non solo per

iscritto ma anche verbalmente, la dott.ssa ***** ha indicato che l'unica

possibilità di ottenere interventi da parte della Regione era richiedere a

quest'ultima interventi disciplinari, come in seguito avvenuto con la

segnalazione da lei effettuata con la nota del luglio 2003, in conseguenza della

quale è stata avviata indagine ispettiva. Attribuendo quindi alla Regione la

responsabilità di non avere dato seguito alle sue precedenti proteste, relative

anche al trasferimento delle collaboratrici ***** e *****, ed alle pressioni

subite da parte dello stesso organo il fatto di avere conferito l'incarico di

Coordinatore al cancelliere *****, la convenuta ha respinto le contestazioni

attoree relative alla disorganizzazione del lavoro ed alla omessa vigilanza,

nonché la quantificazione del danno erariale addebitatole, che sarebbe connesso

al mancato raggiungimento delle utilità previste nella misura e qualità

ordinariamente ritraibile dalla quantità delle risorse investite, assumendo di

avere invece garantito la regolarità delle funzioni giurisdizionali di propria

competenza con la quale non avrebbero interferito i disservizi della cancelleria

ed avverso la quale non sarebbe mai stata avanzata alcuna doglianza da parte

dell'utenza, con la conseguente garanzia di efficienza ed efficacia dell'Ufficio

e la mancata concretizzazione di eventuale danno all'immagine a carico di

quest'ultimo.

Concludendo, la convenuta ha chiesto, previo occorrendo in via istruttoria

esperimento di prova per testi delle circostanze dedotte, che questo Collegio

respinga in quanto infondate sia in fatto che in diritto le richieste

risarcitorie avanzate nei propri confronti dal Procuratore Regionale.

Con comparsa depositata il 14 aprile c.a. si è costituito in giudizio il rag.

***** *****, con il patrocinio dell'avv. Maria Cristina OSELE del Foro di

Trento, respingendo le contestazioni attoree ed individuando la causa principale

delle disfunzioni rilevate in sede ispettiva nel comportamento del cancelliere

esperto dott. *****, e comunque in quello del Giudice coordinatore dott.ssa

*****, la cui denuncia dei fatti alla Regione sarebbe stata oltremodo tardiva e

che non avrebbe comunque mai censurato il suo comportamento, anzi elogiandolo

nel contesto di detta comunicazione; peraltro, nessun accenno negativo al

comportamento dello stesso convenuto, comunque gerarchicamente dipendente dal

cancelliere esperto, sarebbe ravvisabile nella relazione ispettiva del dott.

***** che ne avrebbe rilevato unicamente la inadeguata utilizzazione e la

mancata assegnazione di lavori concentrati su un intero settore, mentre il

procedimento disciplinare a suo carico si sarebbe concluso con la sanzione

minima del richiamo orale, peraltro mai formalmente comminata. Il convenuto, nel

precisare che durante i primi tre mesi di assegnazione all'Ufficio di

***** aveva effettuato numerose assenze per partecipare a corsi di

formazione e missioni presso altri Uffici del Giudice di pace, si sarebbe

trovato a fronteggiare una situazione incancrenita e perdurante da lungo tempo,

aggravata da carenze d'organico, carichi crescenti di lavoro e defezioni da

parte del personale, e sarebbe stato posto in condizione di dover imparare il

lavoro come autodidatta, in quanto il cancelliere coordinatore con il proprio

atteggiamento ostile non gli avrebbe trasmesso alcuna conoscenza ne'affidato

incarichi precisi; ciò nonostante, il rag. *****, che vantava un pregresso

lodevole servizio prestato per un ventennio presso l'Ufficio Libro Fondiario,

avrebbe autonomamente acquisito conoscenze e padronanza del mestiere in seguito

tornategli utili presso l'Ufficio del Giudice di Pace di *****, dove attualmente

presta servizio in seguito a trasferimento a domanda. A tal proposito, durante

la permanenza a *****, il rag. ***** avrebbe esternato alla dott.ssa

***** più volte, come risulterebbe anche dagli atti relativi al procedimento

disciplinare, il proprio disagio e l'intenzione di chiedere un trasferimento -

peraltro per lui poco agevole sotto il profilo logistico - proprio a causa della

situazione creatasi a causa del clima di lassismo e di prevaricazione imputabile

al cancelliere coordinatore, e, dipendendo egli funzionalmente dal Giudice di

Pace oltre che da quest'ultimo, ha segnalato di avere correttamente adempiuto ai

propri doveri istituzionali, in quanto una segnalazione diretta alla Direzione

del Personale o al Servizio “Giudici di Pace” sarebbe stata censurabile per il

travalicamento delle linee funzionali del rapporto e la violazione dei criteri

di riservatezza in danno di terzi.

Concludendo, il convenuto ha respinto le censure di avere agito con dolo o colpa

grave, per non avere avuto alcuna responsabilità nella disastrosa situazione

creatasi a *****, della quale sarebbe rimasto piuttosto vittima in

seguito a trasferimento comunque recente rispetto all'epoca dei fatti

contestati, ma anche per avere adottato nei limiti consentitigli alcune misure

di intervento, ovvero segnalando i fatti alla dott.ssa ***** ed impegnandosi

anche ad assolvere funzioni non di sua competenza, come l'archiviazione ed il

servizio al pubblico in una situazione comunque ormai irrecuperabile ed in

posizione subordinata al dott. ***** e strettamente vincolata alle sue

direttive; infine, il rag. ***** ha contestato la quantificazione del danno

collegata dalla Procura Regionale ad un concetto di disfunzione difficilmente

monetizzabile, ed ha chiesto quindi di essere mandato assolto dalle richieste

attoree, ed in subordine che venga effettuato un ridimensionamento di queste

ultime sulla scorta dell'effettivo contributo causale connesso ai ruoli ed alle

funzioni di tutti i convenuti nel presente giudizio e non solo sotto il profilo

quantitativo degli stipendi percepiti; il tutto, con rifusione di diritti,

onorari e spese legali.

Dal canto suo il dott. *****, peraltro non formalmente costituitosi nel presente

giudizio, ha dedotto in fase istruttoria, ed in relazione al corrispondente

invito avanzato dalla Procura Regionale, innanzitutto l'incompetenza della

Regione a disporre ispezioni presso le cancellerie giudiziarie, adempimenti che

sarebbero altresì di spettanza del Ministero della Giustizia, ed ha quindi

effettuato una breve cronistoria dei fatti riguardanti l'Ufficio del Giudice di

pace di *****, che avrebbero visto la struttura stessa gravemente

carente di personale - lacuna non ovviata dall'assegnazione di 14 persone anche

a part time o a tempo determinato avvicendatesi dal maggio 2002 al novembre 2005

per coprire due profili professionali - con la conseguente concentrazione di

adempimenti a carico del deducente, peraltro fino al 2002 occupato anche presso

il corrispondente Ufficio di *****. Pertanto il dott.*****, nell'indicare la

prioritaria responsabilità della Regione nelle carenze dell'Ufficio, ha

precisato che l'assegnazione del rag. ***** presso la stessa struttura si

sarebbe ben presto rivelata inutile sia per le sue frequenti assenze, dovute

alla partecipazione a corsi ed alla fruizione di permessi per studio, che per la

sua mancata disponibilità a collaborare, eventualmente anche svolgendo mansioni

di livello inferiore; la successiva assegnazione all'Ufficio della sig.ra

***** avrebbe poi peggiorato la situazione, a causa della negligente condotta

di quest'ultima peraltro assecondata dal Giudice di pace. Inoltre, il dott.

