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SANZIONE PENALE O DEPENALIZZZIONE: NESSUNA ALTERNATIVA?
di Luca RAMACCI
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(già pubblicato su Rivistambiente)
PREMESSA: LE SANZIONI NELLE VIOLAZIONI AMBIENTALI.
Come è noto, da tempo ormai si dibatte animatamente tra i cultori del diritto ambientale per la individuazione della tipologia di sanzione più efficace per la repressione di comportamenti illeciti .
Viene spesso auspicato un maggiore ricorso alle sanzioni amministrative - specie per le violazioni di natura formale - con argomentazioni che, sebbene convincenti in teoria, non tengono conto, tuttavia, della realtà dei fatti .
A tale proposito non può farsi a meno di citare quanto osservato da AMENDOLA nel commento in margine alla sentenza 4561998 della Corte Costituzionale laddove il giudice delle leggi afferma, tra l'altro, che la repressione penale non rappresenta l'unico strumento di tutela in campo ambientale, risultando al contrario di pari se non superiore efficacia altri strumenti, anche sanzionatori, specie quando lo scopo perseguito è quello di regolare e controllare, più che condotte individuali (le uniche assoggettabili a sanzione penale in forza del principio di personalità della responsabilità) l'attività d'impresa.
Osserva a tale proposito l'Autore che le considerazioni della Corte, sebbene condivisibili in astratto, non tengono conto di un dato reale rappresentato dalla circostanza che raramente le sanzioni amministrative vengono pagate dai contravventori perdendo, dunque, quell'efficacia che la Corte attribuisce loro.
Aggiungeremmo pure che, sebbene la legge 29 settembre 2000 n. 300 abbia recepito alcuni atti normativi emanati dall'Unione Europea, delegando il governo a disciplinare la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e degli enti privi di personalità giuridica, con l'emanazione del D.Lv. 862001 n. 231 si è persa un'importante occasione per eliminare quel limite della responsabilità personale richiamato dalla Corte Costituzionale.
La delega al governo (verosimilmente non a caso) è stata infatti utilizzata solo in parte, con la conseguenza che non viene contemplata la responsabilità amministrativa per i reati in materia di tutela dell'ambiente e del territorio (e, altro evento probabilmente non casuale, di quelli di cui agli artt. 589 e 590 c.p. commessi in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro ovvero di tutela dell'igiene e della salute sul lavoro) .
La situazione attuale presenta, dunque, le originarie carenze con riferimento all'impianto sanzionatorio generale individuabili, per quanto riguarda le sanzioni amministrative, nella scarsa efficacia di quelle pecuniarie nei confronti di soggetti di regola economicamente forti; nelle obiettive difficoltà di applicare in concreto sanzioni di altro tipo ; nella inefficienza dei controlli affidati quasi sempre agli stessi soggetti destinati ad applicare materialmente le sanzioni (e che, per funzioni e dipendenza gerarchica, godono frequentemente di scarsa autonomia operativa) e, infine, nella relativa facilità con la quale può ottenersi, in sede giudiziaria o amministrativa, l'annullamento della sanzione.
Una statistica seria sulla concreta applicazione delle sanzioni amministrative in campo ambientale evidenzierebbe la drammaticità della realtà quotidiana.
Si ritiene dunque che, allo stato, la sanzione penale abbia maggiore effetto deterrente rispetto alla sanzione amministrativa per la maggiore afflittività delle sanzioni, per la incidenza dei controlli e per l'ampia disponibilità di strumenti procedurali (ad esempio il sequestro) pur con i limiti imposti dalla natura contravvenzionale della maggior parte delle violazioni e dalla personalità della responsabilità di cui si è detto in precedenza.
Va anche osservato che, sebbene la scelta della sanzione (penale o amministrativa) debba, in astratto, considerarsi come conseguenza di una preventiva valutazione del legislatore sulla gravità delle violazioni, nella pratica il ricorso alla sanzione amministrativa sembra effettuato non già per procedere a quel necessario bilanciamento quanto per assicurare una sostanziale impunità per certe tipologie di condotta ritenute non particolarmente rilevanti.
