Taranto. La Corte di Giustizia Europea in difesa del popolo inquinato.
di Stefano DELIPERI
E’ un bel segnale in difesa del popolo inquinato, è un importante precedente per vicende analoghe sebbene in Italia forse non si sia bene compreso.
Con la sentenza della Corte di giustizia nella causa C-626/22 Ilva e altri la Corte ha affermato che se risultano pericoli per l’ambiente e la salute pubblica, l’attività del complesso siderurgico ILVA di Taranto dev’essere sospesa.
La sentenza Corte Giust. UE (Grande Sezione), 25 giugno 2024, C-626/22 ha deciso la domanda di pronuncia pregiudiziale, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Tribunale civile di Milano, con ordinanza del 16 settembre 2022 (qui i documenti processuali).
Nel settembre 2022 il Tribunale di Milano ha chiesto alla Corte di Giustizia europea una pronuncia pregiudiziale in relazione a una serie di ipotesi applicative della direttiva n. 2010/75/UE del Parlamento e del Consiglio del 24 novembre 2010 inerente le emissioni industriali (prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento), fra cui la valutazione del danno sanitario (VDS) e la possibilità di differimento (nel caso concreto più di 11 anni) della realizzazione di misure di riduzione dell’impatto inquinante pur in presenza di acclarati livelli di grave inquinamento.
La Regione Puglia è intervenuta a sostegno delle richieste del nucleo di residenti tarantini, analogamente all’associazione ambientalista Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG), rappresentata e difesa dagli Avv.ti Carlo e Filippo Colapinto, del Foro di Bari.
Nel gennaio 2024 era stato l’Avvocato generale presso la Corte di Giustizia europea Juliane Kokott ad argomentare una decisa posizione per la limitazione degli effetti inquinanti delle emissioni industriali, nel caso specifico del complesso ILVA di Taranto in amministrazione straordinaria: “nell’autorizzare un impianto e nel riesaminare un'autorizzazione devono essere considerate tutte le sostanze inquinanti emesse in quantità significativa che possono essere previste e il loro impatto sulla salute umana.
La Corte di Giustizia Europea ha evidenziato l’intrinseco collegamento tra la protezione dell’ambiente e quella della salute umana, ambedue obiettivi chiave del diritto dell’Unione, garantiti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea: la direttiva in esame contribuisce al conseguimento di tali obiettivi e alla salvaguardia del diritto di vivere in un ambiente atto a garantire la salute e il benessere.
Secondo il Governo italiano, la direttiva non fa alcun riferimento alla valutazione del danno sanitario,mentre la Corte rileva che la nozione di «inquinamento» ai sensi di tale direttiva include i danni tanto all’ambiente quanto alla salute umana.
Pertanto, la valutazione dell’impatto dell’attività di un’installazione come gli impianti siderurgici ILVA su tali due aspetti deve costituire atto interno ai procedimenti di rilascio e riesame dell’autorizzazione all’esercizio.
Il Tribunale di Milano è del parere che tale presupposto non sia stato rispettato per quanto riguarda il danno sanitario. Il gestore deve altresì valutare tali impatti durante tutto il periodo di esercizio della sua installazione. Inoltre, secondo il Tribunale di Milano, le norme speciali applicabili all’acciaieria ILVA hanno consentito di rilasciarle un’autorizzazione ambientale e di riesaminarla senza considerare talune sostanze inquinanti o i loro effetti nocivi sulla popolazione circostante.
La Corte di Giustizia afferma che il gestore di un’installazione deve fornire, nella sua domanda di autorizzazione iniziale, informazioni relative al tipo, all’entità e al potenziale effetto negativo delle emissioni che possono essere prodotte dalla sua installazione. Solo le sostanze inquinanti che si ritiene abbiano un effetto trascurabile sulla salute umana e sull’ambiente possono non essere assoggettate al rispetto dei valori limite di emissione nell’autorizzazione all’esercizio.
La Corte afferma che - contrariamente a quanto sostenuto dall’ILVA e dal Governo italiano, il procedimento di riesame non può limitarsi a fissare valori limite per le sostanze inquinanti la cui emissione era prevedibile., ma bisogna tener conto anche delle emissioni effettivamente generate dall’installazione nel corso del suo esercizio e relative ad altre sostanze inquinanti.
In caso di violazione delle condizioni di autorizzazione all’esercizio dell’installazione, il gestore deve adottare immediatamente le misure necessarie per garantire il ripristino della conformità della sua installazione a tali condizioni nel più breve tempo possibile.
In caso di pericoli gravi e rilevanti per l’integrità dell’ambiente e della salute umana, il termine per applicare le misure di protezione previste dall’autorizzazione all’esercizio non può essere prorogato ripetutamente e l’esercizio dell’installazione deve essere sospeso, senza far ricorso a normative elusive.
La causa in corso davanti al Tribunale di Milano è stata avviata, con grande coraggio, da un gruppo di residenti tarantini nel 2021, con la richiesta in sede giudiziaria una migliore qualità della vita mediante un’azione inibitoria collettiva (art. 840 sexiesdecies cod. proc. civ.) davanti al Tribunale civile di Milano, chiedendo in via principale la chiusura o cessazione dell’attività della c.d. area a caldo degli impianti ex ILVA, in via subordinata la chiusura o cessazione dell’attività delle cokerie. In via ancora subordinata, è stata chiesta la cessazione dell’attività produttiva fino al puntuale rispetto delle prescrizioni dell’autorizzazione integrata ambientale (AIA), nonché, in ogni caso, la predisposizione di un piano industriale che preveda l’abbattimento del 50% delle emissioni di gas serra entro il 2026.
Ora è giunta da parte della Corte di Giustizia Europea la pronuncia pregiudiziale richiesta che apre la strada alla conseguenziale pronuncia del Tribunale di Milano con la fondata speranza di poter aiutare i tarantini a ottenere quella migliore qualità della vita che attendono da fin troppo tempo.
La Corte ricorda che “spetta al giudice nazionale risolvere la causa conformemente alla decisione della Corte. Tale decisione vincola egualmente gli altri giudici nazionali ai quali venga sottoposto un problema simile”.
Si tratta, quindi, di un fondamentale precedente giurisprudenziale valido per tutti i casi analoghi.
Ma è in primo luogo una pietra miliare per Taranto, dove il disastro ambientale e sanitario determinato dal perdurante inquinamento degli impianti industriali siderurgici è ben noto in ambito internazionale, sotto gli occhi di tutti.
Dott. Stefano Deliperi
SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)
25 giugno 2024 (*)
«Rinvio pregiudiziale – Ambiente – Articolo 191 TFUE – Emissioni industriali – Direttiva 2010/75/UE – Prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento – Articoli 1, 3, 8, 11, 12, 14, 18, 21 e 23 – Articoli 35 e 37 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Procedimenti di rilascio e riesame di un’autorizzazione all’esercizio di un’installazione – Misure di protezione dell’ambiente e della salute umana – Diritto a un ambiente pulito, sano e sostenibile»
Nella causa C‑626/22,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Tribunale di Milano (Italia), con ordinanza del 16 settembre 2022, pervenuta in cancelleria il 3 ottobre 2022, nel procedimento
C. Z. e a.
contro
Ilva SpA in Amministrazione Straordinaria,
Acciaierie d’Italia Holding SpA,
Acciaierie d’Italia SpA,
e nei confronti di:
Regione Puglia,
Gruppo di Intervento Giuridico – ODV,
LA CORTE (Grande Sezione),
composta da K. Lenaerts, presidente, L. Bay Larsen, vicepresidente, A. Arabadjiev (relatore), A. Prechal, K. Jürimäe, F. Biltgen e N. Piçarra, presidenti di sezione, S. Rodin, L.S. Rossi, I. Jarukaitis, N. Jääskinen, N. Wahl, J. Passer, D. Gratsias e M.L. Arastey Sahún, giudici,
avvocato generale: J. Kokott
cancelliere: C. Di Bella, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 7 novembre 2023,
considerate le osservazioni presentate:
– per C. Z. e a., da A. Amenduni e M. Rizzo Striano, avvocati;
– per l’Ilva SpA in Amministrazione Straordinaria, da M. Annoni, R.A. Cassano, A. Cogoni, G. Lombardi, M. Merola, L.‑D. Tassinari Vittone e C. Tesauro, avvocati;
– per la Acciaierie d’Italia Holding SpA e la Acciaierie d’Italia SpA, da M. Beraldi, E. Gardini, S. Grassi, R. Perini, G.C. Rizza, G. Scassellati Sforzolini, C. Tatozzi, G. Tombesi e L. Torchia, avvocati;
– per la Regione Puglia, da A. Bucci e R. Lanza, avvocate;
– per il Gruppo di Intervento Giuridico – ODV, da C. Colapinto e F. Colapinto, avvocati;
– per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da S. Fiorentino, avvocato dello Stato;
– per la Commissione europea, da G. Gattinara e C. Valero, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 14 dicembre 2023,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della direttiva 2010/75/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 novembre 2010, relativa alle emissioni industriali (prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento) (GU 2010, L 334, pag. 17, e rettifica in GU 2012, L 158, pag. 25).
2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra, da un lato, C. Z. e a., residenti del comune di Taranto (Italia) e dei comuni limitrofi, e, dall’altro, l’Ilva SpA in Amministrazione Straordinaria (in prosieguo: l’«Ilva»), società proprietaria di uno stabilimento siderurgico situato in tale comune (in prosieguo: lo «stabilimento Ilva»), la Acciaierie d’Italia Holding SpA e la Acciaierie d’Italia SpA, in merito all’inquinamento causato dall’attività di tale stabilimento e ai danni che ne derivano per la salute umana.
Contesto normativo
Diritto dell’Unione
3 Dal considerando 1 della direttiva 2010/75 risulta che quest’ultima ha proceduto alla rifusione di sette direttive, tra le quali figura la direttiva 2008/1/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 gennaio 2008, sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento (GU 2008, L 24, pag. 8), che aveva codificato la direttiva 96/61/CE del Consiglio, del 24 settembre 1996, sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento (GU 1996, L 257, pag. 26).
4 I considerando 2, 12, 15, 27, 29, 43 e 45 della direttiva 2010/75 così recitano:
«(2) Per prevenire, ridurre e, per quanto possibile, eliminare l’inquinamento dovuto alle attività industriali, nel rispetto del principio “chi inquina paga” e del principio della prevenzione dell’inquinamento, è necessario definire un quadro generale che disciplini le principali attività industriali, intervenendo innanzitutto alla fonte, nonché garantendo una gestione accorta delle risorse naturali e tenendo presente, se del caso, la situazione socioeconomica e le specifiche caratteristiche locali del sito in cui si svolge l’attività industriale.
(...)
(12) L’autorizzazione dovrebbe definire tutte le misure necessarie per assicurare un elevato livello di protezione dell’ambiente nel suo complesso e per assicurare che l’installazione sia gestita conformemente ai principi generali degli obblighi fondamentali del gestore. L’autorizzazione dovrebbe fissare inoltre valori limite di emissione per le sostanze inquinanti, ovvero parametri o misure tecniche equivalenti, requisiti adeguati per la protezione del suolo e delle acque sotterranee e prescrizioni in materia di monitoraggio. È opportuno che le condizioni di autorizzazione siano definite sulla base delle migliori tecniche disponibili [(BAT)].
