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I DELITTI CONTRO L'AMBIENTE E IL CONTRASTO DELL'«ECOMAFIA»

di Maurizio ARENA Avvocato

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Esiste, senz’altro, un interesse di rango costituzionale alla protezione dei “beni ambientali”, che impone serie risposte alle lesioni dell’ambiente, del paesaggio e (in ultima analisi) della salute.
Secondo alcune anticipazioni, la Commissione ministeriale per la riforma del codice penale, presieduta dal dott. Nordio, intende abolire, in via generale, il reato contravvenzionale in materia ambientale, trasformando in delitti le fattispecie ritenute di effettivo disvalore per la collettività.

Tali reati verranno inseriti nella parte speciale del codice penale e saranno distinti in reati “contro il patrimonio ambientale”, reati “contro l'assetto del territorio” e reati “contro le risorse naturali e la salute pubblica”[i].
Il reato contravvenzionale, come è noto, oltre ad essere caratterizzato da termini di prescrizione brevissimi, non legittima il ricorso a particolari mezzi di ricerca delle prove, come le intercettazioni; non consente l'adozione di misure cautelari personali, neppure nelle ipotesi di flagranza; non può, anche quando è commesso nell’ambito di una struttura associativa, dar luogo al delitto di associazione per delinquere, perché l'art 416 c.p. richiede che l'associazione sia finalizzata a commettere “delitti” e non contravvenzioni.

Il reato contravvenzionale, inoltre, rende del tutto impossibile la cooperazione internazionale[ii].

- La rilevanza del crimine ambientale

Due considerazioni preliminari.

Da un lato, è certamente erronea la considerazione del crimine ambientale come crimine “minore”, ossia non grave; dall’altro, il crimine ambientale rientra tra i reati economici, in virtù del fine di profitto che ne caratterizza la condotta.

A seguito di un'analisi costi-benefici, il mercato illegale relativo all'ambiente risulta economicamente vantaggioso, ossia in grado di far conseguire alti profitti con bassi rischi di punizione, proprio per la menzionata difficoltà di raccogliere prove della responsabilità degli autori degli illeciti.

Tale difficoltà è collegata in particolare, come si è detto, ai mezzi investigativi utilizzabili, alla funzione meramente sanzionatoria del diritto penale ambientale, alla frammentarietà delle singole legislazioni nazionali ed alla scarsa effettività del sistema sanzionatorio.
Il delitto ambientale è, allora, da intendersi quale vero e proprio “abuso dell'ambiente a fini di profitto” e la criminalità organizzata in questo settore manifesta sempre una struttura aziendale[iii].

Sotto questo profilo, appare necessario rafforzare il sistema di prevenzione contro il riciclaggio in modo da renderlo funzionale anche alla prevenzione del mercato criminale dell'ambiente, al quale risultano spesso collegate le ipotesi di corruzione o collusione dei pubblici ufficiali, incaricati della gestione o del controllo delle fasi procedimentali relative alla disciplina amministrativa dell'ambiente.
Ai fini di un'efficace predisposizione dell'apparato sanzionatorio, è, poi, di evidente importanza l’attribuzione di un ruolo di rilievo all'attività post-delictum, che si manifesti attraverso il ripristino, la bonifica, il risarcimento ed altre forme di allineamento agli standard di prevenzione e di sicurezza ambientale.

- Il quadro internazionale ed europeo.

La Convenzione per la tutela dell'ambiente attraverso il diritto penale (Consiglio d'Europa, 4 novembre 1998) è il primo strumento internazionale che impone agli Stati di criminalizzare una serie di condotte produttive di danno o pericolo per l'ambiente[iv].
In particolare, lo strumento pattizio impone l'obbligo di incriminare, come reati dolosi, le seguenti condotte di danno o di messa in pericolo dell'ecosistema:

1) lo scarico, l'emissione o l'introduzione nell'aria, nel suolo o nell'acqua di sostanze o radiazioni ionizzanti che abbiano causato la morte o lesioni gravi alla persona o abbiano creato il pericolo di tali eventi dannosi;

2) lo scarico, l'emissione e l'introduzione illegale (ossia in violazione di disposizioni amministrative volte alla tutela ambientale) delle predette sostanze nell'aria, nell'acqua e nel suolo, quando provochino o possano provocare danni rilevanti all'uomo o il deterioramento durevole e sostanziale dei singoli beni riconducibili all'ecosistema;

3) la raccolta, il trattamento, lo stoccaggio, il trasporto, l'esportazione o l'importazione di rifiuti pericolosi svolti illegalmente, che causino o possano causare la morte o lesioni gravi all'uomo o danni sostanziali alla qualità dell'aria, del suolo, dell'acqua, degli animali o delle piante;

4) la realizzazione, il trattamento, lo stoccaggio, l'uso, il trasporto, l'esportazione o l'importazione di materiale radioattivo od altre sostanze radioattive pericolose che provochino o possano provocare gli effetti sull'uomo o sull'ecosistema sopraindicati.