Mancano ancora, infine, i delitti contro l'ambiente per i fatti più rilevanti, con la conseguenza che continuano ad applicarsi le disposizioni comuni previste dal codice penale e ciò nonostante l'utilità, sotto il profilo operativo, dimostrata dall'articolo 53bis del D.Lv. 2297, uno dei pochi delitti previsti dalla normativa di tutela ambientale che, nonostante le evidenti imprecisioni nella formulazione, ha finora garantito risultati insperati nella repressione del traffico illecito di rifiuti .
Date tali premesse, il nodo della questione è dato dal fatto che, molto spesso, si ritiene eccessiva la sanzione penale per violazioni solo formali, cioè per quelle violazioni che non hanno come conseguenza diretta un danno all'ambiente (ad es. scarico di reflui in assenza di autorizzazione) ma che, tuttavia, sottraggono alla pubblica amministrazione quelle possibilità di controllo che il rilascio dell'autorizzazione consente. Di qui la necessità di mantenere la sanzione penale.
UNA POSSIBILE SOLUZIONE INTERMEDIA NELLA LEGGE "TREMONTI BIS"
La Legge 18 ottobre 2001, n. 383 "Primi interventi per il rilancio dell'economia" (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 248 del 24 ottobre 2001) aveva, come è noto, lo scopo di incentivare gli imprenditori che operano nell'ambito della c.d. economia sommersa a regolarizzare la propria posizione.
Nel far ciò prevede una serie di agevolazioni che consentono anche la regolarizzazione sotto il profilo della tutela ambientale.
A tale scopo l'articolo 2 stabilisce che "….. Gli imprenditori che aderiscono ai programmi di emersione di cui all'articolo 1 possono regolarizzare i loro insediamenti produttivi, accedendo al regime di cui agli articoli 20, 21 e 24 del decreto legislativo 19 dicembre 1994, n. 758, esteso anche alle violazioni amministrative e penali in materia ambientale che determinano solo lesione di interessi amministrativi e sono caratterizzate dalla messa in pericolo e non dal danno al bene protetto. Sono sempre esclusi i casi di esecuzione di lavori di qualsiasi genere su beni culturali nonché ambientali e paesaggistici, realizzati senza le autorizzazioni prescritte dagli articoli 21 e 163 del testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, di cui al decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, o in difformità dalle medesime autorizzazioni"
Il richiamo riguarda una procedura - peraltro ormai collaudata - utilizzata nel campo degli infortuni sul lavoro (il D.Lv. 75894) che, in modo estremamente sintetico e sicuramente incompleto, può essere così illustrata.
La disposizioni (artt. 19 e seguenti D.Lv. 75894) riguardano i reati in materia di sicurezza e di igiene del lavoro puniti con la pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda in base alle norme che vengono poi indicate nell'allegato I.
L'organo di vigilanza, il quale esercita funzioni di polizia giudiziaria, impartisce al contravventore un'apposita prescrizione, fissando per la regolarizzazione un termine non eccedente il periodo di tempo tecnicamente necessario, prorogabile a richiesta del contravventore, per la particolare complessità o per l'oggettiva difficoltà dell'adempimento. Tale termine non può superare i sei mesi a meno che specifiche circostanze, non imputabili al contravventore, determinino un ritardo nella regolarizzazione (in tal caso è ammessa una sola proroga di ulteriori sei mesi da concedersi con provvedimento motivato che va immediatamente comunicato al pubblico ministero).
Con la prescrizione possono inoltre essere imposte specifiche misure atte a far cessare il pericolo per la sicurezza o per la salute dei lavoratori durante il lavoro.
L'attivazione della procedura, inoltre, impone comunque all'organo di vigilanza di riferire al pubblico ministero la notizia di reato ai sensi dell'art. 347 del codice di procedura penale cosicché non viene a questi sottratta la possibilità di intervento.
A tale proposito va ricordato come la Corte di cassazione abbia precisato che l'atto di prescrizione non ha natura di provvedimento amministrativo, trattandosi di vero e proprio atto di polizia giudiziaria come tale sottratto al regime proprio degli atti amministrativi .
Entro e non oltre il sessantesimo giorno dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione l'organo di vigilanza verifica se la violazione e' stata eliminata secondo le modalità indicate e nei termini e, se ciò è avvenuto, ammette il contravventore a pagare in sede amministrativa, nel termine di trenta giorni, una somma pari al quarto del massimo dell'ammenda stabilita per la contravvenzione commessa. Entro centoventi giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione, l'organo di vigilanza comunica al pubblico ministero l'adempimento, nonché l'eventuale pagamento della predetta somma.
