TAR Toscana Sez.II n. 915 del 27 maggio 2016
Ambiente in genere. Legittimazione di un comitato spontaneo all'impugnazione di atti amministrativi
Ai fini del riconoscimento giurisdizionale della legittimazione ad impugnare atti amministrativi in capo ad un comitato spontaneo di cittadini occorre che l'ente sia munito di un adeguato grado di rappresentatività, di un collegamento stabile con il territorio di riferimento e di un'azione dotata di apprezzabile consistenza, anche tenuto conto del numero e della qualità degli associati; occorre altresì che l'attività del comitato si sia protratta nel tempo e che, quindi, il comitato non nasca in funzione dell'impugnativa di singoli atti e provvedimenti
N. 00915/2016 REG.PROV.COLL.
N. 02016/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2016 del 2015, proposto da:
L.I.P.U. - Lega Italiana Protezione Uccelli O.N.L.U.S. in persona del Presidente nazionale in carica e Comitato Difesa dell'Ambiente e del Territorio Colligiano in persona del Presidente in carica, rappresentati e difesi dall'avv. Lucia Casale, con domicilio eletto presso l’avv. Eugenio Dalli Cardillo in Firenze, piazza Isidoro del Lungo 1;
contro
il Comune di Collesalvetti in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avv. Elena Regoli, con domicilio eletto presso la Segreteria del T.A.R. in Firenze, Via Ricasoli 40; la Provincia di Livorno in persona del Presidente in carica, non costituita in giudizio;
nei confronti di
Azienda Agricola Agonigi Monica, Società Agricola Fuoricampo s.r.l. e Società Agricola Campo dei Romani S.S. in persona dei rispettivi legali rappresentanti in carica, rappresentate e difese dall'avv. Laura Formichini, con domicilio eletto presso l’avv. Ilaria Bonicoli in Firenze, Via Ricasoli 32;
per l'accertamento
- del mancato perfezionamento, e quindi dell'obbligo dell’Amministrazione di provvedere previa sospensione della prosecuzione dei lavori, in ordine alle P.A.S. n. 557/2014, prot. n. 21838 del 19.12.2014 avente ad oggetto la realizzazione di un impianto di cogenerazione di energia elettrica/calore alimentato con biomasse da 200 kW e opere connesse, sito in località Guasticce/Stagno, Comune di Collesalvetti, S.S. 555 tra il Km l-IV e 2-VI, nei terreni identificati al Catasto Terreni del Comune di Collesalvetti, Foglio 11, particelle nn. 27, 565, 579, 582, 598, 599, 600, 601, 602; Foglio 12 particelle nn. 18, 45, 64, l 09, 11 O, 113 e 116; Foglio n. 28, particelle nn. 35, 4 7 e 55, e della P.A.S. n. 287/2015, prot. n. 14432 del 4.08.2015 avente ad oggetto variante alla P.A.S. n. 557/2014 prot. n. 21838 del 19.12.2014 di cui sopra
- e per la condanna
dell'Amministrazione, previo accertamento della mancanza dei presupposti di fatto e di legge per l'emanazione di un provvedimento di assenso, a provvedere sull'istanza di cui alla PAS n. 557/2014 e sulla conseguente istanza di cui alla PAS n. 287/2015 entro un certo termine con atto espresso di rigetto e conseguente ordine di divieto di prosecuzione dei lavori e di messa in pristino stato dei luoghi ovvero, nella subordinata ipotesi in cui residuassero margini di discrezionalità in capo all'Amministrazione Comunale, con condanna a provvedere comunque entro un certo termine
e/o per l'annullamento e/o declaratoria di nullità:
- della procedura abilitativa semplificata n. 557/2014, prot. n. 21838 del 19.12.2014 di cui sopra;
- della P.A.S. 287/2015, prot. n. 14432, del 4.08.2015 avente ad oggetto variante alla P.A.S. n. 557/2014, prot. n. 21838, del 19.12.2014 di dettaglio delle opere complementari;
- del provvedimento di valutazione di incidenza ambientale della Provincia di Livorno, Dipartimento dell'Ambiente e del Territorio n. 42 del 17.2.2015, a firma del Dott. Geol. Enrico Bartoletti e di ogni altro atto presupposto, conseguente o comunque connesso, con condanna a ordinare il divieto di prosecuzione dei lavori e il ripristino dello stato dei luoghi.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Collesalvetti, dell’Azienda Agricola Agonigi Monica, della Società Agricola Fuoricampo s.r.l. e della Società Agricola Campo dei Romani S.S.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 aprile 2016 il dott. Alessandro Cacciari e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il 19 dicembre 2014 l'Azienda Agricola Agonigi Monica e la società Agricola Fuoricampo hanno presentato allo Sportello Unico per le Attività Produttive (SUAP) del Comune di Collesalvetti un’istanza di procedura abilitativa semplificata ai sensi del d.lgs. 3 marzo 2011, n. 28, per realizzare un impianto di cogenerazione di energia elettrica/calore alimentato a biomasse da 200 kW, e opere connesse, in aree di incidenza SIR 47. I proponenti hanno prodotto lo studio di incidenza che è stato trasmesso alla Provincia di Livorno la quale, con provvedimento 17 febbraio 2015 n. 42, si è espressa positivamente con il rispetto di alcune prescrizioni e a condizione che fossero escluse dall'intervento le aree identificate al Catasto Terreni del Comune di Collesalvetti, foglio 11, particelle 27 e 600.