Lo scopo della Convenzione è, dunque, di imporre agli Stati l'introduzione anche di fattispecie di pericolo, anticipando così la soglia di tutela del bene, nonché la predisposizione di una responsabilità a titolo di colpa, quanto meno in riferimento ai casi di colpa grave (articolo 3).
La Convenzione richiama anche la necessità di introdurre sanzioni adeguate alla gravità dei crimini, attraverso la previsione di sanzioni di tipo detentivo e pecuniario; gli Stati sono invitati anche a considerare l'opportunità di stabilire l'obbligo di ripristinare, laddove possibile, le migliori condizioni ambientali.
Di grande rilievo anche la disposizione (articolo 7) che impone l'utilizzo della misura della confisca dei profitti ottenuti dai reati di tipo ambientale, ivi compresa la confisca “per equivalente” del profitto tratto dal singolo o dalla persona giuridica a seguito della commissione di fatti offensivi per l'ambiente (ossia la confisca del valore corrispondente ai profitti o ai beni ottenuti illecitamente).
Di pari rilievo è la disposizione (articolo 9) che stabilisce la necessità di prevedere una responsabilità, sia essa penale o di tipo amministrativo, conseguente al crimine ambientale quando emerga il coinvolgimento diretto della persona giuridica[v].

Rilievo centrale assume, poi, la decisione quadro 2003/80/GAI in materia di tutela penale dell'ambiente, approvata dal Consiglio dei Ministri dell'Unione europea il 27 gennaio 2003, che si inserisce all'interno di un contesto complessivo di strumenti internazionali: la già citata Convenzione del Consiglio d'Europa, la decisione che istituisce il mandato di arresto europeo, la decisione quadro relativa al blocco dei beni, la Convenzione di Basilea sul movimento transfrontaliero di rifiuti, adottata a Basilea il 22 marzo 1989, in cui gli Stati sono espressamente invitati ad introdurre una norma penale che punisca il traffico illecito dei rifiuti.
La disposizione di cui all'articolo 2 della decisione quadro 2003/80 impone agli Stati membri di adottare provvedimenti necessari per rendere perseguibili penalmente, in virtù del proprio diritto interno, i reati intenzionali, ossia dolosi, cioè le condotte che possono risultare, con coscienza e volontà, lesive dell'ambiente e della salute umana.
Di immediata evidenza è lo stretto collegamento, indicato nella lettera a) del citato articolo 2, tra il bene ambiente ed il bene della incolumità individuale: il reato è certamente di danno alle persone, ma reca la peculiarità di avere quale presupposto fattuale, e anche giuridico, la lesione o messa in pericolo del bene ambiente (attraverso l'emissione o l'immissione nell'aria, nel suolo, nelle acque di sostanze o radiazioni ionizzanti, tali da provocare la morte o gravi lesioni a persone).
Alla lettera b) dal citato articolo 2, sono previste condotte non solo di danno, ma anche di messa in pericolo di determinati aspetti del bene ambiente, derivante dalla violazione di prescrizioni legislative, soprattutto se attuative di disposizioni del diritto comunitario: in questo caso il bene primario da salvaguardare non è tanto la persona umana nella sua integrità biologica, quanto piuttosto il bene ambientale propriamente inteso[vi].
La lettera c) è dedicata al problema dei rifiuti: viene imposta la criminalizzazione dell'eliminazione, del trattamento, del deposito, del trasporto, dell'esportazione o dell'importazione illecita di rifiuti, compresi i rifiuti pericolosi, che provochino o possano provocare la morte o gravi lesioni alle persone ovvero danni rilevanti alla qualità dell'aria, del suolo o delle acque, o alla fauna o flora.
Oggetto di attenzione della decisione-quadro, sempre sotto il duplice profilo delle condotte aggressive di danno o di pericolo, sono pure le condotte di funzionamento illecito di impianti in cui sono svolte attività pericolose e la gestione illecita di materiali nucleari o altre sostanze radioattive pericolose (lettere d) ed e) dell'articolo 2).
Le lettere f) e g) riguardano, invece, problematiche connesse al commercio illecito di specie di animali o vegetali protette e di commercio illecito di sostanze idonee a ridurre lo strato di ozono.
Il quadro degli obblighi di incriminazione è completato dalla disposizione di cui all'articolo 3 della decisione che obbliga alla predisposizione di fattispecie penali anche per le condotte di negligenza, quanto meno per i casi di negligenza grave.
Sul versante sanzionatorio, oltre a raccomandare il ricorso a sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive, comprendenti, per lo meno nei casi più gravi, pene privative della libertà, la decisione quadro impone agli Stati membri di adottare i provvedimenti necessari affinché le persone giuridiche possano essere dichiarate responsabili dei fatti di criminalità ambientale commessi, a loro vantaggio, da coloro che sono muniti di un reale potere gestionale e di controllo, prevedendo idonee sanzioni che vengono dettagliatamente indicate all'articolo 7 (esclusione da un godimento di un vantaggio o aiuto pubblico, divieto temporaneo o permanente di esercitare un'attività industriale o commerciale, assoggettamento a sorveglianza giudiziaria, provvedimento giudiziario di scioglimento, obbligo di adottare misure specifiche al fine di evitare ulteriori conseguenze lesive).
La tutela dell'ambiente trova ora una nuova cornice nel Trattato costituzionale europeo, firmato a Roma il 29 ottobre 2004, che agli articoli I-2 afferma: «l'Unione si adopera per lo sviluppo sostenibile dell'Europa, basato su una crescita economica equilibrata (...) su un'economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell'ambiente».

