Tribunale di Tivoli sent.273 del 30 Maggio 2006
Est. Bucca Imp.Giardi ed altro
Beni Ambientali. Natura formale del reato paesaggistico e irrilevanza, ai fini autorizzatori, dell’approvazione di un progetto da parte dei partecipanti ad una conferenza di servizi


MOTIVAZIONE
L’impianto accusatorio, sottoposto alla verifica dibattimentale, si è rivelato fondato, sia pure nei limiti di cui oltre.
Le deposizioni rese dai testi Ricci Leonardo, Ciucci Fabrizio e Carlo Boldreghini, il verbale della “riunione di lavoro, organizzativa e di indirizzo” tenutasi il 30 ottobre 2002 nella sede dell’Agenzia Regionale per la Difesa del Suolo della Regione Lazio ( A.R.DI.S.), l’atto di convocazione alla conferenza di servizi indetta dalla predetta agenzia regionale per il giorno 27 giugno 2003, la nota riportante la data del 18 giugno 2003 trasmessa dall’A.R.DI.S. al Soprintendente ai Beni Architettonici e per il Paesaggio e per i Beni Storici Artistici del Lazio, il verbale della conferenza di servizio tenutasi il 20 giugno 2003 negli uffici dell’A.R.DI.S., il contratto di appalto intercorso il 25 giugno 2003 fra l’A.R.DI.S. e la C.I.M.A. S.r.l., le note datate 13 agosto, 15 settembre e 8 ottobre 2003 inviate dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio per il Lazio all’A.R.DI.S., il provvedimento di sospensione lavori adottato il 10 settembre 2003 dal Soprintendente per i Beni Architettonici e per il Paesaggio per il Lazio, la comunicazione di sospensione dei lavori inviata dall’A.R.DI.S. alla ditta C.I.M.A. S.r.l. il 12 settembre 2003, la nota datata 23 settembre 2003 inviata dall’A.R.DI.S. alla Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio del Lazio, l’atto di convocazione della Conferenza di Servizi in data 26 settembre 2003, il certificato di destinazione urbanistica datato 26 aprile 2004 rilasciato dal responsabile del Dipartimento tecnico del Comune di Subiaco, il verbale di sopralluogo in data 23 aprile 2004 e la documentazione fotografica versata in atti provano che la realizzazione dello scavo e delle strutture in cemento armato compiutamente descritti in imputazione in località Ponte S. Antonio, in agro del Comune di Subiaco, fu opera dalla C.I.M.A. S.r.l., società cui l’A.R.DI.S. aveva appaltato i lavori di “ricostruzione delle difese spondali in dx idraulica del fiume Aniene nei pressi del Ponte di San Antonio nel Comune di Subiaco”. Le medesime fonti di prova dimostrano che : Giardi Gaetano, all’epoca dirigente dell’A.R.DI.S., ricoprì la posizione di responsabile nell’ambito del procedimento amministrativo che precedette, affiancò e seguì la realizzazione dell’intervento incriminato;Peccolo Maurizio rivestì la carica di direttore dei lavori; l’area interessata dall’intervento, censita in catasto al fg. 29 p.lle 63 e 64, ricade in zona sottoposta al vincolo paesaggistico.