***** ha indicato la inadeguatezza del Giudice dott.ssa ***** a svolgere le

funzioni demandatele dal suo ruolo, che egli assume essere state affrontate con

leggerezza e disorganizzazione, ed ha quindi criticato la eccessiva severità

nei suoi confronti emergente dalle risultanze della relazione *****, che

avrebbe tra l'altro sottolineato la mancata emanazione di ordini di servizio in

un ufficio nel quale era quasi sempre presente solo lo stesso cancelliere

coordinatore, sulla persona del quale lo stesso ispettore ha rilevato peraltro

l'eccessiva concentrazione di adempimenti, a fronte di una sottoutilizzazione

del rag. *****. Il deducente ha quindi ricordato di avere provveduto a risanare

gran parte della situazione rilevata in sede ispettiva nella stessa estate 2003,

con sacrificio personale, completando l'opera nell'autunno successivo, ed ha

contestato la quantificazione del danno significando che i compensi corrisposti

all'Ispettore non sarebbero dovuti a causa della illegittimità della disposta

ispezione, così come i danni richiesti in favore della Regione a causa delle

precise responsabilità dell'Ente stesso nella situazione deficitaria

dell'Ufficio; analogamente, ha contestato in radice la sussistenza di un danno

da “disservizio” in quanto gli adempimenti urgenti e prioritari sarebbero stati

comunque effettuati con conseguente soddisfazione dell'utenza, anche in quanto i

problemi rilevati in sede ispettiva sarebbero rimasti esclusivamente interni

all'Ufficio.

Alla udienza del 4 maggio 2006 il difensore del rag. ***** ha ricordato la

situazione di grave disorganizzazione nella quale versava l'ufficio del Giudice

di pace, non imputabile tuttavia al proprio assistito che si è trovato a dover

fronteggiare una situazione lavorativa del tutto nuova e disastrosa senza poter

fruire di alcun appoggio o insegnamento, tanto che nel suo comportamento, come

rilevato anche dalle risultanze ispettive, non si potrebbero ravvisare gli

estremi della colpa grave.

Il difensore della dott.ssa ***** ha rammentato i difficili rapporti tra il

cancelliere coordinatore - al quale unicamente sarebbe spettata l'organizzazione

della cancelleria - ed il Giudice di Pace, che non avrebbe avuto tuttavia poteri

disciplinari nei confronti del cancelliere stesso; nonostante la situazione

critica, l'ufficio avrebbe poi continuato a funzionare senza alcuna lamentela da

parte dell'utenza, motivo per cui non potrebbe ravvisarsi nella fattispecie il

danno da disservizio contestato dall'attore.

Il Pubblico Ministero ha puntualizzato circa i poteri spettanti al Giudice di

pace in merito all'organizzazione degli uffici, ai sensi della normativa vigente

e delle relative circolari esplicative attributive di funzioni dirigenziali, per

le quali è retribuito con corrispettive indennità a carico del bilancio

regionale; tali poteri non comprenderebbero la possibilità di irrogare sanzioni

disciplinari, ma prevederebbero la possibilità di delegare funzioni al

cancelliere coordinatore e di emettere ordini di servizio. I pessimi rapporti

tra il giudice ed il cancelliere - al quale la convenuta aveva altresì in

passato sempre attribuito conseguito ottime valutazioni ai fini della

ripartizione del fondo di produttività, indirizzandogli meri richiami circa il

contegno non sempre corretto, talmente tiepidi da assumere più le

caratteristiche delle raccomandazioni - si sarebbero rivelati solo prima del

pensionamento della dott.ssa *****, alla quale l'attore ha quindi contestato la

causalità principale del disservizio creatosi: riprova ne sarebbe il fatto che

con il giudice subentrante il dott. ***** avrebbe modificato radicalmente il

proprio atteggiamento, producendo risultati positivi. Sottolineando quindi che

anche il comportamento del rag. ***** non può andare esente da censure, in

quanto detto funzionario era titolare in proprio di poteri di impulso e di

autonomia organizzativa, il Requirente ha quindi confermato le proprie

richieste, rimettendo conclusivamente al Collegio la quantificazione del danno.

In sede di replica, il difensore della dott. ssa ***** ha ricordato la scarsa

formazione amministrativa dei giudici di pace, che non avrebbero pienezza dei

poteri organizzativi in quanto sprovvisti della possibilità di irrogare sanzioni

disciplinari; l'attore ha quindi replicato a propria volta che la inosservanza

dei compiti e dei doveri attribuiti al personale amministrativo avrebbe in ogni

caso potuto dare luogo a denunzie, da parte del giudice di pace ed a carico di

questi ultimi, all'autorità competente all'irrogazione di dette sanzioni.

Alla stessa udienza (del 4 maggio u.s.) questo Collegio ha emesso ordinanza con

la quale ha disposto l'acquisizione agli atti di causa, a cura rispettivamente

della Regione Trentino Alto Adige e dell'attuale Giudice di Pace di

*****, dei seguenti documenti e informazioni:

1) a cura della Regione Trentino Alto Adige - Ripartizione I - Affari del

personale (ovvero dell'Ufficio della stessa Regione competente in materia di

trattamento economico del personale):

a) prospetto analitico degli emolumenti corrisposti al dott. ***** ***** per

il periodo 1° gennaio 2002 - 31 dicembre 2003, ripartito per i distinti mesi

dell'anno solare e con particolare riferimento alla eventuale corresponsione di

compensi per lavoro straordinario ed a titolo di indennità di coordinamento;

2) a cura del Giudice di Pace di *****, dott. Sabino COZZA:

b) comunicazione in ordine ai tempi ed alle modalità attraverso le quali è stato

posto rimedio alla situazione di disfunzione amministrativa riscontrata dal

dott. ***** in sede di verifica ispettiva espletata dal 29 al 31

luglio 2003, con particolare riferimento alla attività di risistemazione

dell'Ufficio svolta dal dott. ***** ***** ed alla eventuale partecipazione ad

essa di altro personale in servizio presso l'Ufficio del Giudice di Pace.

In data 14 giugno 2006 la Regione Trentino Alto Adige - Ripartizione I - Affari

del personale - ha trasmesso copia dei richiesti prospetti mensili relativi agli

emolumenti corrisposti al dott. ***** ***** nel periodo considerato, con

indicazione delle specifiche relative al lavoro straordinario, all'indennità di

coordinamento ed all'indennità di funzione giudiziaria.

Con relazione depositata il 28 giugno successivo il Giudice di Pace di

*****, dott. Sabino COZZA, segnalando come al dott. ***** in sede di

relazione ispettiva siano state imputate disfunzioni in realtà proprie del

globale sistema di giustizia, ha rappresentato come il cancelliere coordinatore

abbia provveduto durante il periodo feriale 2003 alla sistemazione dei registri

e fascicoli senza fruire di alcun compenso straordinario, ed esercitando

correttamente le funzioni di coordinatore nei confronti dello scarso personale

presente in ufficio. Il Giudice di Pace ha quindi espresso lusinghiere

valutazioni circa l'operato del convenuto, ricordando le difficili condizioni in

cui quest'ultimo si era trovato ad operare, ed esprimendo dubbi circa la

legittimità dell'ispezione *****.

