Cass. Sez. III n.37470 del 2 ottobre 2008 (Ud. 26 giu. 2008)
Pres. De Maio Rel. Petti Ric. PG in proc. Stenico
Beni Culturali. Prescrizioni di tutela indiretta

Le prescrizioni imposte a tutela indiretta del bene vincolato non devono essere confuse con gli obblighi imposti con i vincoli diretti. Le prescrizioni a norma dell\'articolo 45 impongono, per ragioni d\'interesse pubblico, delle vere e proprie limitazioni al diritto di proprietà del singolo. Nel momento in cui la pubblica amministrazione ha motivato un vincolo indiretto di inedificabilità assoluta di alcune aree adiacenti al monumento direttamente vincolato al fine di conservare l\'integrità del fondale e la vista del bene, il proprietario dell\'area circostante non può apportare al suolo di suo proprietà alcuna modificazione in contrasto con la prescrizione. I divieti possono essere assoluti o relativi. Se il divieto è assoluto, l\'attività vietata non può essere svolta neppure con la preventiva autorizzazione amministrativa. Nessuno può ad esempio essere autorizzato ad aprire una cava nella zona di rispetto del Colosseo o a costruire rispettando le sole distanze previste dal codice civile. La natura istantanea o permanente del reato dipende dalla natura della condotta che offende il bene tutelato. Il vincolo di inedificabilità assoluta e il divieto assoluto di svolgere una determinata attività danno solitamente luogo a reati permanenti perché l\'offesa si protrae fino al ripristino della situazione ambientale precedente. Se invece trattasi di prescrizioni relative a limitazioni del diritto di edificazione, il quale potrebbe tuttavia essere esercitato previa autorizzazione preventiva dell\' autorità preposta alla tutela del bene il reato ha sì natura permanente, ma la permanenza cessa con l\'ultimazione dell\' opera. Il vincolo d\'immodificabilità della fascia di rispetto riguarda non solo le opere definitive ma anche quelle precarie, poste in essere sul bene o nelle immediate vicinanze di esso. L\'articolo 20 del codice Urbani vieta l\'uso di un bene culturale non compatibile con il suo carattere.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. DE MAIO Guido - Presidente - del 26/06/2008
Dott. CORDOVA Agostino - Consigliere - SENTENZA
Dott. PETTI Ciro - Consigliere - N. 1650
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. MARINI Luigi - Consigliere - N. 6943/2008
ha pronunciato la seguente:



SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Procuratore Generale presso la Corte d\'appello di Trento;
nonché dal difensore di:
Stenico Flavio, nato a Trento il 30 dicembre del 1959;
avverso la sentenza della Corte d\'appello di Trento del 28 novembre del 2007;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Ciro Petti;
sentito il Sostituto Procuratore Generale nella persona del Dott. Salzano Francesco, il quale ha concluso per l\'accoglimento del ricorso del P.G. ed il rigetto del ricorso dell\'imputato;
udito il difensore avv. D\'Angelo Nicola, il quale ha concluso per l\'accoglimento del ricorso dell\'imputato ed il rigetto di quello del Procuratore Generale;
letti i ricorsi e la sentenza denunciata.
Osserva quanto segue:
IN FATTO
Con sentenza del 28 novembre del 2007, la Corte d\'appello di Trento dichiarava non doversi procedere nei confronti di Stenico Flavio, in ordine al reato ascrittogli, perché lo stesso si era estinto per prescrizione.
Al predetto era stata contestata la violazione di cui all\'art. 172 del Codice dei Beni Culturali perché, senza l\'autorizzazione della Sovrintendenza, in Fornace (TN), in zona sottoposta a vincolo indiretto,aveva mantenuto un\' attività di lavorazione del porfido per le esigenze della quale aveva spianato il terreno, alterando anche le quote naturali dello stesso, modificato i muri di sostegno del terreno stesso costituiti da grossi blocchi in c.l.s., accatastato alti cumuli di materiale porfirico da lavorare e cumuli di pallet ed altri contenitori, in cui depositava il materiale lavorato, nonché realizzato sulla pp.ff. 834/2, 834/3, 835/1 un\'ampia tettoia, sulla p.f. 835/2 un manufatto costituito da una copertura a servizio dell\'attività estrattiva, sulle pp.ff. 835/1 e 834/4 un manufatto in legno ad uso uffici amministrativi, sulle pp.ff. 835/1 e 835/2 un prefabbricato in lamiera.