Venendo, quindi, al tema del profili penalistici connessi all’intervento descritto in imputazione, non par dubbio che la realizzazione del muro di contenimento e l’escavazione della trincea destinata ad accogliere il basamento delle ulteriori strutture in cemento armato previste nel progetto necessitasse del rilascio del nulla osta da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico. E difatti l’intervento prevedeva, si legge nella nota datata 29 dicembre 2003 a firma anche dell’ing. Gaetano Giardi, la rimozione delle gabbionate in pietrame esistenti e la delimitazione dell’alveo del fiume mediante la realizzazione di strutture in cemento armato comportanti fra l’altro l’abbattimento di “essenze arboree del tipo pioppaceo e saliceo“ (cfr. nota datata 5 dicembre 2002 a firma dell’ing. Gaetano Ciardi). Si è quindi in presenza di un intervento che avrebbe alterato in maniera significativa la conformazione fisica dell’area situata ai margine del corso d’acqua. A riprova di ciò è sufficiente sottolineare che la trincea di sottofondazione già realizzata era lunga m. 70 e larga 3,5 mentre la porzione del muro di contenimento costruito alla data di sospensioni dei lavori era lunga m.60, larga 0,40 ed aveva un’altezza compresa tra m 0,50 e m. 1,20. Va anche aggiunto, a confutazione dell’argomento difensivo prospettante il carattere non definitivo di alcune delle modificazioni apportate all’area dell’intervento, che, secondo la dottrina e la giurisprudenza ( cfr. Cass. Sez. III, 15 ottobre 1999, Di Tommaso, in Cass. pen., 2001, 625), il carattere temporaneo delle opere non sottrae le medesime al regime dell’autorizzazione paesaggistica ben potendo anche una alterazione temporanea dei luoghi concretizzare un danno ambientale seppur transitorio. Non appare pertanto revocabile in dubbio che l’intervento edilizio avesse una portata tale da poter, quanto meno, astrattamente incidere sull’assetto del paesaggio. Tanto basta per ritenere che la realizzazione dell’opera necessitasse del rilascio dell’autorizzazione prevista dall’allora vigente art. 151 D.l.vo 29 ottobre 1999 n. 490. Va infatti osservato come in giurisprudenza sia assolutamente pacifico il principio secondo cui anche dopo l’entrata del D.l.vo 29 ottobre 1999 n. 490, che ha sostituito le disposizioni di cui alla legge 431/85, la contravvenzione prevista per la realizzazione di lavori su beni ambientali senza la prescritta autorizzazione o in difformità ad essa abbia mantenuto la natura di reato di pericolo; sicché rimane esclusa la sanzionabilità soltanto di interventi non autorizzati di entità talmente minima da non porre luogo, neppure in astratto, al pericolo di un pregiudizio ai beni protetti. In proposito, per la chiarezza espositiva e per la particolare natura del fatto portato all’esame dei giudici, rappresentato dalla realizzazione “in zona sottoposta a vincolo paesaggistico ambientale, in totale difformità della concessione edilizia e senza la preventiva autorizzazione dell’ente preposto alla tutela del vincolo, di opere edili comportanti la modifica di destinazione del vano sottotetto da soffitta ad unità abitativa,nonché due finestre e di una porta finestra” , il percorso argomentativo sviluppato in una recente pronunzia della Corte di Cassazione ( Cass. Sez. III, 1° ottobre 2004, n. 38694, Canu). Recita la sentenza : “La giurisprudenza di questa Suprema Corte, invero, ha costantemente affermato, anche in tempi recenti, il principio secondo cui il reato di cui all'art. 163 del d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, così come quello di cui all'art. 1 sexies del d.l. 27 giugno 1985, n. 312, convertito dalla legge 8 agosto 1985, n. 431, ha natura di reato formale di pericolo che si consuma con la sola realizzazione di lavori, attività o interventi in zone vincolate senza la prescritta autorizzazione paesaggistica e prescinde dal verificarsi di un evento di danno e da ogni accertamento in ordine alla avvenuta alterazione, danneggiamento o deturpamento del paesaggio, essendo per la sua esistenza sufficiente che l'agente faccia, del bene protetto da vincolo paesaggistico, un uso diverso da quello cui esso è destinato o ponga in essere su di esso interventi astrattamente idonei a mettere in pericolo l'ambiente. E ciò perché il vincolo posto su certe parti del territorio nazionale ha una funzione prodromica al governo del territorio stesso. È pertanto sufficiente l'accertamento della mancanza del provvedimento amministrativo, ai fini della sua configurabilità (Sez. 3^, 28 febbraio 2002, Barbadoro,m.221.456; Sez. 1^, 31 agosto 2001, Fontana, m. 219.895; Sez. 3^, 26 giugno 