Consiglio di Stato Sez. II n.6267 del 12 luglio 2024 
Beni culturali.Atto impositivo di vincolo

L’atto che impone un vincolo (archeologico, artistico, storico, ecc.) non può essere assimilato ad un atto di natura regolamentare: con esso non sono introdotte norme giuridiche, ma si rende applicabile la disciplina prevista dalla legge ai beni che ne costituiscono l’oggetto. L’atto che impone un tale vincolo è immediatamente lesivo ed impugnabile, anche quando si tratta di un atto che conforma una pluralità di beni. Quando l’atto di imposizione del vincolo è divenuto inoppugnabile (per la mancata tempestiva impugnazione del soggetto legittimato), la sua legittimità non può essere posta in contestazione, in occasione della impugnazione di provvedimenti ulteriori, basati sulla esistenza del vincolo, da cui la necessità dell’immediata impugnazione dell’atto che appone il vincolo.

Pubblicato il 12/07/2024

N. 06267/2024REG.PROV.COLL.

N. 06912/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6912 del 2020, proposto da
Ambiente Guidonia S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Avilio Presutti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Regione Lazio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Elisa Caprio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per Le Province di Frosinone Latina e Rieti, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

nei confronti

Comune di Guidonia Montecelio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Xavier Santiapichi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 8825/2020.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 3 luglio 2024 il Cons. Giordano Lamberti e udito l’avvocato Laudani Marco;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1 – Con autorizzazione integrata ambientale (AIA), rilasciata dalla Regione Lazio alla dante causa dell’appellante nel 2010, era stato autorizzato un impianto a trattamento meccanico biologico (TMB) sito nel Comune di Guidonia Montecelio.

2 - La Soprintendenza nel 2014 ha ordinato la sospensione dei lavori ai sensi dell’art. 150 del d.lgs. 42/04, poiché l’AIA non sarebbe stata preceduta dall’autorizzazione con riguardo al vincolo archeologico che interesserebbe l’area.

2.1 – L’appellante ha impugnato tale provvedimento avanti il Tar per il Lazio che, in sede cautelare, ne ha rilevato l’inefficacia, in quanto non seguito nel termine di legge dall’avvio del procedimento di dichiarazione di pubblico interesse ai sensi del citato art. 150.

2.2 - La Soprintendenza, con un successivo atto, ha ritenuto l’AIA comunque invalida. Anche tale atto, a seguito dei motivi aggiunti proposti dalla società, è stato interinalmente giudicato inefficace dal Tar in fase cautelare.

3 - La posizione della Soprintendenza ha indotto ad approvare una modifica non sostanziale dell’AIA, facendo retrocedere l’impianto di circa 100 metri, al fine di evitare le interferenze con il vincolo archeologico.

3.1 – Tale determinazione è stata impugnata avanti il Tar per il Lazio da associazioni ambientaliste, che la ritenevano illegittima a causa della invalidità dell’AIA originaria; il Tar adito ha rigettato i relativi ricorsi.

4 - La Soprintendenza ha quindi avviato nel 2015 il procedimento di individuazione dell’”Inviolata” quale area di interesse ai sensi dell’art. 142, comma 1, lett. m) d.lgs. 42/04. Tale procedimento si è concluso con il decreto del 16 settembre 2016.

Tali atti sono stati impugnati con motivi aggiunti dall’appellante.

5 – Nelle more la Regione, con la delibera relativa al procedimento di modifica non sostanziale dell’AIA del 2010 innanzi richiamata, aveva reputato opportuno, al fine di sciogliere definitivamente il nodo della legittimità dell’AIA del 2010, indire una conferenza di servizi per il riesame-rinnovo dell’AIA oltre il termine di proroga ex lege indicato dal d.lgs. 46/14.

5.1 - A causa del dissenso della Soprintendenza, ferma sulla posizione iniziale relativa alla illegittimità dell’AIA del 2010, la decisione è stata rimessa alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ai sensi dell’art. 14 quater della l. 241 del 1990.

Quest’ultima, con delibera del 22 dicembre 2017, si è pronunciata a favore del rinnovo fino al 31 dicembre 2024, originando la conforme determina del 15 gennaio 2018 della Regione Lazio.

5.2 – Tale atto è stato impugnato da alcune associazioni e dal Comune di Guidonia Montecelio.

6 – Il Tar adito, con la sentenza indicata in epigrafe, ha dichiarato: - improcedibile il ricorso principale e il primo ricorso con motivi aggiunti proposti avverso gli ordini di sospensione dei lavori relativi all’impianto per sopravvenuta carenza di interesse; - inammissibili gli ulteriori motivi aggiunti avverso il vincolo apposto con il decreto della Soprintendenza del 2016.