Se, invece, risulta l'inadempimento, l'organo di vigilanza ne da' comunicazione al pubblico ministero e al contravventore entro novanta giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione.
L'articolo 22 stabilisce inoltre (comma primo) che nel caso in cui il pubblico ministero prenda notizia di una contravvenzione di propria iniziativa ovvero la riceva da privati o da altri pubblici ufficiali o incaricati di un pubblico servizio diversi dall'organo di vigilanza, ne da' immediata comunicazione all'organo di vigilanza medesimo per le sue determinazioni in ordine alla prescrizione, che andranno poi comunicate all'autorità giudiziaria entro sessanta giorni dalla data di ricezione della notizia (comma secondo).
La procedura di estinzione delle contravvenzioni prevede inoltre (articolo 23) la sospensione del relativo procedimento penale dal momento dell'iscrizione della notizia di reato nell'apposito registro fino al momento in cui il pubblico ministero riceve una delle comunicazioni di cui si è detto in precedenza.
Nel caso previsto dall'art.22 il procedimento riprende il nuovo corso quando l'organo di vigilanza informa il pubblico ministero che non ritiene di dover impartire una prescrizione e, comunque, alla scadenza del termine fissato nel secondo comma, se l'organo di vigilanza omette di informare il pubblico ministero delle proprie determinazioni sulla prescrizione. Qualora nel predetto termine l'organo di vigilanza informi il pubblico ministero d'aver impartito una prescrizione, il procedimento rimane sospeso con le modalità di cui si è detto in precedenza.
La sospensione del procedimento non preclude al pubblico ministero la possibilità di richiedere l'archiviazione, di assumere prove con incidente probatorio, di compiere atti urgenti di indagine preliminare e di intervenire con la misura cautelare reale del sequestro preventivo.
Secondo quanto disposto dall'articolo 24, l'adempimento delle prescrizioni ed il pagamento delle somme fissate determina l'estinzione della contravvenzione. Viene anche stabilito che l'adempimento in un tempo superiore a quello indicato nella prescrizione, ma che comunque risulti congruo secondo quanto disposto dall'art.20, comma 1, ovvero l'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose della contravvenzione con modalità diverse da quelle indicate dall'organo di vigilanza, vengono valutate ai fini dell'applicazione dell'art. 162-bis del codice penale. In tal caso, la somma da versare e' ridotta al quarto del massimo dell'ammenda stabilita per la contravvenzione commessa.
Occorre ricordare, a tale proposito, che la giurisprudenza ha evidenziato come il giudice debba controllare il regolare svolgimento della procedura fissata dalle disposizioni esaminate e che l'effetto estintivo della procedura è comunque subordinato al verificarsi delle due condizioni dell'adempimento tempestivo alla prescrizione e del pagamento della somma prevista .
UNA POSSIBILE SOLUZIONE
La procedura illustrata, ampiamente collaudata nel corso degli anni e che ha dato luogo ad un contenzioso estremamente contenuto, è stata ritenuta dunque applicabile anche alle violazioni ambientali ma con la limitazione, indicata espressamente dall'articolo 1 della legge "Tremonti bis", alle sole imprese che "emergono dal sommerso" e non è applicabile alle altre.
Con opportuni aggiustamenti, tuttavia, la procedura di estinzione prevista dal D.Lv. 75894 (sicuramente più efficace della procedura di definizione delle contravvenzioni mediante oblazione prevista dagli artt. 162 e 162bis c.p.) potrebbe essere utilizzata come valida alternativa anche per quelle violazioni di disposizioni penali poste a tutela dell'ambiente di minore gravità prevedendo, tra gli adempimenti imposti con le prescrizioni, non solo quelli di natura esclusivamente tecnica ma anche quelli riguardanti la regolarizzazione sotto il profilo amministrativo (ad esempio il rilascio delle prescritte autorizzazioni).
Occorrerebbe però procedere preliminarmente ad una chiara individuazione delle violazioni assoggettabili alla procedura di definizione indicandole singolarmente o per determinate caratteristiche (ad esempio contravvenzioni punite con pena pecuniaria o alternativa) tenendo conto della preventiva valutazione operata dal legislatore .
