Le nullità in atti giuridici nei beni culturali ecclesiastici.

di Sebastiano CARPINATO

  1. Le nullità in atti giuridici nei beni culturali ecclesiastici.

La diffusione capillare nel tessuto sociale delle opere d’arte ecclesiastiche le ha ricomprese nella più ampia tutela pubblicistica dettata dalle norme vigenti nell’ordinamento italiano, in considerazione dell’interesse comune e della fruibilità pubblica di cui godono.

I beni culturali ecclesiastici, più propriamente e tecnicamente definiti “ Beni culturali di interesse religioso” dall’art. 9 del D.L.vo 42/2004 1, nonostante il filo conduttore che li caratterizza sia sempre il riferimento evangelico, quale espressione tipica della spiritualità dell’uomo, rispondono ad un complesso normativo multidisciplinare ed interdisciplinare. Nel settore, infatti, interagiscono il diritto civile, con riferimento agli statuti delle proprietà e dell’autonomia privata, il diritto amministrativo, considerato che la gestione e la tutela dei beni culturali è affidata sotto svariati profili al potere amministrativo, ed il diritto penale, al quale è riservato il compito sanzionatorio volto ad impedire e punire le offese più gravi come la sottrazione del bene o il suo danneggiamento.

Di questa specifica tutela si interessa anche il diritto internazionale considerato in primis il rapporto fra ordinamenti sovrani, Stato italiano – Chiesa cattolica, rappresentata dal Romano Pontefice. Tale corpo normativo si poggia, infatti, su fonti di provenienza unilaterale confessionali, quali le disposizioni di diritto canonico, e fonti di provenienza bilaterale, quali le norme pattizie basate su accordi bilaterali.

I beni ecclesiastici possono essere mobili ed immobili, materiali ed immateriali. La Chiesa non ha una propria classificazione desumibile dalCodex iuris canonici, eccezion fatta per la distinzione fra res sacrae e res pretiosae. Le prime sono quelle destinate al culto divino grazie alla benedizione liturgica (ex canone 1171 C.i.c.2), le “ cose preziose” sono invece quei beni ecclesiastici che hanno un notevole valore per l’arte, per la storia, o per il culto e la venerazione rivolta loro (quali gli ex voto), secondo i canoni 11893, 11904 e 1192 5 C.i.c.

Per una tipizzazione delle res pretiosae e di quelle sacrae che hanno i caratteri delle preziose, certamente potrebbe farsi riferimento alla Legge 25 luglio 2001, n. CCCLV - Legge sulla tutela dei beni culturali emanata dallo Stato della Città del Vaticano. L’art. 1 6 individua in modo puntuale l’oggetto della legge, tipizzando i beni che rientrano nella speciale tutela:

  • le cose, mobili e immobili, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnografico, compresi:

  1. le cose che interessano la paleontologia, la preistoria e le primitive civiltà e i reperti archeologici;

  2. le cose d'interesse numismatico;

  3. i manoscritti, gli autografi, i carteggi, i documenti notevoli, gli archivi anche su supporto non cartaceo, nonché gli incunaboli, i libri, le carte geografiche, gli spartiti musicali, il materiale fotografico, le stampe e le incisioni aventi carattere di rarità o di pregio;

  4. i mezzi di trasporto di interesse storico e i beni e gli strumenti di interesse per la storia della scienza e della tecnica;

  5. le collezioni o serie di oggetti che, per tradizione, fama o particolari caratteristiche ambientali rivestono come complesso un interesse artistico o storico;

  6. le ville, i parchi e i giardini che abbiano interesse artistico, storico o paesaggistico.

Nell’ordinamento italiano, il richiamo è all’art.10 del D. L.vo 22 gennaio 2004, n. 42 7 che al comma 1 qualifica quali beni culturali anche i beni, mobili ed immobili, di proprietà di persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, che presentino interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico. Il comma 5° esclude dalla qualifica di bene culturale le cose che siano di autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre settanta anni. 8.

Sul scorta di quanto sopra, il concetto giuridico di res pretiosae è facilmente accostabile a quello di “beni culturali”, terminologia avulsa dal contesto ecclesiastico.

Secondo il Canone 1256 C.i.c. 9, i beni appartengono alla persona giuridica che li ha legittimamente acquisiti e la loro amministrazione spetta a chi regge immediatamente l’ente a cui appartengono “sotto la suprema autorità del Romano Pontefice”. Il fondamento giuridico di tale supremazia non è, tuttavia, il diritto di proprietà, ma la sua funzione di supremo governo e di rappresentante della Chiesa, che di contro si troverebbe a rispondere della attività negoziali poste in essere da tutti gli enti periferici della gerarchia ecclesiastica.

L’amministrazione dei beni ecclesiastici, secondo il canone 1282 C.i.c. 10, deve essere fatta in nome della Chiesa e con la diligenza del buon padre di famiglia, con richiamo al canone 1284 § 1 C.i.c. 11 ed alla formula di cui all’art. 1176 del Codice Civile 12.

Coloro i quali, chierici o laici, amministrino beni ecclesiastici non lo fanno a titolo personale, ma sulla base di un mandato rappresentativo,ex canone 118 C.i.c. 13. Agire in nome della Chiesa, quindi, secondo il suo spirito, la sua natura e la sua missione e soprattutto nell’ambito del mandato ricevuto.

Di contro, l’operato del rappresentante può essere, a seconda dei casi, illecito oppure invalido ai sensi del canone 1281 14 e determinarne addirittura la rimozione dall’ufficio a norma del canone 1741 n. 5 15 C.i.c.

L’amministrazione dei beni ecclesiastici prevede un’attività ordinaria ed una straordinaria. Nel presente articolo prenderemo in considerazione, per le conseguenze che ne possono derivare in danno del patrimonio, proprio la gestione straordinaria, costituita da quegli atti che per modo, misura e fine travalicano la normale attività di gestione. La norma appositamente non è ancorata ad un elenco rigido di atti di straordinaria amministrazione, per lasciare un’interpretazione estensibile e soggettiva tale da garantire il regolare e buon andamento nella gestione.

Mentre l’ordinamento italiano recepisce parte della disciplina canonica per la gestione patrimoniale dei beni ecclesiastici in virtù del Concordato, ai sensi del canone 22 C.i.c. 16 viene sancito l’istituto della canonizzazione delle leggi civili alle quali la Chiesa rimanda, al fine di completare o integrare il proprio diritto, imponendo che devono essere “ osservate nel diritto canonico con i medesimi effetti, in quanto non siano contrarie al diritto divino e se il diritto canonico non dispone altrimenti”.

Così il Codex Iuris Canonici non fornisce, neppure a livello di descrizione, una nozione di contratto per la quale il canone 1290 17 C.i.c. attua l’istituto sopra menzionato, prescrivendo l’osservazione nel diritto canonico delle “… norme di diritto civile vigenti nel territorio sui contratti sia in genere sia in specie, e sui pagamenti [omissis]”.

In forza dell’esplicito richiamo, e così come sancito dall’art. 831 del Codice Civile 18, la Chiesa nel territorio italiano adotta i precetti normativi tratti dal Codice Civile italiano, con particolare riferimento al Titolo II del Libro IV - “Dei contratti in generale”, riservandosi comunque, per preciso rimando al canone 1547 C.i.c. 19, la possibile assunzione della prova per testimonianza dei contratti, contrariamente alle previsioni normative italiane (ex artt. 2721 – 2726 c.c.).

La figura del contratto, in linea di massima, tende a ricoprire quasi tutta l’area dei negozi patrimoniali, eccezion fatta per quelli che esprimano ultima volontà, evidentemente non applicabili nella casistica in trattativa. I beni, infatti, appartengono ad una persona giuridica, l’ente ecclesiastico, che viene semplicemente rappresentato dal preposto per mandato rappresentativo secondo il citato canone 118 C.i.c.: cosicché un ipotetico atto testamentario, atto personalissimo, non potrebbe essere validamente e legittimamente perfezionato dal chierico incaricato di rappresentare pro tempore l’ente ecclesiastico riconosciuto. Fra l’altro, la diffusione della religione cristiana in Italia 20 ha fatto sì che l’interesse per la Chiesa fosse comune e, in senso lato, pubblico. Proprio per questa funzione, ma soprattutto per una serie di circostanze giuridiche, gli enti ecclesiastici sono stati per lungo tempo annoverati nel genus degli enti pubblici, alla luce di quanto disponeva l’art. 2 del Codice Civile del 1865, del necessario riconoscimento governativo imposto dai Patti Lateranensi e delle funzioni pubbliche svolte dagli enti ecclesiastici prima dell’istituzione dell’ “Ufficio delle Anagrafi “ nel 1864.

Proprio il Regolamento di esecuzione del Codice dei Beni Culturali - R.D. 30 gennaio 1913, n. 363, oggi in vigore, nella sistematica delle norme, assimila i beni pubblici con quelli degli enti morali, distinguendo i titoli “Delle cose di proprietà dello Stato e degli enti morali” ed a parte “Delle cose appartenenti a privati”.

Ciò fino alle modifiche del Concordato del 1983 che determineranno la libertà e l’autonomia di respiro privatistico che porterà fuori dalla sfera pubblica gli enti ecclesiastici, come sancito dalla Suprema Corte negli anni a seguire gli Accordi di Villa Madama (Cass. Civ. 4040/1984; Cass. SS.UU. 2656/1990).

Ciò che comunque giova sottolineare, prescindendo dalle disquisizioni giurisprudenziali e dottrinali, è la limitata autonomia di gestione patrimoniale di colui il quale rappresenta l’ente ecclesiastico, in virtù dell’interesse a sfondo pubblicistico sotteso.

Sostanzialmente, la gestione patrimoniale ecclesiastica è regolata dal Codex Iuris Canonici, dalle prescrizioni della Conferenza Episcopale Italiana, dalle norme concordatarie, quindi dalla Legge 25 marzo 1985, n. 121 e Legge 20 maggio 1985, n. 222, dalle Intese Stato italiano – Chiesa Cattolica, nonché dalla norma generale dettata dal diritto civile, e per quanto concerne l’odierna materia, dalla norma speciale racchiusa nel D. L.vo 22 gennaio 2004, n. 42 – “ Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio” e dal relativo regolamento, R.D. 30 gennaio 1913, n. 363 ( Regolamento in esecuzione alle leggi 20 giugno 1909 n. 364 e 23 giugno 1912 n. 688 per le antichità e belle arti ), oggi in vigore per espresso richiamo contenuto all’art. 130 del D.L.vo 42/2004.

    1. Le nullità rilevabili nella norma pattizia.

I beni culturali ecclesiastici vengono amministrati, secondo il richiamato canone 1279 C.i.c. 21, da chi regge (immediatamente) la persona giuridica cui gli stessi appartengono: colui al quale, in sostanza, spetta la direzione e la rappresentanza della medesima.

Ad esempio, per richiamare le figure più familiari, il Vescovo diocesano è il rappresentante legale della diocesi in tutti i negozi giuridici (ai sensi del canone 393), mentre per il canone 532 è il parroco a rappresentare legalmente la parrocchia.

Detti rappresentanti, nel corso del loro mandato, possono disporre atti di amministrazione straordinaria, costituiti da “ quegli atti che vanno oltre il fine e le modalità dell’amministrazione ordinaria”, individuati secondo i casi, dagli statuti, dal Vescovo e dalla Conferenza Espiscopale. Atti in sostanza che, fra l’altro, sono idonei a depauperare il patrimonio della persona giuridica e quindi della Chiesa universalmente intesa.

Di conseguenza, questi atti sono normati dal diritto canonico il quale prevede espressamente dei requisiti per la loro validità, proprio per salvaguardare la solidità economico-patrimoniale dell’ente, e quindi del patrimonio ecclesiastico.

L’alienazione di beni ecclesiastici rientra chiaramente tra gli atti di straordinaria amministrazione, almeno in senso lato, poiché il concetto di “alienazione” andrebbe distinto da quello di “ amministrazione”.

In campo canonistico, il concetto di alienazione si è esteso tanto da non identificarsi con quello semplicistico di vendita, ma assumendo il senso più ampio di atto giuridico potenzialmente in grado di peggiorare la condizione patrimoniale della persona giuridica, come desumibile dal canone 1295 C.i.c. 22.

Vari motivi, sul piano sistematico della norma, inducono a relegare l’alienazione ad atto atipico e speciale:

  1. la lettera del § 1 del canone 1254 C.i.c. 23 , ove viene sancito il “ diritto nativo, indipendentemente dal potere civile, di acquistare, possedere, amministrare ed alienare i beni temporali per conseguire i fini che le sono propri”, tiene distino il verbo “alienare” da “ acquistare, possedere e amministrare”,

  2. le alienazioni sono normate nei canoni 1291, 1292 e 638 § 3 del C.i.c. secondo disposizioni distinte e rigorose; sono ricomprese in un apposito titolo del Libro V ed esprimono la loro maggior differenziazione nella caratteristica necessità della licenza della Santa Sede nei casi espressamente previsti;

  3. gli atti di amministrazione, anche straordinaria, lasciano integro il patrimonio della persona giuridica, mentre quelli di alienazione in senso stretto richiamano il trasferimento del patrimonio medesimo.

Proprio una eventuale alienazione, infatti, è l’atto giuridico che, di fatto, permetterebbe ad un bene culturale ecclesiastico di fuoriuscire dal patrimonio dell’ente proprietario per poi, nella sua qualità “profana” di opera d’arte di interesse storico-artistico, finire in un esercizio commerciale dedicato o in un più anonimo mercatino dell’antiquariato.

