TAR Lombardia (BS) Sez. I n. 406 del 27 aprile
Ambiente in genere. VIA e tempistica della valutazione  

La V.I.A. è una procedura di supporto per l'autorità competente volta ad individuare, descrivere e valutare gli impatti ambientali di un'opera, il cui progetto è sottoposto ad autorizzazione. Essa è quindi un procedimento di valutazione ex ante degli effetti prodotti sull'ambiente da determinati interventi progettuali, il cui obiettivo consiste nel proteggere la salute, migliorare la qualità della vita, provvedere al mantenimento delle specie, conservare la capacità di riproduzione dell'ecosistema, promuovere uno sviluppo economico sostenibile. Ne consegue che, in linea generale, poiché l’oggetto della valutazione è il progetto di un’opera o di una sua modifica ancora da attuare, valutare ciò che è già stato realizzato ed edificato vanificherebbe gli obiettivi che il legislatore euro-unitario e nazionale si sono prefissati, (analizzare ex ante se la localizzazione e la realizzazione di una determinata opera, per come progettata, sia conciliabile con il determinato contesto geografico prescelto per la sua costruzione e, ove questo interrogativo sortisca una risposta favorevole, quale sia la soluzione progettuale che permetta di ottimizzare l'edificazione dell'opera con i preminenti valori presidiati mediante l'istituto in esame). Poiché, quindi, l’intera procedura ha come postulato la modificabilità del progetto, non avrebbe senso effettuare la valutazione dopo la realizzazione dell’opera. Sulla scia di tale impostazione si colloca l’art. 29 del codice dell’ambiente che prevede l’eccezionale possibilità di effettuare una valutazione di impatto ambientale c.d. “postuma” per assicurare alla Direttiva del 1985 il c.d. “effetto utile”, il quale non deve però essere esteso sino a consentire di «rimettere in discussione, nella loro interezza, le localizzazioni di tutte le opere e le attività ab antiquo esistenti.


Pubblicato il 27/04/2022

N. 00406/2022 REG.PROV.COLL.

N. 00101/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 101 del 2018, integrato da motivi aggiunti, proposto dal Comune di Tavernola Bergamasca, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Paola Brambilla, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Provincia di Bergamo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Giorgio Vavassori e Katia Nava, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

Italsacci s.p.a. (già Cementir Sacci s.p.a.), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Antonella Capria, Francesca Carlesi e Mara Bergomi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso l’avvocato Mara Bergomi, con studio in Brescia, via Malta, n. 7/C;

Per quanto riguarda il ricorso introduttivo:

per l'annullamento

- della Determina Dirigenziale n. 2067 del 16 novembre 2017 avente ad oggetto «modifica non sostanziale della determinazione dirigenziale n. 522 del 4.04.2017: riesame con voltura a Cementir Sacci s.p.a. della autorizzazione integrata ambientale rilasciata a Sacci s.p.a. con determinazione dirigenziale n. 2579 del 26.09.2011: rinnovo con modifiche del decreto regionale AIA n. 12606 del 12.08.2005 e s.m.i.», successivamente modificata e volturata a Cementir Sacci s.r.l.;

- di tutti gli atti presupposti, connessi e consequenziali, anche se allo stato non conosciuti, ed in particolar modo di tutti i verbali della Conferenza di servizi relativi alla procedura de qua (4 maggio 2016, 20 febbraio 2017, 7 marzo 2017 e del 18 luglio 2017);

nonché per il risarcimento del danno da violazione del diritto comunitario in materia di VIA.

Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da Comune di Tavernola Bergamasca il 20 ottobre 2021:

per l'annullamento

della nota prot. n. 0051915 del 14 settembre 2021 della Provincia di Bergamo avente ad oggetto “nota del Comune di Tavernola Bergamasca datata 23/08/2021”, e dei provvedimenti connessi, presupposti e conseguenti ancorché non noti;

nonché per il conseguente risarcimento del danno.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Bergamo e della Italsacci s.p.a. (già Cementir Sacci s.p.a.);

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del 13 aprile 2022 il dott. Luca Pavia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Lo stabilimento oggetto del ricorso opera sul territorio del Comune di Tavernola Bergamasca da oltre cento anni.

2. Per quanto qui di interesse, il 12 agosto 2005 la Regione Lombardia ha autorizzato, con il decreto n. 12606, il cementificio Lafarge Adriasebina s.r.l. ad utilizzare dei rifiuti come combustibile alternativo per il forno di cottura del clinker.

L’autorizzazione de qua è stata successivamente modificata, integrata e, infine, volturata alla Lafarge Cementi s.r.l. con decreto regionale n. 9253 del 25 agosto 2008.

3. A seguito del trasferimento delle competenze regionali in materia di A.I.A., l’autorizzazione de qua è stata modificata dalla Provincia di Bergamo e volturata all’Adriasebina s.r.l. con la determinazione dirigenziale n. 672 del 6 marzo 2009.

4. Il 1° febbraio 2010 l’Adriasebina s.r.l. è stata incorporata dalla Sacci s.p.a..

5. Il 15 febbraio 2010 la Sacci s.p.a. ha presentato istanza di rinnovo dell’A.I.A. e, poiché non aveva ancora iniziato a sperimentare l’utilizzo di rifiuti come combustibile alternativo, ha chiesto di aggiornare le prescrizioni in materia secondo modalità e protocolli da condividere con gli organi di controllo. Il procedimento è stato avviato dalla provincia di Bergamo il 17 marzo 2010.

6. Il 20 aprile 2010 è stata convocata una conferenza di servizi nella quale la Regione Lombardia ha confermato la validità e l’efficacia dell’A.I.A. a suo tempo rilasciata e ha concordato con la Provincia circa la non assoggettabilità a V.I.A. dell’attività mentre la locale ARPA si è dichiarata favorevole all’elaborazione di un protocollo di sperimentazione e si è offerta di collaborare alla sua stesura.

7. Con determinazione dirigenziale n. 2579 del 26.09.2011 la Provincia, in omaggio alle decisioni assunte in sede di conferenza di servizi, ha rinnovato, con modifiche, la precedente A.I.A. e ha rimesso, ex art. 14-quater l. 241/90, ogni valutazione relativa alla sperimentazione al Consiglio dei Ministri, il quale l’ha autorizzata con prescrizioni il 16 marzo 2012.