7 – Avverso tale pronuncia ha proposto appello l’originaria ricorrente, deducendo l’erronea declaratoria di improcedibilità del terzo atto di motivi aggiunti.

L’appellante, a sostegno della sussistenza dell’interesse a ricorrere, rileva che l’impianto opera in forza di provvedimenti (cd. AIA) che hanno durata cadenzata nel tempo, sicché il ricadere in un’area (illegittimamente) vincolata non è affatto circostanza irrilevante. La prova sta nell’atto di rinnovo dell’AIA del 6 luglio 2020 che, data l’esistenza del vincolo, pretenderebbe di consentirne l’esercizio per solo quattro anni.

8 – In via preliminare, deve essere disattesa l’istanza di rinvio della discussione, dal momento che il presente giudizio ha ad oggetto la sola impugnazione del vincolo apposto dalla Soprintendenza e non gli ulteriori atti che riguardano in modo specifico l’impianto dell’appellante, sicché non pare sussistere una connessione con gli altri giudizi pendenti tale da giustificare il rinvio della trattazione del ricorso, in vista di una loro eventuale riunione.

9 – L’appello è fondato per le ragioni di seguito esposte.

Indipendentemente dalle sorti dell’AIA, la cui proroga secondo il Giudice di primo grado avrebbe comportato il venir meno dell’utilità della decisione, deve invece ritenersi che sussiste comunque l’interesse della società ad impugnare il provvedimento che ha apposto il vincolo sull’area sulla quale esercita la propria attività economica.

Sul piano generale, la giurisprudenza ha già avuto modo di precisare che l’atto che impone un vincolo (archeologico, artistico, storico, ecc.) non può essere assimilato ad un atto di natura regolamentare: con esso non sono introdotte norme giuridiche, ma si rende applicabile la disciplina prevista dalla legge ai beni che ne costituiscono l’oggetto. L’atto che impone un tale vincolo è immediatamente lesivo ed impugnabile, anche quando si tratta di un atto che conforma una pluralità di beni. Quando l’atto di imposizione del vincolo è divenuto inoppugnabile (per la mancata tempestiva impugnazione del soggetto legittimato), la sua legittimità non può essere posta in contestazione, in occasione della impugnazione di provvedimenti ulteriori, basati sulla esistenza del vincolo (cfr. Cons. St. 2507/2017), da cui la necessità dell’immediata impugnazione dell’atto che appone il vincolo.

Nello specifico, inoltre, la sussistenza di un interesse attuale all’impugnazione del decreto di vincolo risulta confermata dalle prescrizioni in esso contenute, che paiono rivolgersi direttamente all’appellante, come di seguito meglio spiegato.

9.1 – Deve essere disattesa anche l’eccezione di inammissibilità del ricorso avverso il decreto di apposizione del vincolo, in quanto, secondo il Ministero, avrebbe dovuto essere oggetto di impugnazione autonoma a non di motivi aggiunti. Invero, in fatto, si osserva che il decreto di vincolo è solo l’ultimo di una serie di atti emessi dalla Soprintendenza atti ad incidere sull’impianto dell’appellante, impugnati con il ricorso originario.

In ogni caso, l’eventuale proposizione di un autonomo ricorso doveva ritenersi una mera facoltà per la ricorrente, che non vale a rendere inammissibile l’impugnazione tramite i motivi aggiunti nel giudizio già incardinato (cfr. Cons. St., Sez. V, 20 dicembre 2013, n. 6131).

10 – L’accoglimento dell’appello ed il rigetto dell’eccezione preliminare riproposta dal Ministero implicano la necessità di esaminare i motivi di ricorso avverso l’atto impugnato, non esaminati dal Tar e riproposti con l’atto di appello nei seguenti termini:

- violazione degli artt. 7 e 8 della legge 241/1990 e violazione del principio del contraddittorio procedimentale;

- eccesso di potere per sviamento, illogicità, irragionevolezza, contraddittorietà e ingiustizia manifesta – carenza e/o contraddittorietà dei presupposti – violazione della legge regionale 17 febbraio 2009 – violazione del d.lgs. 36/2003 – violazione della direttiva 1999/31/CEE - violazione del Decreto del Commissario ad acta n. 93/2007 – violazione della D.D. Regione Lazio del 2 agosto 2010, prot. 1869;

