Cass. Sez. III
sent. 33286 del 13 settembre 2005 (ud. 21 aprile 2005)
Pres. Postiglione Est. Franco Ric. Sgarlata
Caccia – Attività venatoria in aree protette
L’esercizio venatorio in zona destinata a riserva naturale in tanto costituisce violazione del precetto penale di cui all’articolo 30 legge 11 febbraio 1992 n. 157, in quanto una disposizione integrativa del precetto penale – disposizione che può essere contenuta in una legge regionale o in un provvedimento amministrativo regionale, secondo quanto prescrive (nella specie in Sicilia) la legge regionale avente competenza esclusiva in materia – abbia regolarmente inserito la zona in questione all’interno di una riserva naturale regionale o di un’oasi di protezione o di una zona di ripopolamento regionale e l’abbia di conseguenza qualificata come zona nella quale la caccia sia vietata.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati: Udienza pubblica
Dott. POSTIGLIONE Amedeo - Presidente - del 21/04/2005
Dott. ONORATO Pierluigi - Consigliere - SENTENZA
Dott. MANCINI Franco - Consigliere - N. 820
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. FRANCO Amedeo - est. Consigliere - N. 2176/2005
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
SGARLATA Rosario, nato a Vittoria il 6 giugno 1973;
LEONE Francesco, nato a Vittoria il 18 maggio 1972;
avverso la sentenza emessa l'8 novembre 2004 dalla corte d'appello di
Catania;
udita nella pubblica udienza del 21 aprile 2005 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PASSACANTANDO Guglielmo, che ha concluso per il rigetto
del ricorso.
udito il difensore avv. BRANCAFORTE Ignazio.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Sgarlata Rosario e Leone Francesco vennero rinviati a giudizio per
rispondere del reato di cui agli artt. 21, lett. b), e 30, lett. d),
legge 11 febbraio 1992, n. 157, per avere esercitato
l'attività
venatoria all'interno del Bosco di San Pietro, istituito riserva
naturale con l'art. 1 del d. ass. reg. siciliana del 23.3.1999 n. 11644.
Con sentenza del 19 giugno 2003 il giudice del tribunale di Caltagirone
assolse gli imputati perché il fatto non costituisce reato,
osservando,
tra l'altro: a) che dalla certificazione dell'azienda regionale delle
foreste demaniali risultava che alla data del fatto (20.11.2000) il
territorio della riserva era ancora privo di tabellazione; b) che
l'art. 45 della legge reg. sic. 1.9.1997, n. 33, dispone che i confini
delle oasi devono essere delimitati da apposite tabelle perimetrali
adeguatamente collocate;
c) che quindi gli imputati, esercitando la
caccia, in un periodo in cui era consentita, nel Bosco di San Pietro,
assolutamente privo all'epoca della necessaria perimetrazione con le
prescritte tabelle, avevano posto in essere una condotta che non
integrava il reato contestato non potendosi loro rimproverare di avere
agito con colpa o con dolo; d) che peraltro la suddetta legge regionale
esclude la applicazione di sanzioni nel caso la riserva non sia
segnalata dalla prescritta tabellazione; e) che inoltre non basta a
rendere operante il divieto di caccia in una riserva il decreto che
istituisce la riserva stessa ma, secondo la citata legge regionale,
occorre che il divieto stesso sia portato a conoscenza dei cittadini
mediante la prescritta tabellazione, che renda di pubblico dominio il
vincolo disposto con decreto assessoriale, in ordine al quale,
trattandosi di atto amministrativo, non può esservi una
presunzione di
conoscenza a carico dei cittadini nonostante la pubblicazione sulla
gazzetta ufficiale.