Appare infatti estremamente ampio il termine "violazioni" che potrebbe comprendere anche i delitti ed estremamente generico ed ambiguo il riferimento dell'art.2, comma primo della L.3832001 alla "messa in pericolo" ed al "danno". Tale ambiguità potrebbe dar luogo, come è facile ipotizzare, a non poche questioni sulla applicabilità della procedura di estinzione a questa o quella violazione.
Non meno importante è poi l'individuazione dei soggetti preposti al controllo anche se quasi sempre indicati dalle singole disposizioni di settore.
Una particolare attenzione andrebbe posta, inoltre, al termine fissato per l'adempimento che, in alcuni casi, potrebbe essere eccessivamente lungo o prorogato senza valido motivo, consentendo di fatto la prosecuzione dell'attività illecita che potrebbe costituire pericolo per la salute delle persone e l'integrità dell'ambiente, seppure entro il termine massimo fissato dall'art. 20 del D.Lv. in materia antinfortunistica.
Potrebbe rimediare, seppure in parte, a tale situazione il contenuto del comma terzo dell'articolo 20 della normativa antinfortunistica (laddove si precisa che con la prescrizione l'organo di vigilanza possa imporre specifiche misure atte a far cessare il pericolo per la sicurezza o per la salute dei lavoratori durante il lavoro) con opportuni riferimenti all'oggetto della tutela.
Un ulteriore rimedio potrebbe essere rappresentato dalla applicazione degli articoli 22 e 23 che, lo si sarà notato, la legge "Tremonti bis" omette di richiamare.
Tali disposizioni prevedendo, come si è visto, il concorrente intervento del pubblico ministero cui non viene precluso il compimento di atti particolari anche durante la sospensione del procedimento, consentirebbero in casi particolari l'adozione di opportune misure atte a prevenire le conseguenze delle contravvenzioni in via di definizione. L'autorità giudiziaria potrebbe inoltre procedere per i reati non rientranti nella speciale procedura di definizione ed effettuare comunque un ulteriore controllo sull'esatto adempimento alle prescrizioni imposte.
Non va poi sottaciuto che la previsione della sospensione del procedimento per il tempo necessario alla definizione della procedura di estinzione produrrebbe i suoi effetti anche sulla prescrizione del reato così come disposto dall'articolo 159, comma primo c.p. in quanto rimarrebbe sospeso anche il corso della prescrizione i cui termini massimi, come è noto, sono per le contravvenzioni punite con pena pecuniaria 3 anni e, per quelle punite con pena alternativa, 4 anni e 6 mesi.
L'utilizzazione della procedura di definizione, solo in parte recepita dalla legge "Tremonti-bis", potrebbe inoltre limitare il ricorso al sequestro preventivo, spesso applicato in presenza di reati permanenti (ad esempio lo scarico in assenza di autorizzazione) e poi revocato a regolarizzazione avvenuta ed utilizzato, quindi, con finalità analoghe a quelle della procedura di estinzione in esame ma con tutti i limiti imposti dalla scarsa "flessibilità" dell'istituto
Il ricorso ad una normativa collaudata che consenta all'imprenditore che opera in condizioni di illegalità di ottenere, in prima battuta, la possibilità di regolarizzare la propria posizione avendo la garanzia non solo di non subire un processo (che interverrà, eventualmente, solo in caso di accertata inottemperanza alle prescrizioni imposte dall'organo di controllo) ma anche di non interrompere la propria attività a causa di sequestri, dovrebbe essere ben visto dal mondo dell'impresa e costituire un valido compromesso.
La possibilità che la norma offre all'autorità giudiziaria ed alle autorità amministrative di effettuare comunque le proprie verifiche eliminerebbe il sospetto di una disposizione finalizzata a premiare i disonesti e penalizzare coloro che si adeguano (con costi rilevanti) alle disposizioni di tutela dell'ambiente.
E' dunque auspicabile che il legislatore, piuttosto che procedere ad una irragionevole depenalizzazione anche in contrasto con l'orientamento comunitario provi ad utilizzare strumenti che, anche se imperfetti, avranno quasi certamente effetti meno devastanti.
Luca RAMACCI