2000, Gregori, m. 216.820; Sez. 3^, 14 febbraio 2000, Tommasi, m. 216.853; Sez. 6^, 24 luglio 1977, Stanzione, m. 209.282; Sez. 3^, 16 gennaio 1996, Re, m. 203.836; Sez. 3^, 12 luglio 1995, D'Emilio, m. 202.883; Sez. 3^, 30 giugno 1995, Montone, m. 202.702; Sez. 3^, 16 marzo 1994, Mastellone, m. 199.181; Sez. 3^, 27 gennaio 1994, Lambri, m. 197.592; Sez. 3^, 4 febbraio 1993, De Lieto, m. 193.636). Il legislatore ha infatti voluto che nelle zone paesaggisticamente vincolate vi sia in ogni caso un preventivo vaglio della autorità preposta alla tutela del vincolo e che il soggetto si astenga da qualsiasi intervento senza che detta autorità si sia espressa, dettando la norma incriminatrice proprio a tutela di questo interesse rappresentato dal necessario preventivo parere della autorità competente. Il reato in questione, invero, prescinde del tutto dalla verificazione di un concreto danneggiamento, o alterazione o deturpamento dell'ambiente e si realizza per il solo fatto di porre in essere un intervento che sia astrattamente e potenzialmente idoneo a porre in pericolo il bene ambientale e che, proprio per questa astratta e potenziale possibilità, può essere realizzato solo dopo previo il rilascio della prescritta autorizzazione. Il reato non è configurarle esclusivamente quando si tratti di un intervento sull'immobile di entità talmente minima che non sia neppure astrattamente idoneo a porre in pericolo il paesaggio e a pregiudicare il bene paesaggistico-ambientale, ossia che si tratti di un intervento ontologicamente estraneo al paesaggio ed all'ambiente (Sez. 3^, 3 marzo 2000, Faiola, m. 216.975; Sez. 3^, 26 novembre 1999, Gargiulo, m. 215.891; Sez. 3^, 2 ottobre 2001, Farà, m. 220.356; Sez. 3^, 17 marzo 1999, Zotti, m. 213.243). E difatti, il reato in esame, ha natura di reato di pericolo ed esclude dal novero delle condotte penalmente rilevanti soltanto quelle che si prospettano inidonee, pure in astratto, a compromettere i valori del paesaggio. L'interesse protetto dalla norma incriminatrice, pur dovendosi individuare nella tutela prodromica del paesaggio, non può peraltro logicamente prescindere da una sia pur minima possibilità di "vulnus" al bene tutelato. Pertanto la messa in pericolo del paesaggio deve concretarsi pur sempre in un nocumento potenziale, da valutarsi "ex ante", oggettivamente insito nella minaccia ad esso portata (Sez. 3^, 17 maggio 1998, Vassallo, m. 211.218; Sez. 3^, 17 dicembre 1998, Galimberti, m. 212.247)”.
Accertato pertanto che l’intervento necessitava del rilascio del nulla osta paesaggistico, resta da valutare se l’autorizzazione sia stata acquisita dall’amministrazione appaltante.
E’ parere dello scrivente che l’autorizzazione in parola non sia mai intervenuta.
E difatti nella riunione tenutasi il 30 ottobre 2002 presso la Sede dall’A.R.DI.S., riunione indetta per l’esame del progetto preliminare dell’intervento, venne convenuto : l’acquisizione al progetto “delle tavole di inquadramento generale di PTP e PRG del Comune, dello stralcio delle norme tecniche, nonché dell’elaborato con documentazione fotografica”; l’arretramento del filo del muro sino alla mezzeria dei gabbioni preesistenti; il successivo esame della realizzabilità della modifiche al progetto suggerite dal rappresentante del Canoanium Club.
A tutto voler concedere alla prospettazione difensiva si è quindi in presenza di una conferenza preliminare di servizi a cui avrebbe dovuto fare seguito, a norma del c. V dell’art. 14 bis L. 241/90, la trasmissione del progetto definitivo e la convocazione delle amministrazioni interessate ad una nuova conferenza di servizi tra il trentesimo giorno e il sessantesimo giorno dalla trasmissione.
Va quindi escluso che la mancata manifestazione di dissenso da parte dell’arch. Massimo D’Ippoliti, rappresentante dell’Assessorato all’Urbanistica e Assetto del Territorio e Tutela dell’Ambiente, alla riunione del 30 ottobre 2002, possa essere interpretato l’acquisizione al progetto del benestare dell’autorità preposta al vincolo paesaggistico. E di ciò era convinto anche l’ing. Giardi. E difatti l’imputato, nella nota del 18 giugno 2003, inviata al Soprintendente ai Beni Architettonici e per il Paesaggio del Lazio, lamentava che “Ufficio vincoli ex legge 531/85 e 1497/29 Della Regione Lazio” non si era ancora pronunziato sul progetto. Va anche aggiunto che anche il verbale della conferenza di servizi tenutasi il 20 giugno 2003 dà atto che il Dipartimento Urbanistica e Casa – Ufficio Vincoli ex legge 531/85 e 1497/29- della Regione Lazio non aveva espresso alcun parere circa il progetto che l’Agenzia era intenzionata a realizzare.
