Cons. Stato Sez. IV sent. 1464 del 12 marzo 2009
Beni Ambientali. Indennità

L\'art. 15 l. 29 giugno 1939 n. 1497 (ora art. 167 d.lg. 22 gennaio 2004 n. 42) va interpretato nel senso che l\'indennità prevista per abusi edilizi in zone soggette a vincoli paesaggistici costituisce vera e propria sanzione amministrativa, e non una forma di risarcimento del danno, e in quanto tale prescinde dalla effettiva sussistenza di un danno ambientale.


R E P U B B L I C A I T A L I A N A
N. 1464/2009
Reg. Dec.
N. 9382 Reg. Ric.
Anno 2005
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente
D E C I S I O N E
sul ricorso in appello n. 9382 del 2005, proposto dal COMUNE DI BIBBONA, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Vittorio Chierroni, con domicilio eletto in Roma, Lungotevere Flaminio, 146, pal. IV, scala B, presso il dott. Gian Marco Grez,
contro
GAGGELLI ALBERTO, non costituito,
per l’annullamento e/o la riforma
previa sospensione dell’efficacia
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Toscana, sez. III, nr. 4017 dell’11 agosto 2005, con la quale è stato accolto il ricorso R.G. nr. 901/2004 e, pertanto, annullato il provvedimento emesso dal Responsabile dell’Area Tecnica del Comune di Bibbona di determinazione dell’indennità risarcitoria ex art. 164 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, nr. 490 (oggi art. 167 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, nr. 42).
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Vista l’ordinanza di questa Sezione nr. 639 del 7 febbraio 2006, con la quale è stata accolta la domanda incidentale di sospensione della sentenza impugnata;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore, all’udienza pubblica del 27 gennaio 2009, il Consigliere Raffaele Greco;
Udito l’avv. Chierroni per l’Amministrazione appellante;
Ritenuto e considerato quanto segue:
F A T T O
Il Comune di Bibbona ha impugnato, chiedendone l’annullamento previa sospensione, la sentenza con la quale il T.A.R. della Toscana, accogliendo il ricorso proposto dal sig. Alberto Gaggelli, ha annullato il provvedimento con il quale allo stesso era stato ingiunto il pagamento di una somma a titolo di indennità risarcitoria ai sensi dell’art. 164 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, nr. 490, per l’abusiva realizzazione di opere edili in zona sottoposta a vincolo paesaggistico.
A sostegno dell’appello, ha dedotto, con unico complesso motivo: erroneità ed illogicità della decisione del T.A.R.: omessa, insufficiente, contraddittoria ed illogica motivazione; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 15 della legge 29 giugno 1939, nr. 1497 (oggi art. 167 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, nr. 42); degli artt. 12 e 28 della legge 24 novembre 1981, nr. 689; degli artt. 32 e 38 della legge 28 febbraio 1985, nr. 47; eccesso di potere per carenza assoluta dei presupposti (per avere il T.A.R., erroneamente e in contrasto con la prevalente giurisprudenza, ritenuta maturata la prescrizione della sanzione pecuniaria, irrogata nel 2004, a seguito del condono edilizio ottenuto dal dante causa del Gaggelli nel 1996).
Alla camera di consiglio del 7 febbraio 2006, questa Sezione ha accolto la domanda incidentale di sospensione della sentenza impugnata, ritenendone sussistenti i presupposti.
All’udienza del 27 gennaio 2009, la causa è stata ritenuta per la decisione.
D I R I T T O
1. L’appello è infondato e va conseguentemente respinto.
2. La vicenda che occupa afferisce alle opere abusivamente realizzate dal dante causa del ricorrente in primo grado, sig. Alberto Gaggelli, nel territorio del Comune di Bibbona, in area sottoposta a vincolo paesaggistico ai sensi della legge 29 giugno 1939, nr. 1497.
Per tali opere, il responsabile ha ottenuto nel 1996 la concessione edilizia in sanatoria, previa autorizzazione paesaggistica rilasciata in via postuma dalla competente Sovrintendenza.
Con provvedimento del 12 febbraio 2004, l’Amministrazione comunale ha ingiunto al Gaggelli, medio tempore divenuto proprietario dell’immobile, il pagamento di una somma a titolo di indennità risarcitoria ai sensi dell’art. 164 del decreto legislativo 29 ottobre 1999 (già art. 15 della ridetta legge nr. 1497 del 1939, oggi art. 167 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, nr. 42).