8. Il 9 aprile 2013 è stata pubblicata sulla G.U.C.E. la decisione della Commissione Europea del 26 marzo 2013 che ha individuato le migliori tecniche disponibili per la produzione del cemento, della calce e dell'ossido di magnesio e, ai sensi dell'art. 29-octies del d.lgs. 152/2006, l'autorità competente avrebbe dovuto riesaminare le autorizzazioni già rilasciate in sede di rinnovo dell’A.I.A. entro l’8 aprile 2017.

9. Il 9 settembre 2015 la Provincia di Bergamo ha avviato il riesame dell’AIA rilasciata al cementificio.

10. In data 11 gennaio 2016 l’odierna controinteressata ha rinunciato alla sperimentazione che è stata, pertanto, stralciata dalla procedura in corso.

11. Il 26 ottobre 2016 la società che gestiva il cementificio è divenuta, a seguito di numerose modifiche alla compagine societaria, Cementir Sacci s.p.a.

12. Il 10 febbraio 2017 la Provincia di Bergamo ha indetto una conferenza di servizi per valutare la richiesta dell’odierna controinteressata di utilizzo di Combustibili Solidi Secondari non rifiuto.

13. In omaggio alla normativa vigente, la Provincia di Bergamo ha convocato per il 28 marzo 2017 una Conferenza dei servizi decisoria per riesaminare l’A.I.A. in vigore, riservando ogni valutazione circa l’utilizzo dei Combustibili Solidi Secondari non rifiuto ad una parallela procedura.

Il procedimento si è concluso il 4 aprile 2017 con la determinazione dirigenziale n. 522.

14. Il 16 novembre 2017 la Provincia ha autorizzato, con prescrizioni, la modifica non sostanziale dell’A.I.A. concernente l’utilizzo come combustibile del CSS-C non rifiuto (determina n. 2067).

15. Con ricorso, notificato il 19 gennaio 2018 e depositato il successivo 1° febbraio, il Comune di Tavernola ha impugnato i provvedimenti in epigrafe perché asseritamente illegittimi.

16. Il 20 e il 21 marzo 2018 si sono costituite rispettivamente la controinteressata e la Provincia di Bergamo con una comparsa di stile.

17. Il 23 febbraio 2021 il sito è stato interessato da un importante movimento franoso e le lavorazioni del cementificio sono state cautelativamente interrotte.

18. Il 22 luglio 2021 si è tenuta una riunione indetta dalla Regione Lombardia in cui è stata illustrata la proposta della controinteressata di riprendere gradualmente l’attività al solo fine di valutare le conseguenze dell’attività sul movimento franoso.

19. Il 27 luglio 2021 la Regione Lombardia ha approvato con prescrizioni il programma di ripartenza delle attività del cementificio.

20. Il 23 agosto 2021 il Comune di Tavernola ha chiesto, tra l’altro, alla Provincia di procedere al riesame dell'AIA previa valutazione di impatto ambientale.

21. Il 14 settembre 2021 la Provincia di Bergamo ha respinto l’istanza comunale e tale provvedimento è stato impugnato il 20 ottobre 2021 con motivi aggiunti.

22. Il 21 ottobre 2021 la Regione Lombardia ha indetto una riunione per illustrare gli esiti dello studio condotto sulla frana.

23. All’udienza pubblica del 10 novembre 2021 la trattazione del merito del ricorso è stata rinviata all’udienza pubblica del 13 aprile 2022 per consentire alle parti di replicare ai motivi aggiunti del ricorrente.

24. In vista dell’udienza di merito le parti hanno depositato memorie conclusionali e di replica nei termini di rito.

25. All’udienza del 13 aprile 2022 la causa è stata trattenuta in decisione, a seguito di discussione orale.

DIRITTO

1. Prima di affrontare il merito del ricorso il Collegio deve esaminare l’istanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Il ricorrente chiede, infatti, di far accertare al giudice unionale «se la corretta interpretazione della direttiva 75/2010/UE e s.m.i. e della direttiva 92/2011/UE e s.m.i. e 2003/4/CE osti a una normativa nazionale quale quella interna, per cui l’iter decisionale autorizzativo di un impianto soggetto a VIA e ad AIA non comprende, prima del rilascio dell’autorizzazione stessa, né la decisione in ordine all’obbligo della presentazione della relazione di riferimento, né la relazione stessa e ne sottrae l’istruttoria alla partecipazione del pubblico interessato».

L’istanza va respinta perché generica e fondata su argomentazioni tutt’altro che dimostrate.

In primo luogo, il ricorrente non ha individuato le disposizioni nazionali asseritamente in contrasto con il diritto euro-unitario ma si è limitato ad effettuare una generica comparazione tra diritto nazionale e quello unionale. Inoltre, non solo la questione non appare dirimente nel caso di specie posto che parte delle questioni riguardano la non impugnata la determina 522 del 4 aprile 2017, ma si fonda su alcuni presupposti, come la mancanza di istruttoria e di partecipazione, tutt’altro che certi.

2. Sempre in via preliminare il Collegio è tenuto a esaminare l’eccezione di inammissibilità per sopravvenuta carenza di interesse solvata dalla controinteressata.

A suo dire, infatti, poiché tutti i motivi del ricorso introduttivo avrebbero come presupposto il rifiuto dell’autorità procedente di qualificare come sostanziale la modifica all’A.I.A. e siccome tale argomentazione sarebbe stata contraddetta dal vigente quadro normativo, l’intero ricorso sarebbe inammissibile.

L’eccezione è infondata non solo perché non tutte le censure del ricorrente si fondano sulla corretta qualificazione della modifica richiesta ma anche perché l’esame della censura implica necessariamente lo scrutinio del merito del ricorso.

3. Con il primo motivo del ricorso introduttivo il ricorrente asserisce l’illegittimità dei provvedimenti impugnati sotto una pluralità di profili.

3.1. Con la prima censura il ricorrente asserisce che l’intera attività del cementificio avrebbe dovuto essere sottoposta a V.I.A. e V.A.S..

In primo luogo, perché l’art. 6, comma 5, del codice dell’ambiente prescrive che tutti i progetti che, come quello in esame, possono avere impatti significativi e negativi sull'ambiente e sul patrimonio culturale devono essere sottoposti a V.I.A.. Impostazione, questa, che sarebbe confermata sia dall’Allegato B, lett. P10) l.r. 5/10 sia dalla normativa dell’Unione Europea, la quale imporrebbe alle autorità competenti di rimediare all’originaria mancata valutazione dell'impatto ambientale di un progetto in occasione del rilascio di una nuova autorizzazione, ovvero in sede di riesame o modifica della stessa.

