Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 5146, del 24 ottobre 2013
Beni Ambientali.L’avanzamento dei lavori non preclude al MIBAC di adottare un decreto per inibire la prosecuzione

La maggiore o minore compromissione di un’area meritevole di tutela paesaggistica (nella specie, per l’interesse archeologico) non preclude all’Autorità l’esercizio della tutela e così di impedirne l’ulteriore alterazione. La specifica norma dell’art. 153 del d.lgs. n. 490 del 1999 trae origine da una storicizzata disciplina (art. 8 della legge 29 giugno 1939, n. 1497; oggi continuata nell’art. 150 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42) che attribuisce al Ministero per i beni culturali ed ambientali il potere cautelare di salvaguardare l’integrità delle bellezze naturali anche prima del vincolo e nel corso di realizzazione dei lavori, sul presupposto che essi alterino o possano alterare irreversibilmente lo stato dei luoghi. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese).

N. 05146/2013REG.PROV.COLL.

N. 08566/2007 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8566 del 2007, proposto da
Ministero per i beni e le attività culturali, Soprintendenza archeologica per l’Etruria meridionale, in persona del Ministro pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

Batocchi Ruggero, rappresentato e difeso dagli avv. Giuseppe Lavitola e Irene Bellavia, con domicilio eletto presso Giuseppe Lavitola in Roma, via Costabella, 23;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA, SEZIONE II n. 8832/2006, resa tra le parti, concernente inibizione lavori edili in area sottoposta a vincolo.



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’appellato;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 luglio 2013 il Cons. Vito Carella e uditi per le parti gli avvocati Clemente e Bellavia;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

I.- In primo grado l’odierno appellato Batocchi Ruggero, proprietario di un suolo agricolo in località Montarana interessato dalla costruzione in corso di una casa colonica assentita dal comune di Tarquinia, con ricorso rubricato a r.g. n. 898/2001 ha impugnato il decreto ministeriale 20 settembre 2000, n. 1649 (notificato il 7 novembre 2000), con il quale era stata disposta ai sensi dell’art. 153 del d.lgs. n. 490 del 1999 l’inibizione cautelare dei detti lavori; la nota del Soprintendente datata 16 ottobre 2000 n. 11109, recante la proposta di vincolo paesaggistico in base all’art. 146, comma 1, lett. m) del citato decreto legislativo e la comunicazione di avvio del relativo procedimento; la nota del Soprintendente datata 13 settembre 2000, n. 9801 (citata nel d.m. 20 settembre 2000), e ha proposto domanda risarcitoria.

Egli, con successivo gravame annotato a r.g. n. 119/2002, ha domandato l’annullamento del decreto ministeriale 6 agosto 2001 (pubblicato nella G.U. del 15 ottobre 2001 n. 240), avente ad oggetto l’inclusione, ai fini paesaggistici, dell’area del Colle della Montarana fra le “zone di interesse archeologico”.

Il Tribunale amministrativo regionale, dopo aver concesso al ricorrente la misura cautelare della sospensione degli atti impugnati, con la sentenza qui oggetto di impugnazione, previa loro riunione, ha accolto i detti ricorsi e compensato le spese di giudizio, nel rilievo che, all’atto del decreto inibitorio, la proprietà del ricorrente non era interessata da alcun vincolo paesaggistico, neanche in itinere, e che i lavori erano pervenuti alla fase molto avanzata descritta nel ricorso, situazione di fatto tale da far assumere alla proposta e al sopravvenuto vincolo la configurazione di un tardivo presidio ad integrità del sito, in ingiustificata compressione delle legittime facoltà private.

II.- Con l’appello qui in esame il Ministero, a riforma della sentenza gravata, domanda che i ricorsi di primo grado siano respinti, deducendo due censure con cui viene contestato che, all'atto dell'emanazione del decreto inibitorio (datato 20 settembre 2000), non era stato avviato alcun procedimento di vincolo paesaggistico del compendio in questione, come è dimostrato dalla nota della Soprintendenza archeologica per l'Etruria meridionale prot. n. 9801 del 13 settembre 2000.