Nello stesso Trattato viene auspicata l'introduzione negli Stati membri di sanzioni adeguate per i comportamenti suscettibili di porre in pericolo siffatto bene primario.
Questo enunciato, per la fonte da cui è posto, assume un rilievo fondante, superiore ad ogni altro livello normativo, comunitario ed interno, diventando, pertanto, la linea guida per eccellenza d'ogni intervento riformatore in materia ambientale, sia del legislatore europeo sia di quello nazionale.
All'articolo III-193, è scritto che «l'Unione definisce e attua politiche comuni e azioni e opera per assicurare un elevato livello di cooperazione in tutti i settori delle relazioni internazionali al fine (tra l'altro): (...) di contribuire alla messa a punto di misure internazionali volte a preservare e a migliorare la qualità dell'ambiente e la gestione sostenibile delle risorse naturali mondiali, al fine di assicurare lo sviluppo sostenibile».

Si tratta di un principio che assume particolare importanza nei rapporti fra l'Unione, gli stati che la compongono, ed i paesi extra U.E., poiché significa porre a carico dei paesi dell'Unione non solo un ruolo di promozione della sensibilità ambientale in ambito internazionale, ma anche il compito di dare impulso decisivo a tutti quegli strumenti pattizi ed a quegli organismi, soprattutto in ambito O.N.U., che mirano alla realizzazione di un'armonizzazione delle legislazioni con riferimenti ai crimini più gravi[vii].

In tale prospettiva, la Convenzione dell'O.N.U. sulla criminalità organizzata transnazionale del 2000, per la natura aperta del catalogo dei possibili reati scopo ivi contenuto, ben si presta ad offrire un efficace strumento di contrasto alla criminalità ambientale, posto che quest'ultima sempre più frequentemente assume i caratteri di crimine organizzato[viii].

- Le criticità del sistema sanzionatorio vigente in materia di ambiente.

Molteplici sono i fattori che rendono, allo stato, di scarsa efficacia e di modesta dissuasività la protezione penale apprestata dal nostro sistema all'ambiente.
In primo luogo, l'assenza di un intervento-quadro, che disciplini armonicamente la materia[ix]; l'introduzione di sanzioni penali, infatti, è stata per lo più l'effetto di interventi occasionali.
Inoltre, il sistema sanzionatorio è costituito, per lo più, come si è già detto, da contravvenzioni, con tutti i problemi che si sono menzionati: la pur significativa eccezione di cui all’art 53 bis del Decreto Ronchi presenta difficoltà applicative con peculiare riferimento ai rifiuti radioattivi, in particolare per le difficoltà interpretative connesse alle definizioni di «rifiuti ad alta radioattività» e di «ingenti quantitativi»[x].
Del tutto privo di sanzione penale è, inoltre, il c.d. dumping marino in materia di rifiuti[xi].
Fino ad oggi la criminalità ambientale è stata spesso vista come una sorta di appendice della criminalità di impresa; sicché, non senza ritardo, si è preso atto che l'ambiente non è solo esposto agli attacchi interessati dell'imprenditore preoccupato di ridurre i costi di produzione tagliando le spese di salvaguardia ambientale, ma soprattutto è oggi una risorsa, o al pari degli stupefacenti o degli appalti, attraverso cui la criminalità organizzata ricava profitti, anche in chiave transnazionale[xii].
Completa il quadro il versante dei rapporti collusivi delle organizzazioni criminali con gli organi della pubblica amministrazione deputati all'esercizio delle funzioni di controllo e vigilanza.
I delitti in materia ambientale sono spesso collegati con delitti di falso e con reati contro la pubblica amministrazione[xiii].
Il contrasto alla criminalità ambientale dovrebbe, pertanto, passare attraverso incisive modifiche normative che rendano chiaro ed efficacemente presidiato il quadro normativo di riferimento, anche mediante un'opportuna modulazione delle fattispecie già esistenti in tema di delitti contro la fede pubblica e contro la pubblica amministrazione.
E tuttavia, accanto a tali indifferibili interventi normativi, è indispensabile agire sulle cause sociali ed economiche, e prim'ancora culturali, che hanno determinato quel vuoto occupato dalle organizzazioni criminali: facendo crescere la cultura di rispetto per l'ambiente, predisponendo opportuni programmi educativi, pretendendo che le pubbliche amministrazioni si attrezzino per affrontare e risolvere, con interventi strutturali (propri di un approccio autenticamente politico e non meramente gestionale dell'emergenza), l'intero ciclo dello smaltimento dei rifiuti, stimolando efficacemente e premiando le imprese sane ad investire in tecnologie ecocompatibili, di contro sanzionando adeguatamente i comportamenti trasgressivi[xiv].

