Cass. Sez. III n. 48579 del 17 novembre 2016 (Ud 13 set 2016)
Pres. Rosi Est. Mengoni Ric. Basile
Caccia e animali.Abbattimento fringillidi

Per i fringillidi occorre distinguere tra specie di cui è fatto divieto assoluto di caccia da quelle per le quali è ammessa la cd. caccia in deroga, con disposizione regionale. Soltanto le prime rientrano nella lettera b) dell'art. 30 in esame, mentre per le altre specie si renderà applicabile la lett. h) della medesima disposizione; poiché non vi sono limitazioni di carattere numerico, la medesima lett. b) è dunque configurabile nel caso in cui anche uno solo degli esemplari rientri tra quelli indicati al paragrafo precedente.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 5/12/2013, il Tribunale di Salerno dichiarava B.F. colpevole della contravvenzione di cui alla L. 11 febbraio 1992, n. 157, art. 30, comma 1, lett. b), , e lo condannava alla pena di 1.500,00 Euro di ammenda; allo stesso era contestato di aver detenuto due esemplari di cardellino "carduelis carduelis", appartenente a specie protetta.

2. Propone appello (poi convertito in ricorso per cassazione) il B., a mezzo del proprio difensore, chiedendo - con unico motivo - l'assoluzione perchè il fatto non costituisce reato. Il Giudice non avrebbe verificato che, ai sensi della L. n. 152 del 1997, art. 31, lett. g), la detenzione (al pari di caccia, cattura o abbattimento) di fringillidi in numero non superiore a cinque costituisce mero illecito amministrativo.


CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso risulta infondato.

La L. n. 157 del 1992, art. 30, comma 1, lett. b), punisce con l'arresto o l'ammenda chi abbatte, cattura o detiene mammiferi o uccelli compresi nell'elenco di cui all'art. 2; alla lett. h) si prevede, invece, la sanzione penale per chi abbatte, cattura o detiene specie di mammiferi o uccelli nei cui confronti la caccia non è consentita o fringillidi in numero superiore a cinque o per chi esercita la caccia con mezzi vietati; la stessa pena si applica a chi esercita la caccia con l'ausilio di richiami vietati di cui all'art. 21, comma 1, lett. r).

Orbene, la più recente giurisprudenza di questa Corte sostiene - quel che il Collegio condivide - che è configurabile la violazione della lett. b) in esame nel caso di esemplari protetti riconducibili all'allegato 2 della Convenzione di Berna (Sez. 3, n. 23931, 22/6/2010; n. 16441 del 16/03/2011 Rv. 249859); ciò in quanto la lettera dello stesso art. 30, lett. b), richiama l'art. 2 della medesima legge che, oltre alle specie espressamente indicate, alla lett. c) fa espresso riferimento alle specie che le direttive comunitarie o le convenzioni internazionali (o apposito decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri) indicano come minacciate di estinzione. Vengono quindi in esame la direttiva 147/2009 del 30 novembre 2009, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, e la Convenzione di Berna relativa alla conservazione della vita selvatica e dell'ambiente naturale in Europa del 19 settembre 1979. La prima, all'art. 4, sancisce che "Per le specie elencate nell'allegato I sono previste misure speciali di conservazione per quanto riguarda l'habitat, per garantire la sopravvivenza e la riproduzione di dette specie nella loro area di distribuzione"; nell'allegato 1, quindi, include i Fringillidae Carduelinas. L'Allegato 2^ della Convenzione di Berna, così come emendato, dal 27 aprile 1996, a seguito di una revisione delle liste delle specie operata dal Comitato permanente della Convenzione in data 26/1/1996 (pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n. 201 del 1996), espressamente include invece tra i carduelis: Carduelis chloris; Carduelis carduelis; Carduelis spinus; Carduelis flavirostris; Carduelis cannabina; Carduelis flammea; Carduelis hornemanni. Orbene, se è vero che la direttiva 147/2009/CE si limita a prevedere con la norma citata differenti gradi di protezione, e non una generica tutela valevole per tutte le specie indicate, e che non può essere, quindi, considerato decisivo il richiamo a quest'ultima per ricondurre alla lettera dell'art. 30, lett. b), tutte le specie di Fringillidae Carduelinas, tale rilievo non può evidentemente valere per le specie riconducibili al divieto imposto dalla Convenzione di Berna (compresa quella di cui al caso in esame).

Alla lett. h) di cui all'art. 30 in esame, pertanto, occorre avere riguardo solo per le restanti specie di fringillidi, diverse da quelle menzionate; anche per questa disposizione, peraltro, si rendono necessarie talune puntualizzazioni.