Può quindi ritenersi acclarato che sino al 19 giugno 2003 il progetto non aveva conseguito l’autorizzazione paesaggistica.
Il 20 giugno 2003 negli uffici dell’A.R.DI.S. si svolse una nuova conferenza di servizi alla quale venne invitata la Soprintendenza dei Beni Architettonici,organo non invitato alla conferenza preliminare del precedente 30 ottobre e sino ad allora rimasto estraneo al procedimento. Non fu invece data alcuna comunicazione della riunione al Dipartimento Urbanistica e Casa – Ufficio Vincoli ex legge 531/85 e 1497/29-.
E’ però opportuno sottolineare che l’atto di convocazione consegnato alla Soprintendenza indicava quale giorno previsto per la riunione il 27 giugno 2003. Il dato è infatti provato dalle copie dell’atto di convocazione custodite nel fascicolo dibattimentale rimaste inalterate e nella nota inviata dal Soprintendente all’A.R.DI.S. riportante la data del 13 agosto 2003. Non può però a questo punto essere sottaciuto che alcune della fotocopie dell’atto di convocazione confluite nel fascicolo dibattimentale presentano palesemente alterata la data fissata per la convocazione della Conferenza di Servizi: una mano ignota ha infatti, con un tratto di penna, modificato la data del 27 giugno in quella del 20 giugno.
E’ poi pacifico che il 20 giugno nessun rappresentante dalla predetta Soprintendenza o del Dipartimento Urbanistica e Casa – Ufficio Vincoli ex legge 531/85 e 1497/29- della Regione Lazio intervenne alla riunione.
Orbene, la tesi difensiva rappresenta che l’approvazione del progetto da parte dei partecipanti alla conferenza avrebbe reso non più necessaria l’acquisizione del parere degli organi preposti alla valutazione della compatibilità dell’intervento all’interesse paesaggistico tutelato dal vincolo gravante sull’area.
Tale conclusione non è però condivisa dallo scrivente il quale ritiene che le determinazione dei partecipanti alla riunione non valse a far acquisire il progetto l’autorizzazione degli organi preposti alla tutela paesaggistico territoriale. E ciò per i motivi di seguito esposti.
L’organo legittimato ad esprimere la valutazione di compatibilità ambientale era l’organo regionale già chiamato a partecipare alla conferenza di servizi del 30 ottobre 2002 e non già la Soprintendenza Beni Architettonici e per il Paesaggio del Lazio. E difatti proprio il modello procedimentale prescelto dall’ing. Giardi con l’indizione della conferenza preliminare del 30 ottobre 2002 e, successivamente, con quella del 20 giugno avrebbe consentito all’organo regionale preposto alla tutela del vincolo di poter legittimamente riservare la manifestazione di un motivato dissenso proprio nel corso della conferenza di servizi definitiva che sarebbe stata chiamata ad approvare il progetto. Non è quindi possibile configurare a carico del Dipartimento regionale incaricato della valutazione di compatibilità ambientale alcuna violazione del termine perentorio legittimante l’esclusione dalla conferenza di servizi del 20 giugno 2003. La pretermissione del Dipartimento costituisce quindi un primo profilo di illegittimità delle determinazioni assunte nel corso della conferenza di servizi del 20 giugno 2003.
Ma vi è di più. Si ipotizzi che il silenzio serbato dal Dipartimento sino al 10 giugno abbia reso legittima, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 151 D.lgs. 490/99, la convocazione della Soprintendenza in luogo del competente organo regionale. Orbene, anche a non voler valorizzare il fatto che la conferenza di servizi si tenne ben una settimana prima della data indicata nell’atto di convocazione inviato alla soprintendenza - circostanza peraltro già idonea a invalidare le determinazioni della conferenza di servizi-, confligge pur sempre con la rilevanza assegnata dai difensori alla mancata partecipazione della Soprintendenza la brevità del termine concesso per l’esame del progetto all’ufficio periferico del Ministero dei Beni culturali. E difatti la convocazione per la conferenza di servizi pervenne alla Soprintendenza solo nove giorni prima della data di svolgimento della conferenza di servizi mentre il progetto venne acquisito dalla medesima autorità appena sette giorni prima ( cfr. nota datata 13 agosto 2003 trasmessa dal Soprintendenza all’A.R.DI.S.). La disciplina invocata dalla difesa invece concede per l’esercizio del potere autorizzatorio statale un termine di sessanta giorni. Anche pertanto a voler ritenere che la convocazione alla conferenza della Soprintendenza in luogo del competente organo regionale abbia trovato legittimazione nella previsione normativa da ultimo citata, allora, come lamentato dal Soprintendente nella missiva in data 13 agosto 2003, le modalità ed i tempi della conferenza avrebbero dovuto essere tali da consentire comunque il rispetto del termine contemplato dall’ultimo comma dell’art. 151 D.lvo. 490/99.
