Cass. Sez. III n. 10257 del 9 marzo 2007 (Ud. 26 gen. 2007)
Pres. Papa Est. Petti Ric. Albertani
Aria. Inosservanza di provvedimenti emessi dall’autorità comunale

L'articolo 650 codice penale punisce chiunque non osservi un provvedimento legalmente dato dall'Autorità per ragioni di giustizia, di sicurezza pubblica, di ordine pubblico o di igiene. Per autorità deve intendersi qualsiasi ufficio o funzionario al quale è conferito il potere di adottare provvedimenti aventi efficacia coercitiva per una delle ragioni dianzi indicate L'autorità legittimata ad adottare tali provvedimenti è sia quella centrale che quella periferica o territoriale avente competenza nello specifico settore .La sanzione di cui all'articolo 650 cod pen. trova applicazione quando la violazione non prevista da altra specifica norma.
Il responsabile del settore ambientale di un comune può adottare provvedimenti coercitivi a tutela dell'ambiente diretti ad ottenere la conformità delle emissioni gassose in atmosfera alle prescrizioni della legge e dei provvedimenti autorizzativi e che l'inosservanza di tali provvedimenti, se non sanzionata da altre nome , possa essere punita a norma dell'articolo 650 C.P. giacché la salubrità dell'aria incide sull'igiene e quindi sulla sanità pubblica (fattispecie relativa al recupero di rifiuti quali segatura e truciolame di legno come combustibile)

In fatto
Con sentenza del 21 dicembre del 2004, il tribunale di Pesaro, sezione distaccata di Fano, condannava Albertani Battista alla pena di € 7.200,00 di ammenda, quale responsabile, in concorso di circostanze attenuanti generiche, dei seguenti reati:
a) della contravvenzione prevista e punita dall’articolo 650 C.P., per non avere osservato, nella sua qualità di legale rappresentante della TECSOL spa, esercente l’attività di lavorazione del legno, le ordinanze sindacali n. 124/1999 pronunciata in data 24 novembre 1999; n. 31/2000 pronunciata in data 16 maggio 2000 e n. 90/2000 pronunciata in data 14 novembre 2000, tutte  emesse per ragioni di igiene e sanità pubblica dall’autorità comunale di Mundolfo; fatto commesso in Mondolfo, dal 13 maggio 2001 fino alla pronuncia della sentenza di primo grado;
b) della contravvenzione prevista e punita dagli articoli 81 cp. e 25, 3° comma D.P.R. n. 203/88 per non avere rispettato, nella sua qualità di legale rappresentante della TECSOL spa, nell’esercizio dell’impianto di combustione che generava emissioni gassose in atmosfera, costituito da due caldaie, i valori di emissione quanto alle polveri totali ed all’ossido di carbonio; in Mondolfo, 28 marzo 2002;
c) della contravvenzione prevista e punita dagli articoli 81 c.p. e 25, terzo comma D.P.R. 203/88 per non avere rispettato, nella sua qualità di legale rappresentante della TECSOL spa, nell’esercizio dell’impianto di combustione che generava emissioni gassose in atmosfera costituito da due caldaie, i valori di emissione quanto alle polveri totali e all’ossido di carbonio; in Mondolfo, il 23 luglio 2002;
d) della contravvenzione di cui all’art 51, primo comma D.L.vo 22/97 e successive modificazioni, per avere recuperato o comunque smaltito, nella sua qualità di legale rappresentante della TECSOL spa, senza autorizzazione c comunque al di fuori dei casi di cui agli articoli 31, 32, 33 del medesimo decreto, rifiuti speciali, costituiti da trucioli e segatura, bruciandoli nella caldaia dello stabilimento in Mondolfo, dal 1998 fino alla sentenza di primo grado.
Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato deducendo:
l’errata applicazione dell’art. 650 c,p.: assume che il tribunale erroneamente aveva ritenuto che l’Albertani fosse responsabile della contravvenzione contestatagli al capo A), sia perché le ordinanze non erano state emesse dal sindaco del comune di Mondolfo, quale ufficiale del governo e nell’ambito delle attribuzioni derivantigli dall’art. 54 del T.U. 267/00, ma dal responsabile del servizio dei lavori pubblici e dell’ambiente e senza alcun riferimento a situazioni di emergenza igienico- sanitaria, sia perché in tema di violazione dei precetti contenuti in un’ordinanza sindacale, l’ipotesi contravvenzionale di cui all’art. 650 c.p. è configurabile soltanto quando si tratti di provvedimenti contingibili ed urgenti, adottati in relazione a situazioni non prefigurate da alcuna specifica ipotesi normativa mentre restano estranee alla sfera di applicazione ditale norma incriminatrice le inosservanze di provvedimenti del sindaco diretti a dare esecuzione a leggi e regolamenti, posto che, in tal caso, la condotta è direttamente repressa dall’art. 106 r.g. 3 marzo 1934 n. 383;
l’errata applicazione dell’art. 51 primo comma D.L.vo 22/97 perché l’utilizzazione nell’ambito dello stesso ciclo produttivo, come combustibili, degli scarti di legno verde e della segatura residuati dal le lavorazioni eseguite nello stabilimento della Tecsol non integra la violazione dell’art. 51 primo comma del D.L.vo 22/97, non potendo essi essere considerati rifiuti, anche alla luce della interpretazione autentica della definizione di rifiuto di cui all’art 14 della legge 8 agosto 2002 n. 178. Tale motivo era ulteriormente integrato con memoria del 4 gennaio del 2007.