Con memorie depositate rispettivamente il 3 novembre ed il 6 novembre u.s. i

convenuti ***** e ***** hanno sostanzialmente riprodotto le proprie tesi

difensive, specificando la prima, in particolare, l' inesistenza delle

componenti del danno emergente e del lucro cessante nella fattispecie, e

ricordando, il secondo, la propria posizione marginale in relazione agli eventi.

Con memoria depositata l'8 novembre u.s. si è costituito anche il dott. *****

*****, con il patrocinio dell'avv. Gennaro ROMANO del Foro di Trento, ribadendo

le contestazioni espresse in sede di deduzioni circa l'inammissibilità e

l'irritualità dell'istruttoria, in quanto i poteri ispettivi impropriamente

esercitati dalla Regione, con una spesa sostenuta contra legem e che oggi gli

verrebbe ingiustamente addebitata, spetterebbero in realtà in base alla

normativa vigente al Ministero della Giustizia, motivo per cui egli ha chiesto

l'espunzione della relazione ispettiva dal fascicolo del giudizio.

L'accettazione della sanzione disciplinare comminatagli non costituirebbe poi

ammissione di colpevolezza da parte del convenuto, nel cui comportamento non

sarebbero ravvisabili gli estremi del dolo o della colpa grave, elementi esclusi

anche dall'impegno profuso per il buon funzionamento dell'ufficio, confermato

dalle positive valutazioni del suo operato espresse non solo dall'attuale

Giudice di Pace ma anche in passato dalla dott.ssa *****; per tali motivi,

contestando l'imputazione del danno da disservizio, non ravvisabile nella

fattispecie per difetto dei requisiti della certezza, attualità e suscettibilità

di valutazione economica, il convenuto ha chiesto il rigetto della domanda

attorea.
CONSIDERATO IN DIRITTO

La Procura Regionale chiede che i convenuti, in relazione al pregiudizio

arrecato alla Regione Trentino Alto Adige a titolo di disservizio, siano

condannati al pagamento a favore dell'Amministrazione stessa delle somme

indicate nelle premesse in fatto a titolo di danno emergente e di lucro

cessante, oltre a rivalutazione monetaria, interessi e spese di giudizio.

1) Preliminarmente, Il Collegio osserva che l'ipotesi di danno da disservizio -

ontologicamente differenziato dal danno all'immagine (cfr. Corte dei conti, Sez.

Riun., 23 aprile 2003, n. 10/Q) - presuppone, secondo l'indirizzo

giurisprudenziale consolidato di questa Corte (Sez. Giur. Umbria, n. 582/1999;

Sez. giurisd. Lombardia n. 990/2003; Sez. Giur. Marche n. 18/05; Sezione I^

Centrale d'Appello n. 186/2005) e di questa stessa Sezione (n. 79/2005), il

mancato conseguimento, ad opera dei dipendenti pubblici, della legalità,

dell'efficienza, dell'economicità e della produttività dell'azione

amministrativa.

In sintesi, il danno da disservizio è individuabile in quelle disfunzioni

causate da amministratore o dipendente pubblico, ovvero soggetto a questo

equiparabile, con una condotta commissiva od omissiva gravemente colposa che ha

prodotto effetti negativi sulla gestione di un pubblico servizio, consistendo

esso nel mancato raggiungimento delle utilità previste nella misura e qualità,

di regola, erogabili in proporzione alla quantità delle risorse umane ed

economiche investite; esso si concretizza in maggiori ed ingiustificati costi

imputabili allo spreco di risorse economiche non utilizzate “in base ai canoni

che, a seguito degli interventi legislativi a decorrere dalle leggi n. 142/1990,

n. 241/1990, dal decreto legislativo n. 29/1993 e successive modificazioni,

presiedono la conservazione e corretta gestione dei mezzi economici dell'azione

amministrativa” (Sez. giurisd. Piemonte, n. 138/06), o connessi alla mancata

utilizzazione delle somme spese, in ragione della disorganizzazione del

servizio; ed “il tratto comune delle varie situazioni di “danno patrimoniale da

disservizio” consiste nell'effetto dannoso causato all'organizzazione ed allo

svolgimento dell'attività amministrativa con una minore produttività dei fattori

economici e produttivi profusi dal bilancio della stessa amministrazione

pubblica; minore produttività ravvisata sia nel mancato conseguimento della

attesa legalità dell'azione ed attività pubblica sia nella inefficacia o

inefficienza di tale azione ed attività pubblica” (Sez. giurisd. T.A.A. -

Trento, n. 79/2005).

Tale spreco è, senz'altro, individuabile nel caso di mancata resa del servizio,

in quanto “la mancata attuazione dei fini istituzionali dell'Ente di

appartenenza, in concomitanza con il difettoso adempimento di compiti, per i

quali gli agenti ricevono una retribuzione nonché uno specifico addestramento,

possono determinare un danno per mancato espletamento di un servizio sotto il

profilo, già rappresentato, dei parametri della legalità, efficienza, efficacia,

economicità, produttività. La mancata resa del sevizio configura di per sé un

danno che si manifesta nei costi generali sopportati dalla P.A. e

nell'alterazione del rapporto sinallagmatico tra resa dell'attività lavorativa

ed attribuzione dello stipendio e/o di altri emolumenti” (cfr., Sez. giurisd.

Piemonte n. 1075/03; n. 138/06).

Tuttavia, il disservizio si configura anche nell'ipotesi di insufficiente

qualità del servizio reso (Sez. Giur. Umbria, n. 1087/1988; Sez. Giur. Piemonte

n. 138/06), in relazione ad attività amministrative consistenti nella attuazione

di pubbliche funzioni, in quanto si configura ogni volta che venga espletato un

servizio il cui “rendimento” appare privo delle sue caratteristiche essenziali

di pubblico interesse.

Se, pertanto, da un lato, è senza dubbio individuabile un danno per

l'Amministrazione in caso di mancata prestazione dell'attività lavorativa, “a

seguito dell'alterato equilibrio del sinallagma a base del rapporto di servizio

con l'Amministrazione” (Sez. Giur. Toscana, n. 275/1996), dall'altro, il

medesimo caso si prospetta nell'ipotesi di prestazioni lavorative rese

nell'ambito di esercizio distorto del servizio ovvero “qualitativamente non

rispondenti”, che si inseriscono nel particolare modello organizzativo

dell'amministrazione pubblica, incidendo negativamente sul generale

funzionamento del servizio e sulla sua qualità, creando un indubbio disservizio

( cfr. Sez. giurisd. Piemonte n. 138/06).

Tutto ciò considerato, e premesso che nella fattispecie - secondo le risultanze

dell'inchiesta ispettiva condotta dal dott. ***** - ricorre,

indubbiamente, un'ipotesi di danno da disservizio nei termini prima

tratteggiati, in conformità agli indirizzi giurisprudenziali di questa Corte,

occorre verificare se, e in quale misura, la corrispondente voce di danno possa

essere imputata a tutti i convenuti, così come richiesto dall'attore, tenendo

conto del fatto che: “Ogni violazione delle norme poste a presidio dell'attività

amministrativa implica una violazione degli obblighi di servizio assunti dal

pubblico dipendente, cui consegue un danno patrimoniale da disservizio pari alle

somme inutilmente spese per perseguire gli obiettivi stabiliti ma non raggiunti

nonché alle somme spese per ripristinare l'efficienza perduta“(Sez. Giur.

Lombardia, n. 887/2004).