Con nota prot. 5771 del 2 aprile 2015 il Comune ha invitato il proponente ed il progettista a trasmettere entro il successivo 7 aprile le certificazioni impiantistiche complessive dell'impianto e un'autocertificazione riportante il rispetto dei parametri emissivi indicati. La richiesta è stata riscontrata con nota acquisita al protocollo comunale 7 aprile 2015, n. 5910.
Il 13 ottobre 2015 il Comitato inoltrava al Comune di Collesalvetti un atto di diffida affinché adottasse un provvedimento inibitorio della prosecuzione dell'attività di costruzione dell'impianto di cui alla P.A.S. n. 557/14, con conseguente ordine di rimessa in pristino dei luoghi; successivamente, dopo avere assunto contatti alla fine del mese di ottobre con la sezione locale della Lega Italiana per la Protezione degli Uccelli (LIPU), ha con quest’ultima proposto il presente ricorso, notificato il 16 dicembre 2015 e depositato il 21 dicembre 2015, lamentando violazione di legge ed eccesso di potere sotto diversi profili nella procedura de qua.
Si sono costituiti il Comune di Collesalvetti, l'Azienda Agricola Agonigi Monica, la società Agricola Fuoricampo e la società Agricola Campo dei Romani eccependo l’irricevibilità del ricorso e chiedendone, comunque, la reiezione nel merito.
All’udienza del 7 aprile 2016 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. La presente controversia riguarda la realizzazione di un impianto di cogenerazione di energia elettrica/calore alimentato a biomasse da 200 kW e opere connesse.
1.1 Con primo motivo i ricorrenti deducono che la procedura introdotta con la presentazione dell’istanza di Procedura Abilitativa Semplificata (nel seguito: “P.A.S.”) n. 557/2014 non si sarebbe perfezionata poiché non è stata effettuata la Valutazione di Impatto Ambientale (nel seguito: “VIA”), né la Verifica di assoggettabilità alla Valutazione di Impatto Ambientale. A loro dire l'art. 43, comma 2, lett. a), Legge della Regione Toscana 12 febbraio 2010, n. 10, contrasterebbe, in riferimento all'Allegato B2, con la Direttiva 2011/92/UE che obbligherebbe gli Stati membri dell’Unione ad assoggettare a VIA non solo i progetti indicati nel suo allegato I, ma anche quelli descritti nell'allegato II qualora si rivelino idonei a generare un impatto ambientale importante, all'esito della procedura di verifica da condurre secondo i criteri di selezione definiti nell'allegato III della stessa direttiva. Nel caso in esame, poi, alla condotta inerte del Comune non potrebbe attribuirsi valenza di silenzio assenso in forza dell'art. 20, comma 4, l. 7 agosto 1990, n. 241, sicché la successiva PAS n. 287/2015 non risulterebbe perfezionata poiché verrebbe a variare un provvedimento inesistente.