(...)
(15) È importante offrire alle autorità competenti una flessibilità sufficiente per fissare valori limite di emissione atti ad assicurare che, in condizioni di esercizio normali, le emissioni non superino i livelli di emissione associati alle [BAT] indicati nelle conclusioni sulle BAT. (...) L’osservanza dei valori limite di emissione fissati nelle autorizzazioni dà luogo a emissioni inferiori a detti valori limite.
(...)
(27) (...) È opportuno che i cittadini interessati abbiano accesso alla giustizia per potere contribuire alla salvaguardia del diritto di ognuno a vivere in un ambiente atto a garantire la sua salute ed il suo benessere.
(...)
(29) I grandi impianti di combustione contribuiscono considerevolmente all’emissione di sostanze inquinanti nell’atmosfera, che hanno gravi ripercussioni sulla salute umana e sull’ambiente. (...)
(...)
(43) Per concedere alle installazioni esistenti un tempo sufficiente per adeguarsi, sul piano tecnico, alle nuove prescrizioni della presente direttiva, è opportuno che alcune di queste nuove prescrizioni si applichino alle installazioni esistenti dopo un periodo di tempo determinato a partire dalla data d’applicazione della presente direttiva. Gli impianti di combustione necessitano di un periodo di tempo sufficiente per attuare le misure di abbattimento delle emissioni richieste per conformarsi ai valori limite di emissione indicati nell’allegato V.
(...)
(45) La presente direttiva rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi sanciti in particolare dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. In particolare, la presente direttiva mira a promuovere l’applicazione dell’articolo 37 della predetta Carta».
5 Ai sensi dell’articolo 1 di tale direttiva, intitolato «Oggetto»:
«La presente direttiva stabilisce norme riguardanti la prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento proveniente da attività industriali.
Essa fissa inoltre norme intese a evitare oppure, qualora non sia possibile, ridurre le emissioni delle suddette attività nell’aria, nell’acqua e nel terreno e ad impedire la produzione di rifiuti, per conseguire un livello elevato di protezione dell’ambiente nel suo complesso».
6 L’articolo 3 di detta direttiva, intitolato «Definizioni», stabilisce quanto segue:
«Ai fini della presente direttiva si intende per:
(...)
2) “inquinamento”, l’introduzione diretta o indiretta, a seguito di attività umana, di sostanze, vibrazioni, calore o rumore nell’aria, nell’acqua o nel terreno, che potrebbero nuocere alla salute umana o alla qualità dell’ambiente, causare il deterioramento di beni materiali, oppure danni o perturbazioni a valori ricreativi dell’ambiente o ad altri suoi legittimi usi;
3) “installazione”, l’unità tecnica permanente in cui sono svolte una o più attività elencate nell’allegato I o nell’allegato VII, parte I, e qualsiasi altra attività accessoria presso lo stesso luogo, che sono tecnicamente connesse con le attività elencate nei suddetti allegati e possono influire sulle emissioni e sull’inquinamento;
(...)
5) “valori limite di emissione”, la massa espressa in rapporto a determinati parametri specifici, la concentrazione e/o il livello di un’emissione che non possono essere superati in uno o più periodi di tempo;
6) “norma di qualità ambientale”, la serie di requisiti che devono sussistere in un dato momento in un determinato ambiente o in una specifica parte di esso, come stabilito nella normativa dell’Unione;
(...)
8) “disposizioni generali vincolanti”, valori limite di emissione o altri requisiti, almeno a livello settoriale, adottati al fine di essere utilizzati direttamente per determinare le condizioni di autorizzazione;
(...)
10) “[BAT]”, la più efficiente e avanzata fase di sviluppo di attività e relativi metodi di esercizio indicanti l’idoneità pratica di determinate tecniche a costituire la base dei valori limite di emissione e delle altre condizioni di autorizzazione intesi ad evitare oppure, ove ciò si riveli impraticabile, a ridurre le emissioni e l’impatto sull’ambiente nel suo complesso:
a) per “tecniche” sia le tecniche impiegate sia le modalità di progettazione, costruzione, manutenzione, esercizio e chiusura dell’installazione;
b) per “tecniche disponibili” le tecniche sviluppate su una scala che ne consenta l’applicazione in condizioni economicamente e tecnicamente attuabili nell’ambito del pertinente comparto industriale, prendendo in considerazione i costi e i vantaggi, indipendentemente dal fatto che siano o meno applicate o prodotte nello Stato membro di cui si tratta, purché il gestore possa avervi accesso a condizioni ragionevoli;
c) per “migliori”, si intendono le tecniche più efficaci per ottenere un elevato livello di protezione dell’ambiente nel suo complesso.
(...)».
7 L’articolo 4 della medesima direttiva, intitolato «Obbligo di detenere un’autorizzazione», al paragrafo 1 così dispone:
«Gli Stati membri adottano le misure necessarie per garantire che nessuna installazione o nessun impianto di combustione, nessun impianto di incenerimento dei rifiuti o nessun impianto di coincenerimento dei rifiuti operi senza autorizzazione.
(...)».
8 L’articolo 5 della direttiva 2010/75, intitolato «Rilascio di un’autorizzazione», al paragrafo 1 prevede quanto segue:
«Fatti salvi gli altri requisiti prescritti dalle normative nazionali o dell’Unione, l’autorità competente rilascia l’autorizzazione se l’installazione è conforme ai requisiti previsti dalla presente direttiva».
9 L’articolo 8 di tale direttiva, intitolato «Violazioni», è così formulato:
«1. Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché le condizioni di autorizzazione siano rispettate.
2. In caso di violazione delle condizioni di autorizzazione, gli Stati membri provvedono affinché:
a) il gestore informi immediatamente l’autorità competente;
b) il gestore adotti immediatamente le misure necessarie per garantire il ripristino della conformità nel più breve tempo possibile;
c) l’autorità competente imponga al gestore di adottare ogni misura complementare appropriata che l’autorità stessa ritenga necessaria per ripristinare la conformità.
Laddove la violazione delle condizioni di autorizzazione presenti un pericolo immediato per la salute umana o minacci di provocare ripercussioni serie ed immediate sull’ambiente e sino a che la conformità non venga ripristinata (...), è sospeso l’esercizio dell’installazione (...)».
10 L’articolo 10 di detta direttiva, intitolato «Ambito di applicazione», così dispone:
«Il presente capo si applica a tutte le attività elencate nell’allegato I e che, se del caso, raggiungono i valori soglia di capacità fissati nello stesso allegato».
11 L’articolo 11 della medesima direttiva, intitolato «Principi generali degli obblighi fondamentali del gestore», prevede quanto segue:
«Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché l’installazione sia gestita in modo conforme ai principi che seguono:
a) sono adottate tutte le opportune misure di prevenzione dell’inquinamento;
b) sono applicate le [BAT];
c) non si verificano fenomeni di inquinamento significativi;
(...)».
12 L’articolo 12 della direttiva 2010/75, intitolato «Domande di autorizzazione», al paragrafo 1 stabilisce quanto segue:
«Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché una domanda di autorizzazione contenga la descrizione:
(...)
f) del tipo e dell’entità delle prevedibili emissioni dell’installazione in ogni comparto ambientale nonché un’identificazione degli effetti significativi delle emissioni sull’ambiente;
(...)
i) delle altre misure previste per ottemperare [ai principi generali degli] obblighi fondamentali del gestore di cui all’articolo 11;
j) delle misure previste per controllare le emissioni nell’ambiente;
(...)».
13 Ai sensi dell’articolo 14 di tale direttiva, intitolato «Condizioni di autorizzazione»:
«1. Gli Stati membri si accertano che l’autorizzazione includa tutte le misure necessarie per soddisfare le relative condizioni di cui agli articoli 11 e 18.
Tali misure includono almeno:
a) valori limite di emissione fissati per le sostanze inquinanti elencate nell’allegato II e per le altre sostanze inquinanti che possono essere emesse dall’installazione interessata in quantità significativa, in considerazione della loro natura e delle loro potenzialità di trasferimento dell’inquinamento da un elemento ambientale all’altro;
(...)
2. Ai fini del paragrafo 1, lettera a), i valori limite di emissione possono essere integrati o sostituiti con altri parametri o misure tecniche equivalenti che garantiscano un livello equivalente di protezione ambientale.
3. Le conclusioni sulle BAT fungono da riferimento per stabilire le condizioni di autorizzazione.
4. Fatto salvo l’articolo 18, l’autorità competente può stabilire condizioni di autorizzazione più rigide di quelle ottenibili utilizzando le [BAT] descritte nelle conclusioni sulle BAT. Gli Stati membri possono stabilire norme in forza delle quali l’autorità competente può fissare dette condizioni più rigide.
(...)
6. Se un’attività, o un tipo di processo di produzione svolto all’interno di un’installazione non è previsto da alcuna delle conclusioni sulle BAT o se queste conclusioni non prendono in considerazione tutti gli effetti potenziali dell’attività o del processo sull’ambiente, l’autorità competente, previa consultazione con il gestore, stabilisce le condizioni di autorizzazione in base alle [BAT] che ha determinato per le attività o i processi interessati prestando particolare attenzione ai criteri di cui all’allegato III.
(...)».
14 L’articolo 15 di detta direttiva, intitolato «Valori limite delle emissioni, parametri e misure tecniche equivalenti», ai paragrafi 2 e 3 prevede quanto segue:
«2. Fatto salvo l’articolo 18, i valori limite di emissione, i parametri e le misure tecniche equivalenti di cui all’articolo 14, paragrafi 1 e 2, si basano sulle [BAT], senza l’obbligo di utilizzare una tecnica o una tecnologia specifica.
3. L’autorità competente fissa valori limite di emissione che garantiscano che, in condizioni di esercizio normali, le emissioni non superino i livelli di emissione associati alle [BAT] indicati nelle decisioni sulle conclusioni sulle BAT di cui all’articolo 13, paragrafo 5, attraverso una delle due opzioni seguenti:
a) fissando valori limite di emissione che non superano i livelli di emissione associati alle [BAT]. Detti valori limite di emissione sono espressi per lo stesso periodo di tempo o per periodi più brevi e per le stesse condizioni di riferimento dei livelli di emissione associati alle [BAT]; o
b) fissando valori limite di emissione diversi da quelli di cui alla lettera a) in termini di valori, periodi di tempo e condizioni di riferimento.
Quando si applica la lettera b), l’autorità competente valuta almeno annualmente i risultati del controllo delle emissioni al fine di garantire che le emissioni in condizioni di esercizio normali non hanno superato i livelli di emissione associati alle [BAT]».
15 L’articolo 18 della medesima direttiva, intitolato «Norme di qualità ambientale», è così formulato:
«Qualora una norma di qualità ambientale richieda condizioni più rigorose di quelle ottenibili con le [BAT], l’autorizzazione contiene misure supplementari, fatte salve le altre misure che possono essere adottate per rispettare le norme di qualità ambientale».