Impugnato il predetto provvedimento, il giudice di primo grado ha ritenuto fondata e assorbente la doglianza con la quale parte ricorrente assumeva l’intervenuta prescrizione della sanzione amministrativa applicatagli, stante il decorso del termine di cinque anni di cui all’art. 28 della legge 24 novembre 1981, nr. 689.
Avverso tale statuizione insorge l’Amministrazione, assumendo che sulla scorta della consolidata giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, e in particolare del principio di autonomia della violazione paesaggistica rispetto all’illecito edilizio, non sarebbe venuto meno il potere di irrogare la sanzione di cui al ridetto art. 164 d.lgs. nr. 490 del 1999, non essendo cessata la permanenza dell’illecito paesaggistico neanche dopo l’intervenuta concessione in sanatoria.
3. Tutto ciò premesso, è opportuno richiamare alcuni punti fermi dell’elaborazione giurisprudenziale in subiecta materia.
In primo luogo, non è contestato che l’art. 15 della legge nr. 1497 del 1939 (divenuto poi l’art. 164 del d.lgs. nr. 490 del 1999, ed oggi l’art. 167 del d.lgs. n. 42 del 2004) va interpretato nel senso che l’indennità prevista per abusi edilizi in zone soggette a vincoli paesaggistici costituisce vera e propria sanzione amministrativa (e non una forma di risarcimento del danno), che come tale prescinde dalla sussistenza effettiva di un danno ambientale (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 28 luglio 2006, nr. 4690; Cons. Stato, sez. IV, 15 novembre 2004, nr. 7405; id. 3 novembre 2003, nr. 7047; Cons. Stato, sez. VI, 3 aprile 2003, nr. 1729; Cons. Stato, sez. IV, 12 novembre 2002, nr. 6279; Cons. Stato, sez. VI, 8 novembre 2000, nr. 6007; id. 6 giugno 2000, nr. 3185).
Ne discende, ed è altrettanto incontestata, l’applicabilità a tale sanzione del principio di cui all’art. 28 della legge n. 689 del 1981, a norma del quale “il diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni amministrative punite con pena pecuniaria si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione”: disposizione quest’ultima applicabile, per espresso dettato legislativo, a tutte le violazioni punite con sanzioni amministrative pecuniarie, anche se non previste in sostituzione di una sanzione penale (art. 12 legge n. 689 del 1981) e, quindi, anche agli illeciti amministrativi in materia urbanistica, edilizia e paesistica puniti con sanzione pecuniaria.
Nell’applicare tale regola, tuttavia, con riguardo all’individuazione del dies a quo della decorrenza della prescrizione, occorre tener conto della particolare natura degli illeciti in materia urbanistica, edilizia e paesistica, i quali, ove consistano nella realizzazione di opere senza le prescritte concessioni e autorizzazioni, hanno carattere di illeciti permanenti, di talché la commissione degli illeciti medesimi si protrae nel tempo, e viene meno solo con il cessare della situazione di illiceità, vale a, dire con il conseguimento delle prescritte autorizzazioni.
Inoltre, per la decorrenza della prescrizione dell’illecito amministrativo permanente, trova applicazione il principio relativo al reato permanente, secondo cui il termine della prescrizione decorre dal giorno in cui è cessata la permanenza (art. 158, comma I, cod. pen.); pertanto, per gli illeciti amministrativi in materia paesistica urbanistica edilizia la prescrizione quinquennale di cui all’art. 28 legge n. 689 del 1981 inizia a decorrere solo dalla cessazione della permanenza, con la conseguenza che, vertendosi in materia di illeciti permanenti, il potere amministrativo repressivo, come la determinazione di applicare la sanzione pecuniaria, può essere esercitato senza limiti di tempo e senza necessità di motivazione in ordine al ritardo nell\'esercizio del potere (cfr. Cons. Stato, sez. V, 13 luglio 2006, nr. 4420; Cons. Stato, sez. IV, 2 giugno 2000, nr. 3184).
Più in particolare, è stato giustamente osservato che per quanto concerne il momento in cui può dirsi cessata la permanenza per gli illeciti amministrativi in materia urbanistica edilizia e paesistica, mentre per il diritto penale rileva la condotta commissiva (sicché la prescrizione del reato inizia a decorrere dalla sua ultimazione), per il diritto amministrativo si è in presenza di un illecito di carattere permanente, caratterizzato dall’omissione dell’obbligo, perdurante nel tempo, di ripristinare secundum jus lo stato dei luoghi, con l’ulteriore conclusione che se l’Autorità emana un provvedimento repressivo (di demolizione, ovvero di irrogazione di una sanzione pecuniaria), non emana un atto “a distanza di tempo” dall’abuso, ma reprime una situazione antigiuridica contestualmente contra jus, ancora sussistente.
