Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 227, del 22 gennaio 2015
Beni Culturali.Legittimità vincolo archeologico su appezzamento di terreno

La disciplina del provvedimento di imposizione del vincolo di interesse culturale sui beni di proprietà privata non prevedo, almeno al momento dell’imposizione del vincolo, una distinzione delle forme di tutela legata ad un diverso livello di intensità dell’interesse culturale da tutelare. Al contrario, il legislatore configura in maniera unitaria sia la consistenza dell’interesse culturale che l’Amministrazione è chiamata ad accertare, sia gli effetti derivanti dall’imposizione del relativo vincolo che consegue al riconoscimento di tale interesse. L’imposizione del vincolo, pertanto, determina effetti tendenzialmente unitari, che consistono nell’attribuzione al bene di un nuovo regime giuridico, che non è più quello “comune” della proprietà privata, ma quello “speciale” e “derogatorio” della proprietà privata di interesse pubblico, che, in nome dell’interesse culturale da salvaguardare, fa sorgere in capo al proprietario obblighi di conservazione e limitazioni all’uso del bene. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 00227/2015REG.PROV.COLL.

N. 01768/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1768 del 2009, proposto da: 
Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Soprintendenza Archeologica dell'Umbria, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, entrambi rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, Via dei Portoghesi, 12; 

contro

Capobianco Rita, Capobianco Agostino, Ronchi Agostino, rappresentati e difesi dagli avv. Corrado Zaganelli, Alessandro Falconi Amorelli, con domicilio eletto presso l’avv. Alessandro Falconi Amorelli in Roma, Via Vigliena, 2; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. UMBRIA - PERUGIA n. 01028/2007, resa tra le parti, concernente vincolo archeologico su appezzamento di terreno

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 novembre 2014 il Cons. Roberto Giovagnoli e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Ventrella e l’avvocato Ruggiero per delega degli avvocati Falconi e Zaganelli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1. Viene in decisione l’appello proposto dal Ministero per i beni e le attività culturali avverso la sentenza del T.a.r. Umbria n. 1028 del 21 dicembre 2007.

La sentenza di primo grado ha accolto i ricorsi proposti dai signori Rita Capobianco, Agostino Capobiano e Agostino Ronchi (quest’ultimo nella qualità di procuratore generale di Theresa Cristiani in Truffini) e, per l’effetto, ha annullato il decreto ministeriale con il quale è stato imposto il vincolo archeologico su un appezzamento di terreno in Bevagna, situato nell’area compresa tra viale Properzio, via Perugina e via Flaminia.

I ricorsi di primo grado sono stati proposti dai signori Capobianco (comproprietari di una porzione del terreno vincolato) e dal signor Rocchi, procuratore generale della signora Cristiani, proprietaria di altra porzione.

2. La sentenza del T.a.r. Umbria, pur ritenendo il provvedimento impugnato immune da vizi procedurali e sufficientemente motivato in ordine all’apprezzamento dell’interesse archeologico dell’area, ha tuttavia ravvisato, sotto un diverso profilo, una carenza di dispositivo e di motivazione, ritenendo, in particolare, violati i principi generali di proporzionalità e di adeguatezza dell’azione amministrativo.

3. Il T.a.r. Umbria, più nel dettaglio, prendendo anche spunto dalla disciplina dettata dall’art. 96 d.lgs. n. 163 del 2006 relativamente alla verifica dell’interesse archeologico delle aree interessate a progetti di opere pubbliche, ha ritenuto che l’Amministrazione avrebbe dovuto, in applicazione dei principi generali di proporzionalità e di adeguatezza, valutare la possibilità di una graduazione dell’intensità dell’interesse archeologico e, di conseguenza, dei relativi vincoli imposti.

Partendo da tale premessa, la sentenza impugnata ha, quindi, ritenuto dotata di una certa attendibilità l’ipotesi che l’interesse archeologico dell’area non si classificasse come di rilevanza primaria, e che perciò potesse essere soddisfatto anche nelle forme meno invasive per il privato indicate alle lettere a) e b) dell’art. 96 d.lgs. n. 163 del 2006.

L’assenza di un’adeguata motivazione in ordine alla scelta (fra le diverse forme possibili) della modalità di tutela dell’interesse archeologico di maggiore intensità ha, quindi, condotto il giudice di primo grado all’accoglimento dei ricorsi.