16 L’articolo 21 della direttiva 2010/75, intitolato «Riesame e aggiornamento delle condizioni di autorizzazione da parte dell’autorità competente», così dispone:
«1. Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché l’autorità competente riesamini periodicamente, conformemente ai paragrafi da 2 a 5, tutte le condizioni di autorizzazione e, se necessario per assicurare la conformità alla presente direttiva, aggiornino le condizioni stesse.
2. Su richiesta dell’autorità competente, il gestore presenta tutte le informazioni necessarie ai fini del riesame delle condizioni di autorizzazione, ivi compresi in particolare i risultati del controllo delle emissioni e altri dati, che consentano un confronto tra il funzionamento dell’installazione e le [BAT] descritti nelle conclusioni sulle BAT applicabili e i livelli di emissione associati alle [BAT].
In occasione del riesame delle condizioni di autorizzazione, l’autorità competente utilizza tutte le informazioni provenienti dai controlli o dalle ispezioni.
3. Entro quattro anni dalla data di pubblicazione delle decisioni sulle conclusioni sulle BAT ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 5, relative all’attività principale di un’installazione, l’autorità competente garantisce che:
a) tutte le condizioni di autorizzazione per l’installazione interessata siano riesaminate e, se necessario, aggiornate per assicurare il rispetto della presente direttiva, in particolare, se applicabile, dell’articolo 15, paragrafi 3 e 4;
b) l’installazione sia conforme a tali condizioni di autorizzazione.
(...)
5. Le condizioni di autorizzazione sono riesaminate e, ove necessario, aggiornate almeno nei seguenti casi:
a) l’inquinamento provocato dall’installazione è tale da rendere necessaria la revisione dei valori limite di emissione esistenti nell’autorizzazione o l’inserimento in quest’ultima di nuovi valori limite;
b) la sicurezza di esercizio richiede l’impiego di altre tecniche;
c) ove sia necessario rispettare una norma di qualità ambientale nuova o riveduta conformemente all’articolo 18».
17 L’articolo 23 di tale direttiva, intitolato «Ispezioni ambientali», al paragrafo 4, quarto comma, lettera a), stabilisce quanto segue:
«La valutazione sistematica dei rischi ambientali è basata almeno sui criteri seguenti:
a) gli impatti potenziali e reali delle installazioni interessate sulla salute umana e sull’ambiente tenendo conto dei livelli e dei tipi di emissioni, della sensibilità dell’ambiente locale e del rischio di incidenti».
18 L’articolo 80 di detta direttiva, intitolato «Recepimento», al paragrafo 1 così dispone:
«Gli Stati membri adottano le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie (...) entro il 7 gennaio 2013.
Essi applicano tali disposizioni a decorrere dalla medesima data.
(...)».
19 L’articolo 82 della stessa direttiva, intitolato «Disposizioni transitorie», al paragrafo 1 prevede quanto segue:
«Per quanto riguarda le installazioni che svolgono attività di cui all’allegato I(...), gli Stati membri applicano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative adottate conformemente all’articolo 80, paragrafo 1, a decorrere dal 7 gennaio 2014, fatta eccezione per il capo III e per l’allegato V».
Diritto italiano
Decreto legislativo n. 152/2006
20 Il decreto legislativo del 3 aprile 2006, n. 152 – Norme in materia ambientale (supplemento ordinario alla GURI n. 88 del 14 aprile 2006), nella versione applicabile alla controversia principale (in prosieguo: il «decreto legislativo n. 152/2006»), disciplina le attività industriali e manifatturiere, compresa l’attività siderurgica, al fine di proteggere l’ambiente e la salute umana dall’inquinamento proveniente dalle stesse. Tale decreto legislativo recepisce la direttiva 2010/75.
21 L’articolo 5, comma 1, di detto decreto legislativo prevede la valutazione di impatto sanitario quale «elaborato predisposto dal proponente sulla base delle linee guida adottate con decreto del Ministro della salute (…) al fine di stimare gli impatti complessivi, diretti e indiretti, che la realizzazione e l’esercizio del progetto può procurare sulla salute della popolazione». Tale articolo 5 definisce gli «impatti ambientali», come corrispondenti, tra l’altro, agli «effetti significativi, diretti e indiretti, di un piano, di un programma o di un progetto» in particolare sui fattori «popolazione e salute umana». Esso definisce «inquinamento», tra l’altro, l’«introduzione diretta o indiretta, a seguito di attività umana, di sostanze, vibrazioni, calore o rumore o più in generale di agenti fisici o chimici, nell’aria, nell’acqua o nel suolo, che potrebbero nuocere alla salute umana».
22 Ai sensi dell’articolo 19 del medesimo decreto legislativo, relativo al procedimento di assoggettamento a valutazione di impatto ambientale (VIA), le caratteristiche dei progetti devono essere valutate tenendo conto del rischio per la salute umana anche ai fini della verifica d’ufficio di ulteriori impatti ambientali significativi oltre quelli rappresentati dal proponente, nonché delle osservazioni pervenute durante la procedura e di eventuali altre valutazioni effettuate in base alle normative vigenti.
23 L’articolo 22 del decreto legislativo n. 152/2006, relativo allo studio di impatto ambientale, prevede che il proponente lo predisponga descrivendo, tra l’altro, i probabili effetti significativi del progetto di cui trattasi sull’ambiente e le misure volte a evitare, prevenire, ridurre e compensare i probabili impatti ambientali negativi del medesimo e progettando il monitoraggio dei potenziali impatti ambientali significativi e negativi derivanti dalla realizzazione e dall’esercizio del progetto.
24 Conformemente all’articolo 23, comma 2, di tale decreto legislativo, il proponente di determinati progetti deve presentare per ottenere il rilascio della VIA – a sua volta presupposto per ottenere l’autorizzazione integrata ambientale – anche la valutazione di impatto sanitario, cioè lo specifico strumento di valutazione dell’impatto delle attività autorizzabili sulla salute umana.
25 Ai sensi dell’articolo 29 quater, comma 7, di detto decreto legislativo, il sindaco ha il potere di chiedere il riesame dell’autorizzazione integrata ambientale per motivi di salute pubblica.
26 L’articolo 29 decies del medesimo decreto legislativo riguarda gli obblighi di controllo e trasmissione dati ad opera del gestore, nonché gli accertamenti e i controlli aventi ad oggetto il rispetto di tali obblighi e delle condizioni dell’autorizzazione integrata ambientale.
Norme speciali applicabili all’Ilva
27 Nel luglio 2012, il Tribunale di Taranto (Italia) ha disposto il sequestro preventivo, senza facoltà d’uso, degli impianti dell’«area a caldo» dello stabilimento Ilva e dei parchi di materiale dell’Ilva. Con decreto del 26 ottobre 2012, recante l’autorizzazione integrata ambientale del 2012, il Ministro dell’Ambiente e della Tutela del territorio e del mare (Italia) ha riesaminato l’autorizzazione integrata ambientale rilasciata il 4 agosto 2011 in favore dell’Ilva. La continuità della produzione veniva garantita in virtù di specifiche norme derogatorie.
28 Il decreto-legge del 3 dicembre 2012, n. 207 – Disposizioni urgenti a tutela della salute, dell’ambiente e dei livelli di occupazione, in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale (GURI n. 282 del 3 dicembre 2012), convertito con modificazioni dalla legge del 24 dicembre 2012, n. 231 (GURI n. 2 del 3 gennaio 2013), nella versione applicabile alla controversia principale (in prosieguo: il «decreto-legge n. 207/2012»), ha introdotto, all’articolo 1, comma 1, la nozione di «stabilimento di interesse strategico nazionale», prevedendo che, qualora vi sia una assoluta necessità di salvaguardia dell’occupazione e della produzione, il Ministro dell’Ambiente e della Tutela del territorio e del mare può autorizzare, in sede di riesame dell’autorizzazione integrata ambientale, la prosecuzione dell’attività di cui trattasi per 36 mesi, a condizione che vengano adempiute le prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame della medesima autorizzazione, anche quando l’autorità giudiziaria abbia sequestrato i beni dell’impresa e facendo salvo l’esercizio dell’attività d’impresa. Ai sensi di tale disposizione, lo stabilimento Ilva costituisce stabilimento di interesse strategico nazionale. Di conseguenza, l’Ilva è stata autorizzata alla prosecuzione della sua attività produttiva in tale stabilimento e alla commercializzazione dei suoi prodotti sino al 3 dicembre 2015.
29 Il decreto-legge del 4 giugno 2013, n. 61 – Nuove disposizioni urgenti a tutela dell’ambiente, della salute e del lavoro nell’esercizio di imprese di interesse strategico nazionale (GURI n. 129 del 4 giugno 2013), convertito con modificazioni dalla legge del 3 agosto 2013, n. 89 (GURI n. 181 del 3 agosto 2013), nella versione applicabile alla controversia principale (in prosieguo: il «decreto-legge n. 61/2013»), all’articolo 1, comma 1, prevede il possibile commissariamento straordinario, vale a dire l’affidamento ad amministratori provvisori designati dal governo, di qualunque impresa, avente determinate caratteristiche dimensionali, che gestisca almeno uno stabilimento industriale di interesse strategico nazionale qualora l’«attività produttiva abbia comportato e comporti oggettivamente pericoli gravi e rilevanti per l’integrità dell’ambiente e della salute a causa della inosservanza reiterata dell’autorizzazione integrata ambientale». Ai sensi dell’articolo 2, comma 1, del decreto-legge n. 61/2013, i presupposti per il regime derogatorio di cui a tale articolo 1, comma 1, sussistevano per l’Ilva.
30 A norma dell’articolo 1, comma 5, di tale decreto-legge, un comitato di tre esperti doveva elaborare un «piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria che prevede le azioni e i tempi necessari per garantire il rispetto delle prescrizioni di legge e dell’[autorizzazione integrata ambientale]», la cui approvazione «equivale a modifica dell’[autorizzazione integrata ambientale]». All’articolo 1, comma 7, di detto decreto-legge, è stato altresì prescritto il completamento degli interventi previsti dall’autorizzazione integrata ambientale entro il termine di «trentasei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del [medesimo decreto-legge]», ossia entro il 3 agosto 2016.
31 Il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 14 marzo 2014 – Approvazione del piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria, a norma dell’articolo 1, commi 5 e 7, del decreto-legge 4 giugno 2013, n. 61, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2013, n. 89 (GURI n. 105 dell’8 maggio 2014) (in prosieguo: il «decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 2014»), riscadenzava le tempistiche originariamente fissate per l’attuazione degli interventi di adeguamento ambientale dell’autorizzazione integrata ambientale del 2011 e di quella del 2012.
