Cass. Sez. III n. 6617 del 17 febbraio 2012 (Ud. 7 feb. 2012)
Pres. Squassoni Est. Ramacci Ric. Riili
Beni Ambientali. Proposta di vincolo

La proposta di vincolo, formulata dalla competente commissione alla data di entrata in vigore del D.Lv. 42\2004, conserva efficacia anche in assenza della adozione di dichiarazione di notevole interesse pubblico

 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. SQUASSONI Claudia - Presidente - del 07/02/2012
Dott. GRILLO Renato - Consigliere - SENTENZA
Dott. AMOROSO Giovanni - Consigliere - N. 269
Dott. RAMACCI Luca - rel. Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. ROSI Elisabetta - Consigliere - N. 29078/2011
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) RIILI MASSIMO, N. IL 19/08/1952;
2) MAUCERI CORRADO N. IL 06/11/1948;
3) BASTANTE ANDREA, N. IL 16/06/1975;
avverso l'ordinanza n. 19/2011 TRIB. LIBERTÀ di SIRACUSA, del 30/05/2011;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA RAMACCI;
sentite le conclusioni del PG Dott. Lettieri Nicola, rigetto del ricorso.
udito il difensore avv. Gori Giovanni di Grosseto (sost. Proc.). SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di Siracusa, quale giudice del riesame, con ordinanza del 30 maggio 2011, confermava il decreto con il quale, in data 6 maggio 2011, il G.I.P, del Tribunale di quella città disponeva il sequestro preventivo delle opere edilizie, consistenti nello sbancamento e posa in opera di fondazioni, realizzate da RIILI Massimo, MAUCERI Corrado e BASTANTE Andrea. in assenza di permesso di costruire ed autorizzazione paesaggistica, in violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c) e D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181.
Avverso tale provvedimento i predetti proponevano ricorso per cassazione.
Con un primo motivo di ricorso deducevano la violazione di legge ed il vizio di motivazione, rilevando che il giudici del riesame avrebbero erroneamente ritenuto che l'area interessata dall'intervento fosse soggetta a vincolo paesaggistico, in quanto la Commissione provinciale delle bellezze naturali di Siracusa avrebbe deliberato esclusivamente, nel 1999, un verbale - proposta mai pubblicato sulla G.U.R.S. ed al quale non aveva mai fatto seguito il decreto del competente Assessorato Regionale ai Beni Culturali nei termini fissati dal D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 140, comma 1, da ritenersi perentori in ragione del dato letterale, che indica in 60 giorni quello entro il quale deve intervenire il provvedimento finale e dalla L. n. 67 del 2009, art. 13.
Con un secondo motivo di ricorso denunciavano la violazione di legge ed il vizio di motivazione, osservando che il Tribunale aveva errato nel ritenere efficace il verbale - proposta del 1999 in base alla previgente normativa, in quanto, a tale data, avrebbe dovuto essere rispettato quanto disposto dal regolamento per l'applicazione della L. n. 1497 del 1939 e dalla L. n. 241 del 1990, art. 2, commi 2 e 3. Rilevavano, a tale proposito, che pur non prevedendo la previgente L. n. 1497 del 1939 un termine di durata del vincolo e di definizione del relativo procedimento amministrativo, la menzionata L. n. 241 del 1990 imponeva comunque l'adozione di un provvedimento espresso entro un termine che, in quanto non espressamente stabilito, andava individuato in quello di 30 giorni di cui alla citata Legge, art. 2. Con un terzo motivo di ricorso deducevano il vizio di motivazione e la violazione di legge, in quanto erroneamente i giudici del riesame avevano escluso il formarsi del silenzio assenso sulla richiesta di autorizzazione paesaggistica e ritenuto interrotto dalla Sovrintendenza il termine di cui alla L.R. n. 17 del 2004, art. 46 mediante preavviso di parere contrario, termine iniziato nuovamente a decorrere a far data dalla presentazione delle osservazioni da parte della ditta istante, poiché tale lettura della norma contrastava con il dato letterale della disposizione e con la lettura datane dalla giurisprudenza amministrativa.
Con un quarto motivo di ricorso denunciavano la violazione dell'art. 321 c.p.p., rilevando che il fumus commissi delicti non era neppure ipotizzabile nella fattispecie ed era stato apprezzato dal Tribunale in via meramente ipotetica, mentre la sussistenza del periculum in mora doveva ritenersi esclusa in considerazione della presenza di un provvedimento amministrativo di sospensione dei lavori non valutabile dal giudice penale, peraltro in presenza di residuo potere di autotutela che i giudici avevano addirittura richiamato come presupposto del ritenuto periculum.