La Corte d\'Appello, nel dichiarare estinto il reato per prescrizione, riteneva che non sussistessero gli elementi per una formula di proscioglimento piena nel merito. In particolare osservava che la legislazione e regolamentazione statali in materia di beni storico - culturali fossero applicabili anche quando i terreni erano compresi nelle aree estrattive, difettando nella normativa provinciale di settore una norma che ne escludesse espressamente l\'operatività. Pertanto gli interventi contestati non potevano essere considerati legittimamente realizzati con la sola autorizzazione del sindaco previo parere favorevole del comitato tecnico interdisciplinare, essendo necessaria anche l\'autorizzazione della Sovrintendenza. In sostanza la Corte territoriale riteneva che non fosse venuto meno il "vincolo", di natura storico-culturale sulle particelle fondiarie oggetto di giudizio,imposto con la Delib. Giunta Provinciale di Trento del 20 marzo 1981, per effetto della avvenuta successiva inclusione delle stesse nel piano provinciale per le sostanze minerali di cui alla L.P. n. 6 del 1980, in quanto mancherebbe nella L.P. 27 dicembre 1975, n. 55, ovvero nelle disposizioni in materia di tutela e conservazione del patrimonio storico, artistico e popolare, una previsione normativa analoga a quella di cui alla successiva L.P. n. 1 del 2003, art. 1 che ha sostituito la L.P. n. 55 del 1975 o comunque una norma che escludesse l\'applicabilità della legislazione statale in materia di beni culturali quando fosse diversamente disposto da norme provinciali di settore.
Precisava infine che il reato si era prescritto perché la permanenza era cessata con il completamento delle opere risalente a data sicuramente anteriore al 2000.
La sentenza è stata impugnata sia dal procuratore generale presso la Corte d\'appello di Trento che dal difensore.
Il primo deduce la violazione dell\'art. 158 c.p. per l\'errata applicazione della prescrizione sulla premessa che quello in questione non sia un reato permanente o comunque che la permanenza cessi con il completamento dell\'opera,invece si protrae anche successivamente.
Il secondo lamenta:
la violazione della L.P. 27 dicembre 1975, n. 55, L.P. n. 1 del 2003, L.P. n. 22 del 1991, L.P. n. 6 del 1980 e L.P. n. 1 del 2006 del D.P.R. n. 670 del 1972 e D.P.R. n. 48 del 1973 nonché della Delib. Giunta Provinciale del 1982; assume che la provincia di Trento avrebbe competenza esclusiva in materia di tutela dei beni storici ed artistici e che in epoca successiva all\'imposizione del vincolo, con Delib. 23 agosto del 1982, le particelle a suo tempo vincolate erano state comprese nel Piano Provinciale per le sostanze minerali dando alle stesse una destinazione incompatibile con l\'imposizione del vincolo; inoltre il fatto risale al 2005 e, quindi, si sarebbe verificato sotto la vigenza della L.P. n. 1 del 2003: quindi la normativa applicabile non era la L.P. n. 55 del 1975 bensì la L. n. 1 del 2003; pertanto per gli interventi di trasformazione urbanistica ricadenti nelle aree estrattive non è prevista la necessità dell\'autorizzazione della Sovrintendenza, bensì solo del Comitato tecnico Interdisciplinare;
mancanza e contraddittorietà della motivazione per avere la Corte omesso di motivare sul fatto che alcuni interventi contestati erano stati autorizzati dalla Giunta provinciale, organo che fino al 2003 era competente a rilasciare l\'autorizzazione in materia di tutela del patrimonio artistico e successivamente dal Comitato tecnico Interdisciplinare, limitandosi a rilevare che la sola autorizzazione del sindaco non era sufficiente; invece, se avesse valutato la circostanza anzidetta, avrebbe dovuto prosciogliere l\'imputato per l\'insussistenza del fatto, in quanto tutti gli interventi erano anteriori al 2003 ed erano stati autorizzati; inoltre la Corte aveva illogicamente ritenuto che tutti gli interventi fossero stati effettuati dopo l\'imposizione del vincolo;
mancanza e contraddittorietà della motivazione sull\'elemento soggettivo del reato.
IN DIRITTO
Entrambi i ricorsi vanno respinti perché infondati. L\'art. 172 del codice dei beni culturali sanziona l\'inosservanza delle prescrizioni amministrative, dettate a tutela indiretta di un determinato bene culturale, imposte a norma dell\'art. 45 del codice Urbani (già L. n. 1089 del 1939, art. 46 della), il quale prevede che il Ministro, anche su proposta del soprintendente, ha facoltà di prescrivere le distanze, le misure e le altre norme dirette a evitare che sia messa in pericolo l\'integrità delle cose immobili soggette alle disposizioni di tutela dei beni culturali, ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro. Le specifiche prescrizioni possono riguardare sia il bene in sè considerato che le aree ad esso circostanti determinandone l\'immodificabilità assoluta ovvero ponendo limitazioni alla modificabilità.
