Cass. Sez. III n. 43812 del 21 ottobre 2014 (Ud 17 set 2014)
Pres. Mannino Est. Scarcella Ric. PM in proc. Colaiuda
Beni Ambientali. Reati paesaggistici e sequestro preventivo

In tema di sequestro preventivo per reati paesaggistici, la sola esistenza di una struttura abusiva integra il requisito dell'attualità del pericolo indipendentemente dall'essere l'edificazione ultimata o meno, in quanto il rischio di offesa al territorio e all'equilibrio ambientale, a prescindere dall'effettivo danno al paesaggio e dall'incremento del carico urbanistico, perdura in stretta connessione con l'utilizzazione della costruzione ultimata

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 28/04/2014, depositata in pari data, il tribunale del riesame de L'AQUILA, annullava il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP presso il medesimo tribunale in data 31/03/2014, avente ad oggetto di alcuni manufatti edilizi, aventi strutture portanti in ferro e coperture in lamiere zincate, realizzati nella p.lla 464, fgl. 11, loc. (OMISSIS), adibite a rimessaggio di materiali edili pronti per la vendita, in quanto abusivamente eseguite (fatto contestato come accertato il 16/03/2013 ed il 21/02/2014, a carattere permanente).

2. Ha proposto ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale de L'AQUILA, impugnando l'ordinanza predetta e deducendo un unico, articolato, motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p..

2.1. Deduce, con tale unico motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. b), per violazione della legge penale, sub specie di apparenza della motivazione ed inosservanza ed erronea applicazione della legge penale.

In sintesi, l'impugnazione di legittimità investe l'ordinanza emessa in sede di riesame per aver il tribunale motivato con argomentazioni di puro genere ed asserzioni apodittiche, così rendendo fittizio il ragionamento espresso dal giudice a sostegno della decisione; in particolare, si censura l'ordinanza impugnata nella parte in cui esclude che possa desumersi che l'uso dei manufatti in questione possa aggravare il danno ambientale già causato dalla realizzazione abusiva, ad esempio aumentando il carico urbanistico della zona ovvero modificando ulteriormente l'assetto territoriale, motivazione, si deduce, adattabile ad ogni fattispecie in astratto configurabile in materia edilizia ed ambientale. Diversamente, nel caso in esame, sussistevano i presupposti per l'adozione del vincolo cautelare, trattandosi di nove costruzioni abusive a fini produttivi poste a ridosso di un torrente nonchè di inottemperanza di un'ordinanza sindacale di demolizione, cui si sarebbero accompagnati anche falsi elaborati, depositati dagli indagati, per sanare l'abuso.


CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è fondato.

4. Deve, preliminarmente, ricordarsi che, in sede di ricorso per cassazione proposto avverso provvedimenti cautelari reali, l'art. 325 c.p.p., ammette il sindacato di legittimità solo per motivi attinenti alla violazione di legge. Nella nozione di "violazione di legge" rientrano, in particolare, la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all'inosservanza di precise norme processuali, ma non l'illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui all'art. 606 c.p.p., lett. e), (v., per tutte: Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004 - dep. 13/02/2004, P.C. Ferazzi in proc.Bevilacqua, Rv. 226710; Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003 - dep. 10/06/2003, Pellegrino S., Rv. 224611).

5. Tanto premesso sui limiti del sindacato di questa Corte, ritiene il Collegio che il PM ricorrente fondatamente evochi il vizio di violazione di legge. Ed invero, il decreto di sequestro preventivo venne disposto dal GIP sia per violazioni edilizie che per violazioni paesaggistiche; il tribunale del riesame, come pacificamente emerge dalla lettura dell'impugnata ordinanza, non si è pronunciato sul fumus delicti, ma unicamente sul periculum in mora, ritenendolo insussistente; nello specifico, ha ritenuto che le indagini svolte non avrebbero dimostrato che l'uso del manufatto potesse aggravare il danno derivante dalla realizzazione dell'abuso nè che la libera disponibilità delle opere potesse agevolare la commissione di ulteriori reati (ad esempio la realizzazione di altri abusi edilizi), atteso che non sarebbe stata sottoposta a sequestro l'area.

La fondatezza del ricorso, tuttavia, emerge dall'evidente malgoverno dei principi affermati già in precedenza da questa Corte in materia.