- Le linee direttrici di una possibile riforma

Non v’è dubbio che un invito a porre mano ad una complessiva rivisitazione del sistema penale in materia ambientale proviene dalla disciplina del mandato d'arresto europeo, nel cui ambito i reati ambientali costituiscono uno dei gruppi dei reati sensibili, per i quali, al fine di ottenere l'immediata consegna del ricercato o condannato da uno Stato membro all'altro, non occorre che il fatto lesivo dell'ambiente sia supportato, tanto nello Stato richiedente quanto in quello dell'esecuzione, dalla doppia incriminazione.
Critiche sono da sempre rivolte anche alla tecnica della formulazione della norma penale in bianco, soprattutto in presenza di rinvii a fattispecie amministrative dai confini troppo ampi ed indefiniti, tali cioè da non osservare i canoni costituzionali di legalità e tassatività della norma penale.
Se l'obiettivo è quello di proteggere l'ecosistema e fronteggiare efficacemente ogni fatto aggressivo dell'ambiente, non si può non condividere il rilievo secondo cui i soli reati di danno non sono sufficienti: non basta, infatti, intervenire con la sanzione penale quando il danno è già stato compiuto, magari irreparabilmente, ma occorre arretrare la soglia di tutela ed introdurre l'incriminazione di quelle condotte che siano in grado (concretamente), di mettere in pericolo l'ambiente, come suggerito dalla decisione quadro.

È necessario, insomma, costruire le singole fattispecie come reati di pericolo concreto, in modo da introdurre delle soglie edittali di sanzione detentiva consistenti e, conseguentemente, rendere applicabili gli strumenti previsti dalle altre decisioni quadro sopra richiamate[xv].

Un più severo trattamento sanzionatorio, adeguato al disvalore del fatto lesivo dell'ambiente, consente di allineare il sistema di protezione dell'ambiente tramite il diritto penale all'utilizzo degli strumenti giuridici di cooperazione giudiziaria rafforzata approvati nell'ambito del Terzo Pilastro. Ci si riferisce al mandato di arresto europeo ed alla decisione quadro sul blocco dei beni ed il sequestro a fini di prova: la possibilità di applicare questi strumenti alla criminalità ambientale, indipendentemente, come si è detto, dalla doppia incriminazione del fatto, deriva infatti dal quantum sanzionatorio previsto (richiedendosi, a tal fine, che le pene siano superiori ai tre anni).
L'attuale costruzione della tutela penale attraverso la fattispecie contravvenzionale non risulta più soddisfacente anche sotto un altro profilo: per la necessità di individuare con certezza il tipo di responsabilità.

Infatti, secondo l'articolo 2 della decisione quadro 2003/80, occorre predisporre l'incriminazione per comportamenti «intenzionali», che, cioè, non soltanto siano offensivi rispetto al bene «ambiente», ma costituiscano pure un'aggressione diretta ad esso (nei quali, ancor più chiaramente, l'autore si è rappresentato e ha voluto il danno od il pericolo per l'ambiente).

Ulteriori aspetti di criticità vengono in rilievo anche in relazione alla necessità di adeguare il sistema nazionale alle indicazioni provenienti dall'articolo 3 della decisione quadro citata, che dispone l'obbligo di incriminazione anche per i fatti commessi a causa di negligenza o, quanto meno, per negligenza grave. In questi casi però occorre stabilire dei limiti edittali diversi, ed inferiori a quelli previsti per i delitti dolosi, in modo da tenere conto della differenza sul piano della colpevolezza.
Insomma serve una sorta di doppio binario: da un lato, incriminare «reati di corposa offensività» (ancorati al danno e al pericolo concreto), dall'altro prevedere illeciti formali, reati di pericolo astratto, forse anche di pericolo presunto, che contemplino meccanismi di esclusione della punibilità in presenza di condotte positive di riparazione della situazione illecita conseguente alla condotta presuntivamente pericolosa[xvi].