Esso ancora critica la sentenza nella misura in cui fa discendere, dall'avanzato stato dei lavori, l'illegittimità del provvedimento di sospensione, perché l’avanzamento dei lavori non preclude all'Amministrazione di adottare un decreto di inibizione alla loro prosecuzione (in disparte dall’acceleramento impresso ai lavori dal ricorrente, che era a conoscenza sin dal 23 giugno 2000 dell'esistenza di una proposta di vincolo in itinere, come da relazione della Soprintendenza archeologica per l'Etruria meridionale prot. n. 142 dell'11 gennaio 2002).

L’appellato Batocchi Ruggero, costituitosi in giudizio, con memoria depositata il 24 maggio 2013 ha opposto che i lavori sono iniziati sulla base della concessione edilizia n. 20 del 31 maggio 2000 e solo in data 7 novembre 2000 gli è stata notificata l’inibizione ministeriale adottata il 20 settembre 2000, cioè quando ad ottobre ormai erano state già completate le opere con la costruzione della copertura, trattandosi di una casa di appena 93 mq.; che la proposta di vincolo è del 16 ottobre 2000 e cioè successiva alla realizzazione edificatoria; che il Ministero non ha impugnato l’ordinanza cautelare del Tribunale amministrativo n. 2198/2001 di sospensione degli atti impugnati nel ricorso n. 898/2001; che nel 1997 una precedente proposta, di vincolo indiretto della zona, non venne accolta dagli organi centrali del Ministero: perciò, a suo dire, i lavori sono stati ultimati in assenza di qualsiasi vincolo, e che il vincolo paesaggistico è intervenuto addirittura un anno dopo; che l’appello è infondato in virtù del principio di irretroattività degli atti amministrativi.

III.- All’udienza del 2 luglio 2013 la causa é stata posta in decisione.

DIRITTO

1.- Nel presente giudizio sono oggetto di controversia l’inibitoria ministeriale datata 20 settembre 2000, ma notificata il susseguente 7 novembre 2000, relativa a lavori intrapresi in esecuzione della concessione edilizia assentita il 31 maggio 2000; la proposta di vincolo del 16 ottobre 2000 nonché il successivo decreto in data 6 agosto 2001, di assoggettamento dell’area a vincolo paesaggistico quale zona d’interesse archeologico.

Le parti anzitutto controvertono, in punto di fatto, sulla data di conseguita conoscenza da parte dell’appellato Batocchi Ruggero del procedimento di vincolo paesaggistico, riportandosi l’appellato al dato formale di adozione e notifica del provvedimento inibitorio (20 settembre 2000 e 7 novembre 2000) e l’Amministrazione alla situazione di fatto (incontro avvenuto il 23 giugno 2000 presso il museo) nonché a una postuma relazione della Soprintendenza archeologica per l'Etruria meridionale (prot. n. 142 dell'11 gennaio 2002), che non è riscontrabile agli atti processuali e comunque non incidente ai fini del giudizio.

Inoltre il Ministero appellante, al fine di individuare il momento di conoscenza e dunque di efficacia del vincolo paesaggistico, richiama la nota della Soprintendenza archeologica per l'Etruria meridionale prot. n. 9801 del 13 settembre 2000. Ma questa, oltre a costituire una semplice segnalazione (così è qualificata nel decreto di vincolo), si riallaccia alle precedenti vicende vincolistiche del 1997 (vincolo archeologico, limitato all’area sommitale dell’altura).

Alla luce di tali precisazioni, l’appello merita di essere accolto e la sentenza riformata nei termini che seguono, non trovando il contrasto risoluzione nella suesposta divergenza di date.

2.- Innanzitutto, va disatteso l’assunto dell’appellato, per il quale comunque non possono essere inibiti lavori che siano stati autorizzati e iniziati prima dell’imposizione del vincolo perché i vincoli paesaggistici non possono agire retroattivamente; e che invece l’ordine di sospensione dei lavori si sarebbe basato su un vincolo non ancora efficace.