La corte d'appello di Catania, a seguito di
ricorso del Procuratore della Repubblica, ritenne invece gli imputati
colpevoli del reato loro ascritto e li condannò alla pena
ritenuta di
giustizia, osservando, tra l'altro: a) che l'art. 21, lett. b), legge
11 febbraio 1992, n. 157, vieta l'esercizio della caccia nelle riserve
naturali e che tale divieto è immediatamente applicabile su
tutto il
territorio nazionale; b) che l'istituzione della riserva naturale
costituisce soltanto una fonte subprimaria del detto divieto; c) che da
ciò consegue che la mancata tabulazione dei confini
dell'area su cui
ricade la riserva naturale non comporta l'inapplicabilità
del divieto
di caccia e del regime penale; d) che invero gli artt. 21 e 30 legge 11
febbraio 1992, n. 157, non rimandano per la punibilità
all'attuazione
di atti di normazione secondaria della perimetrazione della zona
interessata, la cui conoscenza legale è assicurata dalla
pubblicazione
sulla gazzetta ufficiale e sul calendario venatorio. Gli imputati
propongono ricorso per Cassazione deducendo violazione ed erronea
applicazione degli artt. 21, lett. b), e 30, lett. d), legge 11
febbraio 1992, n. 157, e 22, comma 6, legge n. 394/1991. In particolare
osservano:
a) che il giudice di primo grado aveva correttamente
applicato le disposizioni di cui alla legge 394/1991, la quale
attribuisce alla regioni il compito di istituire i parchi naturali
regionali e le riserve naturali regionali, stabilendo, all'art. 23, che
la legge regionale istitutiva del parco naturale regionale definisce la
perimetrazione provvisoria e le misure di salvaguardia;
b) che era
stato accertato in modo certo che, alla data del fatto, il territorio
della riserva Bosco San Pietro, istituita con d. ass. reg. del
23.3.1999, non era stato ancora delimitato da apposita tabellazione,
come prescritto dall'art. 21, terzo comma, legge reg. sic. 1.9.1997, n.
33;
c) che pertanto con corretta motivazione il tribunale li aveva
assolti mentre erroneamente la corte d'appello li aveva condannati
sulla base di un assunto inconferente, e cioè che il divieto
di caccia
nelle riserve naturali è immediatamente applicabile in tutto
il
territorio nazionale;
d) che però tale principio non era stato mai
messo in discussione perché la loro assoluzione in primo
grado era
dipesa dalla circostanza che, secondo la volontà del
legislatore
regionale, la operatività del divieto di caccia nella
riserva naturale
in questione discendeva dalla esistenza di una perimetrazione della
zona protetta mediante tabellazioni installate secondo precise
modalità;
e) che quindi esattamente il giudice di primo grado aveva ritenuto non
ancora operante l'istituzione della riserva naturale, dal momento che
non erano state ancora eseguite le prescritte tabellazioni e
perimetrazioni previste dalla legge regionale, che in materia ha
competenza esclusiva;
f) che pertanto, mancando i presupposti di
legge per l'esistenza di una riserva naturale tutelabile, non poteva
applicarsi la sanzione penale per i divieti di caccia;
g) che di
conseguenza la assoluzione in primo grado non si era fondata, come
erroneamente ritenuto dalla corte d'appello, su atti di normazione
secondaria (legge regionale) ma sulla assenza del presupposto per
l'applicabilità della norma punitiva statale;
h) che comunque
l'affermazione di responsabilità era priva di qualsiasi
motivazione
circa la sussistenza dei presupposti di fatto del reato e dello
elemento soggettivo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è
fondato perché effettivamente la motivazione della sentenza
impugnata
si basa su una serie di astratte affermazioni di principio, che di per
se stesse sono in parte esatte ma sono altresì del tutto
inconferenti
ai fini del decidere il caso in esame, tanto che potrebbe pensarsi che
non sia stato colto il senso e la portata delle questioni di fatto e di
diritto rilevanti nel presente processo.
L'art. 21, primo comma,
lett. b), della legge 11 febbraio 1992, n. 157, vieta l'esercizio
venatorio nei parchi nazionali, nei parchi naturali regionali e nelle
riserve naturali conformemente alla legislazione nazionale in materia
di parchi e riserve naturali, mentre l'art. 30, primo comma, lett. d),
della medesima legge sanziona con la pena dell'arresto e dell'ammenda
chi esercita la caccia nei parchi nazionali, nei parchi naturali
regionali, nelle riserve naturali, nelle oasi di protezione, nelle zone
di ripopolamento e cattura, nei parchi e giardini urbani, nei terreni
adibiti ad attività sportive.
L'art. 10 della medesima legge,
demanda, tra l'altro, alle regioni di individuare le oasi di protezione
e le zone di ripopolamento. Gli artt. 22 segg. della legge 6 dicembre
1991, n. 394, attribuiscono poi alle regioni la istituzione dei parchi
naturali regionali e delle riserve naturali regionali.
Deve altresì essere considerato che la regione siciliana ha
potestà legislativa esclusiva nelle materie in questione.