I ricorrenti chiedono quindi di accertare il mancato perfezionamento della PAS n. 557/2014 e, di conseguenza, anche della PAS n. 287/2015, per inadempimento del Comune all'obbligo di provvedere sull’istanza del privato ai sensi della direttiva 2011/92/UE con condanna del medesimo Comune, previo accertamento della mancanza dei presupposti per l'emanazione di un provvedimento di assenso, a provvedere sulle istanze con atto espresso di rigetto e ordine di divieto prosecuzione lavori e rimessa in pristino dei luoghi ovvero, nella subordinata ipotesi in cui dovesse ritenersi che residui un margine di discrezionalità in capo all'Ente locale, con condanna del medesimo a provvedere entro un certo termine.
Con secondo motivo i ricorrenti lamentano che l’istanza P.A.S. n. 557/2014 non sarebbe riferibile ad un progetto puntuale per la carenza di elementi progettuali essenziali e che, al momento della sua presentazione, le società proponenti non avessero disponibilità dei terreni interessati dall'impianto.
Con terzo motivo deducono, in via subordinata, che le suddette carenze costituirebbero altrettante violazioni dell'art. 6 del d.lgs. n. 28/2011 e dell’art. 16 bis della L.R. n. 39/2005, poiché il progetto non sarebbe dettagliato come richiesto dalla normativa e al momento della sua presentazione, inoltre, le società proponenti non avrebbero avuto disponibilità dei terreni interessati dall'impianto.
Con quarto motivo lamentano che non essendo stata indicata la modalità di reimpiego dell'energia termica, risulterebbe difficile anche l'individuazione delle prescrizioni del Piano di Indirizzo Territoriale applicabili al progetto. In ogni caso questo violerebbe il par. 2.11 del P.I.T. poiché i proponenti non avrebbero dimostrato la tracciabilità della biomassa e l'area interessata risulterebbe superiore al limite previsto di 1 ha.
Le aree interessate dall'intervento poi, come anche indicato nella relazione tecnica dell'Ing. Blasi allegata alla PAS n. 557/2014, ricadrebbero in zona di pericolosità idraulica P.L3 (elevata) e P.1.4 (molto elevata).
Le PAS nn. 557/2014 e 287/2015 sarebbero illegittime anche in quanto contrastanti con la delibera della Giunta Comunale 11 settembre 2014, n. 373, di approvazione del protocollo di intesa con l'Ente Parco MSRM per l’inclusione del SIR 47 quale "care zone", caratterizzata da forme di protezione in cui predomina la funzione di conservazione della biodiversità con ammissibilità delle sole attività di monitoraggio scientifico e, in forma minore, di ricerca e educazione ambientale.
Con quinto motivo i ricorrenti contestano l’illegittimità delle PAS e della valutazione di incidenza ambientale per difetto di istruttoria, in quanto non sono state rilevate le carenze del progetto e non è stata effettuata alcuna analisi sui suoi impatti acustico e luminoso.
1.2 Il Comune e le controinteressate eccepiscono irricevibilità del ricorso poiché il 18 gennaio 2015 si sarebbe formato tacitamente il titolo abilitativo relativo alla P.A.S. n. 557/2014, mentre il 3 settembre 2015 si sarebbe formato quello relativo alle varianti contemplate nella P.AS. n. 287/2015. Il provvedimento lesivo, nel caso di specie, sarebbe quello relativo alla P.A.S. n. 557/2014, a cui si collega quello di cui alla P.A.S. n. 287/2015 che apporterebbe varianti non sostanziali alla prima. Sarebbe provato che il Comitato ricorrente già al 13 ottobre 2015, data di formazione dell'atto di diffida notificato al Comune di Collesalvetti, se non già nel giugno 2015 quando la sua presidente aveva chiesto l’accesso agli atti, aveva acquisito conoscenza della P.A.S. n. 557/2014. Peraltro la realizzazione dell'impianto a biomasse di cui trattasi è stata accompagnata, a livello locale, da un notevole clamore a livello mediatico a partire dal mese di aprile 2015 ed è pensabile che la L.I.P.U. ne abbia avuto in tal modo conoscenza. In ogni caso la previa conoscenza da parte del Comitato sarebbe riferibile anche alla L.I.P.U. in ragione dei rapporti intercorrenti tra loro, che sarebbero dimostrati dalla comunicazione inviata il 26 ottobre 2015 dal primo alla seconda. Il ricorso sarebbe quindi tardivo anche con riferimento ad essa poiché la P.A.S. n. 287/2015, per quanto già osservato, non era autonomamente impugnabile recando una variante di dettaglio.
