Cass. Sez. III n. 37358 del 16 settembre 2015 (Up 28 mag 2015)
Pres. Franco Est. Andronio Ric. Lorenzoni
Beni ambientali. Piani paesaggistici

Le aree classificate come "paesaggio naturale" e "paesaggio naturale di continuità" dai piani paesaggistici, che, come nel caso, di specie siano, oltre tutto, in larga parte coperte da bosco, sono sottoposte a vincolo paesaggistico ai sensi dell'art. 134, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 42 del 2004, il quale ricomprende espressamente tra i beni paesaggistici «gli ulteriori immobili ed aree specificamente individuati a termini dell'articolo 136 e sottoposti a tutela dai piani paesaggistici previsti dagli articoli 143 e 156». E si tratta di una disposizione che riconducendo anche gli immobili  e le aree indicate negli atti di pianificazione alla categoria dei beni paesaggistici, conferisce immediata efficacia vincolante, in tal senso, alle norme del piano territoriale paesaggistico regionale

 RITENUTO IN FATTO

1. - Con sentenza del 20 giugno 2014, la Corte d'appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di Rieti del 15 maggio 2012, con la quale - per quanto qui rileva - l'imputato era stato condannato per i reati di cui: all'art. 110 c.p., del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. c), perchè, in concorso con il sindaco di un comune, quale richiedente e intestatario di un permesso di costruire, realizzava scavi di fondazione con platea in cemento armato e movimentazione di terra in zona sottoposta a vincolo paesaggistico (capo 2); al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1, perchè, nella stessa qualità, quale titolare di un permesso di costruire palesemente illegittimo, eseguiva le opere di cui al capo precedente in area sottoposta a vincolo paesaggistico in mancanza dell'autorizzazione di cui all'art. 146 del medesimo decreto (capo 2 bis); all'art. 110 c.p. e art. 481 c.p., comma 2, perchè, in concorso con altri, produceva al Comune, al fine di ottenere il rilascio del permesso di costruire, una relazione tecnica progettuale contenente false dichiarazioni, perchè la stessa affermava che il lotto interessato all'edificazione era pari a 53.300 m2 mentre la superficie non boscata, unica che si sarebbe potuta computare, era di soli 16.400 m2.

2. - Avverso la sentenza l'imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento.

2.1. - Con un primo motivo di doglianza, si rilevano l'erronea applicazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. c), nonchè la manifesta illogicità della motivazione quanto all'imputazione di cui al capo 2. Secondo la prospettazione difensiva, l'area era priva di vincolo paesaggistico, come risulterebbe dalla L.R. n. 24 del 1998, dal Piano territoriale paesaggistico n. 5 Rieti e, in particolare, dall'art. 38 delle norme del piano territoriale paesistico regionale il quale definirebbe l'area come interamente priva di vincolo boschivo, precisando che non è sottoposto vincolo un terreno tale da avere l'identità culturale di pascolo arborato, tale che il suo grado di copertura arborea a maturità non superi il 50% della superficie, e tale che su di esso non siano in atto progetti di rimboschimento o una naturale rinnovazione forestale in stato avanzato. Sarebbe inoltre erronea l'affermazione della Corte d'appello secondo cui la responsabilità dell'imputato si fonderebbe sulla circostanza che i terreni sono classificati nel piano territoriale paesistico regionale come "paesaggio naturale" e "paesaggio naturale di continuità" e che ad essi si applicano le prescrizioni contenute negli art. 21 e 23 del piano stesso, che escludono la possibilità di realizzare nuove costruzioni.

Tale affermazione non considererebbe infatti la distinzione ontologica tra "beni paesaggistici" (ovvero beni sottoposte a vincoli paesaggistici del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 134, lett. a, b, c) e "paesaggi", quali sono invece il "paesaggio naturale" e il "paesaggio naturale di continuità" (sui quali non sussisterebbe, per la difesa, alcun vincolo). La Corte d'appello avrebbe, del resto, erroneamente ritenuto che l'assenza del vincolo boschivo sostenuta dalla difesa fosse fondata sulla classificazione catastale del terreno e su una certificazione della Agea. E anche l'affermazione della Corte d'appello secondo cui dalle fotografie aeree allegate risulterebbe che la zona è coperta da vegetazione arborea, che costituisce il paesaggio di continuità, sarebbe smentita dalle consulenze tecniche in atti. Non sarebbe, inoltre, decisiva la giurisprudenza richiamata dalla stessa Corte d'appello, secondo cui deve qualificarsi come bosco, meritevole di protezione ai sensi del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, ogni terreno coperto da vegetazione forestale arborea, associata o meno a quella arbustiva, da castagneti, sughereti o da macchia mediterranea, purchè aventi un'estensione non inferiore a metri quadrati 2000, con larghezza media non inferiore a 20 m e copertura non inferiore al 20%. Tale giurisprudenza non terrebbe conto, infatti della definizione di bosco, che dovrebbe essere desunta dalla legislazione regionale. Del pari viziata sarebbe l'affermazione della Corte d'appello secondo cui l'imputato conosceva ampiamente le ragioni di illegittimità del permesso di costruire, perchè nel corso dell'iter amministrativo i tecnici comunali avevano espresso parere contrario al rilascio del permesso stesso.