2) Traendo le proprie conclusioni dall'esito della verifica ispettiva, espletata

dal dott. ***** presso l'Ufficio del Giudice di Pace di *****

dal 29 al 31 luglio 2003, la Procura ha instaurato l'odierno giudizio adducendo,

a sostegno della pretesa risarcitoria, la produzione di un grave danno da

disservizio: profilo di danno che, secondo la parte attrice, nella fattispecie,

si esprimerebbe nella doppia componente del danno emergente e del lucro cessante

poiché, da un verso, l'Amministrazione avrebbe remunerato prestazioni viziate da

diseconomicità e disutilità - per la palese difformità dagli obblighi di

servizio - mentre, per altro verso, le macroscopiche disfunzioni organizzative

dei servizi di cancelleria avrebbero pregiudicato l'avviamento dell'ufficio,

ingenerando situazioni di scarso rendimento eliminabili mediante lo svolgimento

di attività di ripristino con costi economici ulteriori e supplementari.

A quest'ultimo proposito, però, il Collegio ritiene che nella fattispecie non si

prospetti il danno da disservizio nella componente del lucro cessante, in quanto

non risulta provato (v. Sez. Centrale 3^ di appello n. 79 del 4 febbraio 2004 e

n. 176 del 9 marzo 2004; Sez. Giur. Sicilia n. 795 del 17 marzo 2004) che le

attività di ripristino della caotica situazione riscontrata in sede di verifica

ispettiva abbiano dato luogo ad un esborso supplementare, rispetto alle

retribuzioni erogate ai convenuti, a fronte delle quali doveva essere effettuato

un corrispondente rendimento dell'attività lavorativa: anzi, in seguito ad

esperimento di ordinanza istruttoria è stato accertato che le disfunzioni

riscontrate sono state eliminate dallo stesso ***** in breve periodo e senza

costi aggiuntivi per l'Amministrazione.

D'altro canto, per quanto riguarda i costi corrispondenti all'attività

ispettiva, il Collegio, considerando che nel caso specifico dette attività erano

state previste in linea generale e sistematica - al fine istituzionale dello

svolgimento di un'attività di verifica dell'organizzazione di tutte le

Cancellerie degli uffici del Giudice di pace (v. deliberazione della Giunta

regionale n. 679 del 22 luglio 2003) - e concordando con quella corrente

giurisprudenziale secondo cui “Il danno da disservizio presuppone che sia

provata una distorsione dell'azione pubblica rispetto al fine pubblico cui

l'azione stessa deve essere indirizzata; non integrano, pertanto, un danno da

disservizio le spese sostenute dall'amministrazione per un'indagine

amministrativa, sussistendo un legame funzionale - e, quindi, una intrinseca

utilità - tra l'attività posta in essere nell'espletamento di detta indagine e

l'interesse pubblico corrispondente all'esercizio del potere disciplinare” (Sez.

Giur. Toscana, 8 ottobre 2002, n. 741, e conformi), reputa ininfluente, ai fini

della quantificazione del danno erariale, il fatto che le verifiche programmate

in via ordinaria dalla Regione siano iniziate proprio dalla Cancelleria di

*****.

3) Esaminando sistematicamente la normativa che regola la fattispecie, si

rammenta che l'art. 6 (Giudice di pace ) del Decreto legislativo 16 marzo 1992,

n. 267 (“Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige

concernenti modifiche a norme di attuazione già emanate”) dispone: “1. Alla

nomina, alla decadenza e alla dispensa dall'ufficio dei magistrati onorari

investiti delle funzioni di giudice di pace si provvede, nella regione

Trentino-Alto Adige, con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta

del presidente della giunta regionale, osservate le altre norme in materia

stabilite dall'ordinamento giudiziario.

2. Il personale amministrativo degli uffici del giudice di pace è inquadrato con

legge regionale nei ruoli del personale della regione, salva la dipendenza

funzionale dal giudice di pace o dal coordinatore di cui all'art. 15 della legge

21 novembre 1991, n. 374. La legge regionale assicura anche l'osservanza dei

principi di cui ai commi 4 e 6 e disciplina le modalità di immissione in ruolo

con priorità del personale assegnato agli uffici di *****liazione alla data del

31 dicembre 1989. La regione provvede altresì alla fornitura delle attrezzature

e dei servizi necessari per il funzionamento degli uffici.

(Omissis)”.

La legge regionale n. 9 del 2 maggio 1993 (“Norme sulla organizzazione

amministrativa del Giudice di pace”), nello stabilire (art. 3) che il personale

amministrativo degli uffici del Giudice di pace è inserito nel ruolo unico del

personale regionale, ha disposto (art. 4) che “salvo quanto diversamente

disciplinato dalla presente legge, al personale amministrativo degli uffici del

Giudice di pace si applicano le disposizioni sullo stato giuridico e sul

trattamento economico del personale regionale”.

Al proposito, la legge regionale n. 15 del 9 novembre 1983 (Ordinamento degli

uffici regionali e norme sullo stato giuridico e trattamento economico del

personale”), ha previsto all' articolo 22 (Responsabilità dei dirigenti e dei

direttori di Ufficio), che: “1. Nell' ambito delle rispettive attribuzioni, i

dirigenti di Ripartizione, i direttori di Ufficio e gli altri funzionari

preposti alle strutture previste dal presente titolo, rispondono per gli atti

amministrativi alla cui emanazione abbiano collaborato, nonchè per l' omissione

di attività o di atti ai quali siano per legge tenuti.

2. La disposizione di cui al precedente comma non esclude la responsabilità del

personale assegnato alle Ripartizioni o agli Uffici per gli atti da esso

compiuti o per l' omissione di attività o di atti ai quali sia tenuto nell'

ambito dei compiti rispettivamente assegnati. A tale fine ogni atto deve recare

l' indicazione del suo estensore”. Il successivo art. 35/ter (Principi in tema

di responsabilità) dispone, quindi, che: “1. Ferme restando le responsabilità

dei singoli dipendenti, i funzionari preposti alle strutture organizzative ed

alle loro articolazioni previste dalla presente legge sono perseguibili, oltre

che sul piano disciplinare, anche su quello amministrativo - contabile per i

danni derivanti all' Amministrazione di appartenenza dal mancato esercizio del

potere di controllo, loro demandato dalla legge, in ordine all' osservanza da

parte del personale addetto dei doveri di ufficio ed, in particolare, dell'

orario di lavoro e degli adempimenti connessi al carico di lavoro a ciascuno

assegnato.

2. Al dipendente deve essere garantito l' esercizio del diritto alla difesa”.

La Legge Regionale n. 3 del 28 aprile 1995 (“Ulteriori disposizioni sull'

organizzazione amministrativa degli uffici del giudice di pace ed altre norme in

materia di personale”) ha stabilito con l'art. 1: “1. Il giudice di pace

coordinatore esercita, nei confronti del personale amministrativo assegnato, ai

sensi della legge regionale n. 9 del 2 maggio 1993 all' ufficio dallo stesso

giudice diretto, i compiti derivanti dal rapporto di dipendenza funzionale di

cui al comma 2 dell' articolo 6 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 267”,

e con l'art. 2: “Ferme restando le funzioni di indirizzo, di direttiva e di

sorveglianza esercitate dagli organi previsti dalla legislazione statale, l'

attività di coordinamento delle funzioni regionale per assicurare l' operatività

degli uffici del giudice di pace siti nel territorio della Regione autonoma

Trentino - Alto Adige spetta alla Segreteria della Giunta regionale”.