Tali considerazioni portano pertanto a ritenere che la realizzazione dell’intervento non sia stata preceduta dal rilascio della necessaria autorizzazione paesaggistica.
Tale conclusione consente di configurare a carico del responsabile del procedimento, ing. Gaetano Ciardi, vero e proprio deus ex machina del procedimento amministrativo che portò alla realizzazione dell’intervento descritto in imputazione ad opera della C.I.M.A. S.r.l. il reato contravvenzionale contestato al capo a) dell’imputazione.
Non a eguale conclusione deve pervenirsi con riferimento alla posizione degli altri due imputati. E difatti, a parere dello scrivente, la natura pubblica dell’ente appaltante e l’indizione di due successive conferenze di servizi potevano legittimamente ingenerare nei confronti di soggetti rimasti estranei alla procedura di approvazione del progetto il convincimento che il necessario nulla osta paesaggistico fosse stato comunque acquisito. Va infatti osservato che, anche secondo la giurisprudenza amministrativa, la procedura disciplinata dagli art. 14 e ss. L. 241/90, se immune da profili di illegittimità, assorbe tanto il potere autorizzatorio regionale quanto quello statale di riesame dell’autorizzazione ( Cons. Stato,II, 6 febbraio 2002, n. 2457).Tanto basta per escludere a carico del Peccolo e del Rizzo, anche a voler assumere che quest’ultimo, così come esposto nel biglietto di visita versato in atti, fosse effettivamente il legale rappresentante ed amministratore unico della S.r.l. C.I.M.A. – il contratto di appalto attribuisce invece la carica in parola a D’Annunzio Luigi-,la sussistenza dei coefficienti psicologici integranti l’elemento soggettivo caratterizzante la violazione contestata al punto a) dell’imputazione.
Con riferimento al reato contestato al capo b), va osservato che l’istruttoria non ha permesso di accertare se l’intervento abbia comportato l’abbattimento di alberi ovvero, più in generale, l’immutazione in modo rilevante ed apprezzabile, anche sotto il profilo temporale, delle caratteristiche del luogo dell’intervento ( cfr. Cass., 10 marzo 1999, Cerise ed altro, riv. Pen, 1999, 672). Tanto basta per fondare l’adozione di un verdetto di assoluzione nei confronti di tutti gli imputati.
Non resta quindi che determinare la pena da irrogare a Giardi Gaetano. In applicazione dei criteri di cui all’art.133 c.p.,concesse le attenuanti generiche in considerazione dell’incensuratezza dell’imputato, appare congrua la pena di giorni dieci di arresto ed € 9000,00 di ammenda (pb. giorni quindici ed € 13.500,00, ridotta ex art. 62 bis cp).Segue per legge la condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali. L’incensuratezza dell’imputato consente di concedere la sospensione condizionale della pena e il beneficio della non menzione della condanna. Dalla condanna discende l’obbligo per l’imputato di riportare lo stato dei luoghi alla situazione esistente prima dell’intervento.
P.Q.M.
IL TRIBUNALE
Letti gli artt.533 e 535 c.p.p.
DICHIARA
Giardi Gaetano responsabile del reato contestato al capo a) e, concesse le attenuanti generiche, lo condanna alla pena di giorni dieci di arresto ed € 9.000,00 di ammenda, oltre che al pagamento delle spese processuali.Pena sospesa e non menzione;
letto l’art. 530 c. II cpp
ASSOLVE
Giardi Gaetano, Peccolo Maurizio e Rizzo Roberto dal reato contestato al capo b) perché il fatto non sussiste e Peccolo e Rizzo dal reato contestato al capo a) perché il fatto non costituisce reato. Riduzione in pristino dello stato dei luoghi a spese del condannato.
Tivoli, 22 maggio 2006
Il Giudice
(dr.Lorenzo Antonio Bucca)