32 L’articolo 2, comma 5, del decreto-legge del 5 gennaio 2015, n. 1 – Disposizioni urgenti per l’esercizio di imprese di interesse strategico nazionale in crisi e per lo sviluppo della città e dell’area di Taranto (GURI n. 3 del 5 gennaio 2015), convertito con modificazioni dalla legge del 4 marzo 2015, n. 20 (GURI n. 53 del 5 marzo 2015), prevede che il piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 2014 «si intende attuato se entro il 31 luglio 2015 sia stato realizzato, almeno nella misura dell’80 per cento, il numero di prescrizioni in scadenza a quella data». Inoltre, il termine ultimo per l’attuazione delle restanti prescrizioni sarebbe scaduto il 3 agosto 2016, ed è stato successivamente prorogato al 30 settembre 2017.
33 Il decreto-legge del 9 giugno 2016, n. 98 – Disposizioni urgenti per il completamento della procedura di cessione dei complessi aziendali del Gruppo ILVA (GURI n. 133 del 9 giugno 2016), convertito con modificazioni dalla legge del 1° agosto 2016, n. 151 (GURI n. 182 del 5 agosto 2016), ha previsto, tra l’altro, l’adozione di un nuovo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri con valore di autorizzazione integrata ambientale, che tenesse luogo della VIA.
34 Il decreto-legge del 30 dicembre 2016, n. 244 – Proroga e definizione di termini (GURI n. 304 del 30 dicembre 2016), convertito con modificazioni dalla legge del 27 febbraio 2017, n. 19 (supplemento ordinario alla GURI n. 49 del 28 febbraio 2017), ha definitivamente posticipato al 23 agosto 2023 il termine per la realizzazione di specifici interventi di risanamento ambientale.
35 Le misure e attività di tutela ambientale e sanitaria di cui al decreto-legge del 9 giugno 2016, n. 98, sono state adottate con il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 settembre 2017 – Approvazione delle modifiche al Piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 14 marzo 2014, a norma dell’articolo 1, comma 8.1., del decreto-legge 4 dicembre 2015, n. 191, convertito, con modificazioni, dalla legge 1º febbraio 2016, n. 13 (GURI n. 229 del 30 settembre 2017) (in prosieguo: il «decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 2017»), che costituisce l’autorizzazione integrata ambientale del 2017 e conclude tutti i procedimenti di autorizzazione integrata ambientale in corso presso il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio e del mare. Tale autorizzazione integrata ambientale del 2017 ha confermato la proroga del termine menzionata al punto precedente.
Procedimento principale e questioni pregiudiziali
36 I ricorrenti nel procedimento principale hanno adito il Tribunale di Milano (Italia), giudice del rinvio, con un’azione collettiva per la protezione di diritti omogenei di circa 300 000 residenti in Taranto e comuni limitrofi. Tali diritti sarebbero gravemente lesi dall’attività produttiva dello stabilimento Ilva.
37 Con tale azione, i ricorrenti nel procedimento principale chiedono la tutela del diritto alla salute, del diritto alla serenità e tranquillità nello svolgimento della loro vita nonché del loro diritto al clima. Essi sostengono che tali diritti sono lesi attualmente ed in via permanente, a causa di comportamenti dolosi che provocano un inquinamento causato dalle emissioni provenienti dallo stabilimento Ilva, le quali esporrebbero tali residenti ad eventi di morte e malattie aggiuntive. I territori dei comuni interessati sarebbero qualificati come «sito di interesse nazionale» a causa del grave inquinamento delle matrici ambientali: acque, aria e suolo.
38 I ricorrenti nel procedimento principale fondano le loro allegazioni su valutazioni di danno sanitario redatte negli anni 2017, 2018 e 2021, le quali riscontrano una relazione causale tra l’alterato stato di salute dei residenti nell’area di Taranto e le emissioni dello stabilimento Ilva, specie con riferimento alle frazioni di PM10, il cui diametro è inferiore o pari a dieci micrometri, e all’anidride solforosa (SO2) di origine industriale. Essi si fondano altresì sul «Report of the Special Rapporteur on the issue of human rights obligations relating to the enjoyment of a safe, clean, healthy and sustainable environment» (Rapporto del Relatore Speciale sulla questione degli obblighi relativi ai diritti umani a un ambiente sicuro, pulito, sano e sostenibile) del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, del 12 gennaio 2022, in cui Taranto è inserita tra le «zone di sacrificio», vale a dire quelle caratterizzate da livelli estremi di inquinamento e di contaminazione da sostanze tossiche nelle quali le popolazioni vulnerabili ed emarginate subiscono molto più delle altre le conseguenze dell’esposizione all’inquinamento e alle sostanze pericolose sulla salute, sui diritti umani e sull’ambiente.
39 I ricorrenti nel procedimento principale hanno altresì denunciato la proroga del termine di 36 mesi previsto dal decreto-legge n. 207/2012 per l’attuazione dell’autorizzazione integrata ambientale del 2012. Essi hanno chiesto, in particolare, al giudice del rinvio di ordinare la chiusura dell’«area a caldo» dello stabilimento Ilva o la cessazione delle relative attività. In via subordinata, hanno chiesto a detto giudice di ordinare alle resistenti nel procedimento principale la chiusura delle cokerie o la cessazione delle relative attività e, in via ulteriormente subordinata, di ordinare loro di fermare l’attività produttiva di tale «area a caldo» fino alla completa attuazione delle prescrizioni recepite dal piano ambientale previsto dall’autorizzazione integrata ambientale del 2017. Infine, essi hanno chiesto a tale giudice di ordinare, in ogni caso, alle resistenti nel procedimento principale di predisporre un piano industriale che preveda l’abbattimento di non meno del 50% delle emissioni di gas ad effetto serra rispetto alle emissioni conseguenti ad una produzione di sei milioni di tonnellate annue di acciaio tra la data della loro domanda e il 2026, oppure di adottare le misure idonee ad eliminare o ridurre gli effetti delle violazioni accertate.
40 Il giudice del rinvio afferma, in primo luogo, che il diritto italiano non prevede che la valutazione del danno sanitario venga redatta all’interno del procedimento di rilascio o riesame dell’autorizzazione integrata ambientale. Non è neppure previsto che, quando una tale valutazione dia risultati in termini di inaccettabilità del rischio sanitario per una popolazione significativa interessata da emissioni inquinanti, tale autorizzazione debba essere rivista entro tempi brevi e certi. In sostanza, tale diritto prevede una valutazione del danno sanitario realizzata a posteriori, solo eventualmente collegata al riesame dell’autorizzazione integrata ambientale. La normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale potrebbe quindi contrastare con la direttiva 2010/75, letta alla luce del principio di precauzione.
41 In secondo luogo, il giudice del rinvio sottolinea che, con istanza del 21 maggio 2019, il sindaco di Taranto, ai sensi del decreto legislativo n. 152/2006, ha chiesto il riesame dell’autorizzazione integrata ambientale del 2017, sostanzialmente sulla base di rapporti elaborati dalle competenti autorità sanitarie, che hanno evidenziato un rischio residuo non accettabile per la salute della popolazione. Nel maggio 2019, il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio e del mare ha disposto il riesame di detta autorizzazione. Dall’istruttoria svolta da tali autorità emergeva che il controllo delle emissioni dello stabilimento Ilva avrebbe dovuto considerare almeno tutti gli inquinanti trattati nel rapporto definitivo di valutazione del danno sanitario, redatto nel 2018 per l’area di Taranto, e altri inquinanti, quali il rame, il mercurio e il naftalene, provenienti da fonti diffuse di tale stabilimento, nonché le frazioni di PM2,5 e PM10 da fonti diffuse e convogliate. Si tratta del «set integrativo» delle sostanze inquinanti e potenzialmente dannose per la salute umana. Le norme speciali applicabili all’Ilva hanno tuttavia consentito il riesame dell’autorizzazione integrata ambientale rilasciata a quest’ultima senza considerare le sostanze inquinanti di cui a tale set integrativo e i loro effetti nocivi sulla popolazione di Taranto.
42 In terzo luogo, il giudice del rinvio rileva che almeno l’80% delle prescrizioni dell’autorizzazione integrata ambientale del 2012 e il piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 2014 dovevano essere inizialmente rispettati entro il 31 luglio 2015. Orbene, tale termine è stato differito di oltre sette anni e mezzo, il che corrisponde ad una proroga di undici anni dalla data del sequestro penale all’origine dell’adozione delle norme speciali applicabili all’Ilva, esposte ai punti da 27 a 35 della presente sentenza. Tale differimento è avvenuto, da un lato, in costanza dello svolgimento di attività industriale ritenuta dallo stesso legislatore italiano gravemente rischiosa per la salute umana e per l’ambiente, e, dall’altro, allo scopo di realizzare e completare le opere che avrebbero teoricamente reso l’attività siderurgica dello stabilimento Ilva sicura per la salute delle persone residenti nei pressi di quest’ultimo.
43 In tale contesto, il Tribunale di Milano ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se la direttiva [2010/75] ed in particolare i considerando 4, 18, 34, 28 e 29 e gli articoli 3, punto 2, 11, 12 e 23 [di tale direttiva], ed il principio di precauzione e protezione della salute umana di cui [all’articolo 191 TFUE] possono essere interpretati nel senso che, in applicazione di una legge nazionale di uno Stato membro, è concessa a tale Stato membro la possibilità di prevedere che la Valutazione di Danno Sanitario (VDS) costituisca atto estraneo alla procedura di rilascio e riesame dell’[Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA)] – nel caso di specie [il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 2017] – e la sua redazione possa essere priva di automatici effetti in termini di tempestiva ed effettiva considerazione da parte dell’autorità competente nell’ambito di un procedimento di riesame dell’[Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA)]/[ decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM)] specialmente quando dia risultati in termini di inaccettabilità del rischio sanitario per una popolazione significativa interessata dalle emissioni inquinanti; od invece se la direttiva debba essere interpretata nel senso che:
i) il rischio tollerabile per la salute umana può essere apprezzato mediante analisi scientifica di natura epidemiologica;
ii) la VDS deve costituire atto interno al procedimento di rilascio e riesame dell’AIA/DPCM, ed anzi un suo necessario presupposto, ed in particolare oggetto di necessaria, effettiva e tempestiva considerazione da parte dell’autorità competente al rilascio e riesame dell’AIA.
2) Se la direttiva [2010/75] ed in particolare i considerando 4, 1[5], 18, 21, 34, 28 e 29 e gli articoli 3, punto 2, 11, 14, 15, 18 e 21 [di tale direttiva], possono essere interpretati nel senso che, in applicazione di una legge nazionale di uno Stato membro, tale Stato membro deve prevedere che l’autorizzazione integrata ambientale (qui AIA 2012, DPCM 2014, DPCM 2017) deve considerare sempre tutte le sostanze oggetto di emissioni che siano scientificamente note come nocive, comprese le frazioni di PM10 e PM2,5 comunque originate dall’impianto oggetto di valutazione; ovvero se la direttiva possa essere interpretata nel senso che l’autorizzazione integrata ambientale (il provvedimento amministrativo autorizzativo) deve includere soltanto sostanze inquinanti previste a priori in ragione della natura e tipologia dell’attività industriale svolta.