L\'oggetto della tutela del vincolo indiretto è sempre il bene principale che deve essere già stato precedentemente vincolato. Il vincolo indiretto presuppone quello diretto ed è di completamento poiché ha la funzione di completare la fruizione e la tutela del bene principale.
In tal senso è anche la giurisprudenza amministrativa sulla previgente norma che ha dichiarato illegittimo il decreto del ministro per i beni culturali e ambientali con il quale è stato posto il vincolo indiretto di inedificabilità assoluta, a tenore della L. 1 giugno 1939, n. 1089, art. 21, su un\'area che non era stata preventivamente gravata da vincolo diretto, stante la natura strumentale del vincolo di cui all\'art. 21 (Tar Toscana 17 gennaio 1991 n. 5, Consiglio di Stato sez. 6, 2 novembre 1998 n. 1479). Il provvedimento d\'imposizione del vincolo non ha un contenuto tipico ma varia in relazione al monumento da tutelare e può prevedere anche l\'inedificabilità assoluta ed inderogabile entro la fascia di rispetto.
Le prescrizioni una volta divenute definitive vanno trascritte nei registri immobiliari e sono vincolanti per tutti i successivi proprietari dei beni (art. 47).
Esse a norma dell\'art. 45, una volta adottate e notificate, sono immediatamente percettive. Gli enti pubblici interessati le devono recepire negli strumenti urbanistici.
L\'eventuale edificazione della zona circostante prima dell\'imposizione del vincolo non esclude la necessità di evitare ulteriori compromissioni e, perciò, essa non è idonea a fare ritenere illegittima l\'imposizione del vincolo(Consiglio di Stato sez. 6,20 maggio 1988 n. 706, Cons. Stato sez. 6, 9 aprile 1998 n. 460).
Dalla normativa dianzi richiamata discende che le prescrizioni imposte a tutela indiretta del bene vincolato non devono essere confuse con gli obblighi imposti con i vincoli diretti. Le prescrizioni a norma dell\'art. 45 impongono, per ragioni d\'interesse pubblico, delle vere e proprie limitazioni al diritto di proprietà del singolo. Nel momento in cui la pubblica amministrazione ha motivato un vincolo indiretto di inedificabilità assoluta di alcune aree adiacenti al monumento direttamente vincolato al fine di conservare l\'integrità del fondale e la vista del bene,il proprietario dell\'area circostante non può apportare al suolo di suo proprietà alcuna modificazione in contrasto con la prescrizione. I divieti possono essere assoluti o relativi. Se il divieto è assoluto, l\'attività vietata non può essere svolta neppure con la preventiva autorizzazione amministrativa. Nessuno può ad esempio essere autorizzato ad aprire una cava nella zona di rispetto del Colosseo o a costruire rispettando le sole distanze previste dal codice civile.
La natura istantanea o permanente del reato dipende dalla natura della condotta che offende il bene tutelato.
Il vincolo di inedificabilità assoluta e il divieto assoluto di svolgere una determinata attività danno solitamente luogo a reati permanenti perché l\'offesa si protrae fino al ripristino della situazione ambientale precedente. Se invece trattasi di prescrizioni relative a limitazioni del diritto di edificazione, il quale potrebbe tuttavia essere esercitato previa autorizzazione preventiva dell\'autorità preposta alla tutela del bene, non v\'è ragione per adottare, a parità di condotta, un orientamento diverso da quello adottato da questa sezione in materia di tutela dei beni paesaggistici ossia in materia di vincoli diretti.
In tali casi il reato ha si natura permanente, ma la permanenza cessa con l\'ultimazione dell\'opera (cfr. per tutte Cass. 30 aprile del 2003, rv. 225385).
Nella fattispecie il pubblico ministero, pur contestando violazione del vincolo indiretto non ha indicato la specifica prescrizione che sarebbe stata violata (si è precedentemente chiarito che le prescrizioni hanno un contenuto vario fino a giungere alla limitazione massima che è costituita dall\'immodificabilità assoluta del suolo adiacente al monumento) e più precisamente non ha precisato se trattatasi di vincolo assoluto e inderogabile o di vincolo derogabile previa autorizzazione preventiva. Anzi, avendo fatto riferimento a costruzioni ed a modificazioni dell\'ambiente senza la preventiva autorizzazione, ha lasciato intendere che il divieto era derogabile previa autorizzazione dell\'autorità preposta alla tutela del bene e, quindi, che non si trattava di prescrizioni assolute ed inderogabili. Pertanto legittimamente la Corte territoriale, in base alla giurisprudenza di questa sezione, ha ritenuto che il fatto nei termini in cui era stato contestato (costruzione in zona vincolata senza il nulla osta dell\'autorità preposta alla tutela del vincolo) configurasse si un reato permanente, ma per il quale la permanenza era cessata con il completamento dell\'opera.