A causa del danno che può arrecare al patrimonio, per una valida alienazione è necessaria, ai sensi del canone 1291 C.i.c. 24, la licenza dell’autorità competente a rilasciarla, quando il bene:

  1. fa parte del patrimonio stabile dell’ente ecclesiastico,

  2. il valore economico supera il limite fissato dal diritto canonico.

L’autorità competente a rilasciare la licenza (autorizzazione) è di norma il Vescovo diocesano, come disposto dal § 1 del canone 1292 C.i.c., mentre, al di sopra del limite fissato dalla Conferenza Episcopale ed in caso di alienazione di res pretiosae (i beni culturali) o ex voto, è necessaria la licenza da parte della Santa Sede, ai sensi del § 2 del medesimo canone.

Le sacre reliquie, che prevalentemente rivestono rilevanza cultuale, ma giuridicamente connotazione culturale, a norma del canone 1190 C.i.c. sono assolutamente inalienabili e per il loro trasferimento definitivo si impone la licenza della Santa Sede.

L’istituto pontificio cui compete il rilascio della licenza per le alienazioni di beni culturali ecclesiastici, e degli altri beni per i quali essa viene imposta, è:

  • per il clero secolare, la “Congregazione per il Clero” che, ai sensi dell’art. 98 della Costituzione apostolica Pastor bonus sulla Curia Romana, 28 giugno 1988, “ si occupa di tutto quello che spetta alla Santa Sede per l’ordinamento dei beni ecclesiastici, e specialmente la retta amministrazione dei medesimi beni, e concede le necessarie approvazioni o revisioni” 25 ,

  • per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, “ La Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e per le Società di Vita Apostolica” che, ai sensi dell’art. 108 della Costituzione apostolica Pastor bonus sulla Curia Romana, 28 giugno 1988, “ assolve tutte quelle mansioni che, a norma del diritto, spettano alla Santa Sede circa la vita e l'attività degli istituti e delle società, specialmente circa l'approvazione delle costituzioni, il regime e l'apostolato, la cooptazione e la formazione dei membri, i loro diritti ed obblighi, la dispensa dai voti e la dimissione dei membri, nonché l'amministrazione dei beni” 26 .

All’interno della Congregazione per il Clero, ai sensi dell’art. 99 27 della citata Costituzione apostolica, è stata istituita la Pontificia Commissione per la conservazione del patrimonio artistico e storico che ha appunto il compito specifico della tutela dei beni culturali, le res pretiosae .

Lo stesso Giovanni Paolo II, con provvedimento motu proprioInde a pontificatus nostri initio” del 25 marzo 1993, trasformerà detta Commissione in Pontificia commissione per i Beni Culturali della Chiesa.

Per gli atti di alienazione è necessaria la concomitante presenza di una giusta causa, ai sensi del canone 1293 § 1 n.1, e della stima della cosa da alienare predisposta per iscritto da periti, ai sensi del canone 1293 §1 n.2, adottando le cautele generali prescritte dalla legittima autorità. 28

Giusta causa e forma non sono previste ad validitatem, non potendo di conseguenza essere richiamate per incidere sulla efficacia del negozio. La giusta causa, di contro, è un requisito per la liceità dello stesso e deve integrare la prescritta licenza, in assenza della quale, chi aliena beni ecclesiastici è passabile di “giusta pena” ai sensi del canone 1377 del Codex. 29

L’ordinamento italiano, riconoscendo la Chiesa cattolica estranea allo Stato ma nel contempo interna allo stesso, prevede la rilevanza civile dei controlli previsti dalle norme canoniche per la gestione del patrimonio ecclesiastico.

In forza dell’art. 18 della Legge 20 maggio 1985, n. 222 e dell’art. 7 n. 5 dell’Accordo tra lo Stato Italiano e la Santa Sede, “ l’amministrazione dei beni appartenenti agli enti ecclesiastici è soggetta ai controlli previsti dal diritto canonico”.

Detto richiamo sottopone l’amministrazione dei beni degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti (persona giuridica pubblica nell’ordinamento canonico) ai controlli imposti dal diritto canonico, riconoscendo i poteri dell’autorità ecclesiastica preposta al controllo e alla vigilanza, sopra accennati.

Gli atti di alienazione di beni culturali posti in essere nell’ordinamento civile dai rappresentati legali degli enti ecclesiastici devono essere integrati, per la loro validità e legittimità, dalla licenza dell’Ordinario diocesano e della Santa Sede.

In considerazione dell’importanza e della funzione dei provvedimenti canonici menzionati, è previsto un regime di pubblicità che possa garantire il terzo contraente che venga in rapporto con l’ente:

  • l’iscrizione nel registro delle persone giuridiche ha la funzione di far conoscere ai terzi il legale rappresentante dell’ente e la data di assunzione dei relativi poteri,

  • la Conferenza Episcopale Italiana, ai sensi dell’art. 11 del D.P.R. 13 febbraio 1987, n. 33 30 , deve comunicare al Ministero dell’Interno le “ deliberazioni adottate in attuazione dei canoni 1277, 1292, paragrafo 2, e 1295 del codice di diritto canonico entro trenta giorni dalla loro promulgazione; comunica altresì il limite di valore stabilito dalla Santa Sede ai sensi del canone 638, paragrafo 3, del codice di diritto canonico ”; cosicché, chiunque vi abbia interesse possa richiedere alla Prefettura del luogo in cui risiede copia delle deliberazioni sopra indicate, per rilevare quelle autorizzazioni la cui conoscenza è essenziale per garantire validità al negozio.

In tema, l’art. 18 31 della Legge 222/1985, per quanto concerne gli atti di straordinaria amministrazione, quali le alienazioni, stabilisce che, ai fini dell’invalidità o inefficacia di negozi giuridici posti in essere da enti ecclesiastici, non possono essere opposti a terzi, che non ne fossero a conoscenza, le limitazioni dei poteri di rappresentanza, o l’omissione dei controlli canonici, che non risultino o dal codice di diritto canonico, o dal registro delle persone giuridiche.

Il rinvio, per effetto della norma pattizia, alla rilevanza dei controlli canonici se interpretato in senso proprio e tecnico del termine, determinerebbe la sanzione della nullità del negozio giuridico in assenza della licenza dell’autorità ecclesiastica preposta, ai sensi del combinato disposto dei canoni 124 e 127, 1291 e 1292 C.i.c.

La tutela del terzo sarebbe garantita dalla pubblicità derivante dalle disposizioni sopra rievocate, appositamente istituita (alla stregua di quella immobiliare) per arginare l’istituto della buona fede.

In realtà, non ricadendo in una delle ipotesi di nullità “testuali”, la dottrina non è univoca nell’affrontare la specifica casistica.

Per un verso, la nullità accompagnata dall’inefficacia del negozio onorerebbe la ratio del complesso normativo, cioè evitare l’impoverimento del patrimonio ecclesiastico esistente per il fine ultimo e superiore della Chiesa universale.

Di certo, l’atto, posto in essere senza la prescritta licenza che fissa un limite all’autonomia del rappresentante dell’ente, sarebbe contrario a norme imperative e quindi nullo ex art. 1418 comma 1° C.C. ; una nullità definita in dottrina “virtuale” derivante da una omissione, fra l’altro, penalmente rilevante e sanzionata nel diritto canonico.

Altra corrente dottrinaria, dall’esame dell’art. 18 della Legge 222/1985, in caso di omissione dei controlli sancisce non la nullità, ma un regime di opponibilità nei confronti di terzi ed i conseguenti effetti caducatori del negozio, di fatto una forma di annullabilità.

Ciò in forza della lettera della norma, nella quale fra l’altro si accostano i termini giuridici di invalidità ed inefficacia, con il conseguente pericolo interpretativo che deriva dall’incongruenza con il rinvio formale al diritto canonico.

Circostanza non indifferente avendo riguardo alle azioni di nullità che sono imprescrittibili a dispetto di quelle di annullabilità, che si prescrivono in soli cinque anni.

L’interpretazione più liberale appare meno efficace per garantire l’interesse giuridico tutelato, la fruibilità ed il godimento da parte della comunità del bene culturale ecclesiastico, che a dispetto della funzione pubblica che riveste, nel corso di un quinquennio potrebbe pacificamente essere trattenuto dal terzo acquirente, anche di mala fede.

Se accogliessimo, per interpretazione analogica, la norma speciale dell’ordinamento italiano sui beni culturali di cui tratteremo al paragrafo successivo, il D.L.gs 42/2004, potremmo serenamente affermare che, così come i negozi privi delle prescritte autorizzazioni ministeriali sono affetti da nullità, in forza dell’espressa previsione testuale di cui all’art. 164, anche i negozi privi delle autorizzazioni della suprema autorità ecclesiastica dovrebbero essere considerati nulli.

    1. Le nullità rilevabili nella norma statale.

Le chiese e gli edifici sacri in genere custodiscono gran parte del patrimonio artistico italiano, la cui proprietà è, dunque, di competenza ecclesiastica e gestita secondo le disposizioni richiamate nel paragrafo precedente. I beni ecclesiastici, come detto mobili ed immobili, comprendono luoghi ed edifici per il culto, nonché tutti gli oggetti legati alle funzioni liturgiche e alla decorazione delle chiese, opere plastiche e pittoriche, che costituiscono un’importante testimonianza delle tradizioni e della cultura italiane spesso di altissimo valore storico ed artistico. La Chiesa nella gestione di questo immenso patrimonio è soggetta anche ai vincoli ed agli obblighi di legge dettati dall’ordinamento civile.

L’art. 10 del D. L.vo 22 gennaio 2004, n. 42, al comma 1 annovera ex lege fra i beni culturali anche i beni, mobili ed immobili, di proprietà degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, che rivestano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico, quelle che nel diritto canonico vengono tipizzate quali res pretiosae.

I beni culturali, ancorché di natura ecclesiastica, vengono stimati quale patrimonio collettivo della comunità che li ospita ed in casi non rari, almeno in Italia, dell’umanità.

La tutela dei beni culturali, a seguito della modifica del Titolo V della parte II della Costituzione, attuata dalla Legge Cost. 18 ottobre 2001 n. 3, è stata fatta rientrare, a pieno titolo, tra le materie di competenza esclusiva dello Stato, che in prima istanza ha il compito della loro salvaguardia.

La normativa speciale di riferimento è racchiusa nel D. L.gs 22 gennaio 2004, n. 42 – “Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio” e nel relativo regolamento, R.D. 30 gennaio 1913, n. 363 – “ Regolamento in esecuzione alle leggi 20 giugno 1909 n. 364 e 23 giugno 1912 n. 688 per le antichità e belle arti ” (oggi in vigore per espresso richiamo contenuto all’art. 130 del D.L.vo 42/2004). Essa offre strumenti integrativi a quelli finora illustrati per contrastare la dispersione del patrimonio ecclesiastico, rendendo inefficaci negozi potenzialmente idonei a far uscire dalla disponibilità dell’ente i preziosi beni, con particolare riferimento a quelli mobili che, a seguito di traditio a privato, potrebbero essere esclusi da una libera e pubblica fruibilità.

L’art. 164 del Codice rappresenta norma di chiusura del sistema sanzionatorio degli illeciti sul patrimonio culturale (Parte VI del Codice, intitolata “Sanzioni”), colpendo le “ Violazioni in atti giuridici”. In particolare, sulla base del citato articolo, “ Le alienazioni, le convenzioni e gli atti giuridici in genere, compiuti contro i divieti stabiliti dalle disposizioni del Titolo I della Parta seconda, o senza l’osservanza delle condizioni e modalità da esse prescritte, sono nulli”, sancendo una nullità cosiddetta “testuale”, immediatamente e facilmente riconoscibile nelle casistiche negoziali.

La disposizione, praticamente, ha sempre accompagnato la disciplina di tutela sin dall’inizio del ‘900, trovando i suoi precedenti nell’art. 25 Legge 12 giugno 1902, n. 185, nell’art. 29 della L. 20 giugno 1909, n. 364 e nel R.D.L. 22 novembre 1925, n. 2192. Ricalcando la lettera dell’art. 61 della Legge 1089/1939 (riproposta nell’art. 135 del T.U. 490/99), determina la nullità di ogni alienazione, convenzione o, più genericamente, ogni altro atto giuridico posto in essere in violazione dei divieti e condizioni imposte.

Peraltro la dottrina, nel determinare portata e natura della disposizione, ne limita l’applicazione agli atti giuridici privatistici, giudicandone inutile l’estensione anche agli atti amministrativi per i quali possono proficuamente applicarsi le norme generali in tema di stati patologici e di rimedi avverso gli atti illegittimi.

Il fondamento di tale sanzione, da interpretare quale civile / amministrativa, è riconducibile e riconferma la previsione generale a proposito della nullità degli atti contrari a norme imperative, dettata dal comma 1° dell’art. 1418 Codice Civile: la nullità per illiceità della causa. Ciò, dal punto di visto civilistico, determinerebbe una nullità del negozio per contrarietà a norme imperative 32.

La norma, come vedremo, travolge sia gli atti posti in essere senza i necessari presupposti e le prescritte autorizzazioni, sia gli atti di trasferimento compiuti senza la prescritta denuncia.