Eccepiscono poi che il Comitato difetterebbe poi di legittimazione attiva in quanto mancante dei requisiti "non occasionalità " e "non strumentalità" alla proposizione di una specifica impugnativa: esso si sarebbe costituito per agire giudizialmente onde poter bloccare la realizzazione dell'intervento in discussione.
Nel merito, replicano puntualmente alle deduzioni dei ricorrenti.
2. La vicenda in esame richiede la previa trattazione delle questioni preliminari, a cominciare dall’eccezione relativa alla legittimazione del Comitato ricorrente.
2.1 Il Comune resistente e le controinteressate eccepiscono che il Comitato difetterebbe dei requisiti necessari per legittimarlo a proporre impugnative in giudizio a tutela degli interessi collettivi che pretende di rappresentare.
La giurisprudenza ha individuato diversi criteri atti ad individuare gli organismi i legittimati a ricorrere avverso i provvedimenti lesivi degli interessi collettivi di cui sono portatori, in un primo tempo facendo riferimento al possesso della personalità giuridica. Questo criterio è stato presto abbandonato poiché determinava discriminazioni tra enti riconosciuti e non riconosciuti quando anche gli enti di mero fatto, come i comitati o le associazioni non riconosciute, ben possono farsi portatori della tutela di interessi collettivi.
Si è allora fatto riferimento al criterio della partecipazione procedimentale, ma anche questo è stato abbandonato poiché la partecipazione, in determinati casi, è prevista non per la tutela di un bene della vita ma a fini di apporto collaborativo specialistico a favore dell’amministrazione procedente. Non sussiste cioè un’automatica equazione tra partecipazione procedimentale e legittimazione ad agire.
Il criterio oggi vigente è quello della rappresentatività che deve essere desunta da: a) previsioni statutarie dell’ente, b) stabile assetto organizzativo, c) stabile collegamento con l’interesse che si assume leso (C.d.S. IV, 21 agosto 2013 n. 4233; 16 novembre 2011 n. 6050). A questo si aggiunge il secondo criterio del riconoscimento legislativo, che nel caso in esame non rileva.
Alla luce di quest’ultimo criterio citato deve escludersi che il Comitato possieda il requisito della rappresentatività.
A tale proposito rileva il fatto che la sua costituzione è avvenuta il 16 aprile 2015, e cioè quando sono apparsi sulla stampa i primi articoli relativi all’opera di cui si tratta. Questa circostanza induce a ritenere che si sia costituito per tale occasione e che, lungi dal caratterizzarsi per uno stabile collegamento con l’interesse alla tutela dell’ambiente di cui si assume portatore, abbia invece visto la luce per impugnare gli atti relativi all’opera in questione, senza che si dia (ancora) un suo stabile assetto organizzativo né un suo stabile collegamento con l’interesse di cui assume la lesione.
Questo Tribunale ha già statuito che “ai fini del riconoscimento giurisdizionale della legittimazione ad impugnare atti amministrativi in capo ad un comitato spontaneo di cittadini occorre che l'ente sia munito di un adeguato grado di rappresentatività, di un collegamento stabile con il territorio di riferimento e di un'azione dotata di apprezzabile consistenza, anche tenuto conto del numero e della qualità degli associati; occorre altresì che l'attività del comitato si sia protratta nel tempo e che, quindi, il comitato non nasca in funzione dell'impugnativa di singoli atti e provvedimenti” (T.A.R. Toscana II, 25 agosto 2010 n. 4892).
L’invito del Comitato da parte dei controinteressati ad un (solo) convegno, nel quale si è trattato dell’emissione di polveri conseguentemente alla combustione delle biomasse, conferma il suo legame essenziale con l’opera di cui odiernamente si tratta. Nulla esclude che esso, con la propria azione continuativa, possa assumere in futuro quei caratteri che gli consentiranno di assumere la legittimazione alle cause avverso provvedimenti incidenti sugli interessi che intende tutelare ma, al momento, di tali caratteri si presenta privo.
Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile quanto all’impugnazione proposta Comitato.
