Cass. Sez. III n. 31345 del 10 agosto 2021 (UP 21 apr 2021)
Pres. Andreazza Est. Reynaud Ric. Lioni
Caccia e animali.Illecita detenzione di fauna selvatica protetta

Il reato di illecita detenzione di fauna selvatica protetta – condotta rilevante rispetto alle materie dell’ambiente e dell’ecosistema, attribuite alla legislazione statale esclusiva – quale previsto dall’art. 30, comma 1, l. 157/1992 certamente sussiste laddove la detenzione non sia stata autorizzata in base ad una legge regionale, non potendosi ritenere invece sussistente il solo illecito amministrativo eventualmente previsto dalla legge regionale (e con riguardo al caso di specie, il rilievo vale per il disposto di cui all’art. 9, comma 1, l. 17/1995). Difatti, certamente condivisibile è il generale principio per cui quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione regionale o delle province autonome di Trento e di Bolzano che preveda una sanzione amministrativa, si applica in ogni caso la disposizione penale, salvo che quest’ultima sia applicabile solo in mancanza di altre disposizioni penali (art. 9, secondo comma, l. 24 novembre 1981, n. 689).


RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 3 luglio 2020, il Tribunale di Vincenza ha condannato alla pena dell’ammenda di legge Denni Lioni e Gianfranco Lioni, ritenendoli responsabili dei reati, riuniti nel vincolo della continuazione, di cui all’art. 30, comma 1, lett. b) e lett. h), l. 11 febbraio 1992, n. 157, per aver detenuto - in assenza di anello/fascetta inamovibile di riconoscimento - rispettivamente, alcuni esemplari di uccelli appartenenti a specie particolarmente protette e alcuni esemplari di uccelli selvatici in periodo di caccia non consentita.

2. Avverso detta sentenza, a mezzo del difensore fiduciario, gli imputati hanno proposto unitario ricorso per cassazione deducendo, con unico motivo, la violazione  degli artt. 21, comma 1, lett. e),  30, comma 1, lett. b) e lett. h), l. 157/1992 e 460, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. per essere stati gli imputati condannati per un fatto diverso da quello punito dalle norme che si assumono violate, posto gli imputati non avevano esercitato la caccia nelle zone indicate dall’art. 21, lett. e), l. 157/1992.
Trattandosi di detenzione di uccelli autorizzata dalla Provincia, gli imputati avevano soltanto contravvenuto all’obbligo di apporre l’anello ai volatili, ciò che tuttavia integra soltanto l’illecito amministrativo di cui all’art. 9, comma 2, l. reg. 22 maggio 1997, n. 15. Diversamente da quanto ritenuto in sentenza, tale violazione non è sanzionata dalla legge statale ed è l’unica nella specie ravvisabile, sicché non poteva trovare applicazione la contravvenzione contestata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

    1. Nei termini di cui si dirà, il ricorso è fondato.

2. Va innanzitutto disattesa la doglianza – peraltro neppure correttamente dedotta, non essendo stata evocata la pertinente disciplina sulla correlazione tra imputazione e sentenza contenuta nell’art. 521 cod. proc. pen. – circa la pretesa condanna per un fatto diverso da quello contestato.
Contrariamente a quanto si allega in ricorso, l’imputazione non richiama la violazione della lett. e) dell’art. 21, comma 1, l. 157/1992 – che vieta l’esercizio venatorio in prossimità di edifici e di vie di comunicazione – bensì la lett. ee) della stessa disposizione, che vieta, tra l’altro, la detenzione di esemplari di fauna selvatica, condotta, quest’ultima, chiaramente contestata in imputazione con riguardo agli esemplari dettagliatamente indicati quanto a specie e numero. L’illecita detenzione della fauna selvatica, poi, è espressamente punita, tra le altre condotte, dalle due norme incriminatrici contestate e ravvisate, a seconda dell’appartenenza degli esemplari alle specie di uccelli da esse considerate, ciò che i ricorrenti non contestano.