Nel frattempo, l'art. 15 della legge 21 novembre 1991, n. 374 (“Istituzione del

giudice di pace”) aveva creato la figura del Coordinatore dell'ufficio (del

giudice di pace) - fissandone, in linea generale, le competenze ed i compensi -

mentre il D.lgs. 19 febbraio 1998, n. 51 ha, tra l'altro, soppresso le funzioni

amministrative di varie autorità giurisdizionali, eccezion fatta per il giudice

di pace, se attribuite in via alternativa tanto al pretore che ad organi della

P.A.

L'art. 1 della Legge Regionale Trentino Alto Adige 20/11/1999 n. 8,

(“Attribuzione di indennità a favore dei Giudici di pace della Regione

Trentino-Alto Adige”), a sua volta, ha previsto una speciale indennità per il

giudice di pace coordinatore o facente funzioni al quale “la Regione

corrisponde, in relazione alla funzione di direzione d'ufficio 1 milione. In

nessun caso può essere corrisposta, in relazione alla funzione di direzione

d'ufficio, più di una indennità mensile”. Inoltre, la circolare esplicativa n. 1

del 13 dicembre 1999 - emanata dalla Giunta regionale T.A.A. ed avente ad

oggetto le disposizioni della Legge Regionale Trentino Alto Adige 20/11/1999 n.

8, indirizzata a tutti i Giudici di Pace operanti sul territorio regionale - ha

esplicitato che l'indennità di direzione “spetta a quei giudici di pace che

svolgono funzioni di direzione d'ufficio, e quindi ai Giudici di pace

coordinatori, ai Giudici di pace facenti funzioni di coordinatori, ai giudici di

pace ai quali sia stato attribuito, con provvedimento del Presidente del

Tribunale, un incarico di reggenza. La ratio della provvidenza è insita nella

opportunità di riconoscere economicamente i molteplici compiti svolti dai

giudici di pace quali direttori d'ufficio e relative responsabilità. Si intende

fare riferimento alla direzione e responsabilità delle attività rientranti nelle

attribuzioni dell'ufficio, alla organizzazione e ripartizione del lavoro,

nonché, in particolare, agli adempimenti ed ai controlli connessi alle

prestazioni del personale assegnato all'ufficio, assicurando il rispetto delle

norme di legge e di regolamento. E' evidente che nello svolgimento dei compiti

di direzione d'ufficio in primo luogo il personale appartenente alle qualifiche

più elevate quali i cancellieri costituirà, per i Giudici di pace, dato il

rapporto di subordinazione gerarchica, un costante punto di riferimento in

particolare, ma non solo, per quel che riguarda l'organizzazione e ripartizione

del lavoro. L'indennità di direzione in esame viene corrisposta per 12

mensilità. L'indennità di direzione cessa quando viene a cessare, per qualsiasi

motivo, non meramente occasionale o sporadico, lo svolgimento di funzioni di

direzione d'ufficio e, quindi, anche nel caso di un impedimento temporaneo,

,qualora ciò determini l'affidamento temporaneo della reggenza dell'ufficio al

giudice di pace di un ufficio contiguo. In nessun caso può essere corrisposta

più di una indennità di direzione”.

Questo concetto è stato ribadito con circolare n. 3 del 26 marzo 2003 a firma

assessore regionale Wanda CHIODI, che ha ulteriormente specificato come “la

provvidenza trova giustificazione nei compiti e relative responsabilità che il

ruolo di direzione comporta. E' evidente, pertanto, che l'indennità di direzione

in esame non verrà corrisposta quando viene a cessare, per qualsiasi motivo, non

meramente occasionale o sporadico, lo svolgimento delle funzioni di direzione

d'ufficio”.
L'art. 70, comma 3, del contratto collettivo 24 luglio 2001 ha, quindi,

attribuito una specifica indennità al personale dell'area C - incaricato, con

provvedimento della Giunta Regionale, di svolgere funzioni di coordinamento

negli uffici del Giudice di pace - e la stessa Giunta Regionale T.A.A., con

deliberazione n. 1294 del 20 dicembre 2002, ha evidenziato che “limitandosi alla

funzione amministrativa il Giudice di pace coordinatore è anzitutto il direttore

dell'ufficio e quindi titolare di un potere di organizzazione generale

comprendente tra l'altro l'attribuzione delle mansioni e l'indirizzo del

personale. In tale attività è coadiuvato dal funzionario incaricato del

coordinamento dalla Giunta Regionale ai sensi dell'art. 70, comma 3, del

contratto collettivo 24 luglio 2001, il quale opera nell'ambito delle

indicazioni generali impartite con l'ordine di servizio. Alle funzioni sono

correlate corrispondenti responsabilità che si fondano sui principi generali

fissati dalle leggi (…)”. Nel precisare che le funzioni delegabili non possono

essere che quelle collegate ad aspetti organizzativi dell'attività di

cancelleria rientranti nelle competenze del Giudice di pace coordinatore, quale

direttore dell'ufficio, la stessa circolare ha anche definito il contenuto delle

incombenze attribuibili dai giudici di pace a detti funzionari, predisposto ed

allegato lo schema di ordine di servizio per l'organizzazione delle attività di

cancelleria ed evidenziato dette funzioni come segue: “a) organizzazione e

ripartizione concreta del lavoro fra il personale assegnato all'ufficio,

formulando contestualmente le istruzioni necessarie per l'applicazione delle

disposizioni legislative e regolamentari; b) controllo dell'attività lavorativa

resa dal personale anche in relazione al rispetto delle norma di legge e di

regolamento; c) concessione del nulla osta per permessi brevi, per ferie, per

permessi per diritto allo studio e similari nonché formulazione di osservazioni

e pareri per la concessione da parte dell'amministrazione regionale delle

aspettative, del part time secondo gli ordinamenti generali concordati con il

Giudice di pace coordinatore; d) controllo dell'osservanza, da parte del

personale addetto, dei doveri d'ufficio ed in particolare dell'orario di lavoro

e degli adempimenti connessi al carico di lavoro a ciascuno assegnato; e)

informazioni al personale sulle disposizioni pervenute dall'Amministrazione

regionale e dal Ministero individuando le modalità di applicazione più

appropriate; f) rappresentazione al Giudice di pace coordinatore degli elementi

di valutazione per la formulazione di giudizi sul personale; g) autorizzazione

al servizio esterno e delle missioni per il personale assegnato all'Ufficio nel

caso in cui le stesse vengano effettuate nell'interesse dell'ufficio medesimo

(…)”.

Infine, il D.P.G.R. n. 2/L del 25 febbraio 2003 (determinazione delle

attribuzioni delle strutture regionali e delle loro articolazioni) ha previsto,

tra le attribuzioni dell'Ufficio Affari Generali della Segreteria della Giunta

Regionale, che quest'ultimo provveda all'attività di coordinamento delle

funzioni regionali per assicurare l'operatività degli Uffici del Giudice di pace

siti nel territorio della Regione, provvedendo inoltre alla trattazione degli

affari giuridico amministrativi riservati alla Presidenza ed alle questioni

relative ad istanze o segnalazioni comunque pervenute al Presidente e non

demandate ad altro ufficio.