Ciò premesso, va considerato che, come già altre
volte sottolineato da
questa Corte (cfr. Sez. 3^, 1 marzo 2005, Cannilla; Sez. 3^, 25 maggio
1999, Conotti, m. 214.279), il comportamento posto in essere dagli
imputati - esercizio venatorio in una zona posta all'interno del Bosco
San Pietro - in tanto costituisce violazione del precetto penale di cui
all'art. 30 legge 11 febbraio 1992, n. 157, in quanto una disposizione
integrativa del precetto penale - disposizione che può
essere contenuta
in una legge regionale o in un provvedimento amministrativo regionale,
secondo quanto prescrive, almeno in Sicilia, la legge regionale avente
competenza esclusiva in materia - abbia regolarmente inserito la zona
in questione all'interno di un riserva naturale regionale o di una oasi
di protezione o di una zona di ripopolamento regionale e la abbia di
conseguenza qualificata come zona nella quale la caccia sia vietata.
Ora, perché la zona stessa sia qualificabile come riserva
naturale
regionale o zona regionale di protezione e rifugio della fauna, occorre
un decreto dell'assessore regionale competente. Tuttavia, ai sensi
della normativa legislativa regionale siciliana - la quale, si ripete,
ha potestà esclusiva in materia di caccia - la sola
emissione e
pubblicazione nella gazzetta ufficiale del decreto assessoriale
istitutivo della riserva naturale regionale non è
sufficiente perché
questa sia immediatamente operativa anche come riserva regionale ai
fini dell'esercizio venatorio, ossia nel senso che essa costituisca una
zona nella quale possa già operare il divieto di caccia,
occorrendo
invece a tal fine la presenza di un altro presupposto legale,
costituito dalla avvenuta perimetrazione e tabulazione della zona
stessa.
Ed infatti, l'art. 21, terzo comma, della legge reg.
siciliana 1 settembre 1997, n. 33, dispone in via generale che "tutte
le zone comunque sottratte all'esercizio venatorio devono essere
delimitate da apposite tabellazioni", da installare a cura dei soggetti
indicati nella disposizione stessa, mentre il successivo art. 45, dopo
aver precisato la procedura occorrente per la istituzione delle oasi di
protezione e rifugio della fauna, dispone che "i confini delle oasi
sono delimitati, con tabelle perimetrali" recanti le scritte ivi
indicate e che dette tabelle devono essere collocate su pali o alberi
ad una altezza di due o tre metri ed a una distanza di non
più di cento
metri l'una dall'altra, e comunque in modo tale che da ogni tabella
siano visibili le due contigue, aggiungendo poi che "la mancata
collocazione di tabelle o anche la collocazione irregolare di esse,
esclude l'applicazione di sanzioni".
Ora, è vero che una legge
regionale, anche in materia di potestà legislativa
esclusiva, non può
escludere la applicazione di sanzioni penali, stante l'appartenenza
alla potestà legislativa esclusiva statale della materia
penale, ma
questo principio non rileva nel caso in esame perché qui non
si tratta
di una norma regionale che esclude la applicazione di sanzioni penali
statali, bensì di stabilire quale sia la portata della
normativa
regionale siciliana nella materia - sicuramente rientrante nella sua
competenza esclusiva - relativa alla istituzione ed
operatività delle
riserve naturali regionali e delle oasi di protezione e rifugio della
fauna.
In altre parole, è di competenza di un decreto della
competente autorità regionale istituire, con un
provvedimento
amministrativo, una determinata riserva naturale regionale od una oasi
di protezione e rifugio della fauna, e quindi di rendere in concreto
operante in quella zona il divieto di esercizio venatorio sanzionato
dalla norma penale statale, con la conseguenza che, se il luogo dove il
soggetto esercita la caccia non si trova all'interno della zona
individuata dal provvedimento regionale o se questo sia per una qualche
ragione illegittimo, la condotta del soggetto non integra, ovviamente,
una violazione del precetto penale. Allo stesso modo rientra
sicuramente nella potestà legislativa regionale - e non ha
nulla a che
vedere, se non indirettamente, con la potestà legislativa
statale in
materia penale - dettare le norme che stabiliscano in via generale
competenze, procedure, presupposti e requisiti per l'emanazione,
l'operatività e le legittimità dei decreti
regionali istitutivi di
riserve naturali regionali ed oasi regionali di protezione e rifugio
della fauna.