3. Ciò premesso quanto alla correttezza dell’imputazione ed alla sua aderenza ai fatti contestati, reputa il Collegio che sia invece fondato l’ulteriore profilo di doglianza circa l’essere stata esclusa la rilevanza meramente amministrativa dell’illecito ascritto.
Ed invero, la sentenza impugnata attesta – come i ricorrenti specificamente allegano – che Denni Lioni, coadiuvato dal padre Gianfranco, era stato autorizzato dalla Provincia ad allevare, in parte a scopo di richiamo ed in parte a fini espositivi ornamentali ed amatoriali, tutte le specie di uccelli la cui illecita detenzione è stata contestata. Ciò che nella specie ha condotto all’affermazione di penale responsabilità è il fatto che gli esemplari di fauna selvatica in questione – 6 appartenenti a specie particolarmente protette e 18 appartenenti alla specie protetta dei turdidi – fossero privi di “anello/fascetta inamovibile di riconoscimento”, ciò che ha giustificato la contestazione di illecito rispetto alle altre centinaia di volatili (358 in tutto) presenti nell’allevamento al momento del sopralluogo della polizia giudiziaria.

4. Così circoscritto il fatto – non contestato e, anzi, espressamente allegato dagli stessi ricorrenti – occorre dunque verificare se la sentenza impugnata abbia fatto buon governo delle norme di diritto nella parte in cui ha ravvisato i reati in esame, escludendo che ricorresse soltanto l’illecito amministrativo previsto dal citato art. 9, comma 2, l. reg. Veneto n. 15/1997.
 Detta legge – rubricata “allevamento per fini espositivi ornamentali o amatoriali di specie ornitiche nate in ambiente domestico”, come successivamente modificata dalle leg. reg. 9 agosto 1999 n. 33, 3 agosto 2001 n. 14 e 25 luglio 2008 n. 9 – prevede, tra l’altro, che «gli allevamenti a scopo espositivo, amatoriale o ornamentale di uccelli nati in ambiente domestico appartenenti alla fauna selvatica di cui all'articolo 2 della legge 11 febbraio 1992, n. 157, sono soggetti a preventiva autorizzazione rilasciata dall'Amministrazione provinciale territorialmente competente» (art. 1, comma 1). Si prescrive, inoltre, che «i soggetti riproduttori devono essere inanellati con anello numerato inamovibile chiuso fornito dalla Provincia» o da associazioni riconosciute e che «i pulcini (pullus) devono essere inanellati a cura dell'allevatore entro il decimo giorno di vita» (art. 5, commi 1 e 2).
Al successivo art. 9 – rubricato “sanzioni” – la l.reg. 17/1995 prevede, al primo comma, che «chiunque alleva le specie di cui all'articolo 1 senza la prescritta autorizzazione è soggetto alla sanzione pecuniaria amministrativa da lire 300.000 a lire 900.000» e, al secondo comma, che «per la violazione degli obblighi previsti dagli articoli 5, 6 e 7, è prevista la sanzione pecuniaria amministrativa da lire 100.000 a lire 300.000».

5. Or bene, quanto al riparto tra Stato e Regioni della competenza legislativa in materia, va sul punto richiamata una recente sentenza della  Corte costituzionale nella quale si è affermato che, «a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione, la mancata indicazione della materia “caccia” nel novellato art. 117 Cost. - in precedenza, invece, espressamente annoverata tra le materie rimesse alla potestà legislativa concorrente - determina la sua certa riconduzione alla competenza residuale regionale. Difatti, tra le materie in astratto riconducibili al quarto comma dell'art. 117 Cost., occorre distinguere quelle che prima della riforma del Titolo V erano esplicitamente elencate nell'ambito della competenza concorrente da quelle che, invece, non lo erano: per le prime, ancor più nettamente che per le seconde, è del tutto evidente la volontà del legislatore costituzionale di farle assurgere al rango della competenza residuale regionale, che, come tale, non incontra più i limiti di quella concorrente» (Corte cost., sent. n. 8 del 17/01/2019). In altra decisione, conforme a precedente giurisprudenza, la Corte costituzionale aggiunge che, «pur costituendo la caccia materia certamente affidata alla competenza legislativa residuale della Regione - senza che possa ritenersi ricompresa, neppure implicitamente, in altri settori della competenza statale -, anche in tale ambito “è tuttavia necessario, in base all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che la legislazione regionale rispetti la normativa statale adottata in tema di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, ove essa esprima regole minime uniformi” (sentenza n. 139 del 2017)» (Corte cost., sent. n. 7/2019).
Così precisati i rapporti tra legislazione statale e regionale in materia, va peraltro considerato che la stessa l. 157/1992 conferma come alle Regioni spetti la potestà di regolamentare la detenzione della fauna selvatica (cfr., oltre al già citato artt. 21, comma 1, lett. ee, gli artt. 4 e 17 della legge sulla caccia), sicché, ove tale condotta sia autorizzata, la stessa non potrà certamente essere considerata penalmente rilevante.