4) Così delineato e chiarito il quadro normativo vigente in materia appare,

innanzitutto, evidente la potestà della Giunta regionale di disporre ispezioni

presso gli uffici del Giudice di pace a norma del Decreto legislativo 16 marzo

1992, n. 267 nonché delle leggi regionali n. 9 del 2 maggio 1993 e n. 3 del 28

aprile 1995, sia del D.P.G.R. n. 2/L del 25 febbraio 2003; circostanza, di

fatto, avvenuta in esecuzione della deliberazione della Giunta stessa n. 679 del

22 luglio 2003 che ha disposto l'affidamento di un incarico di consulenza al

dott. ***** (al fine dello svolgimento di una serie di attività di

verifica dell'organizzazione delle Cancellerie degli uffici del Giudice di pace)

senza che ciò abbia comportato la lamentata intrusione nelle competenze

riservate al Ministero della Giustizia, espressamente fatte salve nelle premesse

della deliberazione stessa.

Naturalmente, vista la segnalazione effettuata dal Giudice di pace di

***** dott.ssa ***** l'8 luglio precedente, la Giunta ha

discrezionalmente ritenuto di incaricare il dott. *****, nella stessa data

recata dalla citata delibera, di iniziare l'attività affidatagli proprio a

partire dalla cancelleria di quel Giudice di pace.

5) Circa il merito della vicenda, iniziando dalle contestazioni mosse dal

Requirente alla dott.ssa *****, occorre innanzitutto prendere atto come costei

(a norma della legge 21 novembre 1991, n. 374, del Decreto legislativo 16 marzo

1992, n. 267, delle leggi Regionali Trentino- Alto Adige n. 3 del 28 aprile 1995

e n. 8 del 20/11/1999) fosse inequivocabilmente e formalmente investita

dell'incarico di direzione dell'ufficio per il quale percepiva il compenso di

cui, oggi, l'attore chiede la restituzione a titolo di danno emergente - sia

pure limitatamente al periodo gennaio 2002/luglio 2003, oggetto di valutazione

negativa in sede ispettiva - per l' importo complessivo di Euro 10.695,86 (oltre

ad euro 2.000,00 a titolo di lucro cessante). Allo scopo il P.M. ha dedotto la

mancanza del sinallagma tra i compensi erogati e le prestazioni ricevute,

addebitando alla condotta gravemente colposa del Giudice di pace coordinatore

una quota parte della responsabilità amministrativa per il caos gestionale

riscontrato durante l'ispezione.

Al proposito il Collegio rileva che il comportamento della dott.ssa *****

appare, nella fattispecie, tutt'altro che lineare ed adeguato ai compiti

direttivi a lei attribuiti dall'ordinamento: esaminando gli atti, si evidenzia

in primo luogo come, paradossalmente, la convenuta si sia risolta soltanto il 3

luglio 2003, ovvero pochi giorni prima del proprio pensionamento, a denunciare

formalmente la deprecata situazione in cui versava l'ufficio di ***** da

lei diretto e come, da questa denuncia, trapeli - e non per la prima volta - più

una nota di biasimo per il contegno sciatto e per l'aspetto trasandato del

cancelliere coordinatore che per le sue eventuali deficienze professionali.

A riprova di quanto sopra, dal carteggio relativo ai difficili rapporti tra il

dott. ***** e la dott.ssa ***** (nota 27 luglio 2001 e nota 8 marzo 2003) si

desume chiaramente come ogni contestazione di costei abbia per oggetto, quasi

unicamente, le sgradevoli e non certo irreprensibili modalità comportamentali

del cancelliere, senza riferimenti all'irregolare andamento dell'ufficio a parte

un mero accenno alla mancata vidimazione dei registri (nota 8 marzo 2003):

fatti, tutti, sicuramente deplorevoli ed idonei ad avviare pratiche

sanzionatorie sotto il profilo disciplinare ma non ad ingenerare quel

disservizio constatato in sede di ispezione e, oggi, contestato dal Requirente

ai convenuti.

Analogamente, gli stessi fatti sono dedotti dalla dott.ssa ***** nell'unica

nota “ riservata personale” inviata alla Regione Autonoma T.A.A. il 22 marzo

2002, per motivare il rifiuto di conferimento al dott. ***** dell'incarico di

coordinamento dell'ufficio del Giudice di Pace di *****. Rifiuto, in

seguito, ritrattato avendogli ella assegnato l'incarico con decorrenza 1° agosto

2002 senza, tuttavia, alcuna formalizzazione ovvero specifica attribuzione di

tutte o parte delle funzioni delegabili - a norma del contratto collettivo 24

luglio 2001 di cui sub. p. 3. - come specificate dalla deliberazione della

Giunta regionale n. 1294 del 20 dicembre 2002 che, nella circostanza, aveva

addirittura allegato lo schema di ordine di servizio da compilare ai fini di

detta attribuzione. A quest'ultimo proposito, peraltro, è appena il caso di

ricordare come non sia stata allegata agli atti del giudizio - a cura di nessuna

delle parti - la copia degli ordini di servizio (dei quali l'ispettore

incaricato dott. ***** aveva già sottolineato la completa mancanza) recanti

attribuzione di specifiche funzioni o mansioni al dott. ***** ovvero agli altri

dipendenti assegnati alla cancelleria.

Giova rammentare che l'organizzazione del lavoro nell'apparato pubblico si fonda

sopra tutto ed anche sul rispetto delle mansioni a ciascuno attribuite

dall'ordinamento, ai sensi delle norme sia di carattere generale in materia di

pubblico impiego sia specifiche riguardanti i dipendenti regionali, fra cui la

Deliberazione della Giunta Regionale n. 1381 del 10 settembre 1998. Dal tenore

della denuncia presentata il 3 luglio 2003, peraltro, pare che il Giudice di

pace dissenta addirittura da tali principi tanto da contestare, in particolare,

al cancelliere/coordinatore la sua esigenza di “rispetto dei livelli, divisione

delle mansioni”; analogamente, ella riprova il fatto che il cancelliere *****

assegnasse la signora ***** *****, appartenente all'area B 1), alle mansioni

“inferiori”, peraltro, di sua competenza a regola del relativo profilo

professionale di operatrice. Inoltre, a conferma di una, per così dire,

“bizzarra” concezione di intercambiabilità tra le professionalità operanti in un

ufficio pubblico si colloca, nel testo della denuncia presentata dalla dott.ssa

*****, la sua affermazione “si è offerto di prepararmi alcune sentenze per non

farmi perdere tempo ma io penso per ricattarmi” : il che, a parere del Collegio,

rafforza la convinzione che la convenuta avesse le idee quanto meno confuse

circa i compiti a ciascuno, compresa se stessa, attribuiti dall'ordinamento.

La dott.ssa *****, a ben considerare, nulla ha fatto fino al momento della

denuncia del 3 luglio 2003 per richiamare all'ordine il cancelliere coordinatore

- comportamento indispensabile in caso di effettiva necessità - giungendo, anzi,

ad ammettere candidamente nella stessa comunicazione: “Non ho avviato alcuna

procedura presso l'Ufficio personale perché la ritenevo del tutto inutile oltre

che offensiva per me stessa”.