3) Se la direttiva [2010/75] ed in particolare i considerando 4, 18, 21, 22, 28, 29, 34, 43 e gli articoli 3, punti 2 e 25, 11, 14, 16 e 21 [di tale direttiva], possono essere interpretati nel senso che, in applicazione di una legge nazionale di uno Stato membro, tale Stato membro, in presenza di un’attività industriale recante pericoli gravi e rilevanti per l’integrità dell’ambiente e della salute umana, può differire il termine concesso al gestore per adeguare l’attività industriale all’autorizzazione concessa, realizzando le misure ed attività di tutela ambientale e sanitaria ivi previste, per circa sette anni e mezzo dal termine fissato inizialmente e per una durata complessiva di undici anni».
Sulla ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale
44 Le resistenti nel procedimento principale ritengono che la domanda di pronuncia pregiudiziale sia irricevibile per tre motivi.
45 In primo luogo, esse sostengono che tale domanda non soddisfa i requisiti di cui all’articolo 94, lettere b) e c), del regolamento di procedura della Corte. Il giudice del rinvio non descriverebbe in modo sufficiente il contesto fattuale e normativo in cui si inseriscono le sue questioni pregiudiziali, né illustrerebbe i motivi che l’hanno indotto a interrogarsi sull’interpretazione delle disposizioni del diritto dell’Unione oggetto di tali questioni.
46 Al riguardo, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, nell’ambito della cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali istituita dall’articolo 267 TFUE, spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumere la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze di ciascuna causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di emettere la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, ove le questioni poste vertono sull’interpretazione del diritto dell’Unione, la Corte, in linea di principio, è tenuta a statuire (sentenza del 21 dicembre 2023, Infraestruturas de Portugal e Futrifer Indústrias Ferroviárias, C‑66/22, EU:C:2023:1016, punto 33 e giurisprudenza ivi citata).
47 Ne consegue che le questioni vertenti sul diritto dell’Unione godono di una presunzione di rilevanza. Il diniego della Corte di statuire su una questione pregiudiziale proposta da un giudice nazionale è possibile solo qualora appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcuna relazione con la realtà effettiva o con l’oggetto della causa principale, qualora il problema sia di natura ipotetica oppure, ancora, qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per fornire una risposta utile alle questioni che le vengono sottoposte (sentenza del 7 aprile 2022, Avio Lucos, C‑116/20, EU:C:2022:273, punto 38 e giurisprudenza ivi citata).
48 Va inoltre ricordato che, ai sensi dell’articolo 94, lettere da a) a c), del regolamento di procedura, il giudice nazionale è tenuto a chiarire, nella sua domanda di pronuncia pregiudiziale, il contesto di fatto e di diritto della controversia principale e a fornire le spiegazioni necessarie sui motivi della scelta delle disposizioni del diritto dell’Unione di cui chiede l’interpretazione, nonché sul collegamento che esso stabilisce tra tali disposizioni e la normativa nazionale applicabile alla controversia di cui è investito. Tali requisiti cumulativi riguardanti il contenuto di una domanda di pronuncia pregiudiziale sono, inoltre, richiamati ai punti 13, 15 e 16 delle Raccomandazioni della Corte di giustizia dell’Unione europea all’attenzione dei giudici nazionali, relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale (GU 2019, C 380, pag. 1) (sentenza del 16 novembre 2023, Ministerstvo vnútra Slovenskej republiky, C‑283/22, EU:C:2023:886, punto 19 e giurisprudenza ivi citata).
49 Nel caso di specie, risulta inequivocabilmente dalla domanda di pronuncia pregiudiziale che il giudice del rinvio ritiene che le sue questioni pregiudiziali siano rilevanti ai fini della valutazione della fondatezza delle domande di cui è stato investito dai ricorrenti nel procedimento principale. Esso vi precisa espressamente, da un lato, che intende sapere se determinati obblighi specifici derivino dal diritto dell’Unione nel contesto del procedimento principale e, dall’altro, che l’interpretazione di tale diritto fornita dalla Corte influirà in modo decisivo sulla valutazione della legittimità dell’attività industriale svolta dallo stabilimento Ilva. Di conseguenza, l’oggetto della controversia principale è sufficientemente illustrato in tale domanda, la quale comprende, inoltre, tutte le informazioni necessarie affinché la Corte possa fornire una risposta utile a tali questioni.
50 Peraltro, il giudice del rinvio ha precisato, nella sua domanda di pronuncia pregiudiziale, le disposizioni del diritto dell’Unione applicabili e i motivi che l’hanno indotto a interrogarsi sull’interpretazione di tali disposizioni. Inoltre, risulta da tale domanda che l’interpretazione di dette disposizioni presenta un collegamento con l’oggetto della controversia principale, dal momento che tale interpretazione può incidere sull’esito di detta controversia.
51 Il primo motivo di irricevibilità dedotto dalle resistenti nel procedimento principale deve pertanto essere respinto.
52 In secondo luogo, le resistenti nel procedimento principale sostengono che la constatazione secondo cui il nuovo termine previsto per garantire la conformità dell’esercizio dello stabilimento Ilva alle misure nazionali di tutela ambientale e sanitaria è compatibile con la direttiva 2010/75 ha acquisito autorità di cosa giudicata a seguito di pareri del Consiglio di Stato (Italia), di cui il giudice del rinvio non potrebbe mettere in discussione la valutazione.
53 A tale riguardo, occorre rammentare l’importanza che il principio dell’autorità di cosa giudicata riveste sia nell’ordinamento giuridico dell’Unione europea sia negli ordinamenti giuridici nazionali. Pertanto, il diritto dell’Unione non esige che, per tener conto dell’interpretazione di una disposizione pertinente di tale diritto offerta dalla Corte, un organo giurisdizionale nazionale debba, necessariamente, riesaminare la propria decisione avente autorità di cosa giudicata (v., in tal senso, sentenza del 7 aprile 2022, Avio Lucos, C‑116/20, EU:C:2022:273, punti 92 e 94 e giurisprudenza ivi citata).
54 Tuttavia, tale principio non può condurre, in quanto tale, a concludere per l’irricevibilità della presente domanda di pronuncia pregiudiziale. La Corte ha infatti dichiarato che un giudice nazionale non può validamente ritenere di trovarsi nell’impossibilità d’interpretare una disposizione nazionale conformemente al diritto dell’Unione per il solo fatto che tale disposizione sia stata interpretata da altri giudici in un senso che risulterebbe incompatibile con tale diritto (v., in tal senso, sentenza del 7 aprile 2022, Avio Lucos, C‑116/20, EU:C:2022:273, punti da 97 a 104).
55 Pertanto, anche il secondo motivo di irricevibilità dedotto dalle resistenti nel procedimento principale deve essere respinto.
56 In terzo luogo, le resistenti nel procedimento principale affermano che, secondo il diritto processuale nazionale, il giudice ordinario può disapplicare l’atto amministrativo nei giudizi tra privati solo se la valutazione della sua legittimità non assume rilievo quale causa della lesione del diritto del privato, il che non si verificherebbe nel caso di specie. Inoltre, anche qualora la Corte interpretasse la direttiva 2010/75 nel senso che una valutazione dell’impatto sanitario dell’attività di un’installazione deve essere realizzata preventivamente al rilascio di un’autorizzazione all’esercizio di tale installazione o in occasione del riesame di tale autorizzazione, spetterebbe al legislatore nazionale adottare un atto di trasposizione per definire il contenuto di detta valutazione.
57 A tale riguardo, occorre, da un lato, sottolineare che, come rilevato, in sostanza, dall’avvocato generale al paragrafo 62 delle sue conclusioni, la circostanza che la controversia pendente dinanzi al giudice del rinvio contrapponga privati non è atta a comportare, in quanto tale, l’irricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale (v., in tal senso, sentenza dell’8 maggio 2019, Praxair MRC, C‑486/18, EU:C:2019:379, punto 35).
58 Dall’altro lato, è vero che, ai sensi dell’articolo 288, terzo comma, TFUE, il carattere vincolante di una direttiva su cui si fonda la possibilità di farla valere sussiste solo nei confronti dello «Stato membro cui è rivolta». Ne consegue, secondo costante giurisprudenza, che una direttiva non può di per sé creare obblighi a carico di un singolo e non può quindi essere fatta valere in quanto tale nei confronti di tale persona dinanzi a un giudice nazionale (sentenza del 22 dicembre 2022, Sambre & Biesme e Commune de Farciennes, C‑383/21 e C‑384/21, EU:C:2022:1022, punto 36 e giurisprudenza ivi citata).
59 Tuttavia, si deve rammentare che i singoli, qualora siano in grado di far valere una direttiva non nei confronti di un privato, ma di uno Stato membro, possono farlo indipendentemente dalla veste nella quale questo agisce. È opportuno evitare, infatti, che lo Stato membro possa trarre vantaggio dalla sua inosservanza del diritto dell’Unione (sentenza del 22 dicembre 2022, Sambre & Biesme e Commune de Farciennes, C‑383/21 e C‑384/21, EU:C:2022:1022, punto 37 e giurisprudenza ivi citata).
60 A tale riguardo, ai sensi della giurisprudenza richiamata al punto precedente della presente sentenza, devono essere assimilati a uno Stato membro e ai suoi organi amministrativi gli organismi o entità, anche se disciplinati dal diritto privato, che sono soggetti all’autorità o al controllo di un’autorità pubblica o che sono stati incaricati da uno Stato membro di svolgere un compito di interesse pubblico e che, a tal fine, dispongono di poteri eccezionali rispetto a quelli derivanti dalle norme applicabili nei rapporti tra privati (sentenza del 22 dicembre 2022, Sambre & Biesme e Commune de Farciennes, C‑383/21 e C‑384/21, EU:C:2022:1022, punto 38 e giurisprudenza ivi citata).
61 Nel caso di specie, dalla domanda di pronuncia pregiudiziale risulta che il decreto-legge n. 207/2012 dispone, al suo articolo 1, comma 1, che «[lo stabilimento Ilva] costituisce stabilimento di interesse strategico nazionale».
62 Risulta altresì da tale domanda che il decreto-legge n. 61/2013 prevede, al suo articolo 1, comma 1, il possibile commissariamento straordinario di qualunque impresa, avente determinate caratteristiche dimensionali, che gestisca almeno uno stabilimento industriale di interesse strategico nazionale qualora «l’attività produttiva abbia comportato e comporti oggettivamente pericoli gravi e rilevanti per l’integrità dell’ambiente e della salute a causa della inosservanza reiterata dell’autorizzazione integrata ambientale». Il giudice del rinvio aggiunge che, ai sensi dell’articolo 2, comma 1, di tale decreto-legge, per l’Ilva sussistevano i presupposti del regime derogatorio di cui a detto articolo 1, comma 1.
63 Va infine rilevato che, nell’ambito della controversia pendente dinanzi al giudice del rinvio, i ricorrenti nel procedimento principale denunciano una serie di norme speciali adottate dalle autorità nazionali nei confronti dell’Ilva che, sia per la materia da esse disciplinata sia per il loro carattere di lex specialis rispetto al decreto legislativo n. 152/2006, devono considerarsi rientrare nell’ambito di applicazione della direttiva 2010/75.
64 Pertanto, anche il terzo motivo di irricevibilità dedotto dalle resistenti nel procedimento principale deve essere respinto.