6. Ciò posto, reputa dunque il Collegio che il reato di illecita detenzione di fauna selvatica protetta – condotta rilevante rispetto alle materie dell’ambiente e dell’ecosistema, attribuite alla legislazione statale esclusiva – quale previsto dall’art. 30, comma 1, l. 157/1992 certamente sussiste laddove la detenzione non sia stata autorizzata in base ad una legge regionale, non potendosi ritenere invece sussistente il solo illecito amministrativo eventualmente previsto dalla legge regionale (e con riguardo al caso di specie, il rilievo vale per il disposto di cui all’art. 9, comma 1, l. 17/1995). Difatti, certamente condivisibile, sul punto, è il richiamo fatto dalla sentenza impugnata al generale principio per cui «quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione regionale o delle province autonome di Trento e di Bolzano che preveda una sanzione amministrativa, si applica in ogni caso la disposizione penale, salvo che quest’ultima sia applicabile solo in mancanza di altre disposizioni penali» (art. 9, secondo comma, l. 24 novembre 1981, n. 689; cfr. Sez.  3, n. 6584 del 23/11/2016, dep. 2017, Zanetti, Rv. 269155).
Per contro, il reato di detenzione illecita di fauna selvatica non è invece configurabile laddove la detenzione sia autorizzata in base alla legislazione regionale e avvenga in conformità alle prescrizioni contenute nell’autorizzazione (cfr. Sez.  3, n. 16674 del 20/02/2003, D’Andrea, Rv. 224071, secondo cui è vietata la detenzione di mammiferi che costituiscano pericolo per la salute o la pubblica incolumità, tra i quali sono contemplati i cinghiali, a meno che non si sia in possesso di una autorizzazione all'allevamento di fauna selvatica a scopo alimentare, di ripopolamento, ornamentale ed amatoriale rilasciata dalla regione ai sensi dell'art. 17 legge 11 febbraio 1992 n. 157).
Quando – come nel caso di specie – l’autorizzazione vi sia, ma siano violate le prescrizioni stabilite dalla legge regionale e questa preveda al riguardo sanzioni amministrative, reputa il Collegio che, salvo il caso limite in cui la violazione sia tale da far considerare l’attività svolta come un aliud pro alio rispetto a quella autorizzata, sì che la detenzione della fauna selvatica in concreto avvenuta non possa ritenersi consentita, in assenza di disposizione penale che espressamente incrimini le mere violazioni alle prescrizioni concernenti la detenzione autorizzata ed al cospetto, per contro, di norme di legge regionale che tali inadempienze sanzionino,  debbano senza dubbio trovare applicazione queste ultime. Non v’è, qui, un conflitto apparente di norme che regolano lo stesso fatto, suscettibile d’essere risolto in forza dei principi generali stabiliti nell’art. 9, primo e secondo comma, l. 689/1981, perché, appunto, il fatto non è riconducibile ad entrambe le disposizioni sanzionatorie, bensì alla sola norma che prevede le sanzioni amministrative.
Ed invero, nel caso di specie, la sentenza attesta – pag. 6 – che gli esemplari oggetto della contestazione di illecita detenzione perché sprovvisti di inanellatura (si ripete, 24 su 358, essendo l’anello stato agli altri apposto) erano tutti “di recente nascita”, sia pur certamente nati da più di dieci giorni, con conseguente violazione del disposto di cui all’art. 9, comma 2, l. reg. 17/1995.

7. La sentenza impugnata va pertanto annullata senza rinvio perché i fatti non sono previsti dalla legge come reato.
Deve conseguentemente trasmettersi copia degli atti alla Provincia di Vicenza per quanto di competenza in ordine alle sanzioni amministrative.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché i fatti non sono previsti dalla legge come reato.
Ordina la trasmissione degli atti alla Provincia di Vicenza per quanto di competenza.
Così deciso il 21 aprile 2021.