L’impostazione della Provincia (secondo cui non dovrebbero essere sottoposti alla valutazione de qua gli impianti operativi prima dell’entrata in vigore delle disposizioni nazionali e comunitarie in materia di V.I.A.) sarebbe erronea perché legittimerebbe la perpetua sottrazione dell’impianto alla normativa di settore.

Al contrario, la resistente e la controinteressata, oltre a contestare il merito della ricostruzione avversaria, ne sostengono l’inammissibilità perché la censura avrebbe dovuto essere rivolta avverso il provvedimento di riesame dell’A.I.A. (determinazione n.522/17) e non in sede di impugnazione di una modifica alla stessa.

L’eccezione è infondata perché il ricorrente non mira a ottenere l’assoggettamento a V.I.A. dell’intero impianto ma l’accertamento giurisdizionale di tale obbligo e il conseguente annullamento del provvedimento.

La doglianza è, quindi, ammissibile ma infondata nel merito.

Nello specifico, la censura attiene alla problematica relativa all'ammissibilità di una valutazione d'impatto ambientale su impianti preesistenti all'entrata in vigore dell’istituto e, quindi, mai sottoposti ad un giudizio di compatibilità con il contesto ambientale in cui sono stati localizzati.

La questione è stata affrontata anche dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 209 del 2011) la quale ha preliminarmente evidenziato che «né la direttiva n. 85/337/CEE, né il cosiddetto Codice dell'ambiente (decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante "Norme in materia ambientale") disciplinano espressamente l'ipotesi di rinnovo di autorizzazione o concessione riguardanti un'attività avviata in un momento in cui non era prescritto l'obbligo di sottoposizione a VIA. Pertanto, la giurisprudenza comunitaria e quella nazionale sono state chiamate a dare risposta al quesito se sia possibile - stante il carattere preventivo della VIA, riguardante piani e progetti - estendere l'obbligo di effettuarla ad opere per le quali tale valutazione non era necessaria al momento della loro realizzazione».

La V.I.A. è, infatti, una procedura di supporto per l'autorità competente volta ad individuare, descrivere e valutare gli impatti ambientali di un'opera, il cui progetto è sottoposto ad autorizzazione. Essa è quindi un procedimento di valutazione ex ante degli effetti prodotti sull'ambiente da determinati interventi progettuali, il cui obiettivo consiste nel proteggere la salute, migliorare la qualità della vita, provvedere al mantenimento delle specie, conservare la capacità di riproduzione dell'ecosistema, promuovere uno sviluppo economico sostenibile (ex multis T.A.R. Campania, Napoli sez. V, 01/03/2021, n.1327). Ne consegue che, in linea generale, poiché l’oggetto della valutazione è il progetto di un’opera o di una sua modifica ancora da attuare, valutare ciò che è già stato realizzato ed edificato vanificherebbe gli obiettivi che il legislatore euro-unitario e nazionale si sono prefissati, (analizzare ex ante se la localizzazione e la realizzazione di una determinata opera, per come progettata, sia conciliabile con il determinato contesto geografico prescelto per la sua costruzione e, ove questo interrogativo sortisca una risposta favorevole, quale sia la soluzione progettuale che permetta di ottimizzare l'edificazione dell'opera con i preminenti valori presidiati mediante l'istituto in esame).

Poiché, quindi, l’intera procedura ha come postulato la modificabilità del progetto, non avrebbe senso effettuare la valutazione dopo la realizzazione dell’opera.

Sulla scia di tale impostazione si colloca l’art. 29 del codice dell’ambiente che prevede l’eccezionale possibilità di effettuare una valutazione di impatto ambientale c.d. “postuma” per assicurare alla Direttiva del 1985 il c.d. “effetto utile”, il quale non deve però essere esteso sino a consentire di «rimettere in discussione, nella loro interezza, le localizzazioni di tutte le opere e le attività ab antiquo esistenti. Ciò sarebbe contrario al ragionevole bilanciamento che deve esistere tra l'interesse alla tutela ambientale ed il mantenimento della localizzazione storica di impianti e attività, il cui azzeramento - con rilevanti conseguenze economiche e sociali - sarebbe l'effetto possibile di un'applicazione retroattiva degli standard di valutazione divenuti obbligatori per tutti i progetti successivi al 3 luglio 1988, data di scadenza del termine di attuazione della suddetta direttiva, già definita "spartiacque" dalla sentenza n. 120 del 2010 di questa Corte» (cfr. Corte Costituzionale, sent. 209/11, cit.). Anche in questo caso, quindi, il giudizio di compatibilità ambientale riguarderà solo il progetto di modifica o di ampliamento dell'impianto, senza estendersi all'intera opera, e sempre che ricorra il presupposto delle «notevoli ripercussioni negative sull'ambiente» (ex multis T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 14/07/2020, n.3086).

Ciò posto, il Collegio rileva, in primo luogo che, poiché la Cementeria è operativa sin dall’inizio del ‘900 e il recepimento della Direttiva n. 85/337/CE doveva avvenire entro il 3 luglio 1988, l’impianto nel suo complesso non doveva essere assoggettato a V.I.A.. Tutt’al più avrebbe dovuto esserlo per la parte relativa all’oggetto dell’impugnato provvedimento ma tale eventualità è stata esclusa dall’Autorità procedente all’esito di una conferenza di servizi appositamente indetta.

Poiché, quindi, il giudizio di compatibilità ambientale si caratterizza per intensi profili di discrezionalità la valutazione dell’autorità procedente è «sindacabile dal G.A. solo in ipotesi di manifesta illogicità o travisamento dei fatti, nel senso in cui l'istruttoria sia mancata o sia stata svolta in modo inadeguato e risulti perciò evidente lo sconfinamento del potere discrezionale riconosciuto all'Amministrazione» (ex multis, T.A.R. Lazio, Roma sez. I, 14/06/2021, n.7041) e siccome le valutazioni dell’Autorità procedenti non sono abnormi o irragionevoli, la censura è infondata e deve essere respinta.

3.2. Per il ricorrente, inoltre, la richiesta autorizzazione a bruciare Combustibili Solidi Secondari non rifiuti avrebbe dovuto dare luogo ad una modifica sostanziale dell’A.I.A., con conseguente attivazione del relativo iter aggravato mentre per la resistente, poiché la Regione Lombardia aveva già autorizzato la società a utilizzare rifiuti come combustibile alternativo e siccome l’utilizzo di CSS – C non rifiuto ne rappresenterebbe un minus, tra l’altro maggiormente in linea con le più recenti politiche ambientali nazionali ed europee, la modifica sarebbe stata correttamente ritenuta non sostanziale.