Come già accennato, la stessa previsione sanziona penalmente con l'ammenda chi abbatte, cattura o detiene più di cinque fringillidi. Qualora il numero di questi, abbattuti, catturati o detenuti, sia inferiore alla predetta quantità, la L. n. 157 del 1992, art. 31, comma 1, lett. h), contempla invece la sola sanzione amministrativa (invocata dal ricorrente). Il sistema sanzionatorio descritto deriva probabilmente, come evidenziato anche dalla dottrina, dalla circostanza che - al momento dell'entrata in vigore della legge quadro sull'attività venatoria - vi erano specie di fringilli che poi sono stati espunti dall'elenco delle specie cacciabili, a seguito dell'emanazione del D.P.C.M. 22 novembre 1993. Per effetto di quest'ultimo, pertanto, si è posta la necessità di rivisitare quegli orientamenti di legittimità che avevano recepito l'originaria distinzione normativa; questa Sezione (con la sentenza n. 11111 del 30 marzo 2006, Rv 233668) ha dunque affermato che, dopo l'entrata in vigore del decreto da ultimo citato, le disposizioni relative ai fringillidi appartenenti alla fauna selvatica (senza distinzione tra fringuelli, peppole ed altre specie) non sono più applicabili, giacchè la cattura, l'abbattimento o la detenzione anche di un solo esemplare appartenente a tale famiglia sono puniti con l'ammenda ai sensi dell'art. 30, lett. H), trattandosi di specie per la quale la caccia non è consentita in alcun periodo dell'anno.

La sentenza in questione, in tale ottica, ha ritenuto possibile distinguere tra l'abbattimento lecito e quello illecito, a seconda che avvenga o meno nei periodi venatori previsti, e tra il trattamento sanzionatorio penale o amministrativo in base al numero degli esemplari abbattuti, soltanto se e quando fringuelli, peppole o altri fringillidi siano nuovamente inclusi tra le specie cacciabili per effetto di direttive comunitarie o convenzioni internazionali, recepite nell'ordinamento italiano attraverso un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (ex art. 18, comma 3), ovvero per effetto di deroghe regionali disposte della L. n. 157 del 1992, ex art. 19 bis, secondo le finalità e i rigorosi requisiti previsti dall'art. 9 della direttiva 79/409/CE (ora 147/2009/CE).

Su quest'ultimo aspetto, peraltro, la decisione si allinea evidentemente alle indicazioni contenute nella sentenza della Corte Costituzionale n. 129 del 2004, originata da un conflitto di attribuzione della Regione Lombardia nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri in riferimento all'ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Cremona il 2 novembre 2002 nell'ambito di un procedimento penale per il reato previsto dalla L. 11 febbraio 1992, n. 157, art. 30, comma 1, lett. h). E, dunque, in presenza di normativa regionale, si è ritenuto ancora operativo il discrimine tra illecito penale e amministrativo costituito dal numero degli esemplari di fringillidi, che per l'illecito penale deve essere superiore alle cinque unità (ex multis, Sez. 3, n. 40265 del 03/10/2002 Rv. 225700; Sez. 3, n. 47872 del 20/10/2011 Rv. 251966).

Conclusivamente, dunque, per i fringillidi occorre distinguere tra specie di cui è fatto divieto assoluto di caccia da quelle per le quali è ammessa la cd. caccia in deroga, con disposizione regionale. Soltanto le prime rientrano nella lettera b) dell'art. 30 in esame, mentre per le altre specie si renderà applicabile la lett. h) della medesima disposizione; poichè non vi sono limitazioni di carattere numerico, la medesima lett. b) è dunque configurabile nel caso in cui anche uno solo degli esemplari rientri tra quelli indicati al paragrafo precedente. (come peraltro già più volte affermato da questa Corte: Sez. 3, n. 11111, cit.; successivamente, tra le altre, Sez. 3, n. 40982 del 26/6/2013, Pucillo, Rv. 257732; Sez. 3, n. 47482 del 20/10/2011, Garatti, Rv. 251966; Sez. 3, n. 23931 del 27/5/2010, Fatti, Rv. 247798).

Orbene, alla luce di tutto quanto precede, rileva la Corte che la sentenza impugnata deve essere confermata, non ravvisandosi il vizio denunciato; il Tribunale, infatti, ha fatto buon governo dei principi di diritto appena enunciati, con congrua motivazione, ed ha anche evidenziato che non risultava adottato dalla Regione Campania alcun regime derogatorio, sì da rendere punibile la condotta contestata anche a fronte di due soli cardellini.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.


P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 13 settembre 2016.
Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2016