Al riguardo - a parte la considerazione di base che il vincolo in questione non è di ordine amministrativo (e dunque efficace solo a completamento del suo procedimento), ma ex lege essendo espressamente basato sull’art. 146 (Beni tutelati per legge) del d.lgs. n. 490 del 1999, e che perciò il decreto ministeriale ha carattere meramente ricognitivo del perimetro, e non costitutivo, di un vincolo che già esiste per il semplice fatto dell’ubicazione del sito in un’area di interesse archeologico (cfr. Cons. Stato, VI, 12 novembre 1990, n. 951) - va comunque osservato che, ai sensi dell’art. 153 (Inibizione o sospensione dei lavori), comma 2, del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 (Testo unico dei beni culturali e ambientali, vigente all’epoca degli atti in questione), “Il provvedimento di inibizione o sospensione dei lavori incidenti su di un bene non ancora dichiarato e notificato di notevole interesse pubblico si intende revocato se entro il termine di novanta giorni non sia stata comunicata agli interessati la deliberazione della commissione provinciale di cui all'art. 140 o la proposta della soprintendenza prevista all'art. 144”.

Nella specie, dunque, non importa accertare in punto di fatto quale sia stata la data di conseguita effettiva conoscenza dell’inibitoria e della proposta di vincolo formulata dalla Soprintendenza archeologica, poiché l'affermato completamento delle opere a suo tempo assentite dal comune non era preclusivo dell'adozione della misura amministrativa cautelare prevista dal citato art. 153. Questa ha un suo proprio e distinto effetto, di ordine cautelare, anticipatorio degli effetti del vincolo, e che è di immediata valenza inibitoria di ogni ulteriore attività di alterazione dei luoghi, anche solo potenziale, anche se ad integrazione e completamento di quanto già eseguito (Cons. Stato, VI, 2 maggio 2005, n. 2057).

Nel caso concreto v’è di fatto coincidenza tra questa inibizione e la proposta di accertamento del vincolo; mentre, allo stare degli atti processuali, l’ultimazione lavori sembra sia avvenuta a marzo del 2003, ancorché in applicazione della misura cautelare giurisdizionale, a sua volta destinata ad essere assorbita e travolta dalla pronuncia di merito.

3.- Di conseguenza, non possono essere condivisi, tanto l’assunto del primo giudice (secondo cui la fase molto avanzata dei lavori avrebbe privato in radice la possibilità di assicurare l’integrità del sito), quanto le iniziali doglianze qui riproposte in opposizione dall’appellato (secondo cui nell’area interessata dai lavori non sarebbero state rinvenute tracce archeologiche dell’età del bronzo; il vincolo in parola comporta l’inedificabilità assoluta dell’area; la preesistenza di altre vicine costruzioni).

Su tali punti va solo richiamato il consolidato principio per il quale, in base a regole di buona amministrazione, la maggiore o minore compromissione di un’area meritevole di tutela paesaggistica (nella specie, per l’interesse archeologico) non preclude all’Autorità l’esercizio della tutela e così di impedirne l’ulteriore alterazione (cfr. ad es. Cons. Stato, VI, 28 agosto 1995, n. 820; II, 4 febbraio 1998, n. 3018/97; VI, 20 ottobre 2000, n. 5651; IV, 30 giugno 2005, n. 3547; VI, 29 novembre 2005, n. 6756).

La specifica norma dell’art. 153 del d.lgs. n. 490 del 1999 trae origine da una storicizzata disciplina (art. 8 della legge 29 giugno 1939, n. 1497; oggi continuata nell’art. 150 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42) che attribuisce al Ministero per i beni culturali ed ambientali il potere cautelare di salvaguardare l’integrità delle bellezze naturali anche prima del vincolo e nel corso di realizzazione dei lavori, sul presupposto che essi alterino o possano alterare irreversibilmente lo stato dei luoghi (Cons. Stato, VI, 8 luglio 1998, n. 1033).

4.- Per le considerazioni tutte innanzi sviluppate, l’appello va dunque accolto nei sensi precisati ed il ricorso di primo grado respinto nel suo complesso.

Sussistono tuttavia giusti motivi per compensare tra le parti le spese e gli onorari dei due gradi di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, a riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio (Roma) n. 8832 del 19 settembre 2006, respinge il ricorso di primo grado.

Compensa interamente tra le parti le spese di lite relative al doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 luglio 2013 con l'intervento dei magistrati:

Giuseppe Severini, Presidente

Aldo Scola, Consigliere

Vito Carella, Consigliere, Estensore

Claudio Contessa, Consigliere

Gabriella De Michele, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 24/10/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)