Cass. Sez. III n. 26424 del 24 giugno 2016 (Ud 11 giu 2016)
Pres. Ramacci Est. Riccardi Ric. Troiani
Caccia e animali. Legislazione regionale e disciplina venatoria

L'esercizio della caccia penalmente rilevante è quello individuato dal combinato disposto di cui agli artt. 18 e 30 I. 157 del 1992; una legge regionale che prevedesse una diversa disciplina venatoria - quanto al periodo o alle specie cacciabili - potrebbe avere soltanto efficacia delimitativa della norma penale statale, nel senso, ad esempio, di prevedere un più ampio periodo venatorio per alcune specie (ad es., per gli storni vengono sovente autorizzati i c.d. prelievi in deroga).  Al contrario, la legge regionale che prevedesse una disciplina maggiormente restrittiva rispetto alla norma penale statale non potrà ritenersi integrativa della fattispecie incriminatrice, potendo integrare soltanto un illecito amministrativo.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 3 dicembre 2013 il Tribunale di Fermo ha condannato Troiani Giancarlo, previo riconoscimento delle attenuanti generiche e con la diminuente del rito prescelto, alla pena di euro 900,00 di ammenda, in ordine al reato di esercizio illegale della caccia, in quanto praticata in periodo di divieto generale, di cui all'art. 30, comma 1, lett. a), I. 157 del 1992.

2. Avverso tale provvedimento il difensore dell'imputato, Avv. Vittorio Santori, ha proposto appello, articolando tre motivi di impugnazione. (1- 3. La Corte di Appello di Ancona disponeva la trasmissione dell'appello alla Corte di Cassazione, rilevando trattarsi di sentenza inappellabile, ai sensi dell'art. 593, comma 3, cod. proc. pen., in conformità al principio della conversione in ricorso per cassazione.

4. Il difensore dell'imputato, con l'atto di appello proposto, deduceva tre motivi di impugnazione: 1) richiesta di assoluzione perché il fatto non sussiste, avendo l'imputato abbattuto tre storni in data 27/01/2013, nel periodo consentito dall'art. 18, lett. b), I. 157 del 1992 (dalla terza domenica di settembre al 31 gennaio); la violazione della diversa regolamentazione adottata dalla Regione Marche, che aveva anticipato la chiusura della caccia allo storno, può rilevare soltanto in via amministrativa; 2) errata interpretazione dell'art. 18 I. 157 del 1992, in quanto il riferimento dei periodi di caccia alle singole specie sarebbe incompatibile con l'introduzione del principio della "caccia per specie"; 3) mancanza di prova dell'abbattimento da parte dell'imputato di 20 esemplari di storno, oltre ai 3 sequestrati, in quanto rinvenuti nei pressi di una pianta di ulivo ove era stato identificato l'agente.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato.