4. Il Ministero per i beni e le attività culturali ha proposto appello lamentando in particolare:

- la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, sostenendo che il T.a.r. avrebbe accolto una censura non formulata tra i motivi di ricorso;

- la falsa applicazione dell’art. 96 d.lgs. n. 163 del 2006, secondo il Ministero non applicabile alla fattispecie de qua, in quanto riferito esclusivamente alla verifica dell’interesse archeologico nelle aree interessate da opere pubbliche.

5. Si sono costituiti in giudizio gli originari ricorrenti i quali, oltre a chiedere il rigetto dell’appello principale, hanno proposto anche appello incidentale per censurare la sentenza di primo grado nella parte in cui ha respinto i motivi di eccesso di potere e difetto di motivazione formulati nei ricorsi di primo grado.

6. Alla pubblica udienza del 4 novembre 2014, la causa è stata trattenuta in decisione.

7. L’appello principale proposto dal Ministero per i beni e le attività culturali merita accoglimento.

8. Il T.a.r. ha desunto dai principi generali di proporzionalità e di adeguatezza dell’azione amministrativa, nonché dalla disciplina contenuta nell’art. 96 d.lgs. n. 163 del 2006, l’obbligo gravante sull’Amministrazione dei beni culturali di valutare, volta per volta, l’intensità dell’interesse culturale da tutelare al fine di graduare correlativamente la portata e gli effetti del relativo vincolo imposto sul bene di proprietà privata.

Ha, quindi, annullato il provvedimento impugnato non perché ha disconosciuto l’interesse culturale, ma perché ha ritenuto che l’Amministrazione non avesse adeguatamente motivato in ordine alla reale intensità di tale interesse, e, quindi, non avesse rispettato i citati principi di proporzionalità e di adeguatezza nella scelta, tra le diverse modalità di protezione dell’interesse culturale, di quella meno invasiva per la proprietà privata.

Il T.a.r. ha desunto tale obbligo di valutazione e di graduazione dalla disciplina dettata dall’art. 96 d.lgs. n. 163 del 2006, la quale, pur dichiaratamente ritenuta non direttamente applicabile ratione temporis e ratione materiae, è stata, comunque, considerata espressione di un principio generale volto ad imporre una attenta individuazione del grado di intensità dell’interesse archeologico.

9. Tale premessa interpretativa non può essere condivisa.

10. La disciplina del provvedimento di imposizione del vincolo di interesse culturale sui beni di proprietà privata (in tutti i testi normativi succedutisi nel corso degli anni: dalla legge n. 1089 del 1939, al d.lgs. n. 490 del 1999, sino al vigente d.lgs. n. 42 del 2004) non prevedono, almeno al momento dell’imposizione del vincolo, una distinzione delle forme di tutela legata ad un diverso livello di intensità dell’interesse culturale da tutelare.

Al contrario, il legislatore configura in maniera unitaria sia la consistenza dell’interesse culturale che l’Amministrazione è chiamata ad accertare, sia gli effetti derivanti dall’imposizione del relativo vincolo che consegue al riconoscimento di tale interesse.

L’imposizione del vincolo, pertanto, determina effetti tendenzialmente unitari, che consistono nell’attribuzione al bene di un nuovo regime giuridico, che non è più quello “comune” della proprietà privata, ma quello “speciale” e “derogatorio” della proprietà privata di interesse pubblico, che, in nome dell’interesse culturale da salvaguardare, fa sorgere in capo al proprietario obblighi di conservazione e limitazioni all’uso del bene.

Il riconoscimento dell’interesse culturale sottopone, quindi, il bene ad un regime speciale, conformando la proprietà in ragione dell’esigenza di proteggere l’interesse culturale. Tale regime si sostanzia per lo più in un regime di previa autorizzazione amministrativa diretto a verificare, di volta in volta, la compatibilità tra gli usi del bene che il proprietario si propone e la salvaguardia dell’interesse culturale.

Si tratta di un regime giuridico che assume carattere unitario e non conosce differenziazioni dipendenti dal maggiore o minore livello di intensità dell’interesse culturale.

In altri termini, e in sintesi, l’interesse culturale o esiste o non esiste: non sono previste forme intermedie, di un interesse culturale che esiste ma in forma “minore” o “attenuata”, con conseguente riconoscimento di una tutela meno intensa e, quindi, di una minore conformazione pubblicistica della proprietà privata.