Il motivo è infondato.

Ai sensi dell'art. 5 comma 1, lett. d) e lett. l bis), d.lgs. n. 152 del 2006, la modifica è la variazione di un piano, programma, impianto o progetto approvato, compresi, nel caso degli impianti e dei progetti, le variazioni delle loro caratteristiche o del loro funzionamento, ovvero un loro potenziamento. La modifica è, invece, considerata “sostanziale” quando determina una «variazione delle caratteristiche o del funzionamento ovvero un potenziamento dell'impianto, dell'opera o dell'infrastruttura o del progetto che, secondo l’autorità competente, producano effetti negativi e significativi sull'ambiente o sulla salute umana». Inoltre, ai sensi del successivo art. 29-nonies, d.lgs. 152/2006, in caso di modifica sostanziale il gestore deve presentare una nuova istanza di autorizzazione integrata ambientale, mentre per le modifiche non sostanziali è sufficiente una mera comunicazione all’autorità competente.

La corretta qualificazione di una modifica compete, quindi, in via esclusiva all’Autorità procedente e il suo giudizio, come quello relativo a tutti gli atti abilitativi in materia di ambiente, è espressione di discrezionalità tecnica, la quale può essere censurata dal giudice amministrativo soltanto in caso di intrinseca illogicità, irragionevolezza o incoerenza.

Ipotesi, questa, che non si è verificata nel caso di specie; le eventuali ripercussioni sull’ambiente e sulla salute sono state, infatti, valutate in sede di conferenza di servizi con il contributo di tutti gli enti istituzionalmente deputati alla loro tutela. Senza contare che il cementificio era già autorizzato ad utilizzare materiali ben più pericolosi del CSS-C non rifiuto come combustibile alternativo.

La ragionevolezza della valutazione è stata confermata ex post dallo stesso legislatore, ragionale e nazionale. In particolare, l’art. 35 del d.l. 71/21 ha, infatti, espressamente previsto che «gli interventi di sostituzione dei combustibili tradizionali con CSS-combustibile conforme ai requisiti di cui all'articolo 13 del decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 14 febbraio 2013, n. 22, in impianti o installazioni già autorizzati allo svolgimento delle operazioni R1, che non comportino un incremento della capacità produttiva autorizzata, nel rispetto dei limiti di emissione per coincenerimento dei rifiuti, non costituiscono una modifica sostanziale ai sensi dell'articolo 5, comma 1, lettera l-bis), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e dell'articolo 2, comma 1, lettera g), del decreto del Presidente della Repubblica del 13 marzo 2013, n. 59, o variante sostanziale ai sensi degli articoli 208, comma 19, e 214,214-bis, 214-ter, 215 e 216 del decreto legislativo n. 152 del 2006, e richiedono la sola comunicazione dell'intervento di modifica da inoltrarsi, unitamente alla presentazione della documentazione tecnica descrittiva dell'intervento, all'autorità competente».

Poiché, quindi, la decisione della Provincia appare ragionevole e conforme alla normativa vigente, la censura è infondata e deve essere respinta.

3.3. Sempre nel medesimo motivo il ricorrente asserisce anche che la decisione della Provincia di scindere il procedimento in due tronconi, uno relativo al rinnovo dell’A.I.A. e l’altro avente ad oggetto la modifica non sostanziale per l’utilizzo del CSS-C non rifiuto, avrebbe violato le normative comunitarie e nazionali nella parte in cui impongono che la valutazione ambientale comprenda tutte le esternalità generate dagli impianti.

Per la resistente, invece, la doglianza sarebbe inammissibile perché la decisione de qua sarebbe stata formalizzata nella determinazione 522/2017 la cui legittimità esulerebbe dall’ambito del presente giudizio. Inoltre, non solo il riesame dell’A.I.A. e la comunicazione di modifica non sostanziale, ex art.29-nonies del d.lgs. n. 152/2006, sarebbero due procedimenti distinti, con finalità e tempistiche proprie ma la scissione del procedimento sarebbe stata necessaria per assicurare il rispetto dei limiti temporali imposti dalla normativa.

Il procedimento di esame della richiesta modifica all’A.I.A. era al momento sospeso per integrazioni istruttorie e l’accorpamento delle procedure avrebbe determinato lo sforamento del termine finale imposto ex lege.

Infine, la Provincia evidenzia che tale modalità operativa sarebbe stata condivisa anche dallo stesso ricorrente. Senza contare che, a dire della resistente, anche se i due procedimenti fossero stati condotti unitariamente, nulla sarebbe cambiato relativamente alla V.I.A. poiché il procedimento di riesame avrebbe comportato l’attivazione di una V.I.A. stante la pregressa autorizzazione a utilizzare rifiuti come combustibile.

L’eccezione è fondata e la censura è inammissibile.

La decisione di non valutare in sede di riesame dell’A.I.A. la richiesta di utilizzo di combustibili CSS-C non rifiuto, e, quindi, di scindere la procedura in due tronconi, è, infatti, contenuta nel provvedimento 522/2017 il quale non è stato tempestivamente impugnato.

Per mere ragioni di completezza si evidenzia che, anche se la censura fosse stata ammessa, essa sarebbe del pari infondata perché la decisione della Provincia non è stata né irragionevole né finalizzata ad eludere la normativa di settore.

Dall’analisi degli atti di causa è, infatti, emerso che, poiché il procedimento di riesame dell’A.I.A. non poteva essere rimandato, si è deciso di rinviare l’esame della richiesta di utilizzo di CSS-C non rifiuto come combustibile alternativo proprio per assicurare la completezza dell’istruttoria.

Valutazione, questa, che è stata condivisa anche dallo stesso Comune che ha espressamente affermato, nella conferenza di servizi del 28 marzo 2017, che «ferma la contrarietà ampiamente documentata nell'ambito del procedimento dedicato alla domanda di CSS-C, ritiene che in sede di riesame l'ipotesi di utilizzare CSS-C per la riduzione di NOX non sia valutabile né possa essere considerata, poiché legata ad un diverso procedimento aperto, per il quale l'autorizzazione non è stata emessa ma la fase istruttoria è ancora in atto, soggetta ad ulteriori importanti accertamenti il cui esito non può essere al momento previsto. Anticipare pertanto l'analisi di eventuali prescrizioni prima che nel concreto sia verificata la fattibilità di questa operazione pare prematuro e, tra l'altro, non consentirebbe di valutarne adeguatamente tutti gli aspetti. Qualora, in futuro si possa valutare questa attività, l'Amministrazione Comunale si riserva di approfondire anche questo aspetto e contestualizzare ulteriori osservazioni e proposte prescrittine. Per quanto concerne la richiesta di utilizzo».