65 Alla luce di quanto precede, le questioni pregiudiziali sono ricevibili.
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla prima questione
66 Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva 2010/75, letta alla luce dell’articolo 191 TFUE, debba essere interpretata nel senso che gli Stati membri sono tenuti a prevedere una previa valutazione degli impatti dell’attività dell’installazione interessata tanto sull’ambiente quanto sulla salute umana quale atto interno ai procedimenti di rilascio o riesame di un’autorizzazione all’esercizio di una tale installazione ai sensi di detta direttiva.
67 In via preliminare, occorre sottolineare che la direttiva 2010/75 è stata adottata sulla base dell’articolo 192, paragrafo 1, TFUE, relativo alle azioni che devono essere intraprese dall’Unione in materia ambientale per realizzare gli obiettivi di cui all’articolo 191 TFUE. Quest’ultimo articolo dispone, al paragrafo 1, primo e secondo trattino, che la politica dell’Unione in materia ambientale contribuisce a perseguire gli obiettivi di salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell’ambiente nonché di protezione della salute umana. Ai sensi di tale articolo 191, paragrafo 2, la politica dell’Unione in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni dell’Unione.
68 Da tali disposizioni discende che la tutela e il miglioramento della qualità dell’ambiente nonché la protezione della salute umana sono due componenti strettamente collegate della politica dell’Unione in materia ambientale, nella quale rientra la direttiva 2010/75.
69 Come risulta dall’articolo 1, primo comma, di tale direttiva, gli obiettivi di quest’ultima sono la prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento proveniente da attività industriali. Conformemente a tale articolo 1, secondo comma, letto alla luce del considerando 12 di detta direttiva, quest’ultima è altresì intesa a evitare oppure, qualora non sia possibile, ridurre le emissioni di dette attività nell’aria, nell’acqua e nel terreno e ad impedire la produzione di rifiuti, per conseguire un livello elevato di protezione dell’ambiente «nel suo complesso».
70 Le norme stabilite dalla direttiva 2010/75 costituiscono quindi la concretizzazione degli obblighi dell’Unione in materia di protezione dell’ambiente e della salute umana derivanti, segnatamente, dall’articolo 191, paragrafi 1 e 2, TFUE.
71 A tale riguardo occorre ricordare, da un lato, che l’articolo 35 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») stabilisce che nella definizione e nell’attuazione di tutte le politiche ed attività dell’Unione è garantito un livello elevato di protezione della salute umana. Dall’altro lato, conformemente all’articolo 37 della Carta, un livello elevato di tutela dell’ambiente e il miglioramento della sua qualità devono essere integrati nelle politiche dell’Unione e garantiti conformemente al principio dello sviluppo sostenibile.
72 Alla luce dello stretto collegamento esistente tra la protezione dell’ambiente e quella della salute umana, la direttiva 2010/75 mira a promuovere non solo l’applicazione dell’articolo 37 della Carta, come affermato al considerando 45 di tale direttiva, ma anche l’applicazione dell’articolo 35 della Carta, dal momento che un livello elevato di protezione della salute umana non può essere conseguito senza un livello elevato di tutela dell’ambiente, conformemente al principio dello sviluppo sostenibile. La direttiva 2010/75 contribuisce infatti alla salvaguardia del diritto di ognuno a vivere in un ambiente atto a garantire la sua salute ed il suo benessere, di cui al considerando 27 di tale direttiva.
73 Per quanto riguarda, in primo luogo, le disposizioni della direttiva 2010/75 che riguardano i procedimenti di rilascio di un’autorizzazione, occorre rilevare che l’articolo 4 di tale direttiva dispone, al paragrafo 1, primo comma, che gli Stati membri adottano le misure necessarie per garantire che nessuna installazione o nessun impianto di combustione, nessun impianto di incenerimento dei rifiuti o nessun impianto di coincenerimento dei rifiuti operi senza autorizzazione.
74 La nozione di «installazione», definita all’articolo 3, punto 3, della direttiva 2010/75, designa, in particolare, l’unità tecnica permanente in cui sono svolte una o più attività elencate nell’allegato I di tale direttiva o nell’allegato VII, parte I, di detta direttiva e qualsiasi altra attività accessoria presso lo stesso luogo, che sono tecnicamente connesse con le attività elencate nei suddetti allegati e possono influire sulle emissioni e sull’inquinamento. Detto allegato I concerne, tra l’altro, le attività di produzione e trasformazione dei metalli.
75 Ne consegue che, conformemente all’articolo 4 della direttiva 2010/75, in combinato disposto con l’articolo 3, punto 3, di tale direttiva, le attività di produzione e trasformazione dei metalli che raggiungono i valori soglia di capacità fissati in detto allegato I rientrano tra quelle soggette ad autorizzazione.
76 Pertanto, uno stabilimento come lo stabilimento Ilva, che indiscutibilmente dev’essere considerato un’installazione, ai sensi dell’articolo 3, punto 3, della direttiva 2010/75, e che raggiunge tali valori soglia di capacità, non può essere gestito senza una tale autorizzazione.
77 Il rilascio di un’autorizzazione da parte dell’autorità competente è subordinato, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2010/75, al rispetto dei requisiti previsti da tale direttiva.
78 Conformemente all’articolo 10 della direttiva 2010/75, un’installazione come quella di cui trattasi nel procedimento principale rientra nell’ambito di applicazione del capo II di detta direttiva, del quale fanno parte gli articoli da 11 a 27 della medesima, che prevedono i requisiti imposti a tale tipo di installazione.
79 Ai sensi del articolo 12, paragrafo 1, lettera i), della direttiva 2010/75, gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché una domanda di autorizzazione contenga la descrizione delle misure previste per ottemperare ai principi generali degli obblighi fondamentali del gestore di cui all’articolo 11 di tale direttiva.
80 Orbene, in virtù dell’articolo 11, lettera a), di detta direttiva, il gestore di un’installazione deve adottare tutte le opportune misure di prevenzione dell’«inquinamento».
81 L’articolo 11, lettera b), della direttiva 2010/75 stabilisce che gli Stati membri adottano le disposizioni necessarie affinché, nell’ambito della gestione di un’installazione, siano applicate le BAT. Al riguardo, occorre rilevare che l’articolo 3, punto 10, di tale direttiva definisce la nozione di «[BAT]» come la più efficiente e avanzata fase di sviluppo di attività e relativi metodi di esercizio indicanti l’idoneità pratica di determinate tecniche a costituire la base dei valori limite di emissione e delle altre condizioni di autorizzazione intesi ad evitare oppure, ove ciò si riveli impraticabile, a ridurre le emissioni e l’impatto sull’ambiente «nel suo complesso».
82 Ai sensi dell’articolo 11, lettera c), della direttiva 2010/75, il gestore di un’installazione è tenuto a garantire che non si verifichino fenomeni di «inquinamento» significativi.
83 L’articolo 12, paragrafo 1, lettera f), della direttiva 2010/75 prevede che la domanda di autorizzazione debba contenere la descrizione del tipo e dell’entità delle prevedibili emissioni dell’installazione in ogni comparto ambientale nonché un’identificazione degli effetti significativi delle emissioni sull’ambiente. L’articolo 12, paragrafo 1, lettera j), di tale direttiva impone, dal canto suo, che la domanda di autorizzazione contenga una descrizione delle misure previste per controllare le emissioni nell’«ambiente».
84 A tale riguardo, l’articolo 14 della direttiva 2010/75, relativo alle condizioni di autorizzazione, fa riferimento, al paragrafo 1, lettera a), ai valori limite di emissione fissati per le sostanze inquinanti elencate nell’allegato II di detta direttiva e per le altre sostanze inquinanti che possono essere emesse dall’installazione interessata in quantità significativa, in considerazione della loro natura e delle loro potenzialità di trasferimento dell’«inquinamento» da un elemento ambientale all’altro.
85 Per quanto riguarda, in secondo luogo, il riesame di un’autorizzazione, l’articolo 21, paragrafo 5, lettera a), della direttiva 2010/75 dispone, in particolare, che tali condizioni sono riesaminate quando l’«inquinamento» provocato dall’installazione interessata è tale da rendere necessaria la revisione dei valori limite di emissione esistenti nell’autorizzazione all’esercizio di tale installazione o l’inserimento in quest’ultima di nuovi valori limite.
86 Come sostenuto dalla Commissione europea, la periodicità del riesame dell’autorizzazione di cui trattasi deve essere adeguata alla portata e alla natura dell’installazione. Risulta, infatti, dal considerando 2 della direttiva 2010/75 che occorre tener presente, in particolare, le specifiche caratteristiche locali del sito in cui si svolge l’attività industriale. Ciò vale, in particolare, se quest’ultima ha luogo in prossimità di abitazioni.
87 Va constatato che le disposizioni che riguardano i procedimenti di rilascio o riesame di un’autorizzazione, di cui ai punti 80, 82, 84 e 85 della presente sentenza, rinviano tutte alla nozione di «inquinamento».
88 Orbene, tale nozione è definita, all’articolo 3, punto 2, della direttiva 2010/75, come riguardante, tra l’altro, l’introduzione nell’aria, nell’acqua o nel terreno di sostanze che potrebbero nuocere tanto alla salute umana quanto alla qualità dell’ambiente (v., in tal senso, sentenza del 9 marzo 2023, Sdruzhenie «Za Zemyata – dostap do pravosadie» e a., C‑375/21, EU:C:2023:173, punto 48).
89 Ne consegue che, ai fini dell’applicazione della direttiva 2010/75, detta nozione include i danni arrecati, o che potrebbero esserlo, tanto all’ambiente quanto alla salute umana.
90 Una tale definizione ampia conferma lo stretto collegamento, evidenziato ai punti da 67 a 72 della presente sentenza, che esiste, in particolare nel contesto di tale direttiva, tra la tutela della qualità dell’ambiente e quella della salute umana.
91 Tale interpretazione della direttiva 2010/75 è corroborata dal suo articolo 8, paragrafo 2, secondo comma, il quale dispone che, laddove la violazione delle condizioni di autorizzazione presenti un «pericolo immediato per la salute umana» o minacci di provocare ripercussioni serie ed immediate sull’ambiente e sino a che la conformità non venga ripristinata, è sospeso l’esercizio dell’installazione interessata.
92 Essa è altresì confermata dall’articolo 23, paragrafo 4, quarto comma, lettera a), di tale direttiva, il quale, per quanto riguarda le ispezioni ambientali, stabilisce esplicitamente che la valutazione sistematica dei rischi ambientali deve basarsi, tra l’altro, sugli impatti potenziali e reali delle installazioni interessate sulla salute umana e sull’ambiente.
93 L’analisi che precede si ricollega peraltro a quella della Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale, per quanto riguarda proprio l’inquinamento connesso all’esercizio dello stabilimento Ilva, si è basata, per constatare l’esistenza di una violazione dell’articolo 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, su studi scientifici che denunciano gli effetti inquinanti delle emissioni di tale stabilimento tanto sull’ambiente quanto sulla salute delle persone (Corte EDU, 24 gennaio 2019, Cordella e a. c. Italia, CE:ECHR:2019:0124JUD005441413, §§ 163 e 172).