Nella Parte Seconda del Codice, il Titolo I, intitolato “Tutela”, racchiude svariate prescrizioni finalizzate a scongiurare che il bene culturale possa subire danni o possa non essere più fruibile per la comunità. A parte le misure di protezione e conservazione di cui agli artt. 20 – 52, rivestono particolare interesse per il presente elaborato i precetti dettati nel Capo IV ove si disciplina “ La circolazione in ambito nazionale”. Nella sezione relativa alle alienazioni ed altri modi di trasmissioni, i beni culturali di interesse religioso vengono trattati dall’art. 56 comma 1 lett. b) e comma 2 lett. b) – “ Altre alienazioni soggette ad autorizzazione” 33, ove vengono richiamati i beni culturali appartenenti a persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti.

L’ente ecclesiastico proprietario, in caso di alienazione di beni di interesse culturale (compresi gli archivi o singoli documenti), è tenuto a richiedere l’autorizzazione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, autorizzazione che, evidentemente, si affianca ed integra la licenza ecclesiastica.

L’atto giuridico posto in essere per il trasferimento del bene senza la prescritta autorizzazione ministeriale è affetto da nullità, sancita dal richiamato art. 164.

Per il pericolo che può derivare per il patrimonio, giova richiamare le disposizioni imposte dall’art. 59 del D. L. vo 42/2004 – Denuncia di trasferimento 34, secondo le quali gli atti che trasferiscono a qualsiasi titolo, in tutto o in parte, la proprietà o la detenzione di beni culturali devono essere denunciati al Ministero per i Beni e le Attività Culturali.

La denuncia deve essere effettuata entro trenta giorni ed è necessaria per qualsiasi negozio determini la traslazione di un bene culturale, inter vivos o mortis causa, cosicché anche gli eredi o i legatari, secondo una tempistica normata, dovranno inoltrare detta comunicazione.

Quest’ultima, fra l’altro, dovrà contenere una serie di informazioni previste ex lege, tanto da considerare non presentata la denuncia che ne fosse priva. 35

Sulla base di tali prescrizioni, gli atti giuridici posti in essere senza la richiamata denuncia, ovvero le indicazioni in essa previste, sono affetti da nullità.

    1. Le nullità nella giurisprudenza.

In dottrina è discusso il carattere della nullità dettata dal disposto di cui all’art. 164 del D. L.vo 42/2004: assoluta o relativa.

Emilio Betti, nella “Teoria generale del negozio giuridico” – 1960, propone per primo la tesi della nullità relativa, riferita anche agli atti di disposizione dei beni sottoposti a vincolo.

Alle medesime conclusioni giungono Florian (La nuova disciplina dei beni culturali e ambientali) e Tamiozzo ( La legislazione dei beni culturali e ambientali).

Di segno contrario, Francesco Santoro Passarelli che nel testo “ Dottrine generali del diritto civile” – 1983, intravede contraddittoria la relatività di una nullità, concludendo “ un negozio produttivo di effetti per una delle parti, in guisa tale che questa non può sottrarvisi, ancora più un negozio produttivo di effetti tra le parti, improduttivo di effetti solo rispetto a certi terzi, non possono considerarsi negozi nulli senza alterare le nozioni di nullità… La nullità non può che dirimere il negozio, privandolo della sua efficacia interamente e rispetto ad entrambe le parti”.

La teoria della nullità, determinabile a norma dell’art. 164 del D. L.vo 42/2004, verrà, in realtà, interpretata costantemente dalla Corte di Cassazione come relativa, in quanto ha sempre ritenuto trattarsi di una disposizione posta nell’interesse esclusivo dello Stato, con la conseguenza che è preclusa ai privati l’azione in giudizio per far dichiarare la nullità del negozio o al giudice di rilevarla d’ufficio.

Di norma, è lo Stato italiano che tende a promuovere il contenzioso giudiziario con l’obiettivo precipuo di addivenire alla prelazione del bene culturale alienato ed evitarne la “perdita”, se pur dal punto di vista della pubblica fruibilità.

Così il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sez. II, 26 gennaio 1990, n. 224, sul presupposto di una errata denuncia di trasferimento del bene (invalidante il negozio giuridico posto in essere per la compravendita) afferma che “ è legittima la prelazione da parte dell'amministrazione, nei confronti di un bene assoggettato a vincolo artistico, a distanza di tempo dall'alienazione denunciata in modo non completo, anche se a favore dell'acquirente sia maturata l'usucapione decennale prevista nel caso di acquisto di buona fede senza un titolo idoneo ”.

Nel procedimento Lucchi c/ Soc. San Martino, invece, la Suprema Corte, Sezione III, 12 ottobre 1998, n. 10083, sull’onda della teoria della nullità relativa, esclude l’azione di parte privata per far valere la nullità che affetta il negozio, ponendola solo in capo allo Stato, così “Con riguardo ad immobile sottoposto a vincolo, ai sensi della l. 1 giugno 1939 n. 1089 , l'acquirente è legittimato a porre in essere quegli atti di natura strumentale, come la licenza per finita locazione, volti ad esercitare i poteri inerenti alla qualità di proprietario, senza che il conduttore possa eccepire che al momento della domanda non sia stata effettuata ancora la prescritta comunicazione della vendita per l'esercizio della prelazione da parte dello Stato, atteso che la nullità degli atti compiuti in violazione della legge suddetta (art. 61) è stabilita nel solo interesse dello Stato e non può quindi essere fatta valere nei rapporti tra privati” .

In precedenza, la Cassazione, Sezioni Unite, 11 marzo 1996, n. 1950, sul presupposto che la notifica di un trasferimento è strumentale al successivo potere di prelazione statale, aveva relegato nell’alveo del giudizio amministrativo le controversie derivanti dall’individuazione di uno degli elementi sostanziali del negozio; detta autorità giudiziaria avrebbe, quindi, sulla base dell’accertamento della situazione di fatto, anche proceduto alla pronuncia di annullamento dell’atto: “Il diritto di prelazione a favore dello Stato, previsto dalla legge n. 1089 del 1939 , nelle alienazioni a titolo oneroso di cose di interesse artistico e storico, si esercita attraverso un complesso procedimento amministrativo che prevede l'emissione di un formale provvedimento da parte della competente amministrazione dei beni culturali ed ambientali, nella sua notificazione al venditore ed al compratore, nell'emissione del mandato di pagamento. La regolare notifica del menzionato provvedimento determina l'avvenuto esercizio del potere discrezionale di acquisizione, nonchè il regolare inizio del procedimento ablatorio e le contestazioni riguardanti le modalità della notifica alle altre parti interessate non valgono a mettere in discussione l'esistenza, ma soltanto il legittimo esercizio di tale potere. Ne consegue che, se insorga controversia in ordine alla esatta individuazione della parte acquirente, sono riservati al giudice amministrativo l'accertamento della situazione di fatto al fine di stabilire se la notifica sia avvenuta nei confronti dell'effettivo avente diritto e sia rituale, nonchè, in caso di esito negativo dell'indagine, la pronuncia di annullamento dell'atto. (Nella specie, riguardante la prelazione esercitata dallo Stato nell'alienazione del dipinto "Il giardiniere" di Vincent Van Gogh, la S.C., in applicazione dell'enunciato principio, ha ritenuto che l'indagine riguardante l'effettivo acquirente del quadro e l'esistenza di un presunto intermediario, cui non andava notificato il provvedimento, attengono all'esercizio del potere e non alla sua esistenza) .”

Nel 1991 la Suprema Corte, Sezione II, 26 aprile 1991, n. 4559, aveva già fissato il carattere relativo della nullità dei negozi giuridici posti in essere in violazione dell’allora vigente art. 61 della Legge 1 giugno 1939, n. 1089; nella causa Sorcinelli c/ Comune di Trescore Balneario, conclude che “ La nullità prevista, a tutela delle cose di interesse storico e artistico, dall' art. 61 , l. 1 giugno 1939, n. 1089 per le alienazioni, le convenzioni e gli atti giuridici in genere, compiuti contro i divieti stabiliti dalla legge stessa o senza l'osservanza delle condizioni e modalità da essa prescritte, è di carattere relativo, essendo stabilita nell'interesse esclusivo dello stato e non può, quindi, essere dedotta dai privati o essere rilevata di ufficio dal giudice.”

Così stabiliva già la Cassazione, Sezione Unite, 24 novembre 1989, n. 5070, nella causa Comune di Roma c/ Compagnia Italiana Granutali: “ La nullità dei contratti aventi ad oggetto beni sottoposti a vincolo artistico o storico, per violazione delle prescrizioni e modalità fissate dalla l. 1° giugno 1939, n. 1089 , ha carattere relativo, in quanto prevista nel solo interesse dello Stato, e, pertanto, non può essere fatta valere nei rapporti fra altri soggetti, incluse le parti stipulanti”.

Dello stesso tenore, la precedente sentenza Cassazione, Sezioni Unite, 9 dicembre 1985, n. 6180, nella causa Conti c/ Ministero Beni Culturali, in quanto afferma: “ Con riguardo ad un immobile, per natura o per <destinazione> (nella specie: affreschi sulle mura di un palazzo), che sia stato oggetto di vincolo artistico o storico imposto e portato a conoscenza del proprietario nel vigore della l. 20 giugno 1909, n. 364 , l'atto di vendita che detto proprietario, dopo la sopravvenienza della nuova disciplina della l. 1 giugno 1939, n. 1089 (operante, ai sensi dell'art. 71, anche per i vincoli imposti secondo la precedente normativa), stipuli senza osservare l'obbligo di denuncia di cui all'art. 30 citata legge del 1939, è affetto, a norma del successivo art. 61, da nullità relativa, a tutela dell'interesse dello stato; tale nullità, pertanto, ove fatta valere dall'amministrazione dei beni culturali ed ambientali, comporta la caducazione del trasferimento anche nei confronti dell'acquirente, indipendentemente dal fatto che questi abbia stipulato senza una pretesa risarcitoria contro l'altro contraente), con l'ulteriore conseguenza che resta a detto fine irrilevante ogni questione sulla legittimità costituzionale della disciplina della citata legge del 1909, sotto il profilo della mancata previsione di un sistema di conoscibilità del vincolo nei riguardi dei terzi, dato che la suddetta azione di nullità dell'amministrazione sarebbe comunque insensibile ad un'eventuale illegittimità di tale disciplina ”.

Fra l’altro, dalla medesima sentenza deriva la massima secondo la quale, nell’affrontare il giudizio di nullità degli atti giuridici posti in essere dalle parti, viene esclusa ogni questione di legittimità costituzionale delle norme imposte dalla L. 364/1909 che non imponevano l’obbligo di trascrivere i vincoli, tenuto conto delle specifiche disposizioni del Codice Civile sulla conoscenza delle cause di invalidità: “ Accertato che il proprietario di un bene assoggettato alla dichiarazione di importante interesse artistico, benché a conoscenza del vincolo, abbia alienato a terzi il bene stesso senza notificare l'alienazione all'amministrazione, nel giudizio in cui si controverta della nullità di tale trasferimento è irrilevante la questione di legittimità costituzionale delle norme contenute nella l. 20 giugno 1909, n. 364 e 1° giugno 1939, n. 1089 nella parte in cui non prevedono l'obbligo della trascrizione del vincolo con gli effetti di cui agli art. 2644 segg. c. c., stante il disposto di cui agli art. 1338 e 1418, 1° e 3° comma, c. c.”. 36

Il Consiglio di Stato, Sezione VI, 21 febbraio 2001, n. 923 ha inoltre precisato che, per effetto della nullità sui negozi così viziati (in questo caso si parla di beni immobili), il terzo non può invocare quale atto acquisitivo l’usucapione decennale del bene, poichè in presenza di atto traslativo nullo, mancherebbe il titolo astrattamente idoneo richiesto dall’art. 1159 c.c.: “ Nei confronti di beni immobili di interesse storico - artistico soggetti a vincolo di inalienabilità il termine di prescrizione acquisitiva a favore dell'acquirente è quello ventennale indicato dall'art. 1158 c.c. ”.

Ciò potrebbe essere ininfluente se ad essere alienati indebitamente fossero beni di proprietà pubblica, in quanto essendo “ cose di cui non si può acquistare la proprietà” ex art. 1145 c.c., non ricadrebbero nell’oggetto di una ipotetica uscuapio , contrariamente ai beni ecclesiastici, assimilabili a quelli privati. L’azione non tempestiva o comunque oltre il ventennio dalla perdita del possesso potrebbe compromettere la riacquisizione del bene al patrimonio dell’ente ecclesiastico.

Secondo la giurisprudenza, la nullità ex art. 164 del D. L.vo 42/2004 che discende sul negozio posto in essere senza il rispetto della normativa italiana, assumendo carattere relativo, giova, di fatto, allo Stato che, nell’ipotetica alienazione di un bene culturale da parte dell’ente ecclesiastico (regolarmente autorizzato dalle autorità competenti canoniche), potrebbe attivare il diritto di prelazione per incamerarlo nel patrimonio demaniale.

Merita a tal proposito citare la più efficace e restrittiva interpretazione della Cassazione, Sezione I, 07 aprile 1992 n. 4260, la quale in forza del vizio derivante dalle violazione delle disposizioni di tutela, nel contenzioso Ministero Beni Culturali / Cucci, stabilisce che “ la nullità dell'alienazione di bene artistico di proprietà di ente ecclesiastico, senza la prescritta autorizzazione ministeriale, è opponibile al terzo acquirente anche se di buona fede ”, limitando il noto istituto di tutela del terzo acquirente e delineando i caratteri di una nullità assoluta che meglio difende i superiori interessi del patrimonio culturale ecclesiastico, di fatto nazionale.