Infine, come meglio si vedrà nei prossimi paragrafi, la censurata “scissione” della procedura non ha inficiato l’istruttoria posta alla base del provvedimento impugnato che, anzi, è stata condotta in modo estremamente scrupoloso.

3.4. Alla luce di tutte le considerazioni effettuate il primo motivo del ricorso è infondato e deve essere respinto.

4. Con il secondo motivo il ricorrente asserisce che la Provincia avrebbe dovuto, in omaggio alla normativa nazionale e comunitaria in materia nonché in ossequio ai principi di precauzione e prevenzione, valutare il progetto in esame unitamente a tutti gli altri che gravano sul medesimo contesto.

L’istruttoria della Provincia sarebbe, quindi, incompleta, anche perché non avrebbe considerato, tra l’altro, il probabile incremento del traffico veicolare e le gravi anomalie impiantistiche segnalate dal Comune.

Sul punto la resistente evidenzia, invece, come l’istruttoria si sia concentrata sull’unico punto di emissione dei fumi provenienti dalla combustione del CSS-C non rifiuto e sulle conseguenze ambientali e sanitarie delle emissioni. Anche perché le alternative da considerare riguardavano l’autorizzazione alla combustione dei CSS-C non rifiuto e non la possibile delocalizzazione dell’impianto.

Il motivo è infondato.

Le valutazioni in tema di autorizzazioni ambientali si caratterizzano, come visto, per un elevato tasso di discrezionalità e possono essere sindacate da questo giudice solo in caso di manifesta abnormità o irragionevolezza delle conclusioni. Inoltre, il principio di precauzione «non può legittimare una interpretazione delle disposizioni normative, tecniche ed amministrative vigenti in un dato settore che ne dilati il senso fino a ricomprendervi vicende non significativamente pregiudizievoli dell'area interessata; la situazione di pericolo deve essere potenziale o latente ma non meramente ipotizzata e deve incidere significativamente sull'ambiente e la salute dell'uomo; sotto tale angolazione il principio di precauzione non consente ex se di attribuire ad un organo pubblico un potere di interdizione di un certo progetto o misura; in ogni caso il principio di precauzione affida alle autorità competenti il compito di prevenire il verificarsi o il ripetersi di danni ambientali ma lascia alle stesse ampi margini di discrezionalità in ordine all'individuazione delle misure ritenute più efficaci, economiche ed efficienti in relazione a tutte le circostanze del caso concreto» (cfr. Consiglio di Stato sez. IV, 23 giungo 2021, n.4802).

Ciò posto, il Collegio rileva che l’autorità procedente ha valutato, anche grazie all’ausilio fornito dai componenti della Conferenza di servizi, tutte le possibili ricadute ambientali e epidemiologiche del progetto e le sue conclusioni sono coerenti con le risultanze dell’istruttoria.

Poiché, quindi, l’amministrazione procedente ha ragionevolmente esercitato il proprio potere, il motivo è infondato e deve essere respinto.

5. Con il terzo motivo la ricorrente censura la violazione del diritto all’informazione e alla partecipazione ambientale anche a causa del rifiuto di sottoporre l’impianto a V.I.A..

Per la resistente, invece, ferma la non assoggettabilità a VIA del progetto, la Provincia avrebbe assolto a ogni onere informativo e partecipativo, il Comune avrebbe partecipato alla Conferenze di servizi e alle varie riunioni propedeutiche, anche con l’ausilio di proprio consulenti tecnici, e le sue osservazioni e preoccupazioni avrebbero addirittura influenzato l’operato della locale A.T.S..

Il motivo è infondato.

Premessa la non assoggettabilità a VIA del progetto, per le ragioni illustrate nel paragrafo 3.1, il Collegio ritiene che i menzionati diritti di informazione e partecipazione non siano stati lesi.

Dall’esame degli atti di causa è, infatti, emerso che la procedura de qua è stata pubblicizzata, anche sull’Albo pretorio provinciale, il Comune ha attivamente partecipato ai lavori della Conferenza di servizi, anche con l’ausilio di propri consulenti tecnici e ha avuto la possibilità di interloquire attivamente con le strutture deputate alla tutela dell’ambiente e della salute esponendo il proprio punto di vista e fornendo spunti per i successivi approfondimenti istruttori.

Poiché, quindi, non è stato leso alcun diritto informativo e partecipativo il motivo è infondato e deve essere respinto.

6. Con il quarto motivo del ricorso il ricorrente censura il fatto che, poiché l’impianto de quo sarebbe collocato all’interno della Rete Ecologica Regionale, la Provincia avrebbe dovuto valutare la compatibilità del progetto con le esigenze sottese al menzionato vincolo. Inoltre, sempre a dire del ricorrente, l’utilizzo di rifiuti e di CSS dovrebbe essere vietato dall’art. 11 comma 5 l.r. 28/2016.

Sul punto la resistente evidenzia, invece, come il cementificio si troverebbe nel Comune di Tavernola ove, per stessa ammissione dell’ente non sarebbero presenti aree appartenenti alla rete “Natura 2000” né dalla consultazione del geoportale regionale parrebbe che l’area del cementificio si trovi nei corridoi ecologici primari della rete ecologica regionale, con conseguente inapplicabilità del divieto di cui all’art. 11, c. 5 della L.r. 28/2016. Senza contare che il cementificio non svolgerebbe attività di incenerimento di rifiuti posto che il CSS – C non rifiuto avrebbe cessato di essere un rifiuto ed il suo utilizzo sarebbe consentito dal D.M. 14.02.2013 n. 22; inoltre, gli altri rifiuti indicati non sarebbero utilizzati come combustibile ma in sostituzione di materie prime a freddo e il loro recupero non sarebbe vietato in tali aree.

La controinteressata evidenzia, invece, che la modifica richiesta non sarebbe riconducibile alla categoria di attività di cui al punto 5.2 dell’Allegato VIII alla Parte Seconda al d.lgs. 152/2006 perché il cementificio non svolgerebbe attività di recupero/smaltimento di rifiuti.