Si rende poi indifferibile l'esigenza di individuare una nozione unitaria di ambiente, comprensiva delle risorse naturali, sia come singoli elementi (acqua, aria, suolo e sottosuolo) che come cicli naturali, e delle opere dell'uomo protette per il loro interesse ambientale, paesaggistico, artistico, archeologico, architettonico e storico.
Indubbiamente, l'introduzione di una fattispecie di delitto ambientale impone di affrontare e superare molte difficoltà di ordine dommatico.
Innanzitutto, è necessario individuare una definizione di «ambiente» dai confini il più possibile certi, e, quindi, in linea con i canoni di tassatività e determinatezza propri della norma penale. Il che, secondo alcuni, indurrebbe a considerare preferibile una soluzione diversa, fondata sull'attribuzione di disvalore penale a tutte quelle condotte di intenzionale violazione delle disposizioni proprie di quei settori (aria, acque, suolo, sottosuolo, patrimonio storico-artistico-archeologico) in cui si articola l'ambiente[xvii].
Indispensabile è, inoltre, il raccordo con le fattispecie delittuose già esistenti, in primis l'articolo 53-bis del quale è necessario un aggiustamento con riferimento alla tematica dei rifiuti radioattivi, nonché l'estensione dell'area del penalmente rilevante a comportamenti criminosi, allo stato, privi di sanzione, tra i quali spicca l'abbandono in mare di rifiuti.
La previsione di delitti ambientali consente il ricorso a strumenti investigativi e processuali (possibilità di ricorrere alle intercettazioni telefoniche ed «ambientali», adottabilità di misure cautelari personali, utilizzabilità degli strumenti di cooperazione internazionale).
Centrale è anche il profilo delle condotte agevolatrici e corruttive dei pubblici ufficiali: diventa indispensabile introdurre figure autonome di reato ovvero ipotesi aggravate di fattispecie già esistenti, tali da sanzionare efficacemente tutte le attività di ausilio alla criminalità ambientale poste in essere dai funzionari infedeli.
Poiché, inoltre, la criminalità ambientale, come dimostrano i molteplici elementi acquisiti dalla Commissione di inchiesta sul ciclo dei rifiuti relativamente alle inchieste giudiziarie, è criminalità di profitto, sovente su base organizzata, diventano indispensabili misure sanzionatorie che colpiscano i profitti, mediante la confisca dei patrimoni accumulati per effetto delle condotte illecite ovvero imponendo, anche come condizione di attenuazione della responsabilità, la bonifica dell'ambiente danneggiato.

La criminalità ambientale è, spesso, una criminalità inserita in contesti di tipo mafioso, a vocazione transnazionale; deve costituire, pertanto, motivo di specifica riflessione l'introduzione di collegamenti, quanto meno per le ipotesi più gravi (soprattutto di tipo associativo), con la disciplina prevista per i reati di stampo mafioso, prevedendo la competenza investigativa delle direzioni distrettuali antimafia, sulla scorta di quanto già previsto, ad esempio, per la tratta degli esseri umani, per il traffico di droga o per il contrabbando di sigarette (tutti fenomeni criminali transnazionali, al pari di molte delle manifestazioni della delinquenza ambientale).

Una riflessione particolare merita, poi, la responsabilità delle persone giuridiche in materia ambientale.
La responsabilità della persona giuridica, opzione non più eludibile, alla luce degli impegni europei ed internazionali assunti dal nostro Paese, è stata introdotta nel nostro ordinamento con il decreto legislativo n. 231 del 2001[xviii], attuativo della delega ex art 11 legge 300 del 2000.

Attraverso l'accertamento giudiziale, con le garanzie del processo penale, possono essere applicate all'ente – oltre alle indefettibili sanzioni pecuniarie - le sanzioni interdittive espressamente previste dall'articolo 9 (l'interdizione dall'esercizio dell'attività, la sospensione o revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni il cui esercizio sia stato funzionale alla commissione dell'illecito, il divieto di contrattazione con la P.A., l'esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o eventuale revoca dei provvedimenti già concessi, il divieto di pubblicizzazione di beni e servizi).

E’ opportuno ricordare che l'esercizio della delega è stato attuato solo in parte.

L'articolo 11 citato, includeva tra i delitti suscettibili di addebito per illecito amministrativo all'ente i reati relativi alla tutela dell'incolumità pubblica previsti dal codice penale (al titolo VI del libro II), quelli ambientali, quelli scaturenti dalla violazione alla normativa di tutela del territorio e quelli relativi a omicidio o lesioni colpose per violazione delle disposizioni sulla sicurezza ed igiene del lavoro.

Il Governo in sede di attuazione del potere di delega ha motivato la decisione di limitare l'intervento ai soli delitti inclusi nelle Convenzioni oggetto della legge di ratifica contenente la delega (OCSE e PIF), come una scelta «minimalista», in linea con la volontà di un ordine del giorno votato dalla Camera dei deputati.
Il sistema del decreto legislativo n. 231 si pone, pertanto, come cornice generale per ogni successiva tipizzazione normativa di addebito di responsabilità per le soggettività giuridiche conseguente ad un reato, e rappresenta quindi una base per la costruzione di un diritto sanzionatorio unitario, in grado di colpire con i requisiti della effettività, proporzionalità e dissuasività, le condotte illecite riferibili agli enti (collegate quindi ai settori della criminalità lato sensu economica).