2.2. - In secondo luogo, quanto al reato di cui al capo 2 bis dell'imputazione, si sostiene che, essendo l'area priva vincolo paesaggistico, nessuna autorizzazione avrebbe dovuto essere richiesta; analoghe considerazioni vengono svolte quanto al reato di cui al capo 3 dell'imputazione.

2.3. - Si sostiene, inoltre, che il L.R. n. 38 del 1999, art. 55 -che consente l'edificazione di annessi agricoli a chi svolge un'attività agricola -sarebbe stata violata, perchè la nuova costruzione costituiva una vera e propria condicio sine qua non per l'esercizio dell'attività agricola.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. - Il ricorso è infondato.

3.1. -Con un primo, articolato, motivo di doglianza si sostiene, in sostanza, che l'area sulla quale le opere erano state realizzate non sarebbe sottoposta vincolo paesaggistico, trattandosi di "paesaggio naturale" e "paesaggio di continuità" e non di "bene paesaggistico" in senso stretto.

Tale affermazione risulta erronea, perchè basata su una distinzione priva di fondamento normativo.

Le aree classificate come "paesaggio naturale" e "paesaggio naturale di continuità" dai piani paesaggistici, che, come nel caso, di specie siano, oltre tutto, in larga parte coperte da bosco, sono sottoposte a vincolo paesaggistico ai sensi del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 134, comma 1, lett. c), il quale ricomprende espressamente tra i beni paesaggistici "gli ulteriori immobili ed aree specificamente individuati a termini dell'art. 136 e sottoposti a tutela dai piani paesaggistici previsti dagli artt. 143 e 156". E si tratta di una disposizione che - oltre a smentire espressamente la suddivisione prospettata la difesa, riconducendo anche gli immobili e le aree indicate negli atti di pianificazione alla categoria dei beni paesaggistici -conferisce immediata efficacia vincolante, in tal senso, alle norme del piano territoriale paesaggistico regionale (ex multis, Cass. pen., sez. 3^, 20 settembre 2007, n. 41078, rv. 238098). Nel caso in esame risulta dirimente la considerazione che i terreni in questione sono, appunto, classificati nel piano territoriale paesistico regionale come "paesaggio naturale" e "paesaggio naturale di continuità"; con la conseguenza che ad essi si applicano le prescrizioni contenute negli artt. 21 e 23 del piano stesso, che escludono la possibilità di realizzare nuove costruzioni. E ogni deduzione relativa al fatto che le aree non avessero la consistenza ad essi attribuita nel piano risulta ultronea, perchè riferita profili a meramente fattuali, che non possono essere presi in considerazione in sede di legittimità, a fronte delle chiara previsione contenuta nello strumento di pianificazione. Si tratta, peraltro, di rilievi che la Corte d'appello contrasta adeguatamente anche sotto il profilo fattuale, evidenziando che, dalla documentazione in atti, emerge che nella zona non era esistente alcuna costruzione e che la consistenza della stessa corrispondeva sostanzialmente a quanto indicato nel piano. La Corte d'appello evidenzia altresì che i terreni in questione ricadono in zona E3 secondo le norme del piano regolatore generale.

In tale zona l'edificazione è ammessa solo in connessione con l'esercizio di un'attività agricola; attività rimasta assolutamente indimostrata, essendosi la difesa limitata - anche con il ricorso per cassazione - a generiche affermazioni circa la necessità di realizzare l'immobile quale presupposto per lo svolgimento di una futura attività agricola. Nè la difesa contrasta adeguatamente sul piano logico l'affermazione della Corte d'appello secondo cui la tipologia della costruzione rende evidente che questa non era destinata a favorire un'attività agricola, neanche in via futura e ipotetica.

Ne deriva l'infondatezza anche del terzo motivo di doglianza.

Del resto, dalla stessa consulenza depositata dalla difesa si evince che sui terreni in questione è presente vegetazione forestale arborea per il 90%, come emerge anche dalle fotografie aeree in atti.

Tali dati, oltre a confermare - come visto - la corrispondenza al reale delle previsioni di piano, costituiscono la base per ritenere sussistente nelle aree in questione un bosco, comunque meritevole di protezione, ai sensi del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 142, comma 1, lett. g). Esse hanno, infatti, le caratteristiche che le rendono meritevoli di protezione ai sensi del D.Lgs. 18 maggio 2001, n. 227, secondo cui deve qualificarsi come bosco, soggetto a vincolo paesaggistico, ogni terreno coperto da vegetazione forestale arborea associata o meno a quella arbustiva, da castagneti, sughereti o da macchia mediterranea, purchè aventi un'estensione non inferiore a mq duemila, con larghezza media non inferiore a metri venti e copertura non inferiore al 20 per cento (sez. 3^, 16 novembre 2006, n. 1874, rv. 235869; sez. 3^, 23 aprile 2013, n. 32807, rv. 255904).

3.2. - Le considerazioni appena svolte inducono a ritenere infondate anche le doglianze sopra riportate sub 2.2., riferite ai reati di cui ai capi 2 bis e 3 dell'imputazione, perchè tali doglianze si basano sul presupposto - come visto, ampiamente smentito dagli atti - che il terreno sul quale sono state realizzate le opere edilizie non fosse sottoposto a vincolo paesaggistico.

4. - Ne consegue il rigetto del ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 28 maggio 2015.