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Sez. 3, Sentenza n. 3333 del 21/12/2004 Ud. (dep. 01/02/2005 ) Rv. 230673
Presidente: Grillo C. Estensore: Grillo C. Relatore: Grillo C. Imputato: Andrisano. P.M. Passacantando G. (Conf.)
(Rigetta, App. Lecce, 8 Ottobre 2003)
SANITÀ PUBBLICA - IN GENERE - Deposito di più carcasse di veicoli - Di proprietà di terzi - Deposito temporaneo - Configurabilità - Esclusione - Reato di cui all'art. 51, comma primo, D.Lgs. n. 22 del 1997 - Sussistenza.

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Massima (Fonte CED Cassazione)

In tema di gestione dei rifiuti, configura la violazione dell'art. 51, comma primo, del D.Lgs. 5 febbraio 1997 n. 22 (attività di gestione di rifiuti non autorizzata) il deposito in area privata di più carcasse di autoveicoli di proprietà di terzi ed in attesa di demolizione, giacchè in tale caso non si verte nè nella ipotesi di deposito temporaneo, possibile solo nel luogo di produzione del rifiuto, nè di stoccaggio, che integra un'attività di smaltimento effettuabile in area abilitata e previa autorizzazione. 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. GRILLO Carlo - Presidente - del 21/12/2004
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - SENTENZA
Dott. LOMBARDI Alfredo Maria - Consigliere - N. 2403
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. SARNO Giulio - Consigliere - N. 2877/2004
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
ANDRISANO ROBERTO, nato a Brindisi il 27/12/1969;
avverso la sentenza n. 943 dell'8-27/10/2003, pronunciata dalla Corte di Appello di Lecce.
- Letti gli atti, la sentenza denunciata ed il ricorso;
- udita in Pubblica udienza la relazione fatta dal Presidente Dott. Carlo M. Grillo;
- udite le conclusioni del P.M., in persona del S. Procuratore Generale Dott. PASSACANTANDO G., con cui chiede il rigetto del ricorso;
- udito il difensore, avv. G. Lillo, che insiste per l'accoglimento dello stesso;
la Corte osserva:
FATTO E DIRITTO
Con la decisione indicata in premessa, la Corte di Appello di Lecce confermava integralmente la sentenza 6/5/2002 con la quale il Tribunale di Brindisi, in composizione monocratica, aveva condannato Andrisano Roberto alla pena di mesi 4 giorni 20 di arresto ed euro 2.200,00 di ammenda in ordine al reato di cui all'art. 51, comma 1 lett. a) e b), D.L.vo n. 22/1997, accertato il 25/7/2000 (smaltimento non autorizzato, in un area attigua alla sua abitazione, di rifiuti speciali e pericolosi, consistenti in quattro- carcasse di veicoli in attesa di demolizione, pezzi di motore, rottami ferrosi ed oli esausti da autotrazione).
L'imputato ricorre per Cassazione, deducendo nullità della sentenza ex art. 606, comma 1 lett. b) ed e), c.p.p. in relazione agli artt. 51 e 50 D.L.vo n. 22/1997 (illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine all'individuazione degli elementi costitutivi dell'art. 51; erronea applicazione di tale norma alla fattispecie in esame, in luogo di quella di cui all'art. 50), in quanto egli non effettuava attività di stoccaggio di rifiuti, connotata quindi da una "serie di atti sistematici e ripetuti nel tempo e con una organizzazione sia pure rudimentale di uomini e mezzi", ma si era limitato, in una sola occasione, ad abbandonare sul suolo materiale proprio. Pertanto poteva al massimo configurarsi la violazione amministrativa di abbandono di rifiuti effettuato da privati, prevista dal menzionato art. 50.
All'odierna udienza dibattimentale, il P.G. e la difesa concludono come riportato in premessa.
Il ricorso non merita accoglimento.
Il ricorrente, sebbene sotto forma di doglianze "in diritto", ripropone sostanzialmente censure "in fatto", che trovano risposta adeguata, logica e corretta nelle due sentenze di merito. Senza ripetere le argomentazioni di esse, va solo ricordato che l'attuale codice di rito prevede come motivo di ricorso per Cassazione, attinente alla motivazione della sentenza impugnata, esclusivamente la mancanza o la manifesta illogicità della stessa (quando detti vizi però risultino dal testo stesso del provvedimento); in particolare, per quanto attiene al giudizio di penale responsabilità dell'imputato, è d'uopo ribadire che l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione essere limitato - per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di Cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali. Ciò premesso in linea teorica, rileva il Collegio che il ricorrente sostiene in definitiva la non ravvisabilità del reato, potendosi configurare al massimo nei suoi confronti l'ipotesi di "deposito incontrollato" di rifiuti propri, penalmente non punibile ex art. 50, comma 1, d.l.vo n. 22/1997, giacché egli non è titolare di imprese ne' responsabile di enti, ai sensi del secondo comma dell'art. 51 dello stesso decreto.
L'infondatezza di tale assunto risulta evidente dagli atti, considerato che l'imputato svolge attività di bracciante agricolo e che le carcasse di veicoli e gli altri rifiuti rinvenuti sulla propria area, attigua alla sua abitazione, non erano suoi, ma di parenti ed amici, ed erano ivi raccolti in attesa di essere smaltiti, come da lui stesso affermato. Addirittura, da un secondo sopralluogo, effettuato dopo oltre otto mesi, è risultato che solo uno dei quattro veicoli era stato rimosso, mentre gli altri ed il restante materiale era ancora in quel luogo.
Non può dunque parlarsi evidentemente di abbandono o deposito incontrollato di rifiuti propri, disciplinato dall'art. 50 sopra menzionato, come pretende il ricorrente, e neppure del "deposito temporaneo" definito dall'art. 6, comma 1 lett. m), del decreto Ronchi ("il raggruppamento di rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti"), sia perché i rifiuti in questione non sono stati prodotti in quel luogo, sia perché non ricorrono le sei condizioni alle quali la menzionata norma subordina la configurabilità del deposito temporaneo.
Deve invece ravvisarsi - come correttamente ritenuto dai giudici di merito - l'ipotesi di raccolta e smaltimento senza autorizzazione, e quindi di gestione, di rifiuti speciali (pericolosi e non) provenienti da altri, considerato che lo "stoccaggio", consistente nel deposito temporaneo effettuato non nel luogo di produzione del rifiuto, costituisce un'attività preliminare alle altre operazioni di smaltimento indicate nell'allegato 'B' del decreto, che può essere effettuato solo sull'area a ciò abilitata e dunque è soggetto anch'esso ad autorizzazione. Il gravame, pertanto, è infondato.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 21 dicembre 2004.
Depositato in Cancelleria il 1 febbraio 2005