D'altro canto, appare davvero singolare che una figura professionale elevata

(come quella del Giudice di pace) abbia potuto consentire intromissioni abusive

nella sfera delle proprie competenze nonché iniziative, addirittura, oltraggiose

nei propri confronti senza dare impulso - quando non nella sua diretta

disponibilità, come nel caso in esame - a procedimenti disciplinari a carico dei

trasgressori e da parte degli organi competenti ad irrogarli. Così si legge

negli atti come la convenuta: abbia tollerato che la signora *****, appartenente

all'area B 3) con il profilo professionale di assistente, firmasse atti non di

propria competenza limitandosi ad affermare di “non esserne affatto contenta”

(verbale audizione della signora ***** ***** in data 16 luglio 2003); abbia

subito lanci di libri nonché scenate ed insulti da parte del *****

(comunicazione del 3 luglio 2003); abbia accettato che le “udienze da lei

fissate” fossero disdettate, per di più, con vanto del ***** (comunicazione del

3 luglio 2003 e verbale di incontro 30 luglio 2003); infine, come abbia

tollerato l'allontanamento del medesimo durante una udienza e, addirittura,

aggressioni fisiche nei propri confronti (verbale 30 luglio 2003) senza mai

adottare formali provvedimenti ovvero senza, in alcun modo, contrastare le

continue provocazioni e/o reagire agli insulti.

A corollario di quanto sopra estrapolato dai documenti processuali si colloca,

infine, il fatto che, lo stesso Giudice di pace, con somma incoerenza, abbia

espresso nei confronti del *****, per il periodo qui esaminato, valutazioni più

che positive ai fini dell'attribuzione del premio a titolo di “Fondo per la

produttività “ (art. 76 del contratto collettivo 24 luglio 2001), con la

motivazione “coordina egregiamente l'ufficio con ampia disponibilità anche in

attività di supporto al giudice” (anno 2001) e “coordina l'ufficio con

competenza; disponibile e di buon supporto al giudice” (anno 2002); valutazioni

che diventano, addirittura, lusinghiere per lo stesso cancelliere con

l'attribuzione del massimo del punteggio negli anni successivi durante i quali

il ***** ha collaborato col nuovo Giudice di pace dott. Sabino COZZA.

La descritta, caotica situazione esistente e accertata nell'Ufficio di

***** deve, pertanto, essere attribuita alla dott.ssa ***** la quale

non ha mai - tanto meno correttamente - esercitato le mansioni direttive

assegnatele dall'ordinamento, senza per questo averle comunque mai

sostanzialmente delegate, pur avendone la possibilità, al cancelliere

coordinatore.

Nella fattispecie sono, infatti, riscontrabili la “intensa ed inescusabile

negligenza e macroscopica inosservanza di obblighi elementari” (Corte dei conti,

sez. I^ centrale di appello, 16 marzo 2000, n. 83/A) e la “grossolana

superficialità nell'applicazione delle norme di diritto” (Sez. Giur. Puglia, 15

maggio 2001, n. 36) nonché la “macroscopica deviazione dal modello di condotta

connesso alla funzione” (SS.RR. 22 febbraio 1997, n. 27/A; 1^ Sezione Centrale

di appello, n. 306/03 e n. 147/03 e conformi) che connotano il comportamento

gravemente colposo della dott.ssa ***** - circa le disfunzioni segnalate in

sede ispettiva, imputabili al mancato esercizio di attività dovuta - per non

aver affatto svolto, nel periodo gennaio 2002/ luglio 2003, le funzioni di

direzione per le quali ha, invece, percepito il corrispettivo pari ad Euro

10.695,86. Sussiste, in tal caso, significativa alterazione del rapporto

sinallagmatico tra la prestazione di attività lavorativa e la retribuzione

percepita con il conseguente, attuale obbligo di restituzione con la

maggiorazione degli interessi legali, dalla data di pubblicazione della sentenza

e fino al saldo.

6) Quanto finora puntualizzato circa il comportamento del Giudice di pace di

***** - peraltro, non totalmente assorbente nella causazione del danno

da disservizio creatosi nella cancelleria, sotto il profilo della mancata

corrispondenza tra erogazione delle risorse economiche e prestazioni rese - non

rende indenne da censure il modus agendi del cancelliere/coordinatore dott.

*****.

Al proposito giova premettere che - nonostante le funzioni direttive attribuite

dall'ordinamento al Giudice di pace, e da questi delegabili entro i limiti

dianzi specificati - la professionalità del convenuto, di qualifica funzionale

VIII/profilo professionale “esperto cancelliere”, era sufficientemente elevata

da consentirgli una certa autonomia organizzativa: ai sensi della deliberazione

della Giunta regionale 10 settembre 1998, n. 1381 (“Approvazione dei profili

professionali e rideterminazione delle relative dotazioni organiche”): la

“descrizione del lavoro” di detto profilo prevede, infatti, tra l'altro, che

questi: “a) organizza e dirige la cancelleria dell'ufficio del Giudice di pace

oppure coordina l'organizzazione di sezioni o servizi o di più unità operative

nell'ambito della cancelleria del Giudice di pace; (….); d) nell'organizzazione

dell'ufficio al quale è addetto esegue ed adotta i provvedimenti volti a

migliorarne l'organizzazione del lavoro e l'efficienza nonché ad adeguarla alle

esigenze funzionali dell'Amministrazione (…)”.

E' pur vero che il descritto “mansionario” deve essere letto congiuntamente alle

fonti, anche interne, descritte sub. p. 3) - soprattutto nella parte in cui

prevedono la “delegabilità” di “funzioni collegate ad aspetti organizzativi

dell'attività di cancelleria rientranti nelle competenze del Giudice di pace

quale direttore dell'Ufficio” (deliberazione della Giunta Regionale n. 1294 del

20 dicembre 2002); funzioni che, in verità, paiono assorbire quelle in generale

intestate al profilo professionale del cancelliere - ma ciò non toglie che il

dott. ***** aveva comunque ricevuto dalla dott.ssa ***** l'incarico, sia pur

privo di contenuti in assenza di un dettagliato ordine di servizio, di

cancelliere coordinatore con decorrenza 1° agosto 2002. Per detto incarico egli

ha, conseguentemente, percepito il corrispettivo denominato “indennità di

coordinamento” senza, tuttavia, essersi mai curato di rivendicare le funzioni

che comunque, almeno in parte, avrebbero dovuto essegli essere delegate e senza

essersi fatto carico di segnalare alla Regione l'anomalia di tale situazione: in

ragione di ciò è palesemente indebita la percezione dei compensi in questione.

Premesso che il comportamento del dott. *****, come tratteggiato dalla dott.ssa

***** e come confermato dagli atti, è stato senza dubbio deprecabile e

censurabile, sotto il profilo morale e sociale, nonché anche passibile di vaglio

in sede disciplinare - cosa, in effetti, avvenuta con la conseguente irrogazione

di opportuna sanzione da parte della Regione T.A.A., consistente nel

provvedimento di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per otto giorni -

occorre, tuttavia, ribadirne la sostanziale ininfluenza sulle riscontrate

disfunzioni dell'Ufficio del Giudice di pace di *****, peraltro, sanate

quasi completamente dal medesimo convenuto, durante il periodo feriale 2003,

senza che, per questo, egli abbia fruito di alcun compenso straordinario.