94 Dalle considerazioni che precedono risulta che, contrariamente a quanto sostenuto dal governo italiano, il gestore di un’installazione rientrante nell’ambito di applicazione della direttiva 2010/75 deve, nella sua domanda di autorizzazione, fornire segnatamente informazioni adeguate riguardanti le emissioni provenienti dalla sua installazione e deve, inoltre, durante tutto il periodo di esercizio di tale installazione, garantire l’ottemperanza ai suoi obblighi fondamentali ai sensi di detta direttiva nonché alle misure previste a tale riguardo, attraverso una valutazione continua degli impatti delle attività di detta installazione tanto sull’ambiente quanto sulla salute umana.
95 Analogamente, gli Stati membri e le loro autorità competenti devono prevedere che una tale valutazione costituisca atto interno ai procedimenti di rilascio e riesame di un’autorizzazione.
96 Nel procedimento principale, il giudice del rinvio rileva che le disposizioni nazionali pertinenti prevedono una valutazione degli impatti delle attività industriali di cui trattasi sulla salute umana realizzata a posteriori, solo eventualmente collegata al riesame dell’autorizzazione ambientale.
97 Esso sottolinea in particolare che, ai sensi dell’articolo 1 bis, comma 1, del decreto-legge n. 207/2012, in tutte le aree interessate da stabilimenti di interesse strategico nazionale come lo stabilimento Ilva, le autorità sanitarie competenti per territorio «redigono congiuntamente, con aggiornamento almeno annuale, un rapporto di valutazione del danno sanitario (VDS) anche sulla base del registro tumori regionale e delle mappe epidemiologiche sulle principali malattie di carattere ambientale».
98 Il giudice del rinvio precisa tuttavia che, in virtù delle norme speciali applicabili all’Ilva, non è previsto che tale valutazione del danno sanitario costituisca un presupposto per il rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale, o che essa costituisca atto interno ai procedimenti di rilascio e riesame di tale autorizzazione.
99 La valutazione del danno sanitario di cui all’articolo 1 bis, comma 1, del decreto-legge n. 207/2012 non sarebbe quindi idonea, di per sé, a modificare un’autorizzazione integrata ambientale, bensì unicamente a fondare un’eventuale domanda di riesame di tale autorizzazione. Secondo il giudice del rinvio, i risultati ottenuti dalle analisi dei dati acquisiti dalle autorità sanitarie si articolano in tre livelli valutativi progressivi a seconda della gravità dei problemi riscontrati. Tuttavia, solo il terzo di tali livelli autorizzerebbe l’autorità competente a chiedere il riesame di detta autorizzazione.
100 In tal senso, detto giudice rileva che le norme speciali applicabili all’Ilva non prevedono che, quando una tale valutazione dia risultati in termini di inaccettabilità del rischio sanitario per una popolazione significativa interessata da emissioni inquinanti, l’autorizzazione integrata ambientale debba, imperativamente e tempestivamente, essere rivista.
101 Per quanto riguarda lo stabilimento Ilva, il giudice del rinvio aggiunge che taluni rapporti di valutazione del danno sanitario relativi allo stabilimento Ilva elaborati dalle competenti autorità sanitarie hanno evidenziato un rischio residuo non accettabile per la salute della popolazione, connesso a emissioni di inquinanti provenienti da detto stabilimento. L’impatto di tali sostanze inquinanti sull’ambiente e sulla salute umana non sarebbe stato tuttavia valutato nell’ambito delle autorizzazioni integrate ambientali del 2011 e del 2012. Tali rapporti hanno nondimeno indotto il sindaco di Taranto a chiedere e ottenere l’avvio, da parte del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio e del mare, nel maggio 2019, del procedimento di riesame dell’autorizzazione del 2017. Tale procedimento non si sarebbe ancora concluso e lo stabilimento Ilva continuerebbe le sue attività.
102 Il governo italiano ritiene, al riguardo, che la direttiva 2010/75 non richiami affatto la valutazione del danno sanitario, né un’altra analoga valutazione di impatto o incidenza sanitaria, tra gli elementi che condizionano il rilascio delle autorizzazioni ivi previste.
103 Tale governo e l’Ilva sostengono altresì che una valutazione ex ante e un controllo preventivo di tali danni sono in contrasto con la natura dinamica dell’attività industriale e delle relative autorizzazioni. Inoltre, una tale metodologia non garantirebbe la tempestiva interruzione dei danni alla salute umana.
104 Tuttavia, dai punti da 67 a 95 della presente sentenza risulta che la valutazione degli impatti dell’attività di un’installazione sulla salute umana, come quella prevista all’articolo 1 bis, comma 1, del decreto-legge n. 207/2012, deve costituire atto interno ai procedimenti di rilascio e riesame dell’autorizzazione all’esercizio di tale installazione e costituire un presupposto per il rilascio o il riesame dell’autorizzazione di cui trattasi. In particolare, tale valutazione deve essere oggetto di effettiva e tempestiva considerazione da parte dell’autorità competente al rilascio o al riesame di detta autorizzazione. Essa non può dipendere da una facoltà di richiesta che le autorità sanitarie potrebbero esercitare soltanto nelle situazioni problematiche più gravi. Quando, come rilevato dal giudice del rinvio, una tale valutazione dia risultati in termini di inaccettabilità del rischio sanitario per una popolazione significativa interessata da emissioni inquinanti, l’autorizzazione di cui trattasi deve essere rivista in tempi brevi.
105 Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla prima questione che la direttiva 2010/75, letta alla luce dell’articolo 191 TFUE e degli articoli 35 e 37 della Carta, deve essere interpretata nel senso che gli Stati membri sono tenuti a prevedere che una previa valutazione degli impatti dell’attività dell’installazione interessata tanto sull’ambiente quanto sulla salute umana costituisca atto interno ai procedimenti di rilascio e riesame di un’autorizzazione all’esercizio di una tale installazione ai sensi di detta direttiva.
Sulla seconda questione
106 Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva 2010/75 debba essere interpretata nel senso che, ai fini del rilascio o del riesame di un’autorizzazione all’esercizio di un’installazione ai sensi di tale direttiva, l’autorità competente deve considerare, oltre alle sostanze inquinanti prevedibili tenuto conto della natura e della tipologia dell’attività industriale di cui trattasi, tutte quelle oggetto di emissioni che siano scientificamente note come nocive derivanti dall’attività dell’installazione interessata, comprese quelle generate da tale attività che non siano state valutate nel procedimento di autorizzazione iniziale di tale installazione.
107 Come rilevato al punto 101 della presente sentenza, detto giudice menziona rapporti che hanno evidenziato un rischio residuo non accettabile per la salute della popolazione connesso, in maniera comprovata, a talune emissioni di inquinanti provenienti dallo stabilimento Ilva, vale a dire polveri sottili PM2,5 e PM10, rame, mercurio e naftalene provenienti da fonti diffuse. L’impatto di tali sostanze inquinanti sull’ambiente e sulla salute umana non sarebbe stato tuttavia valutato nell’ambito delle autorizzazioni integrate ambientali del 2011 e del 2012.
108 Inoltre, risulta dalla domanda di pronuncia pregiudiziale che le norme speciali applicabili all’Ilva avrebbero consentito di rilasciare a tale installazione l’autorizzazione integrata ambientale e di riesaminare quest’ultima senza considerare le sostanze inquinanti di cui al «set integrativo» menzionato al punto 41 della presente sentenza, comprese le polveri sottili PM2,5 e PM10, né i loro effetti nocivi sulla popolazione di Taranto, specie nel quartiere Tamburi.
109 Per quanto riguarda, in primo luogo, la domanda e il procedimento di rilascio di un’autorizzazione, l’articolo 12, paragrafo 1, lettera f), della direttiva 2010/75 prevede che una tale domanda debba contenere una descrizione del tipo e dell’entità delle prevedibili emissioni dell’installazione in ogni comparto ambientale nonché un’identificazione degli effetti significativi delle emissioni sull’ambiente.
110 Risulta peraltro dalla formulazione dell’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), di tale direttiva che l’autorizzazione deve includere valori limite di emissione fissati non solo per le sostanze inquinanti elencate nell’allegato II di detta direttiva, ma anche per le altre sostanze inquinanti «che possono essere emesse» dall’installazione interessata.
111 È vero che, come affermato al considerando 15 della direttiva 2010/75, le autorità nazionali competenti dispongono di un margine di discrezionalità nell’ambito della valutazione che esse sono chiamate a realizzare al fine di determinare le sostanze inquinanti che devono essere oggetto di valori limite di emissione nell’autorizzazione all’esercizio di un’installazione.
112 Ciò detto, l’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), della direttiva di cui trattasi prevede che l’autorizzazione rilasciata da tali autorità fissi valori limite di emissione, oltre che per le sostanze inquinanti elencate nell’allegato II di detta direttiva, per le «altre» sostanze inquinanti che possono essere emesse «in quantità significativa, in considerazione della loro natura e delle loro potenzialità di trasferimento dell’inquinamento da un elemento ambientale all’altro».
113 Occorre constatare che tale espressione riflette la volontà del legislatore dell’Unione secondo la quale, conformemente al principio di prevenzione su cui si fonda la direttiva 2010/75, la determinazione della quantità di sostanze inquinanti la cui emissione può essere autorizzata deve essere collegata al grado di nocività delle sostanze di cui trattasi.
114 Ne consegue che solo le sostanze inquinanti che si ritiene abbiano un effetto trascurabile sulla salute umana e sull’ambiente possono essere escluse dalla categoria delle sostanze che devono essere accompagnate da valori limite di emissione nell’autorizzazione all’esercizio di un’installazione.
115 Pertanto, il gestore di un’installazione è soggetto all’obbligo di fornire, nella sua domanda di autorizzazione all’esercizio di tale installazione, informazioni relative al tipo, all’entità e al potenziale effetto negativo delle emissioni che possono essere prodotte da detta installazione, affinché le autorità competenti possano fissare valori limite relativi a tali emissioni, con la sola eccezione di quelle che, per il loro tipo o per la loro entità, non sono tali da costituire un rischio per l’ambiente o la salute umana.
116 Per quanto riguarda, in secondo luogo, il procedimento di riesame di un’autorizzazione, l’articolo 21, paragrafo 5, lettera a), della direttiva 2010/75 impone che le condizioni di autorizzazione siano riesaminate quando l’inquinamento provocato da un’installazione è tale da rendere necessaria la revisione dei valori limite di emissione esistenti nell’autorizzazione all’esercizio di tale installazione «o l’inserimento in quest’ultima di nuovi valori limite».
117 Si deve quindi ritenere che, contrariamente a quanto sostenuto dall’Ilva e dal governo italiano, il procedimento di riesame di un’autorizzazione non può limitarsi a fissare valori limite per le sole sostanze inquinanti la cui emissione era prevedibile ed è stata considerata nel procedimento di autorizzazione iniziale, senza tener conto anche delle emissioni effettivamente generate dall’installazione interessata nel corso del suo esercizio e relative ad altre sostanze inquinanti.