La Suprema Corte sancisce non potersi adire al possideo quia possideo di cui all’art. 1153 c.c. in presenza di nullità derivante dalla mancata autorizzazione governativa all’alienazione, in quanto, come si legge nella parte motiva: “[omissis] deve, infatti, ritenersi che la consegna della cosa (o "tradizione" della medesima che dir si voglia essendo i due termini perfettamente sinonimi), cui l'art. 1153 cod. civ. si riferisce per produrre gli effetti ivi stabiliti, debba essere non vietata dalla legge per motivi d'ordine superiore all'interesse privato alla certezza del commercio mobiliare che la predetta norma vuole assicurare.

E, nella specie, la superiorità dei motivi, che fanno anteporre il rispetto del divieto di consegna, sancito dal combinato disposto degli artt. 28 e 32 della legge n. 1089 del 1939 , alla certezza dei traffici mobiliari, certamente sussiste. È noto, infatti, che in Italia gran parte del patrimonio artistico si trova nelle chiese aperte gratuitamente al pubblico (cioè appartiene ad enti morali ai quali si riferisce la disciplina contenuta nella sezione I del capo III della legge citata: artt. 23-29) e che condizione essenziale perché detto patrimonio possa continuare ad essere ammirato dal pubblico nell'esercizio di una libertà costituzionalmente protetta (desumibile dal primo comma dell'art. 33 della Costituzione ) è che esso vi resti , quale che sia il soggetto che ne sia o ne divenga proprietario (e, quindi, sotto questo aspetto, indipendentemente dalla sua commerciabilità).

L’interpretazione mira ad evitare un facile aggiramento della norma di tutela, finalizzato a far ottenere, grazie ad intermediari compiacenti, la legittimità della proprietà a terzi; così gli ermellini aggiungono: “ Il coordinamento, così chiarito, tra l'art. 1153 cod. civ., da un lato, e il divieto di tradizione di cui agli artt. 28 e 32 della legge n. 1089 del 1939 dall'altro, appare tanto più logico e cogente rispetto a tutto il sistema normativo quanto più si consideri che il legislatore (secondo la cui intenzione la legge deve pur sempre essere interpretata, come è prescritto nell'art. 12 delle preleggi ) certamente non avrebbe voluto - se lo avesse previsto - che tutte le disposizioni emanate a tutela delle cose d'interesse artistico e storico e in particolare l'art. 61 della citata legge (che, con evidente enfasi, dispone: "tutte le alienazioni, le convenzioni e gli atti giuridici in genere compiuti contro i divieti stabiliti dalla presente legge o senza l'osservanza delle condizioni e modalità da essa prescritte, sono nulli di pieno diritto") potessero venir aggirate con straordinaria facilità da chiunque, pur avendo agito, peraltro a scopo di lucro - in flagrante e consapevole violazione di tale legge, come nel caso in cui si ometta di chiedere l'autorizzazione imposta dall'art. 26, abbia poi la semplice accortezza di rivendere e di consegnare a terzi, l'oggetto d'interesse artistico o storico senza palesargliene la provenienza (o, comunque, senza che rimangano prove di un siffatto palesamento) con l'effetto di consentire al terzo d'invocare l'art. 1153 c.c. , come nella sentenza impugnata è stato semplicisticamente ritenuto e come è stato contestato dalla P.A. ricorrente.”

A dispetto delle varie massime sopra esaminate, i contenziosi relativi ad azioni proposte dalle autorità ecclesiastiche per ottenere che atti o negozi di straordinaria amministrazione venissero cassati, in quanto carenti delle prescritte licenze canoniche, hanno lasciato una limitata traccia in giurisprudenza, verosimilmente per le peculiarità dell’ordinamento ecclesiastico.

Anche in tale ipotesi, comunque, la Cassazione, Sezione II, 06 agosto 1983, n. 5287, ha assegnato alla nullità derivante dagli atti posti in essere senza la licenza canonica di cui al Libro V del Codex Iuris Canonici, il carattere della relatività, nel senso che essa può essere dedotta in giudizio soltanto dall’ente ecclesiastico che ha negoziato. Così, si afferma : “ La mancata approvazione di un contratto stipulato da un ente ecclesiastico, da parte delle competenti autorità ecclesiastiche preposte alla vigilanza ed al controllo, può essere dedotta, per privare il contratto della sua efficacia, soltanto da detto ente, nel cui interesse il controllo avrebbe dovuto essere svolto, e non anche dall'altro contraente e dai suoi aventi causa”. Tale interpretazione priverebbe l’attività di controllo delle superiori autorità ecclesiastiche dell’effettività di cui dovrebbe invece godere, in quanto solo lo stesso amministratore dell’ente che ha posto in essere il negozio (illegittimamente) rimarrebbe titolato ad attivare l’azione di nullità; le superiori autorità ecclesiastiche non avrebbero altra scelta che rimuovere dal beneficio ecclesiastico il responsabile dell’ente che non intendesse adire all’azione di nullità. Così, successivamente, la Cassazione, Sezioni Unite, 12 novembre 1988, n. 6130, ha sostenuto che, nelle controversie inerenti la validità di un contratto privatistico stipulato da un ente ecclesiastico, per determinare chi sia il soggetto legittimato a far valere vizi nella formazione di volontà a negoziare dell’ente, debba rivolgersi alle norme poste dal diritto canonico: “ Spetta al giudice italiano stabilire la validità, secondo le regole del diritto canonico e dello statuto dell'ente ecclesiastico, del contratto di diritto privato (nella specie, locazione dell'immobile non destinato dall'esercizio del culto cattolico), stipulato dall'ente stesso”.

Rafforzando il principio sopra enunciato, la Cassazione, Sezione III, 12 maggio 1993, n. 5418, afferma: “ L'attività contrattuale degli enti ecclesiastici si attua sotto la vigilanza ed il controllo delle competenti autorità canoniche che si estrinsecano, ora, a norma dei cann. 1291 e ss. C.j.c. attraverso l'autorizzazione, la quale è richiesta "ad valide alienanda" anche per diritto civile (pur se la mancanza di "licentia" può essere dedotta soltanto dall'ente ecclesiastico interessato, e non anche dall'altro contraente) acquistando le norme canoniche forza di legge nell'ordinamento italiano per effetto del rinvio formale .”

Dalla medesima sentenza è stata tratta la massima secondo la quale: Le modifiche apportate al concordato tra lo Stato italiano e la Santa Sede (mediante l'accordo firmato a Roma il 18 febbraio 1984, e per effetto dell' art. 7 l. 25 marzo 1985 n. 121 di ratifica ed esecuzione) hanno soppresso ogni ingerenza dello Stato nell'amministrazione dei beni appartenenti agli enti ecclesiastici, soggetta ormai esclusivamente ai controlli previsti dal diritto canonico, salva l'applicazione delle disposizioni della legge italiana sugli acquisti delle persone giuridiche ( art. 17 legge n. 222 del 1985 ), onde, venuta meno con effetto immediato la disciplina del controllo dello Stato sugli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione dei patrimoni beneficiati (ora soppressi) ex art. 30 del concordato del 1929 ed ex art. 12 e 14 l. 27 maggio 1929 n. 848 e 23 r.d. 2 dicembre 1929 n. 2262 , anche la validità dei contratti in corso deve essere accertata secondo le nuove disposizioni (ius superveniens" quando, trattandosi di giudizio pendente, non si sia formato giudicato sul punto ” .

Antonio Fuccillo sottolinea il peso della licenza della Santa Sede, quale atto necessario e integrante la validità del negozio giuridico di alienazione di beni culturali posto in essere dal rappresentante l’ente ecclesiastico. Nella “ Compravendita immobiliare compiuta da enti ecclesiastici cattolici” ( Notariato 1997, 1, 65), sottolinea come il notaio rogante sia obbligato ad attivarsi per individuare se occorra o meno l’autorizzazione tutoria, ed in caso affermativo richiederla ed allegarla.

Il Fuccillo aggiunge “ Per particolari categorie di beni è invece richiesta direttamente la licentia della Santa Sede, prescindendo del tutto dal valore "venale" del bene oggetto dell'atto.

Si tratta dei cd. "ex voto", cioè di quei beni donati per via di una "grazia ricevuta", beni per lo più mobili, e quindi difficilmente interessanti l'attività notarile. Tale previsione, in ogni caso, non mi sembra possa preoccupare più di tanto per diritto civile, data l'applicabilità ai beni mobili del disposto dell'art. 1153 c.c.

Maggiori conseguenze produce invece la previsione (can. 1292, 2, c.j.c.) della necessità della licentia della Santa Sede per l'alienazione dei beni "o di oggetti preziosi di interesse storico artistico". In tale caso, riguardando la norma anche beni immobili ed universalità di mobili, vengono ad appesantirsi le già gravose modalità di circolazione dei beni culturali in generale.”

L’autorevole commento è fondamentalmente rivolto agli atti giuridici afferenti i beni immobili, ma sostanzialmente utile per comprendere come, in virtù dell’esplicito richiamo della normativa canonica nell’ordinamento civile, siano nulli gli atti ed i negozi giuridici afferenti beni culturali ecclesiastici posti in essere senza la licenza dell’autorità tutoria, come desumibile dai canoni 124, 127, 1291 e 1292 C.i.c.

Di recente, a dispetto di ogni teorica dottrinale, la Suprema Corte è tornata in argomento in continuità con l’indirizzo interpretativo maggioritario, precisando ancora una volta che “La nullità di cui al suddetto art. 56 [d.lgs.42/2004] è, per di più, una nullità relativa”. (Cass. civ. Sez.II 30984/2019)

  1. Proposte d’interpretazione e d’applicazione pratica.

La ratio che accomuna tutte le disposizioni di tutela dei beni culturali di interesse religioso dovrebbe essere tradotta nella straordinaria quanto semplicistica affermazione della Suprema Corte ( Sez. I, 07.04.1992, n.4260) : “ È noto, infatti, che in Italia gran parte del patrimonio artistico si trova nelle chiese aperte gratuitamente al pubblico (cioè appartiene ad enti morali ai quali si riferisce la disciplina contenuta nella sezione I del capo III della legge citata: artt. 23-29) e che condizione essenziale perché detto patrimonio possa continuare ad essere ammirato dal pubblico nell'esercizio di una libertà costituzionalmente protetta (desumibile dal primo comma dell'art. 33 della Costituzione ) è che esso vi resti”.

Il patrimonio storico-artistico nazionale deve restare nel luogo ove è stato concepito, perché ivi si potrà apprezzare e fruire secondo la concezione ed il punto di vista dell’artista, con la medesima intensità luminosa e prospettiva, lo stesso microclima, la stessa atmosfera sacrale che da secoli lo culla.

Nella giurisprudenza si rileva 37 la qualifica di relatività attribuita alla nullità sancita dall’art. 164 del D.L. vo 42/2004. Detto giudizio è basato sulla disamina sistematica del R.D.L. 22 novembre 1925, n. 2192 che dettava disposizioni sulle alienazioni contro i divieti fissati dalla legge 20 giugno 1909, n. 363. L’art. 5 di quest’ultima legge imponeva l’obbligo di denunciare il trasferimento della proprietà di un bene sottoposto a vincolo al fine di mettere in condizione lo Stato di esercitare il diritto di prelazione ex art. 6. Con l’art. 29 della Legge 363/1909, si disponeva che “ Le alienazioni, fatte contro i divieti contenuti nella presente legge, sono nulle di pieno diritto ”, lasciando comunque distinti i due momenti giuridici di cui agli artt. 5 e 6 citati. Con il R.D.L. 2192/1925 venne precisato che la nullità prevista dall’art. 29 “ è dichiarata dal governo del re… quando intende esercitare il diritto di prelazione riservatogli dall’art. 6 della legge medesima”, collegando le norme di cui agli artt.5 e 6 e subordinando la dichiarazione di nullità alla conseguente prelazione pubblica.

Successivamente la nuova formula dell’art. 61 della Legge 1089/1939, riproposta nell’art. 135 del T.U. 490/99 e attualmente nell’art. 164 del D.L.vo 42/2004, ha esteso il campo di riferimento delle nullità comminabili oggi a tutte le convenzioni e agli atti giuridici in genere posti in essere contro i divieti e senza l’osservanza delle condizioni e modalità prescritte dalle norme di tutela. Ciò ha nuovamente svincolato la nullità dal fine ultimo che l’autorità si prefigge, per cui il Ministero potrebbe ben dichiarare la nullità di un atto giuridico viziato senza necessariamente dover adire successivamente ad una procedura di prelazione. A supporto si richiama l’autonoma figura prevista dall’art. 56 del D.L.vo 42/2004 38 che prevede l’autorizzazione governativa per le “ l'alienazione dei beni culturali appartenenti a soggetti pubblici diversi da quelli indicati alla lettera a ) o a persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti“ , determinando in caso contrario una ulteriore causa di nullità del successivo negozio posto in essere senza la prescritta autorizzazione. Di fatto, abbiamo due momenti distinti nell’iter del trasferimento che possono determinare la nullità del negozio, uno ante a carattere autorizzatorio ed una post a carattere dichiarativo: la violazione di entrambi determina una sanzione penale comminata dal richiamato art. 173 D.L. vo 42/2004.