Ed infatti, va qui ricordato che, come autorevolmente affermato dalle Sezioni Unite, il sequestro preventivo di cosa pertinente al reato è consentito anche nel caso di ipotesi criminosa già perfezionatasi, purchè il pericolo della libera disponibilità della cosa stessa - che va accertato dal giudice con adeguata motivazione - presenti i requisiti della concretezza e dell'attualità e le conseguenze del reato, ulteriori rispetto alla sua consumazione, abbiano connotazione di antigiuridicità, consistano nel volontario aggravarsi o protrarsi dell'offesa al bene protetto che sia in rapporto di stretta connessione con la condotta penalmente illecita e possano essere definitivamente rimosse con l'accertamento irrevocabile del reato (Sez. U, n. 12878 del 29/01/2003 - dep. 20/03/2003, P.M. in proc.Innocenti, Rv. 223721). Nella specie, è pacifico che l'intervento abusivo riguardante l'esecuzione di manufatti adibiti al deposito di merce non soltanto era stato eseguito in assenza di titolo abilitativo e comunque in violazione delle prescrizioni della sanatoria n. 2155 del 24/06/2003 (come contestato nell'imputazione sub b), ma lo stesso insisteva, altresì, in zona vincolata (ossia nelle immediate adiacenza del torrente Ruella, in violazione della distanza minima di legge, quindi, in area tutelata per legge D.Lgs. n. 42 del 2004, ex art. 142, comma 1, lett. c), che definisce "comunque di interesse paesaggistico", sottoponendoli alle disposizioni del decreto in esame "c) i fiumi, i torrenti, i corsi d'acqua iscritti negli elenchi previsti dal testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici, approvato con R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, e le relative sponde o piedi degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna").

Acclarato quanto sopra, quindi, sussistendo il fumus del reato di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, il sequestro preventivo nel caso in esame era ampiamente giustificato, atteso che, come più volte affermato da questa stessa Sezione, in tema di sequestro preventivo per reati paesaggistici, la sola esistenza di una struttura abusiva integra il requisito dell'attualità del pericolo indipendentemente dall'essere l'edificazione ultimata o meno, in quanto il rischio di offesa al territorio e all'equilibrio ambientale, a prescindere dall'effettivo danno al paesaggio e dall'incremento del carico urbanistico, perdura in stretta connessione con l'utilizzazione della costruzione ultimata (Sez. 3, n. 42363 del 18/09/2013 - dep. 15/10/2013, Colicchio, Rv. 257526).

A ciò, infine, si aggiunga - con riferimento alla seconda affermazione contenuta nell'impugnato provvedimento, come il pericolo che la libera disponibilità potesse aggravare la situazione mediante la realizzazione di ulteriori manufatti emerge, all'evidenza, dalla stessa documentazione in atti oggetto di valutazione da parte del GIP, atteso che si da atto nell'originario decreto di sequestro preventivo, che il permesso di costruire in sanatoria era stato "violato" proprio realizzando altri manufatti, così da costituire un unico corpo di fabbrica. Risultano, dunque, soddisfatte, nel caso in esame, anche quelle condizioni richieste dalle Sezioni Unite Innocenti per giustificare la sequestrabilità del manufatti abusivo già ultimato, in quanto il pericolo della libera disponibilità della cosa stessa presentava i requisiti della concretezza e dell'attualità e le conseguenze del reato, ulteriori rispetto alla sua consumazione, erano palesemente antigiuridiche, consistendo nel volontario aggravarsi o protrarsi dell'offesa al bene protetto, in rapporto di stretta connessione con la condotta penalmente illecita.

5. Il ricorso del PM dev'essere, pertanto, accolto, con conseguente annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata, sufficiente a determinare il ripristino dell'efficacia del decreto di sequestro illegittimamente annullato.

Ed invero, quando la Corte di Cassazione annulla senza rinvio l'ordinanza del tribunale della libertà con la quale, illegittimamente, è stato annullato un decreto di sequestro, ciò significa che non appare necessaria nuova delibazione del giudice a quo, sicchè l'originario provvedimento rivive immediatamente e costituisce valido titolo per il ripristino del vincolo cautelare sulla res, senza bisogno di procedere ex novo alla valutazione delle condizioni richieste ex art. 321 c.p.p., per l'applicazione della misura cautelare reale.

Il relativo ordine di ripristino del vincolo reale dovrà essere impartito dal P.m. ricorrente, quale organo dell'esecuzione delle decisioni del giudice penale.


P.Q.M.

Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata.
Così deciso in Roma, il 17 settembre 2014.