2.2 Non può invece essere accolta l’eccezione di irricevibilità relativamente all’impugnazione da parte della L.I.P.U., la cui conoscenza degli atti della vicenda non può essere desunta dalla pubblicizzazione della stessa sulla stampa locale poiché tanto non è sufficiente a ritenere che i relativi atti costituissero un fatto notorio (C.d.S.VI, 13 giugno 2013 n. 3299 in altra vicenda ma con principio applicabile al caso di specie). Diversamente opinando, ne seguirebbe l’onere di leggere giornalmente tutti i quotidiani, il che non appare ragionevolmente esigibile nemmeno da un soggetto associativo.
La comunicazione del Comitato inviatale il 26 ottobre 2015 non costituisce, poi, prova della pregressa conoscenza della vicenda da parte sua ma, semmai, è prova del contrario visto che con essa il Comitato la informa delle sue iniziative in merito al progetto de quo, e ciò induce a ritenere che non sussistessero contatti pregressi tra loro altrimenti non vi sarebbe stata necessità, da parte del primo, di fornire elementi informativi.
3. Venendo alla trattazione della causa nel merito, occorre primariamente qualificare la fattispecie alla luce della normativa applicabile nel caso di specie, individuabile nell’art. 6 del d.lgs. n. 28/2011, attuativo della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili. Tale disposizione, per quanto qui interessa, prevede quanto segue:
“2. Il proprietario dell'immobile o chi abbia la disponibilità sugli immobili interessati dall'impianto e dalle opere connesse presenta al Comune, mediante mezzo cartaceo o in via telematica, almeno trenta giorni prima dell'effettivo inizio dei lavori, una dichiarazione accompagnata da una dettagliata relazione a firma di un progettista abilitato e dagli opportuni elaborati progettuali, che attesti la compatibilità del progetto con gli strumenti urbanistici approvati e i regolamenti edilizi vigenti e la non contrarietà agli strumenti urbanistici adottati, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie. Alla dichiarazione sono allegati gli elaborati tecnici per la connessione redatti dal gestore della rete. Nel caso in cui siano richiesti atti di assenso nelle materie di cui al comma 4 dell'articolo 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e tali atti non siano allegati alla dichiarazione, devono essere allegati gli elaborati tecnici richiesti dalle norme di settore e si applica il comma 5.
3. (OMISSIS)
4. Il Comune, ove entro il termine indicato al comma 2 sia riscontrata l'assenza di una o più delle condizioni stabilite al medesimo comma, notifica all'interessato l'ordine motivato di non effettuare il previsto intervento e, in caso di falsa attestazione del professionista abilitato, informa l'autorità giudiziaria e il consiglio dell'ordine di appartenenza; é comunque salva la facoltà di ripresentare la dichiarazione, con le modifiche o le integrazioni necessarie per renderla conforme alla normativa urbanistica ed edilizia. Se il Comune non procede ai sensi del periodo precedente, decorso il termine di trenta giorni dalla data di ricezione della dichiarazione di cui comma 2, l'attività di costruzione deve ritenersi assentita.
5. Qualora siano necessari atti di assenso, di cui all'ultimo periodo del comma 2, che rientrino nella competenza comunale e non siano allegati alla dichiarazione, il Comune provvede a renderli tempestivamente e, in ogni caso, entro il termine per la conclusione del relativo procedimento fissato ai sensi dell'articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni. Se gli atti di assenso non sono resi entro il termine di cui al periodo precedente, l'interessato può adire i rimedi di tutela di cui all'articolo 117 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104. Qualora l'attività di costruzione e di esercizio degli impianti di cui al comma 1 sia sottoposta ad atti di assenso di competenza di amministrazioni diverse da quella comunale, e tali atti non siano allegati alla dichiarazione, l'amministrazione comunale provvede ad acquisirli d'ufficio ovvero convoca, entro venti giorni dalla presentazione della dichiarazione, una conferenza di servizi ai sensi degli articoli 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241 e successive modificazioni. Il termine di trenta giorni di cui al comma 2 e' sospeso fino alla acquisizione degli atti di assenso ovvero fino all'adozione della determinazione motivata di conclusione del procedimento ai sensi dell'articolo 14-ter, comma 6-bis, o all'esercizio del potere sostitutivo ai sensi dell'articolo 14-quater, comma 3, della medesima legge 7 agosto 1990, n. 241”.