Evidentemente la nullità nasce quale sanzione svincolata dai suoi stessi fini: la restituzione di un bene culturale al proprietario (la Chiesa) che indebitamente lo ha alienato, conseguente alla dichiarazione di nullità del negozio di trasferimento viziato, potrebbe essere l’unico obiettivo dell’azione statale o delle superiori autorità ecclesiastiche, tesa a ripristinare una situazione nella quale è il primario interesse pubblico ad essere leso, quale la stessa fruibilità del bene o il depauperamento del patrimonio.

Nel paragrafo precedente, abbiamo esaminato la duplice nullità che può affettare un negozio giuridico finalizzato al trasferimento o alla alienazione di un bene culturale di interesse religioso: il primo deriverebbe dall’assenza della licenza dall’autorità competente a rilasciarla, il secondo dalla carenza di autorizzazione ministeriale.

Appare riduttivo pensare che un così vasto apparato legislativo possa partorire una nullità astrattamente relativa che per la sua intima contraddittorietà, fra l’altro, ha destato non poche perplessità in dottrina. Se la nullità derivante dall’art. 164 D.L. vo 42/2004 può lasciare adito ad una interpretazione che volge all’interesse statale, certamente la prima tipologia di nullità, quella derivante dalla norma pattizia non può che essere sancita nell’esclusivo interesse della Chiesa universale, titolare in senso lato dei beni patrimoniali necessari per la missione spirituale cui tende e per i quali ha interesse ad evitarne la dispersione.

Inoltre, la tutela costituzionale dettata dal 2° comma dell’art. 9 della Costituzione dovrebbe oltrepassare la natura relativa di una nullità che invece mira a garantire erga omnes la fruibilità del patrimonio storico e artistico della Nazione. Proprio lo stesso provvedimento giudiziario, citato in apertura, sancisce addirittura che la nullità dell’alienazione è opponibile al terzo acquirente, anche di buona fede.

Sullo sfondo di tale interesse primario, l’interpretazione sistematica delle norme dovrebbe avere più rigido carattere restrittivo, mirando a tutelare, più che l’interesse dei singoli contraenti, la res pretiosa. Essa per altro, nella fattispecie, subisce la violenta decontestualizzazione che in re ipsa potrebbe arrecarle un danno, facendole assumere il più delle volte la veste di “corpo del reato” di cui all’art. 173 D.L. vo 42/2004 39. Quest’ultima considerazione, infatti, potrebbe essere argomento per avvalorare l’ipotesi della “clandestinità” di un bene culturale ecclesiastico alienato indebitamente, utile al ritardato decorso di una ipotetica usucapione.

Da quanto finora in argomento, appare utile schematizzare come segue il regime cui è sottoposto il trasferimento di un bene culturale ecclesiastico:

LICENZA SANTA SEDE

AUTORIZZAZIONE

MINISTERO

(ex art. 56 D.L.vo 42/2004)

DENUNCIA

MINISTERO

(ex art. 59 D.L.vo 42/2004)

SANZIONI

CIVILE

(nullità)

PENALE

(art.173)

SI

SI

SI

NO

NO

SI

NO

NO

SI

SI

NO

SI

SI

SI

NO

    1. Applicabilità dell’art. 815 e 2683 c.c. ai “beni culturali”.

Nello studio della specifica materia, risalta come non venga, sia pur a livello propositivo, affrontata la possibilità di considerare i beni culturali quali “beni mobili iscritti in pubblici registri” ai sensi dell’art. 815 c.c. Tale previsione potrebbe apparire un “deprezzamento” spirituale dei beni culturali, in special modo quelli di interesse religioso, ma ciò, si suppone, possa tornare solo a vantaggio giuridico delle pregevoli res, poiché le ricomprenderebbe nella più ristretta categoria civilistica dei beni mobili registrati, protetta dalle pretese del terzo acquirente anche di buona fede.

L’art. 815 c.c. recita : “ I beni mobili iscritti in pubblici registri sono soggetti alle disposizioni che li riguardano e, in mancanza alle disposizioni relative ai beni mobili ”. In vero, le disposizioni che riguardano i beni culturali sono racchiuse nelle varie norme speciali che li disciplinano ormai dagli inizi del ‘900, compreso lo storico obbligo della loro catalogazione.

Il Cardinal Pacca già nel 1802 dispose l’elencazione di ogni bene di qualsiasi ente, istituto, oratorio o convento; ancor prima nel 1773 a Venezia, Anton Maria Zanetti per arginare il fenomeno delle esportazioni prescrisse la catalogazione delle opere degne di tutela esistenti presso chiese, monasteri, scuole ecc.

Con la prima legge di tutela, 12 giugno 1902, n. 185, si legiferò espressamente in materia, prevedendo che il Ministero “ con le norme che saranno indicate nel regolamento, provvederà alla formazione dei cataloghi dei monumenti e degli oggetti d’arte e di antichità di proprietà degli enti morali, saranno espressamente indicati quei monumenti e quegli oggetti i quali per la somma loro importanza non sono alienabili ai privati…”, fra l’altro, “…l’iscrizione d’ufficio nel catalogo di oggetti d’arte o di antichità di proprietà privata, si limiterà agli oggetti d’arte o di antichità di sommo pregio, la cui esportazione dal Regno costituisca un danno grave per i patrimonio artistico e per la storia.”

L’istituto aveva natura certificativa e l’inserzione di un bene nell’elenco lo subordinava alla speciale disciplina, ma con i suoi limiti. I pericoli facilmente rilevabili dall’applicazione di una elencazione costitutiva vengono oltrepassati dalla legge del 1909. La catalogazione assumerà i caratteri dell’obbligatorietà con il R.D. 14 giugno 1923, n. 1889 “ Norme per la compilazione del catalogo dei monumenti e delle opere d’arte d’interesse storico, archeologico ed artistico” e con il R.D. 2 dicembre 1929, n. 2262 “ Norme di esecuzione delle leggi di ratifica del concordato e del trattato del Laterano” che estendeva l’onere agli enti ecclesiastici.

Così l’art. 4 40 della Legge 1° giugno 1939, n. 1089 prevedeva l’obbligo per coloro i quali rappresentavano gli enti pubblici territoriali e non, e delle persone giuridiche private senza fine di lucro, di predisporre un elenco descrittivo dei beni di interesse culturale di proprietà, sottolineando all’ultimo comma che comunque “Le cose indicate nell’art. 1 restano sottoposte alle disposizioni della presente legge, anche se non risultino comprese negli elenchi e nelle dichiarazioni di cui al presente articolo” . Detto obbligo sarà trasferito nell’art. 5 41 del D.L.vo 25 ottobre 1999, n. 490 che parimenti alla più vecchia previsione libererà l’elencazione da carattere costitutivo; l’importanza di tale elencazione viene sottolineata dalla previsione del 4° comma del medesimo articolo che prevede in caso di inerzia degli enti, la possibilità per il Ministero di procedere d’ufficio a spese del medesimo ente. Detta inerzia, per altro, veniva punita con sanzione amministrativa comminata dall’ art. 130 42 del decreto.

La catalogazione dei beni culturali tutti, oggi, è curata dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali che, per alimentare la Banca dati nazionale, si avvale dei suoi organi periferici (le Soprintendenze) e degli enti pubblici locali secondo il disposto dell’art. 17 43 del D.L. vo 22 gennaio 2004, n. 42.

La catalogazione è l'attività di registrazione, descrizione e classificazione di tutte le tipologie di beni culturali. Si tratta di individuare e conoscere i beni, documentarli in modo opportuno e archiviare le informazioni raccolte secondo precisi criteri 44.

I dati raccolti “ affluiscono al catalogo nazionale dei beni culturali in ogni sua articolazione” secondo il 5° comma. A standardizzare ed omogeneizzare la catalogazione è preposto a livello governativo l’Istituto Centrale per la Catalogazione e la Documentazione (I.C.C.D.) che attraverso il Sistema Informativo Generale del Catalogo (S.I.Ge.C.) è “responsabile per l’acquisizione e la gestione integrata delle conoscenze sul patrimonio culturale italiano” 45 . Fra i suoi compiti determinati dall’art.1 46 del D.M. 07 ottobre 2008, l’istituto “provvede all'assegnazione dei numeri di catalogo generale che individuano univocamente i beni che compongono il patrimonio archeologico, architettonico, storico artistico e demoetnoantropologico nazionale 47 : insomma il nostro “Pubblico Registro Automobilistico” dei beni culturali, già legislativamente consultabile dal pubblico ai sensi del 6° comma del citato art. 17.

Potrebbe contestarsi che l’art. 2683 c.c. non disponga per tali beni la pubblicità a mezzo trascrizione ma, senza alcuna variazione del codice, il rinvio previsto dall’art. 2696 c.c. 48 li potrebbe ricomprendere nella disciplina con una previsione espressa del D.L.gs 42/2004.

Se sul piano giuridico si apprezza un barlume di fattibilità, il dibattito deve trasferirsi sul piano tecnico-scientifico in considerazione che per una efficace attuabilità di questa ipotesi ogni bene culturale registrato dovrebbe essere inequivocabilmente identificabile attraverso un dato/sigla/codice che univocamente possa permettere la sua tracciabilità (la “targa” del nostro bene culturale). Nei beni culturali quali gli immobili registrati tale dato non potrebbe che essere l’identificativo catastale, ma in quelli mobili sarebbe necessario uno studio di settore che possa certificare l’idoneità e l’efficacia di un “contrassegno” univoca sul bene: un microchip ? La scienza del restauro non ci autorizza, ovviamente, ad adottare tecniche invasive sulle opere, ma un compromesso fra la tutela giuridica e quella tecnica potrebbe garantire l’applicazione del nostro assunto. In considerazione che la mera attribuzione di un numero di catalogo generale, materialmente invisibile sull’opera, non potrebbe indurre l’acquirente di buona fede a promuovere eventuali accertamenti presso il pubblico registro.

La funzione scientifica, amministrativa e tecnica della catalogazione, certamente indispensabile per la fondamentale conoscenza del patrimonio, sarebbe così integrata da quella veste giuridica che potrebbe tornare utile nella tutela dei beni culturali.

    1. Effetti dell’acquisto del possesso – art. 1153 c.c.

La proposta di cui al paragrafo precedente escluderebbe a priori, ad esempio, l’applicabilità dell’art. 1153 c.c. agli acquisiti da parte di soggetto in buona fede per espressa previsione di cui all’art. 1156 c.c. che la esclude per le universalità di beni mobili e per i beni mobili iscritti in pubblici registri.

Essa per altro, come abbiamo visto nel cap. 3, è stata comunque esclusa dalla Suprema Corte che con la pronuncia della Sezione I, 07 aprile 1992, n. 4260 nel contenzioso Ministero Beni Culturali / Cucci in via interpretativa teleologico-sistematica ha pienamente bocciato l’assunto della ricorrente secondo il quale un semplice duplice passaggio avrebbe potuto eludere le norme di tutela, lasciando il pacifico godimento del bene al terzo acquirente di buona fede, secondo il noto brocardo possideo quia possideo.

Gli ermellini facendo riferimento alla traditio del bene alienato senza la prescritta autorizzazione ministeriale, precisano “… Il rispetto di tale specifico divieto impedisce l'applicabilità nella specie della regola generale per il trasferimento della proprietà dei beni mobili posta dall'art. 1153 cod. civ. , secondo cui l'immissione nel possesso mediante consegna della cosa "vale titolo" (sana, cioè, l'inefficacia del titolo a produrre il trasferimento della proprietà, inefficacia dovuta al fatto che, pur essendo idoneo in base alla causa sua tipica a provocarlo, proviene "a non domino").

Deve, infatti, ritenersi che la consegna della cosa (o "tradizione" della medesima che dir si voglia essendo i due termini perfettamente sinonimi), cui l'art. 1153 cod. civ. si riferisce per produrre gli effetti ivi stabiliti, debba essere non vietata dalla legge per motivi d'ordine superiore all'interesse privato alla certezza del commercio mobiliare che la predetta norma vuole assicurare…”.

    1. Usucapione dei beni mobili – art. 1161 c.c. e Vizi del possesso – art. 1163 c.c.

Pur riuscendo a restringere il campo del possesso di buona fede, non è improbabile imbattersi in circostanze di fatto e di diritto per le quali è possibile ipotizzare l’applicazione della usucapio. I rappresentanti del clero, spesso spinti da indulgenza verso il prossimo, tralasciano di avviare azioni tese a perseguire coloro i quali approfittano del loro spirito benevole, appropriandosi di beni mobili anche di interesse culturale. La tolleranza, pur giuridicamente irrilevante ex art. 1144 c.c., potrebbe condurre alla configurabilità degli elementi costitutivi dell’usucapione, con conseguente acquisizione del bene di interesse culturale da parte del terzo, anche di mala fede.

La previsione normativa attuale farebbe scattare l’istituto citato nel caso di :

  • possesso del bene,

  • continuità del possesso non interrotta,

  • decorso di un certo lasso di tempo.

Nel nostro caso, trattandosi di beni mobili non registrati si potrebbe ipotizzare una usucapione abbreviata, cioè che si consolida con il decorso di 10 anni, senza interruzione, di possesso di buona fede o di 20 anni di possesso di mala fede ex art. 1161 c.c.

Soltanto il possesso acquisito con violenza o clandestinità inibirebbe il decorso del termine temporale previsto, almeno fino a quando tali due profili di fatto elementi non vengano meno. A parte i classici episodi criminosi di violenza, quali furti o rapine, la clandestinità potrebbe derivare dall’alienazione illecita del bene, reato previsto e punito dall’art. 173 D. L.vo 42/2004 49: il bene sarebbe di fatti corpo o cosa pertinente al reato previsto dalla normativa speciale, sostanzialmente al pari dell’ipotetico furto sopra richiamato.