Dalle considerazioni che precedono si ricava, dunque, che nel campo dell’illecito amministrativo – che, come quello in esame, integra un’ipotesi di illecito formale consistente nell’omessa richiesta della preventiva autorizzazione – la permanenza cessa (e il termine quinquennale di prescrizione comincia a decorrere) o con l’irrogazione della sanzione pecuniaria o con il conseguimento dell’autorizzazione che, secondo pacifico orientamento, può essere rilasciata anche in via postuma (cfr. Cons. Stato, Ad. Gen., 11 aprile 2002, nr. 4; Cons. Stato, sez. VI, 12 maggio 2003, nr. 2653; id. 30 ottobre 2000, nr. 5851).
4. I principi testé richiamati costituiscono le coordinate entro cui va affrontata la questione, che costituisce il thema decidendum del presente giudizio, dell’individuazione del dies a quo del termine prescrizionale – o, che è lo stesso, del momento in cui cessa la permanenza dell’illecito paesaggistico – nella particolare ipotesi in cui il responsabile della violazione, avendo realizzato opere edili in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, abbia poi ottenuto la concessione in sanatoria.
Come è noto, ai sensi dell’art. 32 della legge 28 febbraio 1985, nr. 47, e s.m.i., gli abusi edilizi realizzati in aree vincolate, al di fuori dei casi in cui il successivo art. 33 prevede espressamente l’insanabilità, sono suscettibili di sanatoria subordinatamente al rilascio del parere favorevole da parte dell’autorità preposta al vincolo; la stessa disposizione aggiunge che il rilascio del titolo abilitativi edilizio in sanatoria estingue anche il reato derivante dalla violazione del vincolo.
Orbene, parte appellante richiama giurisprudenza di questo Consiglio di Stato secondo cui, stante l’autonomia della violazione paesaggistica rispetto a quella urbanistica, il conseguimento della concessione edilizia in sanatoria non farebbe venire meno la potestà sanzionatoria dell’Amministrazione per la violazione del vincolo; si aggiunge anche che, sempre in virtù dell’autonomia e separatezza dei due procedimenti sanzionatori, neanche il parere di compatibilità paesaggistica rilasciato dall’autorità preposta al vincolo nell’ambito del procedimento di condono, essendo appunto un mero atto endoprocedimentale all’interno del ben diverso procedimento relativo alla violazione edilizia, non è idoneo a far cessare la permanenza della violazione paesaggistica (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 15 novembre 2004, nr. 7405; id. 4 febbraio 2004, nr. 395).
Questo Collegio, senza disconoscere i principi su cui si fonda tale orientamento, ritiene che gli stessi non siano incompatibili con la diversa opinione, altrettanto diffusa, secondo cui laddove risulti che il responsabile della violazione non si è limitato a munirsi del predetto parere endoprocedimentale, ma abbia concluso positivamente la procedura di condono, il provvedimento di concessione in sanatoria non può non determinare la cessazione delle permanenza anche dell’illecito paesaggistico (cfr. Cons. Stato, sez. II, 9 aprile 2008, nr. 708/05; Cons. Stato, sez. IV, 11 aprile 2007, nr. 1585; Cons. Stato, sez. V, 13 luglio 2006, nr. 4420; C.g.a.r.s., 2 marzo 2006, nr. 79).
Al riguardo, va anzi tutto osservato che non è del tutto vero che il parere favorevole reso dall’autorità preposta al vincolo nell’ambito del procedimento per la sanatoria di abusi edilizi realizzati in zona vincolata costituisca un atto meramente interno a tale procedimento, privo di ogni riflesso sulla diversa violazione paesaggistica: ciò si ricava, a tacer d’altro, dalla già richiamata disposizione ex art. 32 della legge nr. 47 del 1985, secondo cui, una volta ottenuto il predetto parere (da cui non può prescindersi per il conseguimento del condono nella fattispecie), la successiva concessione in sanatoria determina l’estinzione non solo del reato edilizio, ma anche del reato “per la violazione del vincolo”.