Il motivo è infondato.

In primo luogo, perché dal PGT del 2016 si evince che «nell’ambito del territorio comunale non è presente alcuna area protetta della rete di Natura 2000, inoltre la notevole distanza sulle stesse permette di escludere potenziali effetti negativi significativi sulla rete di Natura 2000 nel suo complesso; conseguentemente quanto proposto dalla variante non genera alcun effetto significativo sulla rete di Natura 2000». Inoltre, il riferimento all’articolo 11 comma 5 della menzionata legge regionale 28/19, che vieta la realizzazione di impianti che svolgono attività di recupero o anche di smaltimento rifiuti nelle c.d. “aree protette” è inconferente poiché il progetto ha ad oggetto l’utilizzo di Combustibili Solidi Secondari non rifiuto. La controinteressata ha, infatti, chiesto di essere autorizzata ad utilizzare come combustibile un materiale solido derivato dalla lavorazione di rifiuti le cui caratteristiche merceologiche e chimico fisiche ne impediscono la classificazione come rifiuti e si è impegnata a effettuare, con periodicità annuale, «uno specifico audit presso il Produttore di CSS-Combustibile al fine di verificare: i codici dei rifiuti e i materiali non rifiuti utilizzati per la produzione di CSS; il processo di produzione del CSS e l'efficacia delle tecnologie di rimozione delle sostanze odorifere; il mantenimento di un sistema ambientale certificato ai sensi della norma UNI EN 15358 o di un sistema di qualità ambientale di tipo EMAS».

Il CSS-C non rifiuto è, quindi, un combustibile a tutti gli effetti che, dunque ai sensi del DM n. 22 del 14/2/2013 può essere utilizzato come combustibile negli impianti che producono emissioni in atmosfera soggetti al Titolo I, Parte V del D. Lgs. 152/06.

Siccome, quindi, non solo il cementificio non è situato in una “area protetta” ma la sua attività non ha neanche ad oggetto il recupero o lo smaltimento rifiuti, il motivo è infondato e deve essere respinto.

7. Con il quinto motivo il ricorrente eccepisce che la Provincia non avrebbe accuratamente valutato l’impatto sanitario del provvedimento impugnato.

Asserzione che è stata smentita sia dalla resistente sia dalla controinteressata nei rispettivi scritti difensivi, in cui è stato evidenziato che lo studio sull’impatto sanitario è stato effettuato e valutato dalla competente A.T.S..

Il motivo è infondato perché dall’esame degli atti di causa è emerso l’impatto sanitario del progetto è stato esaminato e le conclusioni dello studio appaiono ragionevoli.

Nel verbale della conferenza di servizi del 7 marzo 2017 la locale A.T.S. ha, tra l’altro, preso in considerazione le preoccupazioni dell’odierno ricorrente e ha proposto un supplemento di istruttoria le cui risultanze sono state esaminate nella conferenza del 18 luglio 2017 allorquando «A.T.S., valutato lo studio prodotto dall'Azienda, ha espresso parere favorevole, con prescrizioni» mentre «A.R.P.A. ha valutato le ipotesi formulate nello studio sufficientemente cautelative».

Poiché, quindi, dall’esame degli atti di causa è emerso che il quadro epidemiologico è stato adeguatamente valutato, tra l’altro in contraddittorio con l’odierno ricorrente, il motivo è infondato e deve essere respinto.

8. Con il sesto motivo del ricorso il ricorrente sostiene, poi, che la Provincia, a fronte del dissenso espresso dal Comune in sede di conferenza di servizi, avrebbe dovuto sospendere i lavori e rimettere la decisione al Consiglio dei Ministri anziché limitarsi a qualificare la modifica come non sostanziale e approvare il progetto.

Il motivo è infondato.

Come noto, la conferenza di servizi assume una decisione all’unanimità ovvero in base alle “posizioni prevalenti” dei partecipanti e, in base all’art. 14-quinques della legge 241/90, solo le amministrazioni preposte alla tutela dell’ambiente, del paesaggio e del territorio, dei beni culturali o della salute e della pubblica incolumità dei cittadini possono opporsi alla determinazione motivata di conclusione della conferenza, purché abbiano manifestato, in modo inequivoco, il proprio dissenso prima della chiusura dei lavori dell’assemblea. Il Comune non è, quindi, legittimato a proporre l’opposizione de qua perché nel procedimento A.I.A. «le amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali o alla tutela della salute e della pubblica incolumità dei cittadini cui è riservata l'opposizione in sede di Consiglio dei ministri ai sensi dell'art. 14-quinquies della legge n. 241 del 1990, devono identificarsi — anche alla luce del combinato disposto degli artt. 14-quinquies e 17, comma 2, della stessa legge n. 241 del 1990 — in quelle amministrazioni alle quali norme speciali attribuiscono una competenza diretta, prevalentemente di natura tecnico-scientifica, e ordinaria ad esprimersi attraverso pareri o atti di assenso comunque denominati a tutela dei suddetti interessi così detti « sensibili », e tale attribuzione non si rinviene, di regola e in linea generale, nelle competenze comunali di cui all'art. 13 del d.lg. n. 267 del 2000, né tra le competenze in campo sanitario demandate al Sindaco e al Comune dal testo unico delle leggi sanitarie di cui al r.d. n. 1265 del 1934, né tra le altre funzioni fondamentali (proprie o storiche) dei Comuni» (cfr. Consiglio di Stato atti norm. - 30/09/2019, n. 2534).

Per le ragioni esposte il motivo è infondato e deve essere respinto.

9. Con l’ultimo motivo del ricorso introduttivo la ricorrente censura il fatto che l’autorità procedente non avrebbe prescritto la relazione prevista dall'articolo 5, comma 1, lettera v-bis) del d.lgs. 152/2006 le cui modalità di redazione sarebbero state dettate dalla Regione Lombardia con la D.G.R. del 18 aprile 2016, n. 5065.

La Provincia evidenzia, invece, che la procedura di riesame A.I.A. era in corso al momento dell’emanazione della menzionata D.G.R. e, pertanto, in omaggio alle disposizioni transitorie approvate, nella conferenza dei servizi del 28 marzo 2017 sarebbe stato imposto alla società di presentare la relazione entro 3 mesi dal ricevimento della richiesta. Il successivo 6 luglio 2017 la società avrebbe comunicato di non dover procedere alla redazione della Relazione in quanto non sussisterebbe l’effettiva possibilità di contaminazione del suolo o delle acque sotterranee nel caso di rilasci accidentali delle sostanze pericolose.