- eccesso di potere per sviamento, travisamento, illogicità, irragionevolezza, contraddittorietà e ingiustizia manifesta – carenza e/o difetto di motivazione - carenza e/o contraddittorietà dei presupposti;

- eccesso di potere per sviamento – carenza e/erroneità dei presupposti - difetto e contraddittorietà della motivazione - violazione e/o falsa applicazione della disciplina vincolistica – violazione e/o falsa applicazione dell’art. 136, comma 1, lettere c) e d) del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 – violazione e/o falsa applicazione del PTPR del 2008;

- violazione e/o falsa applicazione del P.T.P.R. del 2008 – violazione e/o falsa applicazione della legge regionale 17 febbraio 2005, n. 9 – incompetenza - eccesso di potere per sviamento, illogicità e travisamento;

- erroneo sindacato in ordine agli interessi pubblici – violazione del principio dell’equo contemperamento degli interessi pubblici - eccesso di potere per sviamento, illogicità, irragionevolezza e ingiustizia manifesta.

11 – Appare prioritario l’esame del primo motivo – suscettibile di assorbire le ulteriori censure - con il quale la società deduce la violazione del contraddittorio procedimentale.

A tal fine prospetta che, considerata la peculiare posizione della Ambiente Guidonia che gestisce l’impianto TMB (anche a fronte dei contenziosi pendenti e delle ordinanze cautelari pronunciate nel corso del presente giudizio), il MIBACT avrebbe dovuto adeguatamente comunicare alla ricorrente l’avvio del procedimento finalizzato alla dichiarazione di notevole interesse pubblico, al fine di poterle consentire la più utile interlocuzione procedimentale.

L’appellante riferisce inoltre di aver chiesto al MIBACT di prorogare i termini di partecipazione (originariamente fissati in appena 20 giorni e praticamente già spirati allorché la società sarebbe venuta a conoscenza del procedimento), lamentando che tale richiesta “è risultata inevasa, giacché il MIBACT ha omesso di rispondere all’istanza della ricorrente, come se questa non esistesse”.

Per l’effetto, l’appellante lamenta di non essere stata posta nelle condizioni di interloquire con l’amministrazione e la violazione del principio del contraddittorio.

11.1 – La censura è fondata.

Con il Decreto Ministeriale MIBACT del 16 settembre 2016 le aree site nel Comune di Guidonia Montecelio e qualificate come “Tenute storiche di Tor Mastorta, di Pilo Rotto, dell’Inviolata, di Tor dei Sordi, di Castell’Arcione e di alcune località limitrofe”, sono state dichiarate di notevole interesse pubblico ai sensi dell’art. 136, co. 1, lett. c) e d) del d. lgs. del 22 gennaio 2004, n. 42.

In attuazione di quanto previsto dall’art. 141 del d. lgs. n. 42/2004, nonché delle norme in esso richiamate di cui agli artt. 139 e 140 del medesimo decreto legislativo, la proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico è stata trasmessa, con i relativi allegati, al Comune di Guidonia Montecelio per essere pubblicata per novanta giorni all’albo pretorio e messa a disposizione del pubblico presso gli uffici comunali (art. 139, co. 1).

La notizia della avvenuta proposta e della relativa pubblicazione è stata pubblicata ad opera della Soprintendenza su due quotidiani nazionali ai sensi degli artt. 141 comma 1 e art. 139 comma 2).

Seppure la specifica disciplina normativa, volta ad assicurare i dovuti effetti notiziali per l’avvio del procedimento a tutti i soggetti interessati, risulta formalmente rispettata, nel peculiare caso in esame, stante la specifica posizione della società appellante, doveva ragionevolmente esigersi anche un diretto coinvolgimento di questa nel procedimento.

Non appare invero dubitabile che il Decreto impugnato si innesti direttamente sulla vicenda relativa all’autorizzazione dell’impianto di trattamento dei rifiuti della società appellante. Seppure il vincolo riguardi una più vasta area del Comune di Guidonia, e non solo quella di pertinenza dell’appellante, è innegabile come il Ministero si fosse già attivato per contrastare lo specifico insediamento della società appellante con i provvedimenti di sospensione impugnati e sospesi dal Tar in sede cautelare.