Nella stragrande maggioranza dei casi la fuoriuscita dal patrimonio dell’ente ecclesiastico è dovuto ad eventi criminosi, fra i quali appunti l’alienazione indebita, ciò oltre a rendere inevocabile l’art.1153 c.c., ostacolerebbe l’avvio dei decorso temporale utile ad una ipotetica usucapione.

L’ipotesi illustrata nel par. 2.1 (bene culturale = bene mobile registrato) metterebbe il bene culturale di interesse religioso maggiormente al riparo dall’istituto dell’usucapione, garantendone un più agevole recupero.

L’art. 1162 c.c. 50, infatti, disciplinando l’usucapione di beni mobili registrati in pubblici registri, lascia aperti notevoli spiragli giuridici per far sì che il bene fuoriesca dalla clandestinità. La norma prevede un termine, particolarmente breve, di tre anni affinché si compia l’usucapione, ma le condizioni perché esso si possa costituire sono maggiormente restrittive.

L’articolo in parola prende in considerazione soltanto l’acquirente di buona fede che, acquistando un bene mobile registrato da chi non è proprietario, lo deve fare in forza di un titolo che sia idoneo a trasferire la proprietà: detto titolo, in caso di alienazione non autorizzata, non potrebbe in linea teorica essere idoneo, in quanto travolto dalla nullità che a monte affetta il negozio che ha trasferito il bene fuori dalla disponibilità dell’ente ecclesiastico proprietario. Pur volendolo reputare valido ed idoneo, esso titolo dovrebbe essere debitamente trascritto nel pubblico registro (il nostro S.I.Ge.C. ministeriale) per far decorrere il termine costitutivo dei tre anni per l’usucapione breve.

E’ proprio tale passaggio che permetterebbe di rilevare gli illeciti del negozio qualora non fossero presenti le dovute autorizzazioni governative ed ecclesiastiche e senza la prescritta denuncia ministeriale: ciò permetterebbe agli aventi diritto o alle autorità pubbliche di promuovere ogni azione giudiziaria tesa ad ottenere il ripristino della situazione originaria con la ricollocazione del bene nel sito di provenienza.

Trattandosi il più delle volte di un bene che viaggia in clandestinità l’acquirente dovrebbe nel corso della trattativa consultare il Catalogo nazionale per le verifiche del caso (verifiche che tra l’altro sancirebbero la buona fede dell’acquirente), potendo sfruttare uno strumento assimilabile a quello dei registri immobiliari, automobilistici o delle armi da sparo.

Il catalogo, si ribadisce, dovrebbe permettere di risalire univocamente alla proprietà partendo dal bene identificabile tecnicamente con una segnatura inequivocabile, anche perché non concorrendo le condizioni previste dal 1° comma del citato articolo, l’usucapione comunque si compirebbe con il decorso di dieci anni.

Sia con la prima che con la seconda ipotesi l’usucapibilità di un bene culturale mobile potrebbe essere esclusa, principalmente in considerazione della sussistenza di un vizio nel possesso della res, nel caso essa sia provento di reato.

    1. Conclusioni.

Se possiamo analizzare sotto svariate angolazioni il momento repressivo della tutela dei beni culturali di interesse religioso, è indispensabile acquisire una padronanza della normativa generale nell’amministrazione delle res pretiosae di un ente ecclesiastico, quale fondamentale momento preventivo indispensabile a scongiurare il depauperamento dei beni.

Coloro i quali sono chiamati ad amministrare i beni culturali devono essere in grado di vigilare sull’amministrazione dei beni mediante l’attuazione integrata delle misure legislative di fonte canonica, civile e pattizia. L’intima convinzione che la gestione di un imponente ed importante patrimonio come quello ecclesiastico debba attraversare leggi e regolamenti, burocrazia, istituti pubblici e religiosi, sfocerà necessariamente nella tutela e nella salvaguardia di tali beni, ben oltre le aspettative della gestione del buon padre di famiglia imposta dal diritto canonico. Nonostante i continui moniti pontifici, l’arbitraria gestione del patrimonio ha apportato danni di inestimabile gravità sui beni culturali di interesse religioso, finanche la loro vendita determinata da una costante pressione del mercato dell’arte che è sempre affamato di beni a sfondo sacro.

Nel 1991 la Pontificia Commissione per la Conservazione del Patrimonio Artistico e Storico negli atti indirizzati ai presidenti delle conferenze episcopali europee sollecitava il clero all’adozione della “somma diligenza” nella gestione del patrimonio. Così con lo stesso tenore la Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa nel 2006 ha inteso sollecitare agli Istituti di vita consacrata la necessità della catalogazione dei beni di interesse, anche al fine di prevenire furti, alienazioni indebite. Nel 2007 la Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica sollecitava la necessità del rispetto della normativa canonica e civile nell’amministrazione ed alienazione dei beni.

La tutela preventiva curata dal medesimo ente proprietario non può che essere il miglior antidoto contro la dispersione dei beni culturali di interesse religioso; oggi, fortunatamente, essa appare curata in via prioritaria da figure competenti incaricate e preposte alla direzione degli Uffici per i Beni Culturali Ecclesiastici a livello diocesano e a livello nazionale.

L'Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici nasce nel 1995 in seno alla Segreteria Generale della Conferenza Episcopale Italiana con lo scopo principale di collaborare con la Conferenza Episcopale Italiana, le Diocesi, le Conferenze Episcopali Regionali e le Società di vita apostolica nella tutela e corretta valorizzazione, l'adeguamento liturgico e l'incremento dei beni culturali ecclesiastici. Esso è inoltre incaricato di favorire la collaborazione tra la Chiesa e le Pubbliche Amministrazioni - in particolare tra la C.E.I. e il Ministero per i beni ed le attività culturali, allo scopo di agevolare la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale ecclesiastico, secondo le disposizioni dell'Accordo di revisione del Concordato e sulla scorta dell’intesa 26 gennaio 2005 tra il Ministro per i beni e le attività culturali ed il Presidente della Conferenza episcopale italiana.

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1 Art. 9 del D. L.vo 22 gennaio 2004, nr. 42 - Beni culturali di interesse religioso: “ 1. Per i beni culturali di interesse religioso appartenenti ad enti ed istituzioni della Chiesa cattolica o di altre confessioni religiose, il Ministero e, per quanto di competenza, le regioni provvedono, relativamente alle esigenze di culto, d’accordo con le rispettive autorità.

2. Si osservano, altresì, le disposizioni stabilite dalle intese concluse ai sensi dell’articolo 12 dell’Accordo di modificazione del Concordato lateranense firmato il 18 febbraio 1984, ratificato e reso esecutivo con legge 25 marzo 1985, n. 121, ovvero dalle leggi emanate sulla base delle intese sottoscritte con le confessioni religiose diverse dalla cattolica, ai sensi dell’articolo 8, comma 3, della Costituzione.”

2 Can. 1171 C.i.c.- “ Le cose sacre, quelle cioè che sono state destinate al culto divino con la dedicazione o la benedizione, siano trattate con riverenza e non siano adoperate per usi profani o impropri, anche se sono in possesso di privati” .

3 Can. 1189 C.i.c. – “ Le immagini preziose, ossia insigni per antichità, arte o culto, che sono esposte alla venerazione dei fedeli nelle chiese o negli oratori, qualora necessitino di riparazione, non siano mai restaurate senza la licenza scritta dell'Ordinario; e questi, prima di concederla, consulti dei periti .”

4 Can. 1190 C.i.c. – “ §1. È assolutamente illecito vendere le sacre reliquie.

§2. Le reliquie insigni, come pure quelle onorate da grande pietà popolare, non possono essere alienate validamente in nessun modo né essere trasferite in modo definitivo senza la licenza della Sede Apostolica.

§3. Il disposto del §2 vale anche per le immagini che in taluna chiesa sono onorate da grande pietà popolare.”

5 Can. 1192 C.i.c. – “ §1. Il voto è pubblico, se viene accettato dal legittimo Superiore in nome della Chiesa; diversamente è privato.

§2. È solenne, se è riconosciuto come tale dalla Chiesa; diversamente è semplice.

§3. È personale, se l'oggetto della promessa è un'azione di chi emette il voto; reale, se l'oggetto della promessa è una cosa; misto, se partecipa della natura del voto personale e reale.”

6 Art. 1 Legge 25 luglio 2001, n. CCCLV - Legge sulla tutela dei beni culturali emanata dallo Stato della Città del Vaticano:

1. Oggetto della presente legge sono le cose, mobili e immobili, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnografico, di spettanza della Santa Sede, dello Stato della Città del Vaticano, degli Organismi, delle Amministrazioni, degli Enti e degli Istituti aventi sede nello Stato e negli immobili di cui agli artt. 15 e 16 del Trattato fra la Santa Sede e l'Italia dell'11 febbraio 1929 e successive modifiche, compresi:

a) le cose che interessano la paleontologia, la preistoria e le primitive civiltà e i reperti archeologici;

b) le cose d'interesse numismatico;

c) i manoscritti, gli autografi, i carteggi, i documenti notevoli, gli archivi anche su supporto non cartaceo, nonché gli incunaboli, i libri, le carte geografiche, gli spartiti musicali, il materiale fotografico, le stampe e le incisioni aventi carattere di rarità o di pregio;

d) i mezzi di trasporto di interesse storico e i beni e gli strumenti di interesse per la storia della scienza e della tecnica;

e) le collezioni o serie di oggetti che, per tradizione, fama o particolari caratteristiche ambientali rivestono come complesso un interesse artistico o storico;

f) le ville, i parchi e i giardini che abbiano interesse artistico, storico o paesaggistico.

2. La presente legge non si applica alle cose, di cui al comma precedente, che, pur di spettanza dei soggetti di cui allo stesso comma, si trovino al di fuori del territorio dello Stato e degli immobili di cui agli artt. 15 e 16 del Trattato fra la Santa Sede e l'Italia dell'I 1 febbraio 1929 e successive modifiche.

7

D.L. vo 22 gennaio 2004, n. 42 - Art. 10. Beni culturali:

1. Sono beni culturali le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico.
2. Sono inoltre beni culturali:

a) le raccolte di musei, pinacoteche, gallerie e altri luoghi espositivi dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente ed istituto pubblico;
b) gli archivi e i singoli documenti dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente ed istituto pubblico;
c) le raccolte librarie delle biblioteche dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente e istituto pubblico, ad eccezione delle raccolte che assolvono alle funzioni delle biblioteche indicate all'articolo 47, comma 2, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616.
3. Sono altresì beni culturali, quando sia intervenuta la dichiarazione prevista dall’articolo 13:

a) le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente importante, appartenenti a soggetti diversi da quelli indicati al comma 1;
b) gli archivi e i singoli documenti, appartenenti a privati, che rivestono interesse storico particolarmente importante;
c) le raccolte librarie, appartenenti a privati, di eccezionale interesse culturale;
d) le cose immobili e mobili, a chiunque appartenenti, che rivestono un interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell’arte, della scienza, della tecnica, dell'industria e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell’identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose;
e) le collezioni o serie di oggetti, a chiunque appartenenti, che non siano ricomprese fra quelle indicate al comma 2 e che, per tradizione, fama e particolari caratteristiche ambientali, ovvero per rilevanza artistica, storica, archeologica, numismatica o etnoantropologica, rivestano come complesso un eccezionale interesse.
4. Sono comprese tra le cose indicate al comma 1 e al comma 3, lettera a):

a) le cose che interessano la paleontologia, la preistoria e le primitive civiltà;
b) le cose di interesse numismatico che, in rapporto all'epoca, alle tecniche e ai materiali di produzione, nonché al contesto di riferimento, abbiano carattere di rarità o di pregio;
c) i manoscritti, gli autografi, i carteggi, gli incunaboli, nonché i libri, le stampe e le incisioni, con relative matrici, aventi carattere di rarità e di pregio;
d) le carte geografiche e gli spartiti musicali aventi carattere di rarità e di pregio;
e) le fotografie, con relativi negativi e matrici, le pellicole cinematografiche ed i supporti audiovisivi in genere, aventi carattere di rarità e di pregio;
f) le ville, i parchi e i giardini che abbiano interesse artistico o storico;
g) le pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi aperti urbani di interesse artistico o storico;
h) i siti minerari di interesse storico od etnoantropologico;
i) le navi e i galleggianti aventi interesse artistico, storico od etnoantropologico;
l) le architetture rurali aventi interesse storico od etnoantropologico quali testimonianze dell’economia rurale tradizionale.
5. Salvo quanto disposto dagli articoli 64 e 178, non sono soggette alla disciplina del presente Titolo le cose indicate al comma 1 che siano opera di autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni, se mobili, o ad oltre settanta anni, se immobili, nonché le cose indicate al comma 3, lettere a) ed e), che siano opera di autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni.”

8 come novellato dall’art.1 comma 175 lettera a) legge 124 del 2017 ;

9 Canone 1256 C.i.c. – “ La proprietà dei beni, sotto la suprema autorità del Romano Pontefice, appartiene alla persona giuridica che li ha legittimamente acquistati .”