In diritto
Il ricorso va respinto perché infondato
L’articolo 650 codice penale punisce chiunque non osservi un provvedimento legalmente dato dall’Autorità per ragioni di giustizia, di sicurezza pubblica, di ordine pubblico o di igiene. Per autorità deve intendersi qualsiasi ufficio o funzionario al quale è conferito il potere di adottare provvedimenti aventi efficacia coercitiva per una delle ragioni dianzi indicate. L’autorità legittimata ad adottare tali provvedimenti è sia quella centrale che quella periferica o territoriale avente competenza nello specifico settore la sanzione di cui all‘articolo 650 cod pen. trova applicazione quando la violazione non è prevista da altra specifica norma.
Il riferimento contenuto nel ricorso all’articolo 106 R.D. 3 marzo 1934 n 383 non è pertinente in quanto tale norma all’epoca del fatto era stata abrogata a seguito dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 267 del 2000 ed è stata sostituita soltanto nel 2003 per effetto dell’articolo 16 della legge 16 gennaio del 2003 n. 3 che ha introdotto nel decreto legislativo n. 267 del 2000 l’articolo 7 bis. Quest’ultima norma trova applicazione allorché le ordinanze siano pronunciate in base ai regolamenti comunali e non per ragioni di tutela ambientale per le quali, in mancanza di norme specifiche, trova applicazione la regola sussidiaria di cui all’articolo 650 (cfr. per una fattispecie analoga in materia di rifiuti Cass. 566 e 2562 de1 1996).
Nella fattispecie i provvedimenti sono stati legittimamente adottati dal responsabile dell’ambiente per ragioni d’igiene e sanità pubblica. La loro adozione non presupponeva una situazione d’urgenza giacché tale requisito non è richiesto dalla norma, la quale presuppone solo che l’autorità che adotti il provvedimento sia quella competente. Ora non v’è dubbio che il responsabile del settore ambientale possa adottare provvedimenti coercitivi a tutela dell’ambiente diretti ad ottenere la conformità delle emissioni gassose in atmosfera alle prescrizioni della legge e dei provvedimenti autorizzativi e che l’inosservanza di tali provvedimenti, se non sanzionata da altre norme, possa essere punita a norma dell’articolo 650 c.p, giacché la salubrità dell’aria incide sull’igiene e quindi sulla sanità pubblica. Invero l’articolo 107 comma secondo decreto legislativo n 267 del 2000 attribuisce ai dirigenti comunali tutti i compiti, compresa l’adozione di atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo politico amministrativo degli organi di governo dell’ente e non rientranti tra le finzioni del segretario o del direttore generale. In base al terzo comma lettera g) della norma citata i dirigenti possono adottare “tutti i provvedimenti di sospensione dei lavori, abbattimento e riduzione in pristino di competenza comunale nonché i poteri di vigilanza edilizia e di irrogazione delle sanzioni amministrative previste dalla vigente legislazione statale e regionale in materia di prevenzione e repressione dell’abusivismo edilizio e paesaggistico ambientale”. A norma della lettera i) del medesimo terzo comma possono adottare gli atti ad essi attribuiti dallo statuto o dai regolamenti o ad essi delegati dal sindaco. In definitiva tutte le ordinanze gestionali rientranti nei compiti e nelle funzioni dell’ente locale devono intendersi trasferite al dirigente del settore e sottratte al sindaco che deve essere sollevato dalle incombenze tipiche dell’attività gestionale. L’elencazione di cui al terzo comma dell’articolo 107 non è tassativa ma esemplificativa. Sono riservate al sindaco solo le ordinanze in materia di ordine e sicurezza pubblica indicate dall’articolo 54 del decreto legislativo n. 267 del 2000, le quali tuttavia possono essere delegate ai soggetti indicati nel medesimo articolo.