È pur vero che tale previsione è destinata a spiegare effetti principalmente in ambito penalistico, determinando la non punibilità del reato conseguente alla violazione del vincolo (mentre, come si è sopra visto, diversi sono i parametri di definizione dell’illecito amministrativo connesso); tuttavia, è evidente che essa depone chiaramente nel senso di una convergenza, all’interno di un unico procedimento di sanatoria, tra il parere dell’autorità preposta al vincolo e quello specificamente urbanistico-edilizio del Comune, ai fini dell’eliminazione contestuale di entrambi gli illeciti, quello edilizio e quello paesaggistico.
Ne discende che, una volta ottenuta la concessione in sanatoria, il responsabile dell’abuso null’altro è tenuto a fare, né può fare, con riferimento all’ulteriore violazione di natura paesaggistica, atteso che l’autorità preposta al vincolo ha già compiutamente e definitivamente espresso il proprio avviso rilasciando il parere di compatibilità che costituisce presupposto imprescindibile per il condono delle opere abusive eseguite in zona vincolata; opinare diversamente implicherebbe l’obbligo del responsabile dell’abuso, il quale abbia ottenuto il condono e intenda rimuovere anche la violazione paesaggistica, di richiedere alla Soprintendenza un nuovo parere di compatibilità destinato a “duplicare” quello già rilasciato nel procedimento di sanatoria edilizia.
Poiché, però, un tale aggravio procedimentale non trova alcun riscontro nella normativa vigente in materia, l’alternativa sarebbe ritenere che la permanenza della violazione paesaggistica, in un’ipotesi del genere, sia destinata a perdurare indefinitamente, con conseguente sostanziale imprescrittibilità della sanzione pecuniaria, ovvero che l’unico modo che il responsabile avrebbe a disposizione per sottrarsi alla potestà sanzionatoria dell’Amministrazione sarebbe quello di demolire le opere realizzate: il che non solo è palesemente assurdo a fronte di opere ormai in possesso di regolari titoli abilitativi, anche sotto il profilo della compatibilità paesaggistica, ma probabilmente comporta la violazione del principio della alternatività tra sanzioni ripristinatorie e sanzioni pecuniarie che lo stesso art. 164 del d.lgs. nr. 490/99 ha recepito.
In conclusione, il principio di autonomia delle due tipologie di violazioni, evocato dall’Amministrazione appellante, va rettamente inteso nel senso che l’intervenuta sanatoria dell’abuso edilizio non fa ex se venir meno la potestà sanzionatoria per la diversa violazione paesaggistica, ma non anche che essa non spiega alcuna influenza sulla permanenza di quest’ultima; ne consegue che proprio il momento del rilascio della sanatoria costituisce il dies a quo della prescrizione della sanzione pecuniaria, ai sensi dell’art. 28 della legge nr. 689 del 1981.
L’opposto avviso, oltre a comportare – come detto – la sostanziale imprescrittibilità della sanzione pecuniaria de qua, si porrebbe in contrasto con fondamentali principi di matrice penalistica (come noto richiamati dalla ridetta legge nr. 689 del 1981 anche in materia di illeciti amministrativi), alla stregua dei quali la nozione di illecito a carattere permanente ovvero con effetti permanenti postula necessariamente, pena il configurarsi di una sorta di non ammissibile responsabilità oggettiva, che il responsabile dell’illecito conservi la possibilità di far cessare la permanenza dell’illecito stesso, ovvero di rimuoverne gli effetti.
5. L’acclarata infondatezza delle doglianze mosse dall’Amministrazione avverso le motivazioni poste a base dell’accoglimento del ricorso di primo grado, ritenute assorbenti delle ulteriori censure articolate dal ricorrente – tenuto conto altresì che queste ultime non sono state riproposte in grado di appello, stante la mancata costituzione dell’appellato – comportano la reiezione dell’impugnazione.
6. Non essendovi costituzione di controparte, non vi è luogo ad adottare alcuna determinazione in ordine alle spese di giudizio.
P. Q. M.
il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione IV, respinge l’appello.
Nulla per le spese.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 27 gennaio 2009 con l’intervento dei signori:
Armando POZZI - Presidente f.f.
Anna LEONI - Consigliere
Bruno MOLLICA - Consigliere
Salvatore CACACE - Consigliere
Raffaele GRECO - Consigliere, est.

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE F.F.
Raffaele Greco Armando Pozzi

IL SEGRETARIO
Rosario Giorgio Carnabuci
Depositata in Segreteria
Il 12/3/2009
(Art. 55, L. 27.4.1982, n. 186)
Per il / Il Dirigente
Dott. Giuseppe Testa