Ora, le su richiamate disposizioni della legge
regionale siciliana non possono essere interpretate in altro modo se
non nel senso che per la efficacia e la operatività della
istituzione
di una riserva naturale regionale o di una oasi regionale di protezione
e rifugio della fauna o di una qualsiasi zona la cui individuazione
spetti alla regione siciliana e che sia sottratta all'esercizio
venatorio, così come occorre l'emanazione di un decreto
dell'assessore
regionale competente da comunicare agli altri assessori regionali
indicati e la pubblicazione di tale decreto nella gazzetta ufficiale
della regione siciliana, occorre anche l'ulteriore requisito
dell'avvenuta delimitazione della zona stessa mediante le apposite
tabulazioni, ai sensi dell'art. 21, terzo comma, della legge reg. sic.
1 settembre 1997, n. 33.
Nella specie, il pubblico ministero
appellante aveva rilevato che gli artt. 21 e 30 della legge 11 febbraio
1992, n. 157, non rimandano, per la punibilità dei
contravventori, ad
una effettiva perimetrazione delle zone interessate. Ma si tratta di
una osservazione appunto inconferente o infondata perché le
dette
disposizioni penali statali rimandano, per l'integrazione del precetto
penale, alle norme integrative dettate dalle disposizioni regionali (di
rango legislativo o amministrativo) che possono in concreto individuare
zone escluse dall'esercizio venatorio e la richiamata legge regionale
siciliana ha stabilito in via generale che l'individuazione di zone
sottratte all'esercizio venatorio sia operativa ed efficace solo quando
sia intervenuta la sua delimitazione con apposita tabulazione. Del
resto non si vedrebbe per quale ragione la legge regionale siciliana -
oltretutto in una materia di sua competenza esclusiva - così
come ben
potrebbe, tanto per fare un esempio, disporre che il decreto istitutivo
della riserva o dell'oasi sia emanato, anziché
dall'assessore, dalla
giunta o dall'assemblea regionale o disporre diverse e più
complesse
forme di pubblicazione e di pubblicità, non potrebbe
validamente
prevedere, come requisito integrativo dell'efficacia del decreto
stesso, il fatto che la zona sottratta all'esercizio venatorio sia
portata a conoscenza dei cittadini mediante la sua perimetrazione e
tabulazione.
In ogni modo, anche a non voler condividere questa
soluzione, non sembra però negabile che si tratti di una
interpretazione del tutto plausibile e sostenibile. La conseguenza
è, a
parere del Collegio, che deve ritenersi corretta la decisione adottata
nella specie dal giudice del tribunale di Caltagirone. È
infatti
pacifico che all'epoca del fatto nella zona dove si trovavano gli
imputati non era stata apposta la prescritta tabellazione come imposto
dalla legge reg. siciliana n. 33 del 1997. Ai sensi dei citati artt. 21
e 45 di questa legge è obbligatorio che tutte le zone
sottratte
all'esercizio venatorio siano delimitate da apposite tabulazioni e la
mancata collocazione delle tabelle o anche la loro collocazione
irregolare comporta la inapplicabilità di sanzioni. Queste
disposizioni
ben possono (se non si vuole ritenere che debbano) essere interpretate
nel senso che, ai sensi della legislazione regionale avente competenza
esclusiva in materia, la effettiva operatività ed efficacia
di una
riserva naturale o di una oasi di protezione regionali quali zone
sottratte all'esercizio venatorio sia subordinata (oltre che alla
emanazione del decreto da parte dell'assessore indicato dalla legge
regionale ed alla sua pubblicazione nella gazzetta ufficiale regionale)
anche allo loro avvenuta perimetrazione mediante la prescritta
tabellazione. Ne consegue che non può non presumersi che gli
imputati,
in difetto di detta tabellazione, abbiano agito in buona fede e senza
alcuna coscienza e volontà di violare la norma penale, nel
convincimento che quella ove si trovavano, sulla base della
legislazione regionale, non era una zona in cui fosse vietato
l'esercizio venatorio. La sentenza impugnata deve quindi essere
annullata senza rinvio perché il fatto non costituisce reato.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte Suprema di Cassazione annulla senza rinvio la sentenza
impugnata perché il fatto non costituisce reato.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di
Cassazione, il 21 aprile 2005.
Depositato in Cancelleria il 13 settembre 2005.