Aggiungevano che tale requisito difettava del tutto di attualità in quanto il cantiere era stato chiuso in ossequio al provvedimento sospensivo.
Insistevano, pertanto, per l'accoglimento del ricorso. MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è infondato.
Occorre preliminarmente ricordare che la costante giurisprudenza di questa Corte si è ripetutamente espressa nel senso che il ricorso per cassazione avverso l'ordinanza emessa in sede di riesame di provvedimenti di sequestro (probatorio o preventivo) è consentito esclusivamente per violazione di legge e non anche con riferimento ai motivi di cui all'art. 606 c.p.p., lett. e) pur rientrando, nella violazione di legge, la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente in quanto correlate all'inosservanza di precise norme processuali (SS.UU. n. 5876, 13 febbraio 2004. Conf. Sez. 5, n. 35532, 1 ottobre 2010; Sez. 6, n. 7472, 20 febbraio 2009; Sez. 5, n. 8434, 28 febbraio 2007). Entro tali limiti dovrà dunque essere contenuto il sindacato di legittimità del provvedimento da parte di questa Corte. Ciò posto, deve rilevarsi, con riferimento al primo motivo di ricorso, che si è già affermato il principio secondo il quale la proposta di vincolo, formulata dalla competente commissione alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 42 del 2004, conserva efficacia anche in assenza della adozione di dichiarazione di notevole interesse pubblico (Sez. 3, n. 16476, 28 aprile 2010). Tale pronuncia, correttamente richiamata nel provvedimento impugnato, si basa sul tenore letterale dell'art. 157, comma 2, D.Lgs. n. 42 del 2004 il quale prevede l'applicabilità delle disposizioni contenute nella Parte Terza del decreto anche agli immobili ed alle aree in ordine ai quali, alla data di entrata in vigore del Codice dei beni culturali e del paesaggio, sia stata formulata la proposta ovvero definita la perimetrazione ai fini della dichiarazione di notevole interesse pubblico o del riconoscimento quali zone di interesse archeologico.
Si osserva, inoltre, che la conservazione di efficacia di detti provvedimenti non prevede il silenzio - rigetto ne' termini perentori per l'adozione di provvedimenti definitivi.
Tale assunto viene contestato in ricorso, dove si assume che il dato letterale del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 140 imporrebbe l'adozione di un provvedimento definitivo.
In realtà, ad avviso del Collegio, è proprio il tenore della norma che esclude la perentorietà del termine che, quando stabilita dal legislatore, è espressamente indicata come avviene, per la Parte Terza del D.Lgs. n. 42 del 2004, nell'art. 146, comma 9, art. 159, comma 2, art. 167, comma 5 e art. 181, comma 1 quater.
Va inoltre rilevato che non è dato comprendere, in mancanza di ulteriori indicazioni, quale ulteriore riferimento intendono effettuare i ricorrenti con il richiamo (per due volte) "alla L. n. 67 del 2009, art. 13", posto che con tali dati si rinviene la sola L. 8 giugno 2009, n. 67, attinente a materia del tutto diversa e composta di soli 2 articoli e nessuna disposizione della Regione Sicilia.
Il principio fissato con la menzionata decisione è dunque pienamente condiviso dal Collegio e deve, pertanto, essere riaffermato Infondata appare anche l'affermazione, contenuta nel secondo motivo di ricorso, secondo la quale la proposta sarebbe stata inefficace anche antecedentemente all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 42 del 2004 per la mancata definizione del relativo procedimento mediante l'emanazione del provvedimento di vincolo.
Invero, la giurisprudenza assolutamente prevalente di questa Corte era costantemente orientata nel ritenere, sotto la vigenza della L. n. 1497 del 1939, che il vincolo di protezione delle bellezze naturali sorgesse con l'inclusione della località nell'elenco approvato dalla competente commissione provinciale e, quindi, anche prima del provvedimento definitivo di approvazione dell'elenco stesso da parte del ministero dei beni culturali e ciò in quanto l'art. 7 della legge richiamata faceva coincidere con la sola pubblicazione degli elenchi il divieto, per i proprietari, i possessori o i detentori a qualsiasi titolo dell'immobile che vi era compreso, di distruzione o di modificazioni che recassero pregiudizio all'aspetto esteriore tutelato. (Sez. 3, n.1880, 12 febbraio 1988; Sez. 2, n.7531, 26 settembre 1984; Sez. 6, n. 13052, 10 dicembre 1980; Sez. 6, n. 7099, 2 giugno 1980; Sez. 3, n. 5237, 8 giugno 1979; Sez. 6, n. 5056, 16 aprile 1977; Sez. 3, n. 40. 11 gennaio 1972; Sez. 3, n. 417, 3 agosto 1970).
Alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 42 del 2004 il provvedimento spiegava, pertanto, piena efficacia indipendentemente dall'esaurimento del relativo procedimento e di tali effetti ha, infatti, tenuto conto il legislatore nel regime transitorio, con il già richiamato disposto del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 157, comma 2.
Ciò rende pertanto del tutto superflua ogni ulteriore riflessione sulla natura dei termini previsti dalla legislazione previgente, comunque non indicati come perentori, mentre, per quanto attiene il riferimento al disposto della L. n. 241 del 1990, art. 2 non può che richiamarsi quanto osservato. a suo tempo, dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 262, 23 luglio 1997).
Decidendo, infatti, sulla questione di legittimità della L. n. 1497 del 1939, artt. 2, 3 e 7, nella parte in cui consentivano l'imposizione del vincolo di durata indefinita su un immobile, senza che alla redazione dell'elenco delle bellezze d'assieme dovesse fare seguito, entro un termine determinato, l'approvazione dell'elenco medesimo da parte dell'autorità amministrativa competente, la Corte ricordava l'orientamento giurisprudenziale prevalente sull'efficacia del vincolo dalla pubblicazione dell'elenco, osservando che, da tale momento, era possibile, per i soggetti interessati, esperire i rimedi giuridici previsti dalla legge. Aggiungeva che la conclusione dell'iter procedimentale stabilito dalla legge determinava la trasformazione del vincolo da provvisorio a definitivo ovvero il suo venir meno nel caso in cui l'autorità preposta alla approvazione definitiva avesse rifiutato l'approvazione (anche parzialmente eliminando l'efficacia rispetto a taluni immobili) ovvero fosse intervenuta una successiva modifica dell'elenco.
Con espresso riferimento alla L. 7 agosto 1990, n. 241, la richiamata pronuncia evidenziava un rafforzamento della tutela grazie alla esplicita previsione nell'art. 2 del dovere, per la pubblica amministrazione, di concludere i procedimenti iniziati d'ufficio mediante l'adozione di un provvedimento espresso entro un termine che, ove non sia specificamente determinato, resta fissato nella misura di trenta giorni e prevedendo una serie di effetti e di responsabilità quale conseguenza dell'inerzia con l'inosservanza dei termini.
A tali ultime considerazioni, coincidenti con la lettura della menzionata disposizione suggerita in ricorso, la Corte Costituzionale faceva però seguire l'ulteriore osservazione che "... il mancato esercizio delle attribuzioni da parte dell'amministrazione entro il termine per provvedere non comporta ex se, in difetto di espressa previsione, la decadenza del potere, ne' il venir meno dell'efficacia dell'originario vincolo. In tali ipotesi, sempre che il legislatore non abbia attribuito un particolare significato all'inerzia-silenzio, si verifica un'illegittimità di comportamenti derivante da inadempimento di obblighi".
Va poi aggiunto che anche la giurisprudenza amministrativa ha espressamente escluso la natura perentoria del termine di cui alla L. n. 241 del 1990, art. 2 (v. ad es., Cons. Stato Sez. 4, n. 2110, 3 aprile 2009; Sez. 5, n. 5199, 5 febbraio 2009; Sez. 6, n. 140, 14 gennaio 2009 Sez. 6, n.2195, 20 aprile 2006).
Alla luce di tali argomentazioni, pienamente condivisibili, emerge chiaramente la correttezza dell'operato del Tribunale anche sotto tale profilo.
Anche il terzo motivo di ricorso risulta infondato.
Il Tribunale, con accertamento in fatto non censurabile in questa sede di legittimità, ha in primo luogo rilevato che, in ordine alla decorrenza dei termini per la formazione del silenzio assenso, dalla documentazione in atti e, segnatamente, da una comunicazione in data 4.2.2011, a firma del procuratore institore della società richiedente l'autorizzazione paesaggistica, era possibile rilevare la presentazione di una rielaborazione dell'originario progetto, cosicché alla data del sequestro detto termine non era ancora spirato.
In secondo luogo, osservavano i giudici che, in base al disposto della L.R. 28 dicembre 2004, n. 17 e della L. n. 241 del 1990, art. 10 bis detti termini non sarebbero comunque spirati stante l'effetto interruttivo operato dall'avviso di parere contrario notificato dalla Sovrintendenza, al quale faceva poi seguito il diniego definitivo dell'autorizzazione.