10 Canone 1282 C.i.c. “ Tutti coloro, sia chierici sia laici, che a titolo legittimo hanno parte nell'amministrazione dei beni ecclesiastici, sono tenuti ad adempiere i loro compiti in nome della Chiesa, a norma del diritto .”

11 Canone 1284 C.i.c. – “ §1. Tutti gli amministratori sono tenuti ad attendere alle loro funzioni con la diligenza di un buon padre di famiglia.

§2. Devono pertanto: 1) vigilare affinché i beni affidati alla loro cura in qualsiasi modo non vadano distrutti o subiscano danneggiamenti, stipulando allo scopo, se necessario, contratti di assicurazione; 2) curare che sia messa al sicuro la proprietà dei beni ecclesiastici in modi validi civilmente; 3) osservare le disposizioni canoniche e civili o quelle imposte dal fondatore o dal donatore o dalla legittima autorità e badare soprattutto che dall'inosservanza delle leggi civili non derivi danno alla Chiesa; 4) esigere accuratamente e a tempo debito i redditi dei beni e i proventi, conservandoli poi in modo sicuro dopo la riscossione ed impiegandoli secondo le intenzioni del fondatore o le norme legittime; 5) pagare nel tempo stabilito gli interessi dovuti a causa di un mutuo o d'ipoteca e curare opportunamente la restituzione dello stesso capitale; 6) impiegare, con il consenso dell'Ordinario, il denaro eccedente le spese e che possa essere collocato utilmente, per le finalità della Chiesa o dell'istituto; 7) tenere bene in ordine i libri delle entrate e delle uscite; 8) redigere il rendiconto amministrativo al termine di ogni anno; 9) catalogare adeguatamente documenti e strumenti, sui quali si fondano i diritti della Chiesa o dell'istituto circa i beni, conservandoli in un archivio conveniente ed idoneo; depositare poi gli originali, ove si possa fare comodamente, nell'archivio della curia.

§3. Si raccomanda vivamente agli amministratori di redigere ogni anno il preventivo delle entrate e delle uscite; si lascia poi al diritto particolare imporlo e determinarne le modalità di presentazione.”

12 Art. 1176 Codice Civile: “ Nell'adempiere l'obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia.

Nell'adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attività esercitata.”

13 Canone 118 C.i.c. : “ Rappresentano la persona giuridica pubblica, agendo a suo nome, coloro ai quali tale competenza è riconosciuta dal diritto universale o particolare oppure dai propri statuti; rappresentano la persona giuridica privata, coloro cui la medesima competenza è attribuita attraverso gli statuti.”

14 Canone 1281 C.i.c. - §1. Ferme restando le disposizioni degli statuti, gli amministratori pongono invalidamente atti che oltrepassano i limiti e le modalità dell'amministrazione ordinaria, a meno che non abbiano ottenuto prima permesso scritto dall'Ordinario.

§2. Negli statuti si stabiliscano gli atti eccedenti i limiti e le modalità dell'amministrazione ordinaria; se poi gli statuti tacciono in merito, spetta al Vescovo diocesano, udito il consiglio per gli affari economici, determinare tali atti per le persone a lui soggette.

§3. La persona giuridica non è tenuta a rispondere degli atti posti invalidamente dagli amministratori, se non quando e nella misura in cui ne ebbe beneficio; la persona giuridica stessa risponderà invece degli atti posti validamente ma illegittimamente dagli amministratori, salva l'azione o il ricorso da parte sua contro gli amministratori che le abbiano arrecato danni ”.

15

Canone 1741 C.i.c. – “ Le cause, per le quali il parroco può essere legittimamente rimosso dalla sua parrocchia, sono principalmente queste: 1) il modo di agire che arrechi grave danno o turbamento alla comunione ecclesiale; 2) l'inettitudine o l'infermità permanente della mente o del corpo, che rendano il parroco impari ad assolvere convenientemente i suoi compiti; 3) la perdita della buona considerazione da parte di parrocchiani onesti e seri o l'avversione contro il parroco, che si preveda non cesseranno in breve; 4) grave negligenza o violazione degli uffici parrocchiali, che persista dopo l'ammonizione; 5) cattiva amministrazione delle cose temporali con grave danno della Chiesa, ogniqualvolta a questo male non si possa porre altro rimedio.

16

Canone 22 C.i.c. : “ Le leggi civili alle quali il diritto della Chiesa rimanda, vengano osservate nel diritto canonico con i medesimi effetti, in quanto non siano contrarie al diritto divino e se il diritto canonico non dispone altrimenti”.

17 Canone 1290 C.i.c. – “ Le norme di diritto civile vigenti nel territorio sui contratti sia in genere sia in specie, e sui pagamenti, siano parimenti osservate per diritto canonico in materia soggetta alla potestà di governo della Chiesa e con gli stessi effetti, a meno che non siano contrarie al diritto divino o per diritto canonico si preveda altro, e fermo restando il disposto del can. 1547.

18 Art. 831 C.C. – Beni degli enti ecclesiastici ed edifici di culto : “ I beni degli enti ecclesiastici sono soggetti alle norme del presente codice, in quanto non è diversamente disposto dalle leggi speciali che li riguardano.

Gli edifici destinati all'esercizio pubblico del culto cattolico, anche se appartengono a privati, non possono essere sottratti alla loro destinazione neppure per effetto di alienazione, fino a che la destinazione stessa non sia cessata in conformità delle leggi che li riguardano.”

19 Canone 1547 C.i.c. – “ In qualsiasi causa è ammessa la prova tramite testimoni, sotto la direzione del giudice ”.

20 Nel 2008 la stima Caritas/Migrantes parla del 91,6 % in Italia.

21 Can. 1279 C.i.c. – “ §1. L'amministrazione dei beni ecclesiastici spetta a chi regge immediatamente la persona cui gli stessi beni appartengono, a meno che non dispongano altro il diritto particolare, gli statuti o la legittima consuetudine, e salvo il diritto dell'Ordinario d'intervenire in caso di negligenza dell'amministratore.

§2. Per l'amministrazione dei beni di una persona giuridica pubblica che dal diritto o dalle tavole di fondazione o dai suoi statuti non abbia amministratori propri, l'Ordinario cui la medesima è soggetta assuma per un triennio persone idonee; le medesime possono essere dall'Ordinario riconfermate nell'incarico.”

22 Can. 1295 C.i.c. – “ I requisiti a norma dei cann. 1291-1294, ai quali devono conformarsi anche gli statuti delle persone giuridiche, devono essere osservati non soltanto per l'alienazione, ma in qualunque altro affare che intacchi il patrimonio della persona giuridica peggiorandone la condizione .”

23 Can. 1254 C.i.c. – “ §1. La Chiesa cattolica ha il diritto nativo, indipendentemente dal potere civile, di acquistare, possedere, amministrare ed alienare i beni temporali per conseguire i fini che le sono propri.

§2. I fini propri sono principalmente: ordinare il culto divino, provvedere ad un onesto sostentamento del clero e degli altri ministri, esercitare opere di apostolato sacro e di carità, specialmente a servizio dei poveri.”

24 Can. 1291 C.i.c. – “ Per alienare validamente i beni che costituiscono per legittima assegnazione il patrimonio stabile di una persona giuridica pubblica, e il cui valore ecceda la somma fissata dal diritto, si richiede la licenza dell'autorità competente a norma del diritto .”

25 Giovanni Paolo II - Costituzione apostolica Pastor bonus sulla Curia Romana, 28 giugno 1988, art. 98 : “ La Congregazione si occupa di tutto quello che spetta alla Santa Sede per l'ordinamento dei beni ecclesiastici, e specialmente la retta amministrazione dei medesimi beni, e concede le necessarie approvazioni o revisioni; inoltre, procura perché si provveda al sostentamento ed alla previdenza sociale del clero.

26 Giovanni Paolo II - Costituzione apostolica Pastor bonus sulla Curia Romana, 28 giugno 1988, art. 108:

§ 1. Essa assolve tutte quelle mansioni che, a norma del diritto, spettano alla Santa Sede circa la vita e l'attività degli istituti e delle società, specialmente circa l'approvazione delle costituzioni, il regime e l'apostolato, la cooptazione e la formazione dei membri, i loro diritti ed obblighi, la dispensa dai voti e la dimissione dei membri, nonché l'amministrazione dei beni.

§ 2. Per quanto poi concerne l'ordinamento degli studi di filosofia e di teologia, nonché gli studi accademici, è competente la Congregazione dei Seminari e degli Istituti di Studi”.

27 Giovanni Paolo II - Costituzione apostolica Pastor bonus sulla Curia Romana, 28 giugno 1988, art. 99: “ Presso la Congregazione per il Clero è stabilita la Commissione che ha il compito di presiedere alla tutela del patrimonio storico ed artistico di tutta la Chiesa .”

28 Can. 1293 C.i.c. – “ §1. Per l'alienazione dei beni il cui valore eccede la somma stabilita, si richiede inoltre: 1) una giusta causa, quale la necessità urgente, l'utilità palese, la pietà, la carità o altra grave ragione pastorale; 2) la stima della cosa da alienare fatta da periti per iscritto.

§2. Si osservino inoltre le altre cautele prescritte dall'autorità legittima per evitare danni alla Chiesa.”

29 Can. 1377 C.i.c. – “ Chi senza la debita licenza aliena beni ecclesiastici sia punito con giusta pena.”

30 Art. 11 D.P.R. 13 febbraio 1987, n. 33 : “1. La Conferenza episcopale italiana comunica al Ministero dell'interno le deliberazioni adottate in attuazione dei canoni 1277, 1292, paragrafo 2, e 1295 del codice di diritto canonico entro trenta giorni dalla loro promulgazione; comunica altresì il limite di valore stabilito dalla Santa Sede ai sensi del canone 638, paragrafo 3, del codice di diritto canonico.

2. Chiunque vi abbia interesse può richiedere alla prefettura del luogo in cui risiede copia delle deliberazioni indicate nel comma 1, vigenti al momento della richiesta.”

31 Art. 18 legge 20 maggio 1985, n. 222: “ Ai fini dell'invalidità o inefficacia di negozi giuridici posti in essere da enti ecclesiastici non possono essere opposte a terzi, che non ne fossero a conoscenza, le limitazioni dei poteri di rappresentanza o l'omissione di controlli canonici che non risultino dal codice di diritto canonico o dal registro delle persone giuridiche ”.

32 Così commentato da G. Mirabelli – “ Dei contratti in generale”, in Commentario del Codice civile” secondo cui “norme imperative sono le norme che impongono requisiti od oneri a pena di nullità, che sanzionano, cioè, con la nullità l’inosservanza del precetto.”

33 Art. 56 - Altre alienazioni soggette ad autorizzazione – D.L. vo 22 gennaio 2004, n. 42:

1. E’ altresì soggetta ad autorizzazione da parte del Ministero:

a) l’alienazione dei beni culturali appartenenti allo Stato, alle regioni e agli altri enti pubblici territoriali, e diversi da quelli indicati negli articoli 54, commi 1 e 2, e 55, comma 1.
b) l’alienazione dei beni culturali appartenenti a soggetti pubblici diversi da quelli indicati alla lettera a) o a persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti.
2. L'autorizzazione è richiesta inoltre:

a) nel caso di vendita, anche parziale, da parte di soggetti di cui al comma 1, lettera b), di collezioni o serie di oggetti e di raccolte librarie;
b) nel caso di vendita, da parte di persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, di archivi o di singoli documenti.

3. La richiesta di autorizzazione è corredata dagli elementi di cui all'articolo 55, comma 2, lettere a), b) ed e), e l'autorizzazione è rilasciata con le indicazioni di cui al comma 3, lettere a) e b) del medesimo articolo.
4. Relativamente ai beni di cui al comma 1, lettera a), l'autorizzazione può essere rilasciata a condizione che i beni medesimi non abbiano interesse per le raccolte pubbliche e dall'alienazione non derivi danno alla loro conservazione e non ne sia menomata la pubblica fruizione.
4-bis. Relativamente ai beni di cui al comma 1, lettera b), e al comma 2, l'autorizzazione può essere rilasciata a condizione che dalla alienazione non derivi danno alla conservazione e alla pubblica fruizione dei beni medesimi.

4-ter. Le prescrizioni e condizioni contenute nell'autorizzazione sono riportate nell'atto di alienazione e sono trascritte, su richiesta del soprintendente, nei registri immobiliari.

4-quater. L'esecuzione di lavori ed opere di qualunque genere sui beni alienati è sottoposta a preventiva autorizzazione ai sensi dell'articolo 21, commi 4 e 5.

4-quinquies. La disciplina dettata ai commi precedenti si applica anche alle costituzioni di ipoteca e di pegno ed ai negozi giuridici che possono comportare l'alienazione dei beni culturali ivi indicati.

4-sexies. Non è soggetta ad autorizzazione l'alienazione delle cose indicate all'articolo 54, comma 2, lettera a), secondo periodo.

4-septies. Rimane ferma l'inalienabilità disposta dall'articolo 54, comma 1, lettera d-ter).”

34 art. 59 - Denuncia di trasferimento - D.L. vo 22 gennaio 2004, n. 42:

1. Gli atti che trasferiscono, in tutto o in parte, a qualsiasi titolo, la proprietà o, limitatamente ai beni mobili, la detenzione di beni culturali sono denunciati al Ministero.