Il sistema delineato dal decreto legislativo n. 231, nell'intenzione del legislatore delegato, «dovrebbe valere a disciplinare la materia anche per il futuro: per l'eventualità, cioè, che il legislatore intenda rimpinguare l'ambito della responsabilità amministrativa dell'ente, ricollegandola alla commissione di reati diversi da quelli rispetto ai quali è stata oggi contemplata dal decreto legislativo»[xix].
In sede di recepimento della Convenzione di Strasburgo contro il crimine ambientale del 1998 e della decisione quadro dell'Unione europea del 2003 in materia di crimine ambientale, le quali entrambi prevedono l'obbligo di introdurre la responsabilità per le persone giuridiche, sarà, pertanto, necessario richiamare il citato decreto legislativo, che disciplina in via generale i requisiti e le modalità di accertamento della responsabilità amministrativa anche in riferimento al crimine ambientale[xx].
Si impone, inoltre, l'opportunità di valorizzare, in termini di attuazione della responsabilità, la collaborazione pronta e leale della persona giuridica all'accertamento del reato commesso nel suo interesse, in linea con la prassi di importanti autorità amministrative in tema di tutela dell'ambiente (in primis, l'Environmental Protection Agency)[xxi].
In tale quadro fondamentale rilievo assume l'esigenza di pervenire quanto prima all'approvazione di un nuovo testo dell'articolo 9 della Costituzione, il cui esame delle relative proposte di legge è in corso di svolgimento in Parlamento, che sia volto a sancire un forte ed esplicito richiamo ai valori della promozione e della tutela dell'ambiente.

(Maurizio Arena)

 


[i] Per quanto concerne, in particolare, la gestione illecita dei rifiuti, nel testo di riforma verrà articolata in quattro ambiti specifici: la gestione dolosa, quella colposa, quella illecita mediante organizzazione e le falsità documentali.

 

[ii] Sotto questo profilo, un generale apprezzamento è stato espresso per la scelta fatta dal legislatore con la legge 23 marzo 2001 n. 93, la quale ha introdotto, nel d.lg. n. 22 del 1997, l'art 53 bis che punisce come delitto l'attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti, con pene aggravate se si tratta di particolari tipi di rifiuti pericolosi.

[iii] Appare utile segnalare al riguardo che, secondo autorevole dottrina, il crimine ambientale presenta caratteristiche di «transaction crime»: l'associazione criminale, che opera nel mercato del crimine ambientale, si caratterizza per la struttura di impresa che assume. Essa riveste un ruolo di legalità apparente all'interno del mercato, caratterizzandosi per una gestione manageriale della propria attività (mediante un attento esame del rapporto costo del crimine e benefici) oltre che per alcune specificità, costituite dalla necessità di sviluppare alte capacità di comunicazione all'interno del mercato stesso (soprattutto in relazione ai traffici transfrontalieri) e dalla alta concorrenza di altre organizzazioni imprenditoriali.

 

[iv] Il contenuto specifico della Convenzione risulta particolarmente rilevante in quanto la stessa, è stata espressamente richiamata al punto 10 del preambolo della decisione quadro dell'Unione Europea 2003/80/GAI

[v] Queste due previsioni rappresentano una chiara presa di posizione circa l'appartenenza del reato ambientale alla criminalità di tipo economico, caratterizzata dal fine di profitto, e prevalentemente riconducibile a strutture di impresa.

[vi] Mentre nell'ipotesi prevista alla lettera a) del citato articolo 2 ciò che rileva è la contaminazione dolosa dell'ambiente idonea di per sé a provocare danni direttamente alle persone, nell'ipotesi prevista alla lettera b) è criminalizzata la contaminazione ambientale non autorizzata e cioè quella che supera una normale soglia di tollerabilità.

 

[vii] In tale ambito si segnala l'UNEP (United Nations Environment Program), con le numerose iniziative a livello mondiale all'insegna dell'obiettivo: «Environment for development».
Una disciplina unitaria, che accomuni tutti gli Stati, è di grande utilità, sia per garantire omogeneità nella tutela dell'ambiente, sia per evitare tentazioni di allocare attività pericolose per la salute dell'uomo in paesi caratterizzati da legislazioni più permissive.

 

[viii] In corso di ratifica: cfr. AS 2351

 

[ix] ancorché sia stata pubblicata la legge 15 dicembre 2004, n. 308 recante "Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione" (Gazzetta Ufficiale n. 302 del 27 dicembre 2004), in relazione alle seguenti materie (art. 1):

“a) gestione dei rifiuti e bonifica dei siti contaminati;
b) tutela delle acque dall'inquinamento e gestione delle risorse idriche;
c) difesa del suolo e lotta alla desertificazione;
d) gestione delle aree protette, conservazione e utilizzo sostenibile degli esemplari di specie protette di flora e di fauna;
e) tutela risarcitoria contro i danni all'ambiente;
f) procedure per la valutazione di impatto ambientale (VIA), per la valutazione ambientale strategica (VAS) e per l'autorizzazione ambientale integrata QPPQ;
g) tutela dell'aria e riduzione delle emissioni in atmosfera”.