Lo schema procedimentale disegnato da questa normativa rientra nell’ambito della segnalazione certificata di inizio attività di cui all’art. 19 della l. 241/1990 posto che la procedura inizia con una dichiarazione e non con una domanda, il che esclude il riferimento all’istituto del silenzio assenso che presuppone un’istanza del privato.
Occorre ricordare che la dottrina è stata assai incerta sulla qualificazione della dichiarazione, oggi segnalazione certificata, di inizio attività e in particolare, sull’individuazione della sua natura giuridica. Il dibattito ha prodotto due posizioni contrapposte.
Secondo un primo orientamento la dichiarazione deve essere considerata un atto privato, corrispondente ad un onere di informativa gravante sul privato, mentre l’amministrazione sarebbe priva di poteri autorizzatori e le residuerebbe solo un potere di controllo da esercitare nei termini e secondo le modalità di legge. La natura di atto privato della dichiarazione escluderebbe poi la possibilità di impugnazione diretta della stessa da parte dei terzi controinteressati, i quali potrebbero tutelarsi avverso l’attività del dichiarante sollecitando l’amministrazione ad adottare i provvedimenti di controllo e in caso di inerzia, facendo ricorso alla procedura del silenzio inadempimento. Il rapporto tra dichiarante ed amministrazione sarebbe quindi concettualmente autonomo da quello riguardante i terzi. Secondo tale opinione l’istituto in esame sarebbe uno strumento di liberalizzazione poiché avrebbe eliminato l’assoggettamento al controllo amministrativo di numerose attività private. Estremamente interessante, ad esplicazione di questa opinione, è la sentenza della Sesta Sezione del Consiglio di Stato 9 febbraio 2009, n. 717 secondo la quale poiché a seguito della d.i.a. l’amministrazione verifica la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge richiesti e tale verifica, a differenza di quanto accade nel regime a previo atto amministrativo, non è finalizzata all’emanazione dell’atto amministrativo di consenso ma al controllo, privo di discrezionalità, della corrispondenza di quanto dichiarato dall’interessato rispetto ai canoni normativi stabiliti per l’attività in questione, deve ritenersi che la dichiarazione sia atto di un soggetto privato e non di una pubblica amministrazione, che ne è invece destinataria, e non costituisce, pertanto, esplicazione di potestà pubblicistica. A tutela del terzo che si ritenga leso il Giudice di secondo grado ammette poi l’esperibilità di un’azione di accertamento, sia pure atipica, finalizzata ad accertare la carenza dei presupposti per l’esercizio dell’attività, sottoposta allo stesso termine di decadenza di sessanta giorni previsto per l’azione di annullamento che il terzo avrebbe potuto proporre se l’Amministrazione avesse adottato un atto espresso. Non avrebbe potuto applicarsi un diverso termine di natura prescrizionale poiché l’azione, ancorché di accertamento, non è diretta alla tutela di un diritto soggettivo ma di un interesse legittimo.
Per un secondo orientamento, invece, l’inutile decorso del termine senza che l’amministrazione ponga in essere alcun atto di controllo determinerebbe il formarsi di un titolo abilitativo, una sorta di autorizzazione implicita all’esercizio dell’attività oggetto di d.i.a. con la conseguenza che il terzo controinteressato, per inibire quest’ultima, sarebbe onerato a proporre un ricorso demolitorio volto a contestarlo. Questa conclusione è stata supportata dall’esistenza del potere di autotutela in capo all’amministrazione rimasta inerte. Si è sostenuto che se l’ordinamento prevede un potere di autotutela, ciò significa che esiste a monte un provvedimento la cui eliminazione, se è consentita all’amministrazione, a maggior ragione non può non essere consentita al giudice amministrativo su ricorso del terzo controinteressato. Tale ultima opinione appare ormai recessiva in quanto l’assenza di una domanda del privato esclude che possa formarsi alcun provvedimento di assenso tacito. Il privato presenta una dichiarazione all’Amministrazione, con cui attesta il rispetto delle condizioni di legge per l’esercizio di una determinata attività, e la dichiarazione non è un’istanza ma un atto di partecipazione con cui la seconda è messa a conoscenza del fatto che il dichiarante ha intenzione di iniziare l’esercizio di un’attività.