Avverso tale censura la controinteressata evidenzia, invece, che la prescrizione censurata sarebbe contenuta nella non impugnata Determinazione 522/2017.

L’eccezione sollevata dalla controinteressata è fondata e il motivo è, pertanto, inammissibile.

La determinazione 522/17 prevede, infatti, che la società che gestisce il cementificio «dovrà trasmettere la verifica di sussistenza dell'obbligo di presentazione della relazione di riferimento di cui all'articolo 5, comma 1, lettera v-bis) del D.Lgs. 152/2006 s.m.i., prevista dal decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare prot. 0000272 del 13 novembre 2014, in attuazione dell'art. 29-sexies del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 e successive modifiche ed integrazioni (come da comunicato in G.U. del 7.01.2015) tenendo conto delle indicazioni regionali di cui alla dgr 5065/2016 entro 3 mesi dal ricevimento di copia del presente atto».

La censura avrebbe dovuto essere, quindi, mossa avverso detto provvedimento e non nei confronti di quello impugnato, che è meramente confermativo delle prescrizioni non espressamente modificate.

Per mere ragioni di completezza si evidenzia che, anche se fosse stata ammessa, la censura sarebbe comunque infondata perché la possibilità di differire l’adempimento de quo è espressamente prevista dall’allegato 1 alla delibera Regione Lombardia n. 5065 del 18 aprile 2016, il quale sancisce che nei procedimenti in corso la procedura di verifica della sussistenza dell’obbligo di presentazione della relazione di Riferimento è trasmessa «entro il termine di 3 mesi, stabilito dall’Autorità Competente con il rilascio o l’aggiornamento dell’atto, ove i tempi di conclusione del procedimento non consentano la redazione della verifica».

Poiché, quindi, l’attività censurata è stata disposta con un provvedimento non impugnato il motivo è inammissibile.

10. Passando, ora, al ricorso per motivi aggiunti il Collegio deve preliminarmente valutarne l’ammissibilità sotto una pluralità di profili.

10.1. In primo luogo, a dire della resistente e della controinteressata, il ricorso per motivi aggiunti sarebbe inammissibile perché non avrebbe ad oggetto un provvedimento connesso né consequenziale a quello impugnato con il ricorso introduttivo.

L’eccezione è infondata.

Ai sensi dell’art. 43 c.p.a. «I ricorrenti, principale e incidentale, possono introdurre con motivi aggiunti nuove ragioni a sostegno delle domande già proposte, ovvero domande nuove purché connesse a quelle già proposte». L'estensione dell'istituto dei motivi aggiunti anche ad atti sopravvenuti purché connessi è manifestazione del favor legislativo per il simultaneus processus con la conseguenza che la connessione apprezzabile al fine di consentire la proposizione dei motivi aggiunti in luogo dell'autonomo ricorso va interpretata in senso lato.

I motivi aggiunti sono, quindi, ammissibili non soltanto se connessi agli atti precedentemente impugnati, ma anche se riguardanti provvedimenti connessi all'oggetto del giudizio già instaurato qualora l'atto sopravvenuto costituisca episodio della medesima lesione nei confronti dell'interesse della parte (cfr. T.A.R. Sardegna, Cagliari, sez. II, 14/05/2015, n.769).

Poiché, quindi, nel caso di specie l’atto impugnato con motivi aggiunti lede il medesimo interesse sostanziale che il ricorrente persegue con il ricorso introduttivo, l’eccezione è infondata e deve essere respinta.

10.2. Ad avviso della resistente e della controinteressata il ricorso sarebbe altresì inammissibile perché avente ad oggetto una mera comunicazione di cortesia.

L’eccezione è infondata.

Come noto, gli atti endoprocedimentali non sono autonomamente impugnabili salvo ipotesi eccezionali come «a) atti vincolanti adatti in quanto tali ad esprimere un indirizzo ineluttabile alla decisione definitiva; b) atti interlocutori, idonei a determinare un arresto del procedimento che vanificherebbe l'aspirazione dell'attore che presenta l'istanza verso una rapida soddisfazione dell'interesse pretensivo prospettato; c) atti soprassessori che producano un arresto a tempo indeterminato del procedimento» (ex multis T.A.R. Puglia, Bari, sez. I, 22/01/2020, n.69).

Poiché nel caso di specie la Provincia ha arrestato il procedimento asserendo che «con riferimento alla richiesta di sottoporre l’impianto alla procedura di Valutazione di Impatto Ambientale, si evidenzia che non è prevista dall’attuale legislazione, in quanto, come già precedentemente indicato con nota prot. n. 5488 del 27.01.2020, la procedura di VIA/verifica di VIA si applica a progetti di nuovi impianti o a modifiche sostanziali di impianti esistenti» l’eccezione è infondata e deve essere respinta.

10.3. Per la resistente, poi, il ricorso per motivi aggiunti sarebbe, altresì, inammissibile per carenza di interesse perché il ricorrente non potrebbe trarre alcun vantaggio dall’annullamento dell’atto impugnato; l’attività del cementificio sarebbe al momento sospesa e la sua ripresa sarebbe subordinata all’esito positivo delle indagini tecniche.

L’eccezione è infondata.

Come noto, i principi generali in materia di condizioni dell'azione, desumibili dall'art. 24, comma 1, Cost. e dall'art. 100 c.p.c., impongono che l'azione di annullamento sia sottoposta a due fondamentali condizioni: «a) l'interesse processuale che presuppone, nella prospettazione della parte, una lesione dell'interesse sostanziale dedotto in giudizio; b) la legittimatio ad causam, costituita dall'essere titolare di un rapporto controverso in relazione all'esercizio del potere pubblico, in virtù del quale viene conferito al soggetto interessato alla contestazione giudiziale una posizione qualificata che lo distingue dal quisque de populo. In mancanza dell'uno o dell'altro requisito, l'azione è inammissibile, dovendo, in particolare, nel sistema giurisdizionale amministrativo, ai fini dell'ammissibilità del ricorso, esservi piena corrispondenza tra titolo (o possibilità giuridica dell'azione) ed interesse sostanziale ad agire. In particolare, requisiti imprescindibili per la configurazione dell'interesse ad agire sono il suo carattere personale, la sua attualità e la sua concretezza, per cui la lesione arrecata dal provvedimento impugnato deve essere effettiva, nel senso che dall'esecuzione di esso discenda in via immediata e diretta un danno certo alla sfera giuridica della parte ricorrente, ovvero potenziale, intendendosi come tale, però, quello che sicuramente (e molto probabilmente) si verificherà in futuro» (ex multis T.A.R. Friuli-Venezia Giulia, 14 giugno 2021, n.187).