Le sentenze di questa Corte citate dal requirente si riferiscono a fatti diversi da quello formalmente contestato nel capo d\'imputazione. Invero la decisione n. 6295 del 1997 riguarda la rimozione,senza la preventiva autorizzazione, di un bene culturale mobile (i vincoli indiretti riguardano solo i beni immobili). In tale caso questa sezione ha ritenuto che la condotta antigiuridica non si esaurisse con la rimozione del bene mobile, ma si perpetuasse fino alla restituzione dello stesso.
La decisione n. 9860 del 1995 aveva ad oggetto l\'inosservanza di una prescrizione di immodificabilità assoluta della zona di rispetto e riguardava la condotta di un sindaco, il quale, benché più volte diffidato, non aveva rimosso le opere precarie che erano state sistemate nella zona protetta.
Nella fattispecie anzidetta. che l\'impugnante riconosce essere simile a quella in esame, ed in effetti lo è, non si era però contestata la costruzione di un manufatto senza l\'autorizzazione come nella fattispecie, ma l\'inosservanza del divieto di assoluto di modificabilità.
Nell\'ipotesi di violazione del vincolo indiretto, il reo risponde per il semplice fatto di avere violato la prescrizione e non per il fatto di non avere chiesto l\'autorizzazione preventiva che, nelle ipotesi di divieti assoluti di modificabilità ,non può essere rilasciata. Il magistrato requirente, pur richiamando l\'art. 172 del codice Urbani, ha in realtà contestato un fatto assimilabile alla violazione di un vincolo diretto, il quale, quando si tratta di costruzioni assentibili con autorizzazione, da luogo sì ad un reato permanente, ma per il quale la permanenza cessa con il completamento dell\'opera.
Probabilmente il magistrato requirente è stato tratto in errore dalla nota della Soprintendenza del 24 gennaio del 2005 nella quale si denunciava la violazione del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 21, il quale si riferisce essenzialmente ai vincoli diretti ossia alla tutela del bene culturale di per sè e non alle imposizioni imposte ai proprietari dei fondi vicini ossia ai vincoli indiretti e indica comunque le opere che possono essere eseguite (sui beni culturali e non nelle vicinanze) con autorizzazione tra le quali non è compresa la violazione del divieto di immodificabilità assoluta dei luoghi. Alla stregua delle considerazioni svolte il ricorso del procuratore generale va respinto perché legittimamente la Corte ha ritenuto che il fatto, nei termini in cui era stato contestato, si era prescritto. Uguale sorte merita quello del prevenuto perché dalla sentenza impugnata non emerge l\'esistenza di una causa di proscioglimento più favorevole della declaratoria di estinzione del reato. Invero in presenza della causa estintiva della prescrizione l\'obbligo della declaratoria di una più favorevole causa di proscioglimento ex art. 129, comma 2 da parte della Suprema Corte richiede il controllo unicamente della sentenza impugnata ed eventualmente di specifici atti allegati al ricorso, non potendo la Corte di legittimità accedere al fascicolo processuale se non viene dedotto il mezzo d\'annullamento di cui all\'art. 606 c.p.p., lett. c). Quindi questa Corte non può svolgere accertamenti fattuali per valutare la fondatezza di determinate tesi e non può valutare censure relative a presunte carenze motivazionali perché, quand\'anche fossero fondate, implicherebbero un annullamento con rinvio che è incompatibile con il principio che impone l\'immediata declaratoria di estinzione del reato. Deve quindi limitarsi a verificare se in base alla sentenza impugnata risulti evidente la sussistenza di una causa di proscioglimento più favorevole della declaratoria di estinzione. Tale evidenza non esiste non solo e non tanto perché essa sarebbe difficilmente compatibile con due pronunce di conferma della sussistenza del reato, ma anche e soprattutto perché è errata la premessa di fondo del ragionamento del ricorrente. Come già chiarito dalla Corte di merito, nella legislazione locale, non esiste alcuna norma che abbia esplicitamente escluso il vincolo riguardante il bene in questione. Il difensore però sostiene che la Giunta provinciale con la Delib. 23 agosto del 1982, dopo avere recepito qualche mese prima le prescrizioni imposte dal Ministero su alcune particelle adiacenti il monumento, includendo quelle medesime particelle nel Piano Provinciale per le sostanze minerali, aveva impresso ad esse una destinazione incompatibile con quella precedente. L\'assunto non è fondato.