2. La proposizione del primo motivo di impugnazione rende l'appello convertibile in ricorso per cassazione, concernendo un profilo interpretativo della legge penale.
Ferma l'inammissibilità dei profili di merito proposti (in particolare, sulla lamentata mancanza di prova dell'abbattimento di un maggior numero di volatili oltre quelli sequestrati), assorbente, infatti, appare il rilievo che il reato contestato, previsto dall'art. 30, lett. a), L. 11 febbraio 1992 n. 157, punisce l'esercizio della caccia "in periodo di divieto generale, intercorrente tra la data di chiusura e la data di apertura fissata dall'art. 18"; l'art. 18, a sua volta, individua il periodo di attività venatoria con riferimento alle diverse specie, inserendo lo storno tra le specie cacciabili dalla terza domenica di settembre al 31 gennaio (comma 1, lett. b); il comma 2 dell'art. 18, inoltre, prevede che le Regioni possano modificare i termini "per determinate specie in relazione alle situazioni ambientali delle diverse realtà territoriali", e che "i termini devono essere comunque contenuti tra il 10settembre ed il 31 gennaio dell'anno nel rispetto dell'arco temporale massimo indicato al comma 1".
Nel caso in esame, l'abbattimento degli storni risulta accertato il 27 gennaio 2013, dunque nel periodo di attività venatoria previsto dall'art. 18, comma 1, lett. b), I. 157 del 1992, per la specie degli storni. La sentenza impugnata ha affermato che l'esercizio della caccia allo storno non fosse comunque consentita, nel gennaio del 2013, in quanto vietata dalla legge della Regione Marche.
Al riguardo, tuttavia, la legge regionale evocata non è stata indicata neppure negli estremi cronologici.
La sentenza non si fa carico di evidenziare in alcun modo la fonte del divieto, laddove, effettivamente l'articolo 18 lettera b) inserisce lo storno tra le specie cacciabili dalla terza domenica di settembre al 31 gennaio e l'episodio contestato risale al 27 gennaio.
 Né può essere sufficiente il generico richiamo alla normativa regionale (in senso analogo, Sez. 3, n. 33949 del 15/07/2010, Re, non massimata).
Fermo restando che, come più volte affermato dalla Corte costituzionale, «la disciplina statale che delimita il periodo venatorio [...] è stata ascritta al novero delle misure indispensabili per assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili, rientrando in quel nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica ritenuto vincolante anche per le Regioni speciali e le Province autonome» e che «le disposizioni legislative statali che individuano le specie cacciabili» hanno carattere di norme fondamentali di riforma economico-sociale (sentenza n. 227 del 2003 che richiama la sentenza n. 323 del 1998) e che, costituendo la disciplina statale un presidio minimo comune per il territorio nazionale, effettivamente non vi sono limiti, anche sul piano della tutela dei principi costituzionali, alla previsione di disposizioni più restrittive in ambito locale, e segnatamente regionale, come dimostra la previsione dell'art. 18 co. 2 della L. 157/92 che demanda alle Regioni le determinazioni in relazione alle situazioni ambientali della realtà territoriale, occorre rilevare quanto segue.
Per quanto concerne la Regione Marche, la legge regionale quadro 5 gennaio 1995, n. 7 (come modificata dalla l.r. 18/07/2011, n. 15) ha previsto, all'art. 30, comma 3, lett. a), che lo storno rientri tra "le specie di selvaggina cacciabili (...) dall'1 settembre alla data di chiusura, fissata annualmente con il calendario venatorio nel rispetto dell'arco temporale massimo indicato al comma 1 dell'articolo 18 della legge 157/92"; al successivo comma 5 ha fissato il periodo venatorio generale, per le specie indicate alla richiamata lett. a), dal 1 al 30 settembre.
Al riguardo, nel rilevare che la deliberazione di Giunta Regionale n. 1018 del 9 luglio 2012 che ha approvato il calendario venatorio per gli anni 2012 e 2013, individuando la stagione venatoria dal 1 settembre 2012 al 31 gennaio 2013, non ha previsto alcunché con riferimento alla specie dello storno (diversa essendo la specie della starna, ivi menzionata), va evidenziato che l'art. 40 della legge regionale della Regione Marche, rubricata "sanzioni", prevede che "Ferme restando le sanzioni previste dall'articolo 31 della legge 157/1992, per la violazione della normativa statale e regionale in materia faunistico-venatoria, salvo che il fatto sia previsto dalla legge come reato, si applicano le seguenti sanzioni amministrative pecuniarie (...)".
Ebbene, sulla base del tenore della norma, e della clausola di salvezza espressamente prevista ("salvo che il fatto sia previsto dalla legge come reato"), deve dunque affermarsi che la fattispecie di rilevanza penale deve ritenersi circoscritta a quella prevista dalla legislazione nazionale, eventualmente integrata, in funzione estensiva della liceità (e quindi con effetti esclusivamente in bonam partem), dalla legislazione regionale; in altri termini, l'esercizio della caccia penalmente rilevante è quello individuato dal combinato disposto di cui agli artt. 18 e 30 I. 157 del 1992; una legge regionale che prevedesse una diversa disciplina venatoria - quanto al periodo o alle specie cacciabili - potrebbe avere soltanto efficacia delirnitativa della norma penale statale, nel senso, ad esempio, di prevedere un più ampio periodo venatorio per alcune specie (ad es., per gli storni vengono sovente autorizzati i c.d. prelievi in deroga). Al contrario, la legge regionale che prevedesse una disciplina maggiormente restrittiva rispetto alla norma penale statale non potrà ritenersi integrativa della fattispecie incriminatrice, potendo integrare soltanto un illecito amministrativo. In tal senso, depone il principio costituzionale di riserva di legge (art. 25, comma 2, Cost.), che, sancendo il monopolio della legge statale in materia penale, esclude dal novero delle fonti del diritto penale la legge regionale, sia nelle materie di competenza esclusiva (sia statale che regionale), sia nelle materie di competenza concorrente, in ragione del principio di uguaglianza dei cittadini nella fruizione della libertà personale in tutto il territorio nazionale (art. 3 Cost.), del principio di unità politica dello Stato (art. 5 Cost.), e del principio di competenza esclusiva della legislazione statale in materia di ordinamento penale (art. 117, comma 2, lett. I), Cost.).
Alla luce di tale monopolio della legge statale in materia penale, ribadita sovente anche dalla giurisprudenza costituzionale (ex multis, Corte cost., 23 ottobre 1989, n. 487), va dunque esclusa una estensione dell'area di rilevanza penale da parte della legislazione (o, addirittura, della normativa secondaria) regionale.

Va pertanto affermato il seguente principio di diritto: "Il divieto nell'esercizio dell'attività venatoria, allorquando sia previsto dalla legislazione regionale in termini diversi rispetto a quelli sanciti dalla legislazione statale, assume funzione integrativa della norma penale soltanto quando abbia effetti in bonam partem; allorquando il divieto sia più ampio di quello delimitato dalla norma penale statale, non può assumere efficacia integrativa della fattispecie incriminatrice, vigendo il monopolio della legge statale in materia penale (artt. 3, 5 e 117 Cost.), potendo integrare soltanto l'illecito amministrativo eventualmente previsto dalla legislazione regionale".

2.1. Tanto premesso, nel caso in esame l'esercizio della caccia nei confronti nello storno risulta avvenuto il 27 gennaio 2013, in un periodo venatorio consentito ai sensi della legislazione statale (art. 18, comma 1, lett. b), l. 157 del 1992), ma vietato ai sensi della legislazione regionale della Regione Marche (che, all'art. 30, commi 3, lett. a), e 5, l.r. 7 del 1995, individua il periodo venatorio per la caccia allo storno dal 1 al 30 settembre). La violazione del più ristretto periodo venatorio previsto dalla legislazione regionale, dunque, può rilevare soltanto come illecito amministrativo, ai sensi dell'art. 40 I.r. 7 del 1995, che, con espressa clausola dì salvezza ("salvo che il fatto sia previsto dalla legge come reato"), prevede le sanzioni amministrative pecuniarie irrogabili per le trasgressioni alla disciplina regionale in materia.
La fattispecie in esame, pur rilevando come illecito amministrativo, non integra la norma penale contestata.

 3. La sentenza impugnata va dunque annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste

Così deciso in Roma il 11/02/2016