Poiché, nel caso di specie, l’attività del cementificio è solo temporaneamente sospesa, il ricorrente è portatore di un interesse all’annullamento dell’atto impugnato poiché dall’accoglimento della domanda deriverebbe l’obbligo conformativo dell’amministrazione procedente di revisionare l’A.I.A. della controinteressata o di sottoporre l’intero impianto a V.I.A. prima della ripresa dell’attività.

10.4. Per la controinteressata il ricorso sarebbe, infine, inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse, perché la società avrebbe implementato le “misure precauzionali” suggerite nelle conclusioni dello studio delle Università consulenti della Regione Lombardia predisposto il 23 dicembre 2021 e, pertanto, sarebbe venuto meno l’interesse del ricorrente ad ottenere una specifica individuazione delle sostanze depositabili nel cementificio.

L’eccezione è infondata poiché l’individuazione delle menzionate sostanze rappresenta solo una delle richieste del Comune che conserva intatto il proprio interesse all’esito favorevole del ricorso, nonostante la menzionata sopravvenienza.

11. Con il primo motivo dei motivi aggiunti il ricorrente censura l’illegittimità della decisione della Provincia di non procedere alla revisione dell’A.I.A. a seguito dell’evento franoso, mentre la resistente asserisce di non aver abdicato ai propri poteri ma di aver semplicemente rinviato tale attività all’esito di un’istruttoria finalizzata a comprendere gli effetti delle lavorazioni sul movimento franoso; posto che non sarebbe, affatto, scontato che il cementificio possa riprendere la propria attività.

Sul punto la controinteressata evidenzia, invece, che non vi sarebbero i presupposti normativi per il riesame dell’A.I.A., soprattutto in un momento in cui non sarebbero ancora chiare né le cause del movimento franoso né l’impatto che potrebbe avere su di esso l’attività del cementificio.

Il motivo è infondato.

Dall’analisi del provvedimento impugnato e degli atti di causa emerge, infatti, che il cementificio ha avviato la propria attività in modo controllato e al solo fine di accertare se, e in che misura, le lavorazioni potrebbero influenzare il movimento franoso. Ne consegue che, non essendo certo se l’attività del cementificio possa riprendere non vi è la necessità di riesaminare l’A.I.A.; anche perché, allo stato, non essendo chiaro il quadro fattuale di riferimento, gli enti coinvolti non sarebbero neppure in grado di imporre le necessarie prescrizioni per assicurare la sicurezza delle lavorazioni.

12. Con il secondo motivo dei motivi aggiunti il ricorrente censura il fatto che la Provincia avrebbe deciso, nonostante l’evento franoso del 23 febbraio 2017, di confermare la propria decisione di non sottoporre a V.I.A. l’intera attività del cementificio.

La resistente evidenzia, invece, che l’impianto non sarebbe assoggettabile a V.I.A. perché l’attività sarebbe iniziata prima dell’entrata in vigore delle disposizioni nazionali e comunitarie in materia e le disposizioni che impongono una revisione della valutazione in caso di particolari eventi presuppongono che l’attività sia stata originariamente assoggettata ad essa.

Il motivo è infondato per le medesime considerazioni effettuate in relazione al primo motivo del ricorso introduttivo; le argomentazioni del ricorrente presuppongono, infatti, una V.I.A. preesistente, o, quanto meno, un obbligo giuridico di effettuare la valutazione: situazioni che, come visto, non si configurano nel caso di specie.

13. Con il terzo motivo dei motivi aggiunti il ricorrente ribadisce quanto già asserito nel ricorso principale, ossia che la mancata sottoposizione a V.I.A. nell’ambito di un procedimento di riesame dell’A.I.A. implicherebbe una valutazione solo parziale delle ricadute ambientali dell’attività perché non prenderebbe in considerazione l’attività sinergica esistente tra cementifico e adiacente miniera. Motivo, questo, ritenuto inammissibile dalla controinteressata non solo perché riguarderebbe un fatto che esulerebbe dall’oggetto del presente giudizio ma anche perché la valutazione positiva di compatibilità ambientale della miniera non sarebbe mai stata messa in discussione dal ricorrente.

Il motivo è inammissibile perché ha effettivamente ad oggetto valutazioni che esulano dal contenuto del provvedimento impugnato.

Il Comune ha infatti chiesto alla Provincia di effettuare una Valutazione di Impatto Ambientale per appurare se il rischio ambientale generato dal cementificio fosse accettabile e, in caso di esito negativo, di indicare l’esatta quantità delle sostanze stoccabili nel sito.

Poiché, quindi, né la richiesta del Comune né la conseguente risposta della Provincia avevano ad oggetto una valutazione complessiva del rischio derivante dalle attività del cementificio e della vicina miniera, il motivo è inammissibile perché non attinente all’oggetto del giudizio.

14. Con il quarto motivo dei motivi aggiunti il Comune censura il fatto che la procedura in esame non sarebbe stata rispettosa dei diritti partecipativi e informativi che governano la materia ambientale, asserzione che è stata negata sia dalla ricorrente sia dalla controinteressata.

Il motivo è infondato.

Dall’esame degli atti di causa è, infatti emerso che il Sindaco di Tavernola Bergamasca ha partecipato a ogni riunione avente ad oggetto l’evento franoso e ha ricevuto ogni informazione utile sia prima sia dopo gli avvenimenti del 23 febbraio 2021.

15. Alla luce delle considerazioni esposte, sia il ricorso introduttivo sia i motivi aggiunti sono infondati e devono essere respinti.

16. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, tenuto anche conto dello specifico impegno profuso dalle parti per effetto delle ampie produzioni documentali svolte.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna il ricorrente alla refusione delle spese di lite, che liquida in euro 8.000,00 (ottomila/00), oltre oneri di legge, a favore della resistente e in euro 8.000,00 (ottomila/00), oltre oneri di legge, a favore della controinteressata.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del 13 aprile 2022 con l'intervento dei magistrati:

Angelo Gabbricci, Presidente

Alessandra Tagliasacchi, Consigliere

Luca Pavia, Referendario, Estensore