Pertanto, pur prendendo atto che il 27 novembre 2003 le suddette disfunzioni non

erano ancora del tutto eliminate - v., in proposito, la comunicazione, in pari

data, al direttore dell'Ufficio Affari Generali della segreteria della Giunta

regionale T.A.A. del dott. Sabino COZZA, nuovo giudice di pace di *****

(il quale afferma come “eliminate quasi totalmente”le irregolarità riscontrate

in sede ispettiva) - il Collegio non può non apprezzare l'impegno individuale

del dott. ***** nel riportare a norma la situazione dell'Ufficio. Per tali

motivi, non ritiene di aderire alla richiesta dell'attore, che ha quantificato

il danno risarcibile a carico del convenuto in misura del 50% delle retribuzioni

integralmente da lui percepite nel periodo considerato, oltre alla somma di Euro

4.000 a titolo di lucro cessante: infatti, se la disorganizzazione dell'Ufficio

nel caso in esame è imputabile alla mancata identificazione ed intestazione di

funzioni direttive, d'altro canto, l'eliminazione delle relative conseguenze è

frutto dell'operato del dott. *****. Il che non toglie che - come già rilevato a

proposito della dott.ssa ***** - il medesimo cancelliere abbia percepito,

comunque, un compenso per funzioni che, per un certo periodo, non ha né svolto

né rivendicato, con il conseguente “alterato equilibrio del sinallagma” (Sez.

Giur. Toscana, sent. n. 275/96, cit.) a base del rapporto di servizio con

l'Amministrazione, sia pure limitatamente a detti aspetti.

Pertanto il Collegio ritiene integralmente applicabili anche al caso in esame i

criteri risarcitori indicati dal Pubblico Ministero, nei confronti del Giudice

di pace, e dichiara, di conseguenza, l'obbligo del convenuto dott. ***** di

restituire gli importi percepiti a titolo di indennità di coordinamento per il

periodo preso in esame dall'ispezione. Detti compensi, come quantificati sulla

base dei prospetti mensili relativi agli emolumenti corrisposti al dott. *****

per il periodo 1° gennaio 2002/ 31 dicembre 2003, trasmessi in data 14 giugno

2006 dalla Regione Trentino Alto Adige/ Ripartizione I^ - Affari del personale,

in esecuzione della ordinanza n. 14 del 4 maggio 2006 emessa da questa Sezione,

ammontano ad Euro 1.002,56 dalla data di effettiva decorrenza del trattamento

(agosto 2002) al luglio 2003: tale è, pertanto, la somma - maggiorata di

interessi legali decorrenti dalla data di pubblicazione della sentenza e fino al

saldo - che il convenuto dovrà rifondere all'erario.

7) Ancor più defilata nella determinazione del danno contestato appare la

posizione del rag. ***** *****, tanto da poterne negare ogni rilevanza

causale: infatti, nonostante egli appartenesse alla qualifica professionale

VII^, ed il relativo profilo professionale di “collaboratore”, come descritto

nella citata deliberazione della Giunta regionale 10 settembre 1998, n. 1381,

prevedesse lo svolgimento di “attività di indirizzo, promozione e revisione”, il

compimento di “tutti gli atti che la legge ed i regolamenti demandano al

cancelliere”, lo svolgimento di attività istruttoria “nell'ambito di procedure o

di istruzioni di massima” e la predisposizione e redazione di “atti e

provvedimenti attribuiti alla sua competenza specifica da norma legislative e

regolamentari” (pp. a, b, d, e), e benché la circolare n. 20 in data 20 ottobre

1995 della Regione Trentino Alto Adige/ Ripartizione I^ - Affari del personale

abbia sostanzialmente equiparato - sulla scorta del punto b) della declaratoria

di mansioni del profilo professionale appena citato - le figure professionali di

“esperto cancelliere e di collaboratore amministrativo”, questa equiparazione

risulta praticabile, ad avviso del Collegio, unicamente quando nell'ambito

dell'Ufficio non coesistano entrambe le professionalità.

Nella vicenda in esame non si può non tener conto della ridotta autonomia

organizzativa del “collaboratore” in quanto è innegabile che le funzioni di

grado inferiore sottostanno al rapporto di subordinazione gerarchica - nel caso

specifico addirittura doppia, data la compresenza del Giudice di pace direttore

dell'Ufficio e del cancelliere coordinatore - la qual cosa non consentiva,

certamente, al rag. ***** una certa autonomia organizzativa.

Inoltre, ai fini della valutazione della colpa (valutata “grave” dall'attore),

devono essere tenute debitamente presenti le ulteriori circostanze che il

convenuto ha operato: a) durante un periodo di tempo assai limitato (dal 16

settembre 2002 al 15 ottobre 2003, per di più, saltuariamente a causa degli

impegni esterni all'attività specifica della cancelleria di *****); b)

in assenza di delega di adempimenti precisi nonché di attribuzione di

correlative responsabilità; c) senza che gli fossero trasmesse cognizioni

specifiche di tipo pratico professionale per l'espletamento delle proprie

mansioni: elementi, tutti, che fanno in sostanza sfumare ulteriormente e ridurre

di molto il profilo soggettivo della sua condotta, affievolendola al grado di

colpa lieve non potendosi ravvisare quelle puntualizzazioni giurisprudenziali

che hanno, invece, configurato il profilo della colpa grave.

Visto, pertanto, il ruolo marginale rivestito dal sig. ***** nella vicenda, che

consente di apprezzare la relativa modestia della sua qualifica in presenza di

professionalità più elevate - che avrebbero dovuto impartirgli quanto meno le

“istruzioni di massima” di cui al p. d) del corrispondente profilo professionale

descritto nella citata deliberazione della Giunta regionale 10 settembre 1998,

n. 1381 - il Collegio, concordando con l'assunto che “Ai dipendenti di modesta

qualifica, che sono invero tenuti ad obblighi di servizio la cui eventuale

violazione non è idonea a cagionare gravi danni da disservizio, non sono

ascrivibili danni per "caos gestionale"” (Corte dei conti, Sez. I, 8 maggio

2003, n. 131/A), assolve il medesimo convenuto dalla domanda attrice per il

difetto del requisito della gravità della colpa.

PER QUESTI MOTIVI

la Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per il Trentino-Alto Adige, con sede

in Trento, definitivamente pronunciando in ordine al giudizio iscritto al n.

3250 del Registro di Segreteria, respinta ogni altra eccezione,

CONDANNA :

1)        la dott.ssa ***** ***** - nata a Trento il 10 luglio 1928, residente

in Trento, via Fermi n. 20 - al pagamento, in favore della Regione

Autonoma Trentino Alto Adige, della somma di Euro 10.695,86

(diecimilaseicentonovantacinque/86), a solo titolo di danno emergente, per

l'indennità di coordinamento indebitamente percepita dal gennaio 2002 al luglio

2003, oltre agli interessi di legge dalla pubblicazione della presente sentenza

fino al saldo;

2)        il dott. ***** ***** - nato a Ton il 15 luglio 1946, residente in

*****, via ******* n. 39/a - al pagamento, in favore della stessa

Regione Autonoma Trentino Alto Adige, della somma di Euro 1.002,56

(milledue/56), a solo titolo di danno emergente, per indennità di coordinamento

indebitamente percepita dall'agosto 2002 al luglio 2003, oltre agli interessi di

legge dalla pubblicazione della presente sentenza fino al saldo;

ASSOLVE

dalla domanda attrice il rag. ***** *****, nato ad ******* il 14 novembre 1962,

residente in San ***** all'Adige, via Francesco Biasi n. 70/a.

Le spese di giustizia sono liquidate in euro 879,86 -------------------------

(ottocentosettantanove/79) da ripartire in parti uguali a carico dei convenuti

condannati.

Trento, Camera di Consiglio del 28 novembre 2006.

L' ESTENSORE                                    IL PRESIDENTE

(Grazia Bacchi)                                       (Ignazio de Marco)

 
 
Depositata in Segreteria il 24 gennaio 2007
Il direttore della Segreteria
(dott.ssa Livia BOSETTI)