La maggiore o minore intensità dell’interesse culturale da salvaguardare assumerà rilievo semmai non al momento dell’imposizione del vincolo, ma successivamente, al momento della “gestione” dello stesso da parte delle competenti autorità, al momento cioè del rilascio delle autorizzazioni che, di volta in volta, il proprietario che intende intervenire sul bene dovrà ottenere.

11. Le considerazioni che precedono escludono, quindi, che l’Amministrazione, contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza appellata, al momento dell’imposizione del vincolo debba, oltre che motivare in ordine all’esistenza dell’interesse culturale, compiere una ulteriore verifica diretta ad individuare la soglia di intensità di tale interesse per graduare la relativa intensità del correlativo vincolo.

12. In senso contrario non vale certamente richiamare l’art. 96 d.lgs. n. 163 del 2006: il richiamo non è pertinente perché la disposizione citata, contenuta nell’ambito della disciplina dei contratti pubblici aventi ad oggetto opere pubbliche su aree di interesse archeologico, detta una disciplina specifica e settoriale, che non risulta applicabile né direttamente né analogicamente, stante la diversità della fattispecie che vengono in considerazione e l’impossibilità di rinvenire nell’art. 96 d.lgs. n. 163 del 2006 l’enunciazione di principi generali regolatori della materia.

14. Per le esposte considerazioni, l’appello principale proposto dal Ministero per i beni e le attività culturali merita, dunque, accoglimento.

15. Occorre ora esaminare l’appello incidentale proposto dagli originari ricorrenti, diretto a riproporre i motivi già formulati in primo grado e respinti dal T.a.r.

Nell’appello incidentale si lamenta, sotto diversi profili, che l’imposizione del vincolo sarebbe avvenuto in assenza dei presupposti di legge, senza adeguata istruttoria e in assenza di una puntuale motivazione.

In particolare gli appellanti incidentali lamentano che il vincolo sarebbe stato imposto senza che vi fosse certezza dell’esistenza (e, comunque della serietà) dei reperti archeologici, specie con riferimento alla particella n. 143 (di proprietà Capobianco), nemmeno interessata dagli scavi ma, comunque, sottoposta al vincolo.

16. Le censure non meritano accoglimento.

17. Come ha già rilevato correttamente il T.a.r., la motivazione del provvedimento di imposizione del vincolo, che si desume dalla relazione della Soprintendenza archeologica, risulta ampia ed articolata sia con riferimento alla descrizione delle ricerche effettuate e dei relativi reperti, sia nel conseguente apprezzamento dell’interesse archeologico dell’area, anche con riferimento alla sua collocazione nel contesto complessivo di ciò che resta dell’antica Mevania romana, nella immediata contiguità con il centro abitato medioevale.

18. Non rileva, in senso contrario, la circostanza che nella motivazione nulla si dica in ordine al valore artistico dei reperti, atteso che possono rivestire interesse archeologico anche reperti che non presentano alcun valore artistico.

19. Né rileva, infine, la circostanza che la particella n. 143 (di proprietà Capobianco) non sia stata interessata da scavi, a differenza delle particelle n. 142 e 161 di proprietà Cristiani. Anche sotto questo profilo sono dirimenti e condivisibili le considerazioni contenute nella sentenza appellata, volte ad evidenziare che la particella n. 143 non solo è confinante con le particelle n. 142 e n. 161 (interessate dagli scavi e dal ritrovamento di reperti archeologici), ma vi è praticamente incuneata a guisa di enclave, formando con essa un unico appezzamento di forma rettangolare. L’intera area, pertanto, ancorché divisa fra due proprietà può essere considerata, per i fini che rilevano in questa sede, come entità unitaria.

20. L’appello incidentale deve, in definitiva, essere respinto.

21. Alla luce delle considerazioni che precedono, in accoglimento dell’appello principale proposto dal Ministero per i beni e le attività culturali, la sentenza appellata deve essere riformata e, per l’effetto, devono essere respinti i ricorsi proposti in primo grado.

Sussistono i presupposti, considerata la complessità della fattispecie, per disporre l’integrale compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, accoglie l’appello principale e respinge l’appello incidentale. Per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, respinge i ricorsi proposti in primo grado .

Spese del doppio grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 novembre 2014 con l'intervento dei magistrati:

Stefano Baccarini, Presidente

Roberto Giovagnoli, Consigliere, Estensore

Carlo Mosca, Consigliere

Bernhard Lageder, Consigliere

Vincenzo Lopilato, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 22/01/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)