Tali osservazioni, formulate dal Tribunale in risposta alle doglianze mosse con la richiesta di riesame, vengono censurate in ricorso limitatamente alla interpretazione della L. n. 241 del 1990, art. 10 bis fornita dai giudici, peraltro con osservazioni del tutto generiche, che si limitano a porre in evidenza un supposto contrasto di tale lettura della norma rispetto a quella offerta dalla giurisprudenza amministrativa, la quale sosterrebbe che l'effetto interruttivo del termine sarebbe contenuto in soli dieci giorni. In altre parole, secondo i ricorrenti, laddove la disposizione in esame prevede che nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l'autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunichino tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all'accoglimento della domanda e che entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti, l'effetto interruttivo dei termini per concludere il procedimento conseguente alla comunicazione sia contenuto, al massimo, in dieci giorni iniziando nuovamente a decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni o, in mancanza, dalla scadenza del decimo giorno. Ciò posto, deve in primo luogo rilevarsi che già la genericità del motivo consentirebbe una declaratoria di inammissibilità. In ogni caso, dal contenuto delle decisioni del giudice amministrativo riportate in ricorso, non sembra che possa pervenirsi a tali conclusioni, sto che dette pronunce in nessun caso propongono espressamente una interpretazione della norma coincidente con quella prospettata dai ricorrenti, limitandosi a ribadire quanto indicato dal legislatore ed, anzi, in altre occasioni, la medesima giurisprudenza ha escluso la perentorietà del termine sul presupposto della mancanza di una espressa previsione in tal senso e sulla evidente illogicità di una diversa lettura della norma che produrrebbe effetti contrari a quelli prefissati dal legislatore osservando, ad esempio, che lo scopo di deflazionare le controversie giurisdizionali non verrebbe più attuato, perché, impedendo all'istante la presentazione di osservazioni oltre il termine di dieci giorni, lo si indurrebbe a farle valere dinanzi alla competente Autorità Giudiziaria (TAR Campania, Napoli Sez. 4, n. 5013, 17 settembre 2009).
Tali osservazioni appaiono pienamente condivisibili perché, accedendo all'opzione ermeneutica sostenuta dai ricorrenti, si produrrebbero effetti pregiudizievoli per il privato che, al contrario, detta disposizione intende garantire attraverso una estensione delle garanzie di partecipazione al procedimento amministrativo e l'instaurazione di un pieno contraddittorio procedimentale.
Deve dunque ritenersi corretto l'operato dei giudici del riesame effettuato, ancora una volta, in conformità alla lettera della legge.
Parimenti infondato risulta, infine, il quarto motivo di ricorso. Il Tribunale, nell'effettuare la valutazione della misura reale impugnata ha, in primo luogo, adeguatamente tenuto conto dell'ambito di operatività della propria competenza in sede di riesame delimitato, dalla giurisprudenza di questa Corte, alla verifica delle condizioni di legittimità della misura cautelare che non può tradursi in anticipata decisione della questione di merito concernente la responsabilità della persona sottoposta ad indagini in ordine al reato oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al controllo di compatibilità tra la fattispecie concreta e quella legale, rimanendo preclusa ogni valutazione riguardo alla sussistenza degli indizi di colpevolezza ed alla gravità degli stessi (SS. UU. n. 7, 4 maggio 2000 ed altre succ. conf.) pur permanendo l'obbligo di esaminare anche le confutazioni e gli elementi offerti dagli indagati che possano avere influenza sulla configurabilità e sulla sussistenza del "fumus" del reato contestato (Sez. 3, n. 18532, 17 maggio 2010; n. 27715, 16 luglio 2010).
Nel far ciò ha anche correttamente evidenziato che la concretezza ed attualità del pericolo di reiterazione del reato o aggravamento delle sue conseguenze non può ritenersi escluso dalla concomitante efficacia di un provvedimento amministrativo con il quale viene ordinata la sospensione dei lavori.
L'assunto appare del tutto corretto ed in linea con quanto sostenuto dalla giurisprudenza di questa Corte, che ha già avuto modo di evidenziare come il provvedimento amministrativo sia revocabile dalla stessa amministrazione, caratterizzato da efficacia provvisoria e temporalmente determinata e suscettibile di sospensiva nella competente sede giurisdizionale (Sez. 3, n.1340, 22 aprile 1996) e, in altra occasione, che il sequestro tende ad assicurare le finalità della giustizia penale, completamente diverse da quelle cui tendono le norme amministrative (Sez. 6, n. 1747, 11 giugno 1998). Si tratta di argomentazioni che il Collegio condivide e dalle quali, pertanto, non intende discostarsi, riaffermando quindi i suddetti principi.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Così deciso in Roma, il 7 febbraio 2012.
Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2012