Il contesto nel quale si è originato il decreto di vincolo porta dunque a ritenere che, per la stessa condotta serbata in precedenza dal Ministero nei confronti della società appellante, questa non potesse essere assimilata a qualunque altro proprietario astrattamente attinto dal vincolo, dovendosi invece ragionevolmente distinguere la sua posizione, in quanto già interessata da un contenzioso con lo stesso Ministero, avente ad oggetto l’autorizzazione all’esercizio dell’impianto di trattamento dei rifiuti, sulla quale il provvedimento impugnato era destinato ad incedere direttamente, come confermato dal successivo iter che ha portato alla proroga dell’autorizzazione, potendosi finanche azzardare che, stante la tempistica dei diversi atti posti in essere dal Ministero ed innanzi ricordati, il vincolo avesse proprio lo scopo di ostacolare (se non bloccare) l’iniziativa della società appellante.

In altre parole, senza voler mettere in discussione la natura giuridica del decreto di apposizione del vincolo, è innegabile che questo, in concreto, era destinato ad incidere (e di fatto ha inciso) sulla prosecuzione dell’attività dell’appellante (tanto è vero che è stato necessario completare l’iter autorizzatorio presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri per ovviare all’ostacolo frapposto dal Ministero).

Da un altro punto di vista, a conferma dell’idoneità del provvedimento ad incidere direttamente sulla sfera giuridica dell’appellante, vale ricordare che in base a quanto previsto dal D.M. impugnato, la Discarica dell’Inviolata e l’Impianto per il Trattamento Meccanico Biologico (TMB) di rifiuti urbani, ricadenti in un’area classificata come “Paesaggio agrario di rilevante valore”, sono individuati come “Ambiti di recupero e valorizzazione paesistica”; il Decreto, integrando la disciplina del P.T.P.R. ai sensi dell’art. 140, co. 2 del d. lgs. n. 42/2004, prescrive anche una serie di divieti per le aree in questione, tra cui il divieto di: - realizzare strade carrabili ulteriori ovvero ulteriori importanti estensioni della carreggiata di quelle esistenti; - ampliare o riaprire il sito della discarica esistente; sulla quale potranno essere eseguiti solo lavori di rinaturalizzazione e ripristino paesaggistico, previa autorizzazione ministeriale. Inoltre, nell’area della discarica in dismissione e nelle aree ad essa circostanti, non potranno essere realizzati volumi, né si potranno esercitare attività che comportino il deposito di consistenti accumuli di detriti e/o di materiali di scarto, se non per motivi strettamente necessari alla bonifica del sito.

Alla luce delle considerazioni che precedono, deve ritenersi che l’intervento di un atto comunque destinato ad incidere immediatamente sulla sfera dell’appellante - proprio nel momento in cui era pendente un contenzioso con lo stesso Ministero in riferimento alla medesima area e quando la società necessitava di un titolo per l’esercizio dell’impianto - esigeva un diretto coinvolgimento di questa nel procedimento di apposizione del vincolo sin dall’origine; in ogni caso, la peculiarità della situazione sulla quale il vicolo era destinato ad incidere, rendeva doverosa la concessione della proroga dei termini richiesti dalla società, al fine di consentirle di esporre, già durante la fase procedimentale, la propria posizione.

In definitiva, la peculiare posizione della società (ben nota al Ministero) – differenziata per le ragioni esposte da quella di altri proprietari - e l’idoneità del provvedimento ad incidere sull’esercizio dell’attività dell’appellante di trattamento dei rifiuti richiedevano la diretta partecipazione di questa già nella fase procedimentale, al fine di garantire quel contraddittorio anticipato che, diversamente, avrebbe potuto avere luogo solo in sede processuale (a confronto di tale impostazione si osserva che anche a fronte di atti di pianificazione urbanistica, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione secondo la legislazione di riferimento, con esclusione di una specifica comunicazione di avvio del procedimento ai soggetti interessati da tali atti, quest’ultima, in base alla giurisprudenza - cfr. Consiglio di Stato, sez. VI – 3/3/2014 n. 965 e 15/2/2013 n. 922 - deve ritenersi comunque necessaria qualora si sia al cospetto dell’adozione/approvazione di varianti urbanistiche riguardanti beni individuati e incidenti direttamente su determinati soggetti).

11.2 - Da un altro punto di vista, deve escludersi che l’apporto partecipativo della società sarebbe stato comunque ininfluente.

Sul piano generale va infatti ricordato che il Decreto in questione è espressione di un potere ampiamente discrezionale, il quale ben può essere condizionato dall’apporto partecipativo del privato, non potendosi affatto assumere che questo abbia un esito vincolato.

Nello specifico, la società ha evidenziato una serie di circostanze che il Ministero – ferma la sua sfera di competenza e precisato che non è possibile per questo Giudice sostituire la propria valutazione a quella dell’amministrazione – avrebbe potuto considerare per addivenire ad un esito diverso, o anche solo per calibrare diversamente la portata del vincolo e le relative prescrizioni.