Il vincolo in esame, come sopra chiarito, configurando una limitazione del diritto di proprietà che va trascritto nei registri immobiliari, richiedeva un\'esclusione esplicita. D\'altra parte, l\'inclusione di quelle particelle in una più vasta area destinata a sfruttamento minerario non significava automatica eliminazione del vincolo, peraltro recepito dall\'autorità provinciale alcuni mesi prima della deliberazione del Piano, ma solo che quelle particelle avevano un\'astratta vocazione mineraria, attività questa che comunque doveva essere esercitata nel rispetto della legge e dei limiti imposti ai fondi interessati dal potenziale sfruttamento minerario.
La riprova della persistenza del vincolo anche dopo tale delibera si trae dalla documentazione allegata allo stesso ricorso. Con la nota del 24 gennaio del 2005 il dirigente la Soprintendenza di Trento informava l\'attuale ricorrente di avere avviato nei suoi confronti procedimento per l\'eventuale adozione delle sanzioni di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 160, e contemporaneamente informava l\'autorità giudiziaria dell\'esecuzione di opere in assenza di autorizzazione. Se il vincolo fosse stato implicitamente escluso dalla formulazione del Piano Minerario non avrebbe avuto senso da parte della stessa autorità preposta alla sua tutela di avviare il procedimento per l\'irrogazione delle sanzioni ed informare l\'autorità giudiziaria. Anche il richiamo ad autorizzazioni rilasciate dall\'autorità comunale previo parere del comitato tecnico non è pertinente, sia perché i vincoli di inedificabilità assoluta non potevano essere derogati, sia perché, come risulta dalla stessa documentazione allegata al ricorso, le autorizzazioni alle quali ha fatto riferimento il difensore, erano state si rilasciate ma sulla premessa che trattavasi di opere precarie ed a condizione che fossero immediatamente rimosse dopo la precaria utilizzazione. Nella fattispecie trattasi di opere tutt\'altro che precarie tanto è vero che per alcune di esse è stato persino avanzata domanda di sanatoria.
Questa però può essere chiesta per le opere stabili, non realizzate in zone vincolate, e non per quelle precarie che non devono essere sanate proprio perché precarie.
D\'altra parte secondo l\'orientamento della giurisprudenza di legittimità di questa Corte del Consiglio di Stato, il vincolo d\'immodificabilità della fascia di rispetto riguarda non solo le opere definitive ma anche quelle precarie , poste in essere sul bene o nelle immediate vicinanze di esso. L\'art. 20 del codice Urbani vieta l\'uso di un bene culturale non compatibile con il suo carattere. Questa Corte ha ritenuto configurabile il reato di cui alla L. n. 1089 del 1931, art. 59, nel comportamento di un soggetto che aveva realizzato un chiosco provvisorio per la vendita di souvenir nel portico della Basilica di Aquileia (Cass. sez. 3, 14 febbraio 1996 rv. 204570; Cass. Sez. 3, n. 632 del 1985). Il Consiglio di Stato con sentenza del 15 aprile del 1989 n. 425 ha ritenuto legittimo il provvedimento con cui nelle vicinanze di ruderi, si erano vietati scavi, pascolo, bivacchi e collocazione di elementi mobili provvisori potenzialmente idonei a danneggiare in modo diretto o indiretto il bene tutelato.
Infine va rilevato che il ricorso del procuratore generale è stato respinto non per la sua infondatezza, ma per una questione formale relativa alla contestazione, in quanto non era stata contestata la violazione della prescrizione d\'immodificabilità dei suoli bensì la costruzione senza la preventiva autorizzazione dell\'autorità preposta alla tutela del vincolo. L\'inosservanza di una prescrizione di inedificabilità assoluta pronunciata a norma dell\'art. 45 del codice Urbani da luogo ad un reato permanente perché l\'offesa del bene ossia l\'impedimento della sua visuale si perpetua sino a quando esiste il manufatto che la impedisce e l\'opera abusiva non può essere autorizzata ne\' successivamente sanata.
P.Q.M.
La Corte Letto l\'art. 616 c.p.p..
Rigetta il ricorso dell\'imputato e lo condanna al pagamento delle spese processuali; rigetta altresì il ricorso del Procuratore Generale.
Così deciso in Roma, il 26 giugno 2008.
Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2008