Le ordinanze in questione sono state pronunciate perché si era accertato, per le emissioni in atmosfera, il superamento dei limiti di cui al D.M. 5 febbraio 1998 ed erano dirette a garantire il rispetto di tali limiti. Si trattava quindi di provvedimenti dell’autorità locale che non rientravano nella competenza esclusiva del sindaco. Tale condotta sotto la vigenza della legge n. 615 del 1966 era prevista e punita dal quarto comma dell’articolo 20 in forza del quale, quando gli stabilimenti erano risultati non conformi alle prescrizioni dettate per salvaguardare la qualità dell’aria, l’autorità comunale notificava agli interessati l’obbligo di eliminare gli inconvenienti riscontrati nonché il termine entro il quale provvedere. Trascorso tale termine i trasgressori erano puniti con l’ammenda da lire 300.000 a lire tre milioni. Sotto la vigenza del D.P.R.. n 203 del 1988 la disobbedienza, se non configura le ipotesi criminose di cui all’articolo 24 comma 4, per gli impianti di nuova costruzione, e 25 comma secondo per quelli esistenti, realizza l’ipotesi sussidiaria di cui all’articolo 650 cod pen. Nella fattispecie si è applicato l’art. 650 c.p. perché non si sono ritenute configurabili le ipotesi di cui agli art. 24 e 25 D.P.R. citato.
Il reato previsto dall’art. 650 cod. pen. si perfeziona con la scadenza del termine previsto nel provvedimento dell’Autorità amministrativa. Tuttavia l’attività illecita si protrae per tutto il tempo della volontaria omissione, in quanto l’inosservanza dell’ordine pone in essere una situazione antigiuridica, caratterizzata dall’essere necessaria la condotta dell’agente affinché con l’esecuzione del provvedimento venga a cessare lo stato d’ illecita disobbedienza. Ne consegue che la norma in questione (salvo il caso di ordine che non possa essere utilmente eseguito dopo la scadenza del termine fissato dall’autorità) configura un reato permanente, che cessa quando lo stesso agente, con un comportamento attivo, dia esecuzione all’ordine ricevuto. (cfr. Cass nn. 5363, 6453, 1434 del 1997; n. 1889 del 1996).
Infondato è anche il secondo motivo. La segatura ed il truciolame, quali residui del ciclo produttivo, costituiscono rifiuti.
A norma dell’articola 14 comma secondo lettera a) del decreto logge 8 luglio 2002 n 138, convertito nella legge 8 agosto 2002 n. 178 - da interpretare, peraltro, in senso restrittivo ed in modo da non determinare contrasto con i principi indicati nelle direttive comunitarie cd affermati dalla Corte di giustizia europea - i residui del ciclo produttivo non sono considerati rifiuti qualora gli stessi siano effettivamente ed oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo senza subire alcun intervento preventivo di trattamento o dopo avere subito un trattamento preventivo senza che si renda necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle individuate nell’allegato C) del decreto legislativo n. 22 e soprattutto senza arrecare pregiudizio all’ambiente. L’articolo anzidetto è stato abrogato dal decreto legislativo n. 152 del 2006 (art. 264 lettera 1), il quale con l’articolo 183 lettera n) detta le condizioni per l’utilizzazione dei sottoprodotti (che non sempre coincidono con i residui), stabilendo che possono essere utilizzati alle condizioni ivi previste (che non ricorrono nella fattispecie) purché non comportino per l’ambiente e la salute condizioni peggiorative rispetto a quelle delle normali attività produttive. La prova della mancanza di danno per l’ambiente deve essere fornita dal soggetto che deduce la riutilizzazione.
Ciò premesso, nel caso in esame non è applicabile l‘articolo 4 per due ragioni. Anzitutto perché l’utilizzazione dei residui della lavorazione del legno come combustibile configura un’attività di recupero, anzi è la prima delle tredici attività di recupero di cui all’allegato c) del decreto Ronchi e quindi, anche in base all’articolo 14 della legge n. 178 del 2002 invocato dal ricorrente, detta attività doveva essere esplicitamente autorizzata.
In secondo luogo perché trattandosi di residuo il cui uso provocava emissioni in atmosfera non è stata dimostrata la mancanza di danno per l’ambiente. Anzi risulta il contrario posto che il prevenuto è stato ritenuto responsabile del reato di cui all’articolo 25 terzo comma del D.P.R. n. 8 del 2003 per avere, nell’esercizio dell’impianto di combustione alimentato anche con i residui della lavorazione del legno, superato i valori di emissione per quanto concerneva l’ossido di carbonio.
Per le considerazioni sopra svolte il ricorso va respinto con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.