118 Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 133 delle sue conclusioni, si deve quindi tener conto dell’esperienza risultante dalla gestione dell’installazione interessata, quale parte dei dati scientifici pertinenti relativi all’inquinamento e, dunque, delle emissioni effettivamente constatate.
119 Occorre aggiungere che, nell’ambito, in particolare, dei procedimenti di riesame di un’autorizzazione all’esercizio di un’installazione previsti dalla direttiva 2010/75, si deve, in ogni caso, procedere a una valutazione globale che tenga conto di tutte le fonti di inquinanti e del loro effetto cumulativo, in modo da garantire che la somma delle loro emissioni non possa comportare alcun superamento dei valori limite per la qualità dell’aria quali definiti dalla direttiva 2008/50/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa (GU 2008, L 152, pag. 1), come modificata dalla direttiva (UE) 2015/1480 della Commissione, del 28 agosto 2015 (GU 2015, L 226, pag. 4) (v., in tal senso, sentenza del 9 marzo 2023, Sdruzhenie «Za Zemyata – dostap do pravosadie» e a., C‑375/21, EU:C:2023:173, punto 54).
120 Nel procedimento principale, e per quanto riguarda, in particolare, le frazioni di PM10 e PM2,5, che il giudice del rinvio sottolinea non essere state considerate ai fini della fissazione di valori limite di emissione in occasione del rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale del 2011 allo stabilimento Ilva, va rilevato che i valori limite fissati dalla direttiva 2008/50, come modificata dalla direttiva 2015/1480, devono essere ritenuti «norme di qualità ambientale», ai sensi dell’articolo 3, punto 6, e dell’articolo 18 della direttiva 2010/75 (v., in tal senso, sentenza del 9 marzo 2023, Sdruzhenie «Za Zemyata – dostap do pravosadie» e a., C‑375/21, EU:C:2023:173, punto 59).
121 Pertanto, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 129 delle sue conclusioni, se il rispetto di tali norme richiede che siano imposti all’installazione interessata valori limite di emissione più rigorosi, questi ultimi devono essere stabiliti conformemente a tale articolo 18, ai sensi del quale l’autorizzazione deve quindi contenere misure supplementari, fatte salve le altre misure che possono essere adottate per rispettare le norme di qualità ambientale.
122 Dalle considerazioni che precedono risulta che occorre rispondere alla seconda questione che la direttiva 2010/75 deve essere interpretata nel senso che, ai fini del rilascio o del riesame di un’autorizzazione all’esercizio di un’installazione ai sensi di tale direttiva, l’autorità competente deve considerare, oltre alle sostanze inquinanti prevedibili tenuto conto della natura e della tipologia dell’attività industriale di cui trattasi, tutte quelle oggetto di emissioni scientificamente note come nocive che possono essere emesse dall’installazione interessata, comprese quelle generate da tale attività che non siano state valutate nel procedimento di autorizzazione iniziale di tale installazione.
Sulla terza questione
123 Con la sua terza questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva 2010/75 debba essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale ai sensi della quale il termine concesso al gestore di un’installazione per conformarsi alle misure di protezione dell’ambiente e della salute umana previste dall’autorizzazione all’esercizio di tale installazione è stato oggetto di ripetute proroghe, sebbene siano stati individuati pericoli gravi e rilevanti per l’integrità dell’ambiente e della salute umana.
124 A tale riguardo, il giudice del rinvio rileva che le norme speciali applicabili all’Ilva hanno consentito di concedere allo stabilimento Ilva numerose proroghe non sempre collegate ad effettivi riesami e aggiornamenti delle condizioni di esercizio dell’attività di tale stabilimento. Orbene, il differimento dei termini previsti per l’attuazione delle misure destinate a garantire il rispetto dell’autorizzazione integrata ambientale del 2011 sarebbe avvenuto, da un lato, in costanza dello svolgimento di attività industriale ritenuta dallo stesso legislatore gravemente rischiosa per la salute umana e per l’ambiente e, dall’altro, allo scopo di realizzare le opere che avrebbero teoricamente reso l’attività siderurgica sicura per la salute delle persone residenti nei pressi di detto stabilimento. Tuttavia, come risulta dalla domanda di pronuncia pregiudiziale e come confermato dall’Ilva e dal governo italiano all’udienza dinanzi alla Corte, l’adozione e l’attuazione delle misure destinate a raggiungere tale scopo sono state differite a più riprese.
125 In via preliminare, occorre rilevare che, trattandosi, nel procedimento principale, di un impianto esistente, ai sensi dell’articolo 2, punto 4, della direttiva 96/61, l’autorizzazione di cui trattasi è stata prima assoggettata alle disposizioni di tale direttiva, poi a quelle della direttiva 2008/1. Ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, di quest’ultima direttiva, la data di scadenza per rendere conformi gli impianti esistenti era fissata al 30 ottobre 2007 (sentenza del 31 marzo 2011, Commissione/Italia, C‑50/10, EU:C:2011:200, punto 29 e giurisprudenza ivi citata). Tuttavia, come risulta dagli elementi a disposizione della Corte, tale data non è stata rispettata nel caso dello stabilimento Ilva, il cui esercizio è stato oggetto di un’autorizzazione ambientale solo il 4 agosto 2011.
126 Ciò precisato, occorre constatare, relativamente alla direttiva 2010/75, che, ai sensi dell’articolo 82, paragrafo 1, di tale direttiva, per quanto concerne le installazioni come lo stabilimento Ilva, gli Stati membri dovevano, a partire dal 7 gennaio 2014, applicare le disposizioni adottate al fine di recepire detta direttiva nel loro ordinamento giuridico nazionale, fatta eccezione per disposizioni di quest’ultima non pertinenti nel contesto del procedimento principale. L’articolo 21, paragrafo 3, della direttiva 2010/75 concedeva un termine di quattro anni dalla data di pubblicazione delle decisioni sulle conclusioni sulle BAT ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 5, di tale direttiva, relative all’attività principale di un’installazione, nella fattispecie fino al 28 febbraio 2016, per l’adeguamento delle condizioni di autorizzazione alle nuove tecniche.
127 Occorre aggiungere che, conformemente all’articolo 8, paragrafi 1 e 2, lettere a) e b), della direttiva 2010/75, in caso di violazione delle condizioni di autorizzazione all’esercizio di un’installazione, gli Stati membri devono adottare le misure necessarie per garantire immediatamente il rispetto di tali condizioni. In particolare, il gestore dell’installazione interessata deve adottare immediatamente le misure necessarie per garantire il ripristino della conformità della sua installazione a dette condizioni nel più breve tempo possibile.
128 Inoltre, come già ricordato al punto 91 della presente sentenza, laddove la violazione di tali condizioni presenti un pericolo immediato per la salute umana o minacci di provocare ripercussioni serie ed immediate sull’ambiente, l’articolo 8, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2010/75 esige che l’esercizio di tale installazione sia sospeso.
129 Il governo italiano ha dedotto, all’udienza dinanzi alla Corte, che un adeguamento ai requisiti previsti dall’autorizzazione integrata ambientale del 2011 avrebbe comportato un’interruzione dell’attività dello stabilimento per diversi anni. Orbene, tale installazione sarebbe un’importante fonte di occupazione per l’area di cui trattasi. Pertanto, l’adozione delle norme speciali applicabili all’Ilva deriverebbe da una ponderazione tra gli interessi in gioco, vale a dire la protezione dell’ambiente, da un lato, e quella dell’occupazione, dall’altro.
130 A tale riguardo, occorre tuttavia sottolineare che, ai sensi del considerando 43 della direttiva 2010/75, il legislatore dell’Unione ha previsto che talune nuove prescrizioni derivanti da detta direttiva si applichino alle installazioni esistenti, come lo stabilimento Ilva, dopo un periodo di tempo determinato a partire dalla data d’applicazione di detta direttiva, e ciò «per concedere (...) un tempo sufficiente» a dette installazioni esistenti per adeguarsi, sul piano tecnico, a tali nuove prescrizioni.
131 In dette circostanze, spetta al giudice del rinvio valutare se le norme speciali adottate nei confronti dello stabilimento Ilva abbiano avuto l’effetto di differire eccessivamente, al di là di tale periodo transitorio nonché del termine di cui all’articolo 21, paragrafo 3, della direttiva 2010/75, l’attuazione delle misure necessarie per conformarsi all’autorizzazione integrata ambientale del 2011, tenuto conto del grado di gravità dei danni causati all’ambiente e alla salute umana che sono stati individuati.
132 Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla terza questione che la direttiva 2010/75 deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale ai sensi della quale il termine concesso al gestore di un’installazione per conformarsi alle misure di protezione dell’ambiente e della salute umana previste dall’autorizzazione all’esercizio di tale installazione è stato oggetto di ripetute proroghe, sebbene siano stati individuati pericoli gravi e rilevanti per l’integrità dell’ambiente e della salute umana. Qualora l’attività dell’installazione interessata presenti tali pericoli, l’articolo 8, paragrafo 2, secondo comma, di detta direttiva esige, in ogni caso, che l’esercizio di tale installazione sia sospeso.
Sulle spese
133 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:
1) La direttiva 2010/75/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 novembre 2010, relativa alle emissioni industriali (prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento), letta alla luce dell’articolo 191 TFUE e degli articoli 35 e 37 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea,
deve essere interpretata nel senso che:
gli Stati membri sono tenuti a prevedere che una previa valutazione degli impatti dell’attività dell’installazione interessata tanto sull’ambiente quanto sulla salute umana costituisca atto interno ai procedimenti di rilascio e riesame di un’autorizzazione all’esercizio di una tale installazione ai sensi di detta direttiva.
2) La direttiva 2010/75 deve essere interpretata nel senso che:
ai fini del rilascio o del riesame di un’autorizzazione all’esercizio di un’installazione ai sensi di tale direttiva, l’autorità competente deve considerare, oltre alle sostanze inquinanti prevedibili tenuto conto della natura e della tipologia dell’attività industriale di cui trattasi, tutte quelle oggetto di emissioni scientificamente note come nocive che possono essere emesse dall’installazione interessata, comprese quelle generate da tale attività che non siano state valutate nel procedimento di autorizzazione iniziale di tale installazione.
3) La direttiva 2010/75 deve essere interpretata nel senso che:
essa osta a una normativa nazionale ai sensi della quale il termine concesso al gestore di un’installazione per conformarsi alle misure di protezione dell’ambiente e della salute umana previste dall’autorizzazione all’esercizio di tale installazione è stato oggetto di ripetute proroghe, sebbene siano stati individuati pericoli gravi e rilevanti per l’integrità dell’ambiente e della salute umana. Qualora l’attività dell’installazione interessata presenti tali pericoli, l’articolo 8, paragrafo 2, secondo comma, di detta direttiva esige, in ogni caso, che l’esercizio di tale installazione sia sospeso.
Lenaerts
Bay Larsen
Arabadjiev
Prechal
Jürimäe
Biltgen
Piçarra
Rodin
Rossi
Jarukaitis
Jääskinen
Wahl
Passer
Gratsias
Arastey Sahún
Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 25 giugno 2024.
Il cancelliere
Il presidente