Trattasi peraltro di una fattispecie di segnalazione “a legittimazione differita”: l’interessato deve infatti presentare una dichiarazione all’Amministrazione per attestare la compatibilità del progetto con le norme settoriali rilevanti; attendere il termine di trenta giorni concesso dalla legge all’Amministrazione stessa per effettuare i controlli necessari e laddove quest’ultima non emetta alcun provvedimento inibitorio, l’attività di costruzione si ritiene assentita. La segnalazione “a legittimazione immediata” comporta invece che il dichiarante sia abilitato ad iniziare l’attività fin dalla data di presentazione della dichiarazione, salvo doverla poi interrompere laddove l’Amministrazione, nei tempi e con le modalità di legge, emetta un provvedimento inibitorio.
Con il primo motivo di ricorso viene chiesto di accertare il mancato perfezionamento delle P.A.S. 557/2014 e 287/2015 per la mancata sottoposizione del progetto a valutazione di impatto ambientale. Occorre a questo punto verificare, ancorché la questione non sia stata prospettata dalle parti, se sussiste la giurisdizione amministrativa con riferimento al caso di specie e, in caso di risposta affermativa, se sia ammissibile l’emanazione di una sentenza di accertamento.
L’art. 19, comma 6 ter, l. 241/1990 recita “6-ter. La segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività' non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l'azione di cui all' art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104”. Quest’ultimo limita la giurisdizione esclusiva amministrativa in tema di d.i.a. e s.c.i.a. ai "provvedimenti espressi adottati in sede di verifica" (art. 133, comma 1, lett. a], n. 3 c.p.a.).
Nel caso in esame non è stato emanato un provvedimento di verifica da parte dell’Amministrazione intimata, e il ricorso origina proprio dalla condotta inerte di questa a fronte della diffida inoltrata dal Comitato ad adottare un provvedimento di divieto di prosecuzione della costruzione dell’impianto in questione. Siamo quindi in presenza della contestazione di una condotta inerte che la ricorrente asserisce essere illegittima, chiedendo a questo Giudice un accertamento in tal senso e, oltre, l’accertamento anche della mancanza delle condizioni per la costruzione dell’impianto. Il ricorso cioè deve essere rettamente qualificato, a prescindere dal nome attribuito al medesimo, come azione avverso il silenzio con richiesta di pronuncia sulla fondatezza della pretesa, ai sensi dell’articolo 31, commi 1-3, c.p.a. L’avvenuta trattazione della causa con rito ordinario non osta ad una pronuncia poiché, se pure il processo per silenzio è soggetto al rito della camera di consiglio, ai sensi dell’articolo 87, comma 4, c.p.a. la trattazione in pubblica udienza non costituisce motivo di nullità della decisione.
Nel merito, la censura è fondata.
L’art. 43, comma 2, lett. a) della L.R. 10/2010, articolo oggi modificato dall’art. 14, comma 1, lett. a), della L.R. 25 febbraio 2016, n. 17 ed applicabile ratione temporis, escludeva tout court dalla VIA i progetti elencati nei propri allegati B1, B2 e B3 e in tal modo si poneva in contrasto con la direttiva 2011/92/UE, come già ritenuto relativamente ad un’analoga legge della Regione Marche dalla Corte Costituzionale con sentenza 22 maggio 2013, n. 93, e da questa Sezione con sentenze 7 aprile 2015, n. 559 e 13 luglio 2015, n. 1071. La direttiva, all’articolo 4, riconosce agli stati membri la possibilità di escludere determinati progetti, elencati al proprio allegato II, dalla VIA anche mediante la fissazione di soglie ma, in tal caso, devono essere applicati i criteri di selezione di cui all’allegato III valutando le caratteristiche dei progetti stessi, la loro localizzazione in relazione alla sensibilità ambientale delle aree geografiche interessate, la loro tipologia e le loro caratteristiche.
Le premesse della direttiva contenute nei “Considerando” 10 ed 11 confermano che se gli Stati membri possono fissare le soglie o i criteri per stabilire quali progetti debbano essere sottoposti a VIA, in base all'entità del loro impatto ambientale, tuttavia nel fissare tali soglie o criteri devono tener conto dei criteri di selezione suddetti. Sotto questo profilo la norma regionale contrasta quindi con la normativa comunitaria.