2. La denuncia è effettuata entro trenta giorni:

a ) dall'alienante o dal cedente la detenzione, in caso di alienazione a titolo oneroso o gratuito o di trasferimento della detenzione;

b ) dall'acquirente, in caso di trasferimento avvenuto nell'àmbito di procedure di vendita forzata o fallimentare ovvero in forza di sentenza che produca gli effetti di un contratto di alienazione non concluso;

c ) dall'erede o dal legatario, in caso di successione a causa di morte. Per l'erede, il termine decorre dall'accettazione dell'eredità o dalla presentazione della dichiarazione ai competenti uffici tributari; per il legatario, il termine decorre dalla comunicazione notarile prevista dall'articolo 623 del codice civile, salva rinuncia ai sensi delle disposizioni del codice civile.

3. La denuncia è presentata al competente soprintendente del luogo ove si trovano i beni.

4. La denuncia contiene:

a ) i dati identificativi delle parti e la sottoscrizione delle medesime o dei loro rappresentanti legali;

b ) i dati identificativi dei beni;

c ) l'indicazione del luogo ove si trovano i beni;

d ) l'indicazione della natura e delle condizioni dell'atto di trasferimento;

e ) l'indicazione del domicilio in Italia delle parti ai fini delle eventuali comunicazioni previste dal presente Titolo.

5. Si considera non avvenuta la denuncia priva delle indicazioni previste dal comma 4 o con indicazioni incomplete o imprecise. “

35 Così ribadito dal Consiglio di Stato, Sez. VI, Sent. n. 713 del 27-02-2008 (ud. del 04-12-2007), R.O. c. Comune Di Monteriggioni e altri:

In relazione alla formulazione degli artt 59 e 61 D.Lgs. n. 42/2004 , non può non ritenersi applicabile il principio di strumentalità delle forme, secondo cui le modalità e il contenuto della denuncia de quo devono ritenersi viziate, in modo tale da rendere la denuncia stessa "tamquam non esset", solo qualora i dati trasmessi non consentano l'apprezzamento discrezionale, cui la comunicazione è finalizzata. “

36 art. 1338 c.c. - Conoscenza delle cause d'invalidità: “ La parte che, conoscendo o dovendo conoscere l'esistenza di una causa di invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all'altra parte è tenuta a risarcire il danno da questa risentito per avere confidato, senza sua colpa, nella validità del contratto

37 Così Mansi, MANSI A., La tutela dei beni culturali e del paesaggio, Padova, III ed., 2004.

38 Art.56 - Altre alienazioni soggette ad autorizzazione – D.L. vo 42/2004:

1. È altresì soggetta ad autorizzazione da parte del Ministero:

a ) l'alienazione dei beni culturali appartenenti allo Stato, alle regioni e agli altri enti pubblici territoriali, e diversi da quelli indicati negli articoli 54, commi 1 e 2, e 55, comma 1;

b ) l'alienazione dei beni culturali appartenenti a soggetti pubblici diversi da quelli indicati alla lettera a ) o a persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti.

2. L'autorizzazione è richiesta inoltre:

a ) nel caso di vendita, anche parziale, da parte di soggetti di cui al comma 1, lettera b ), di collezioni o serie di oggetti e di raccolte librarie;

b ) nel caso di vendita, da parte di persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, di archivi o di singoli documenti.

3. La richiesta di autorizzazione è corredata dagli elementi di cui all'articolo 55, comma 2, lettere a ), b ) ed e ), e l'autorizzazione è rilasciata con le indicazioni di cui al comma 3, lettere a ) e b ) del medesimo articolo.

4. Relativamente ai beni di cui al comma 1, lettera a), l'autorizzazione può essere rilasciata a condizione che i beni medesimi non abbiano interesse per le raccolte pubbliche e dall'alienazione non derivi danno alla loro conservazione e non ne sia menomata la pubblica fruizione.

4- bis . Relativamente ai beni di cui al comma 1, lettera b ), e al comma 2, l'autorizzazione può essere rilasciata a condizione che dalla alienazione non derivi danno alla conservazione e alla pubblica fruizione dei beni medesimi.

4- ter . Le prescrizioni e condizioni contenute nell'autorizzazione sono riportate nell'atto di alienazione e sono trascritte, su richiesta del soprintendente, nei registri immobiliari.

4- quater . L'esecuzione di lavori ed opere di qualunque genere sui beni alienati è sottoposta a preventiva autorizzazione ai sensi dell'articolo 21, commi 4 e 5.

4- quinquies . La disciplina dettata ai commi precedenti si applica anche alle costituzioni di ipoteca e di pegno ed ai negozi giuridici che possono comportare l'alienazione dei beni culturali ivi indicati.

4- sexies . Non è soggetta ad autorizzazione l'alienazione delle cose indicate all'articolo 54, comma 2, lettera a ), secondo periodo .

4- septies . Rimane ferma l'inalienabilità disposta dall'articolo 54, comma 1, lettera d - ter ).”

39 Art.173 - Violazioni in materia di alienazione – D.L.vo 42/2004: -

1. È punito con la reclusione fino ad un anno e la multa da euro 1.549,50 a euro 77.469:

a ) chiunque, senza la prescritta autorizzazione, aliena i beni culturali indicati negli articoli 55 e 56;

b ) chiunque, essendovi tenuto, non presenta, nel termine indicato all'articolo 59, comma 2, la denuncia degli atti di trasferimento della proprietà o della detenzione di beni culturali;

c ) l'alienante di un bene culturale soggetto a prelazione che effettua la consegna della cosa in pendenza del termine previsto dall'articolo 61, comma 1 . .

40 Art. 4 legge 01 giugno 1939, n. 1089 – “ I rappresentanti delle province, dei comuni, degli enti e degli istituti legalmente riconosciuti devono presentare l'elenco descrittivo delle cose indicate nell'art. 1 di spettanza degli enti o istituti che essi rappresentano.

I rappresentanti anzidetti hanno altresì l'obbligo di denunziare le cose non comprese nella prima elencazione e quelle che in seguito vengano ad aggiungersi per qualsiasi titolo al patrimonio dell'ente o istituti.

Le cose indicate nell'art. 1 restano sottoposte alle disposizioni della presente legge, anche se non risultino comprese negli elenchi e nelle dichiarazioni di cui al presente articolo.”

41 Art. 5 – D.L. vo 25 ottobre 1999, n. 490 - Beni di enti pubblici e privati:

1. Le regioni, le province, i comuni, gli altri enti pubblici e le persone giuridiche private senza fine di lucro presentano al Ministero l'elenco descrittivo delle cose indicate all'articolo 2, comma 1, lettera a ) di loro spettanza.

2. I predetti enti e persone giuridiche hanno l'obbligo di denunciare le cose non comprese nella prima elencazione nonché quelle che in seguito verranno ad aggiungersi per qualsiasi titolo al loro patrimonio, inserendole nell'elenco.

3. Gli elenchi e i successivi aggiornamenti nella parte concernente i beni indicati all'articolo 2, comma 1, lettera e ), sono comunicati dal Ministero alla Regione competente.

4. In caso di omessa presentazione ovvero di omesso aggiornamento dell'elenco, il Ministero assegna all'Ente un termine perentorio per provvedere. Qualora l'ente non provveda nel termine assegnato, il Ministero dispone la compilazione dell'elenco a spese dell'ente medesimo.

5. I beni elencati nell'articolo 2, comma 1, lettera a ) che appartengono ai soggetti indicati al comma 1 sono comunque sottoposti alle disposizioni di questo Titolo anche se non risultano compresi negli elenchi e nelle denunce previste dai commi 1 e 2”.

42 Art. 130 D.L. vo 25 ottobre 1999, n. 490 - Omessa redazione degli elenchi dei beni culturali:

1. Salvo che il fatto costituisca reato, ai rappresentanti degli enti di cui all'articolo 5 che non presentano o non aggiornano l'elenco descrittivo dei beni indicati nell'articolo 2, comma 1, lettera a ) di loro spettanza nel termine loro assegnato dal Ministero, si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire 600.000 a lire 6.000.000.

2. Il Ministero dispone la compilazione dell'elenco a spese dell'ente inadempiente. La nota delle spese è resa esecutoria con provvedimento del Ministero. All'esazione si procede nelle forme previste per le entrate patrimoniali dello Stato .”

43 Art.17 D.L. vo 22 gennaio 2004, n. 42 - Catalogazione:

1. Il Ministero, con il concorso delle regioni e degli altri enti pubblici territoriali, assicura la catalogazione dei beni culturali e coordina le relative attività.

2. Le procedure e le modalità di catalogazione sono stabilite con decreto ministeriale. A tal fine il Ministero, con il concorso delle regioni, individua e definisce metodologie comuni di raccolta, scambio, accesso ed elaborazione dei dati a livello nazionale e di integrazione in rete delle banche dati dello Stato, delle regioni e degli altri enti pubblici territoriali.

3. Il Ministero e le regioni, anche con la collaborazione delle università, concorrono alla definizione di programmi concernenti studi, ricerche ed iniziative scientifiche in tema di metodologie di catalogazione e inventariazione.

4. Il Ministero, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali, con le modalità di cui al decreto ministeriale previsto al comma 2, curano la catalogazione dei beni culturali loro appartenenti e, previe intese con gli enti proprietari, degli altri beni culturali.

5. I dati di cui al presente articolo affluiscono al catalogo nazionale dei beni culturali in ogni sua articolazione.

6. La consultazione dei dati concernenti le dichiarazioni emesse ai sensi dell'articolo 13 è disciplinata in modo da garantire la sicurezza dei beni e la tutela della riservatezza.”

46 Art. l – D.M. 07 ottobre 2008 - Istituto centrale per il catalogo e la documentazione:

1. L’Istituto centrale per il catalogo e la documentazione, di seguito denominato ICCD, esplica funzioni in materia di ricerca, indirizzo, coordinamento tecnico-scientifico e formazione finalizzate alla catalogazione e documentazione dei beni culturali di cui agli articoli 10 e 11 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, ed in particolare:

a) elabora e sperimenta metodologie catalografiche che garantiscano l’univocità del processo informativo, elaborando tracciati di catalogazione in funzione delle specifiche discipline e curandone la normalizzazione terminologica, anche su richiesta del Ministro o dei Direttori generali e regionali del Ministero, nonché di Enti e soggetti pubblici e privati;

b) definisce linee guida per la programmazione delle attività di catalogazione e cura la predisposizione di intese programmatiche in coerenza con gli obiettivi fissati dal Ministro o su richiesta dei Direttori generali e regionali del Ministero;

c) unifica le metodologie di catalogazione e documentazione dei beni culturali attraverso la condivisione del Sistema Informativo Generale del Catalogo (di seguito SIGEC);

d) si adopera, secondo le direttive del Segretario generale, o su richiesta dei Direttori generali e regionali del Ministero, per il collegamento delle numerose banche dati esistenti all’ interno ed all’esterno del Ministero;

e) promuove ed espleta attività di aggiornamento ed addestramento tecnico per il personale addetto ai servizi di catalogazione e documentazione dei beni culturali dell’amministrazione periferica del Ministero e delle Amministrazioni pubbliche che ne facciano richiesta, provvedendo alla elaborazione di percorsi didattici e formativi inerenti l’intero processo catalografico;

f) svolge attività formativa nelle materie di competenza nell’ambito di corsi di livello universitario, sulla base di convenzioni stipulate con le singole Università;

h) svolge attività di documentazione del patrimonio attraverso specifiche campagne fotografiche o attraverso l’incremento dei fondi di fotografia storica e di collezioni aerofotografiche;

i) promuove e organizza convegni e mostre a carattere nazionale e internazionale sui temi riguardanti i suoi compiti istituzionali, e sul patrimonio documentario posseduto, incrementandone la conoscenza mediante pubblicazioni;

l) raccoglie, con cadenza annuale, ed elabora dati e documentazione relativi all’attività di catalogazione svolta a livello nazionale;

m) fornisce, nell’ambito delle azioni di competenza del Ministero degli affari esteri, consulenza e supporto tecnico-scientifici per le materie attribuite, a Paesi terzi.

2. L’ICCD inoltre, sulla base di specifiche intese istituzionali tra Ministero per i beni e le attività culturali e Regioni, può predisporre la costituzione di Centri di catalogazione misti Stato-Regione, curando in modo particolare la formazione del personale che a tali centri afferisca.

3. Al conseguimento dei fini istituzionali l’ICCD provvede: con le risorse finanziarie di bilancio ordinarie e straordinarie; con i proventi derivanti dallo svolgimento delle sue attività e dalla collaborazione con soggetti pubblici e privati; con i contributi di amministrazioni ed enti pubblici e privati italiani, comunitari, nonché di organizzazioni internazionali finalizzati ad attività rientranti tra i propri compiti istituzionali. “

47 vds. Nota n. 83.

48 Art. 2696 - Rinvio – C.C.

Per gli altri beni mobili per cui è disposta la trascrizione di determinati atti si osservano le disposizioni delle leggi che li riguardano ”.

49 Cfr. nota n. 78.

50 Art. 1162 c.c. – Usucapione di beni mobili iscritti in pubblici registri: “ Colui che acquista in buona fede da chi non è proprietario un bene mobile iscritto in pubblici registri, in forza di un titolo che sia idoneo a trasferire la proprietà e che sia stato debitamente trascritto, ne compie in suo favore l'usucapione col decorso di tre anni dalla data della trascrizione.

Se non concorrono le condizioni previste dal comma precedente, l'usucapione si compie col decorso di dieci anni.

Le stesse disposizioni si applicano nel caso di acquisto degli altri diritti reali di godimento.”