Invero, al riguardo, la società ha evidenziato che:

- il vincolo interviene anche su opere ed attività già autorizzate. La discarica ricopre una vasta superficie di 31,5 ettari ed è stata realizzata nel lontano 1991. Il progetto del limitrofo impianto, che occupa una superficie di 26,2 ettari, per il trattamento di rifiuti è stato approvato, in ossequio all’allora vigente PTP, con Decreto Commissariale, n. 93/2007, del Commissario delegato per l’Emergenza Ambientale;

- l’impianto era poi autorizzato con l’A.I.A. rilasciata mediante la Determinazione Regionale del 2 agosto 2010, prot. n. C1869, sulla base del nulla osta rilasciato dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio prot. n. 8191 del 7 agosto 2009, che prescriveva una fascia di rispetto di 10 metri dai reperti e conseguenti modifiche al Lay-out dell’impianto di compostaggio;

- in sede della conferenza di servizi, convocata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri per il rinnovo dell’AIA, la Soprintendenza ha confermato il parere favorevole alla realizzazione dell’impianto, dando atto, con nota prot. 4017 dell’11 marzo 2016, che la struttura realizzata è esterna alla fascia di rispetto prevista dal PTPR;

- il d.lgs. 36/2003 (recante trasposizione della direttiva 1999/31/CE) è chiaro nello stabilire che, dopo la chiusura, ciascuna discarica resta assoggettata, a cura e responsabilità del gestore, al cd. post gestione operativa “per un periodo di almeno trenta anni” (art. 8, comma 1, lett. m);

- l’impianto TMB è collocato al di fuori del Parco dell’Inviolata;

- la presunzione che nel sito in cui ha sede l’impianto vi siano dei beni archeologici sarebbe infondata, giacché tale circostanza era stata esclusa nel corso delle varie istruttorie concenti l’impianto.

11.3 – L’accoglimento sotto tale profilo del ricorso di primo grado consente di assorbire l’esame delle ulteriori censure, onde consentirne l’esame in prima battuta all’amministrazione procedente in sede di riedizione del potere.

12 – L’accoglimento dell’appello principale ed il conseguente annullamento de decreto che ha apposto il vincolo implicano il venir meno dell’interesse all’esame dell’appello incidentale del Comune volto a contestare l’assunto del Tar per cui “il vincolo apposto con il decreto del 2016 non avrebbe potuto in nessun caso rendersi opponibile all’AIA del 2010, in quanto ad essa posteriore”.

12.1 – In ogni caso, in riferimento all’impugnazione proposta dal Comune deve evidenziarsi che quella del Tar appare una mera considerazione a supporto della decisione di inammissibilità del ricorso della società, dovendosene escludere una valenza di giudicato, non sussistendo pertanto, anche da questo punto di vista, alcun apprezzabile interesse del Comune alla riforma sul punto della sentenza di primo grado.

Invero: “Nel processo amministrativo il giudicato si forma in relazione ai motivi di gravame e non anche alle affermazioni ulteriori eventualmente contenute nella sentenza, in quanto l’autorità del giudicato è circoscritta oggettivamente in conformità alla funzione della pronuncia giudiziale, diretta a dirimere la lite nei limiti delle domande proposte, sicché ogni affermazione eccedente la necessità logico-giuridica della decisione stessa deve considerarsi un obiter dictum; di conseguenza sono inidonee a passare in giudicato le osservazioni svolte dal giudicante senza essere funzionali alla decisione (c.d. obiter dicta), ossia le enunciazioni della sentenza prive di relazione causale con il decisum identificato dai motivi a base della specifica domanda giudiziale” (Cons. Stato, sez. III, 21 novembre 2019, n. 7934).

13 – Per le ragioni esposte l’appello principale va rigettato, mentre l’appello incidentale del Comune va dichiarato improcedibile.

Ad una valutazione complessiva della controversia, le spese di lite del doppio grado di giudizio possono essere compensate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda) accoglie l’appello principale e dichiara improcedibile l’appello incidentale del Comune e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie i terzi motivi aggiunti ed annulla il decreto ivi impugnato.

Spese di lite compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso nella camera di consiglio del giorno 3 luglio 2024, tenutasi con collegamento da remoto, con l'intervento dei magistrati:

Fabio Franconiero, Presidente FF

Giordano Lamberti, Consigliere, Estensore

Giovanni Sabbato, Consigliere

Antonella Manzione, Consigliere

Carmelina Addesso, Consigliere