Alcuni principi e criteri direttivi nei confronti dell’Esecutivo sono direttamente connessi a quanto scritto finora:

“a) garanzia della salvaguardia, della tutela e del miglioramento della qualità dell'ambiente, della protezione della salute umana, dell'utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali, della promozione sul piano internazionale delle norme destinate a risolvere i problemi dell'ambiente a livello locale, regionale, nazionale, comunitario e mondiale, come indicato dall'articolo 174 del Trattato istitutivo della Comunità europea, e successive modificazioni;
b) conseguimento di maggiore efficienza e tempestività dei controlli ambientali, nonche' certezza delle sanzioni in caso di violazione delle disposizioni a tutela dell'ambiente;
c) invarianza degli oneri a carico della finanza pubblica;
d) sviluppo e coordinamento, con l'invarianza del gettito, delle misure e degli interventi che prevedono incentivi e disincentivi, finanziari o fiscali, volti a sostenere, ai fini della compatibilità ambientale, l'introduzione e l'adozione delle migliori tecnologie disponibili, come definite dalla direttiva 96/61/CE del Consiglio, del 24 settembre 1996, nonche' il risparmio e l'efficienza energetica, e a rendere più efficienti le azioni di tutela dell'ambiente e di sostenibilità dello sviluppo, anche attraverso strumenti economici, finanziari e fiscali;
e) piena e coerente attuazione delle direttive comunitarie, al fine di garantire elevati livelli di tutela dell'ambiente e di contribuire in tale modo alla competitività dei sistemi territoriali e delle imprese, evitando fenomeni di distorsione della concorrenza;
f) affermazione dei principi comunitari di prevenzione, di precauzione, di correzione e riduzione degli inquinamenti e dei danni ambientali e del principio "chi inquina paga";
g) previsione di misure che assicurino la tempestività e l'efficacia dei piani e dei programmi di tutela ambientale, estendendo, ove possibile, le procedure previste dalla legge 21 dicembre 2001, n. 443;
h) previsione di misure che assicurino l'efficacia dei controlli e dei monitoraggi ambientali, incentivando in particolare i programmi di controllo sui singoli impianti produttivi, anche attraverso il potenziamento e il miglioramento dell'efficienza delle autorità competenti;
i) garanzia di una più efficace tutela in materia ambientale anche mediante il coordinamento e l'integrazione della disciplina del sistema sanzionatorio, amministrativo e penale, fermi restando i limiti di pena e l'entità delle sanzioni amministrative già stabiliti dalla legge;
l) semplificazione, anche mediante l'emanazione di regolamenti, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, delle procedure relative agli obblighi di dichiarazione, di comunicazione, di denuncia o di notificazione in materia ambientale. Resta fermo quanto previsto per le opere di interesse strategico individuate ai sensi dell'articolo 1, comma 1, della legge 21 dicembre 2001, n. 443, e successive modificazioni;
m) riaffermazione del ruolo delle regioni, ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione, nell'attuazione dei principi e criteri direttivi ispirati anche alla interconnessione delle normative di settore in un quadro, anche procedurale, unitario, alla valorizzazione del controllo preventivo del sistema agenziale rispetto al quadro sanzionatorio amministrativo e penale, nonche' alla promozione delle componenti ambientali nella formazione e nella ricerca;
n) adozione di strumenti economici volti ad incentivare le piccole e medie imprese ad aderire ai sistemi di certificazione ambientale secondo le norme EMAS o in base al regolamento (CE) n. 76112001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 marzo 2001 e introduzione di agevolazioni amministrative negli iter autorizzativi e di controllo per le imprese certificate secondo le predette norme EMAS o in base al citato regolamento (CE) n. 76112001 prevedendo, ove possibile, il ricorso all'autocertificazione”.

Si richiede inoltre di conseguire l'effettività delle sanzioni amministrative per danno ambientale mediante l'adeguamento delle procedure di irrogazione e delle sanzioni medesime; rivedere le procedure relative agli obblighi di ripristino, al fine di garantire l'efficacia delle prescrizioni delle autorità competenti e il risarcimento del danno; definire le modalità di quantificazione del danno; prevedere, oltre a sanzioni a carico dei soggetti che danneggiano l'ambiente, anche meccanismi premiali per coloro che assumono comportamenti ed effettuano investimenti per il miglioramento della qualità dell'ambiente sul territorio nazionale

[x] A tale riguardo è stato rilevato, in primo luogo, che, più che di «alta radioattività», dovrebbe farsi riferimento, in modo tecnicamente più appropriato, all'alta attività (così nella Guida Tecnica n. 26 dell'ENEA, dal titolo «Gestione dei rifiuti radioattivi»); inoltre, il parametro dell'«ingente quantitativo», se nel caso delle tipologie dei rifiuti convenzionali, classificati nell'allegato «A» del decreto legislativo n. 22 del 1997, assume un significato univoco e coerente, per quanto concerne i rifiuti radioattivi diviene formula oscura e di incerta applicazione, in quanto le materie radioattive, ivi compresi i rifiuti, sono oggetto di peculiari discipline che prevedono soglie specifiche per ogni radionuclide.