Quanto ai rimedi esperibili per ovviare al contrasto, merita ripercorrere una breve ricostruzione dei rapporti tra il diritto comunitario e l’ordinamento interno così come elaborati nel tempo dalla giurisprudenza.
In una prima fase si ritenne che il Trattato europeo avesse la stessa efficacia della legge ordinaria di recepimento e prevalesse quindi il diritto interno che avrebbe dovuto recepire le norme comunitarie. Una norma interna posteriore avrebbe potuto prevalere, quindi, su una norma comunitaria recepita in legge interna. Era la tesi della equiordinazione che venne rapidamente abbandonata, poiché non garantiva l’effettività delle norme comunitarie.
Secondo la successiva tesi della sovraordinazione, sostenuta a partire dagli anni settanta, deve ritenersi prevalente invece il diritto comunitario, nel senso che le norme comunitarie si sostituiscono a quelle interne contrastanti: se precedenti, si verifica l’abrogazione mentre se queste ultime sono successive, vanno qualificate illegittime costituzionalmente per violazione dell’art. 11 Cost. e possono essere annullate dalla Corte Costituzionale. Anche questa soluzione apparve però anticomunitaria poiché la Corte di Giustizia ha sempre sostenuto l’invalidità di ogni norma interna contrastante con l’ordinamento comunitario, il quale deve essere applicato direttamente con un controllo decentrato e diffuso mediante la disapplicazione, da parte dell’autorità giudiziaria, delle norme interne contrastanti.
Quest’ultima soluzione fu finalmente affermata nel nostro ordinamento a partire dagli anni ottanta in base al principio di separazione per materie degli ordinamenti interno e comunitario, che non si integrano in un solo sistema secondo un criterio di gerarchia ma vengono ordinati secondo un criterio di competenza. In base a questo, laddove una materia viene regolata dal secondo, il primo si “ritira” e le sue norme contrastanti devono essere disapplicate sia dal giudice che dall’amministrazione pubblica.
Il Collegio non vede motivi di discostarsi da questi arresti, e pertanto ritiene che l’art. 43, comma 2, lett. a) della L.R. 10/2010 nella versione applicabile all’epoca dei fatti, debba essere disapplicato in quanto contrastante con la direttiva 2011/92/UE, e che a questa debba essere data applicazione diretta trattandosi di normativa chiara, precisa ed incondizionata.
Deve quindi dichiararsi che l'attività di costruzione di cui si tratta non può ritenersi assentita per la mancata valutazione del progetto alla luce dei criteri fissati dall'allegato III della direttiva 2011/92/UE.
A tanto non consegue però, come pretende la ricorrente, la condanna dell'Amministrazione all’emanazione di un provvedimento con uno specifico contenuto, nel caso di specie avente l’effetto di inibire l’attività, poiché in tal caso verrebbe violato il principio di riserva di amministrazione in capo all’ente pubblico e il conseguente divieto, per il Giudice in sede di legittimità, di pronunciarsi su poteri discrezionali non ancora esercitati (art. 34, comma 2, c.p.a.). L’Amministrazione dovrà infatti valutare se alla luce dei criteri sopraricordati il progetto in esame debba o meno essere sottoposto a VIA, e questo implica la spendita di (ulteriore) discrezionalità.
L’accertamento quindi, nel caso di specie, non può estendersi alla verifica sui presupposti per l’esercizio dell’attività e pertanto la questione deve essere rimessa all’Autorità competente, affinché si pronunci nuovamente sul progetto de quo e verifichi se sia necessario espletare la procedura di VIA in base ai criteri fissati dall'allegato III della direttiva 2011/92/UE. Il ricorso deve dunque essere accolto entro questi limiti.
Le spese processuali possono essere integralmente compensate tra le parti in ragione della novità della questione e della reciproca soccombenza delle parti.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte lo dichiara inammissibile e per il resto lo accoglie, nei sensi e limiti di cui in motivazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 7 aprile 2016 con l'intervento dei magistrati:
Saverio Romano, Presidente
Luigi Viola, Consigliere
Alessandro Cacciari, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 27/05/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)