 

[xi] Le cronache giudiziarie di questi ultimi anni hanno portato alla luce molteplici casi di cosiddette «navi a perdere», ovvero di navi fatte affondare con il relativo carico di rifiuti, talora anche tossici e radioattivi, conclusisi con decreti di archiviazione da parte dell'Autorità Giudiziaria proprio per la mancanza di una norma penale incriminatrice nella quale poter inquadrare tali condotte.

 

[xii] Si tratta di organizzazioni criminali capaci di seguire e gestire l'intera sequenza relativa al trattamento dei rifiuti, non più solo accontentandosi di imporre il pizzo alle imprese autorizzate alla raccolta e allo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, ma subentrando direttamente nell'intera filiera economica relativa alla gestione dei rifiuti.

 

[xiii] La nuova «missione» delle organizzazioni criminali è inserirsi, oltre che negli appalti delle opere pubbliche, negli appalti dei servizi, che non risultano muniti, a differenza dei primi, di presidi di vigilanza.

 

[xiv] È necessario, pertanto, procedere nell'azione di responsabilizzazione delle aziende del settore, che appaiono in molti casi più inclini alla ricerca del massimo profitto che non ad uno smaltimento corretto e pertanto più oneroso. È altrettanto necessaria un'azione di responsabilizzazione degli enti locali, poiché la debolezza delle funzioni di controllo amministrativo è una delle condizioni principali per la penetrazione nel settore degli operatori più spregiudicati e, quindi, delle organizzazioni criminali di riferimento.

 

[xv] Allo stato, solo la gestione di un'attività organizzata per il traffico illecito dei rifiuti, e la disciplina della discarica abusiva, contenute nel decreto Ronchi, presentano i richiesti requisiti di livello sanzionatorio, trattandosi, appunto, delle uniche fattispecie delittuose, punite a titolo di dolo, presenti nell'attuale sistema penale in materia di ambiente.

 

[xvi] In questo senso la Commissione bicamerale di inchiesta sul ciclo dei rifiuti, documento approvato il 21 dicembre 2004

 

[xvii] Del resto, lo spiccato tecnicismo delle disposizioni in materia ambientale mal si concilia con la struttura di un corpus normativo di tipo codicistico; le fattispecie criminose ambientali sono, spesso, costruite mediante il riferimento a tabelle, elenchi, allegati tecnici, in continua evoluzione ed aggiornamento.

[xviii] La disciplina in vigore include allo stato i seguenti reati: malversazione, indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato o di altro ente pubblico o della Comunità Europea, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche e frode informatica in danno dello Stato o di altro ente pubblico, corruzione, corruzione per atto di ufficio e in atti giudiziari, istigazione dei medesimi delitti, concussione, anche ove coinvolgano membri degli organi delle Comunità europee e funzionari delle Comunità europee o di Stati esteri. Sono stati, poi, introdotti i reati di finanziamento del terrorismo internazionale e l'associazione finalizzata alla tratta di esseri umani ed alla riduzione in schiavitù o servitù (quest'ultima introdotta con legge n. 228 del 2003).

 

[xix] Relazione al decreto, paragrafo 3

[xx] Risulta al momento all’esame del Parlamento il d.d.l. 2994 del 21 giugno 2004, il quale prevede l'introduzione dell'art. 452-nonies c.p. (Sanzioni per le persone giuridiche), che dispone l'imputabilità della persona giuridica che abbia tratto vantaggio o comunque beneficio dai delitti contro l’ambiente contestualmente descritti, ove commessi dagli amministratori nell'interesse della medesima; ovvero da persona che abbia agito individualmente o in quanto parte di un organo di una persona giuridica, purché dotata di potere di rappresentanza di detta persona giuridica. Per quanto riguarda le sanzioni che il giudice con la sentenza di condanna può comminare alla persona giuridica, si prevede: nei casi meno gravi, il pagamento di una multa da euro 10.000 ad euro 25.000; nei casi più gravi, il pagamento di una multa da euro 25.000 ad euro 100.000; l'interdizione temporanea o permanente dall'esercizio dell'attività industriale o commerciale; l'esclusione dal godimento di un vantaggio o aiuto pubblico; lo scioglimento coatto; l'obbligo di adottare misure specifiche al fine di evitare le conseguenze di condotte analoghe a quelle che hanno condotto alla responsabilità penale. Analoga disciplina sanzionatoria nei confronti delle persone giuridiche è prevista dal d.d.l. 3167: in questo progetto l'art. 452- nonies prevede una sanzione pecuniaria più gravosa (da euro 25.000 a euro 100.000), a prescindere dalla gravità della violazione commessa.

[xxi] Se, infatti, l'obiettivo primario di una rivisitazione del sistema penale in materia ambientale è quello di scoraggiare ogni aggressione, in forma individuale od organizzata, all'ambiente, aspetto fondamentale di tale strategia non può non essere anche quello di promuovere un vero e proprio mutamento culturale nel mondo imprenditoriale: persuadere le imprese che, investendo in ecologie pulite, in aderenza con il progresso scientifico e tecnologico, investono anche in un futuro sociale ed economico che ne potrà accrescere la competitività.