Presidente: Cantillo M. Estensore: Cristarella Orestano F. P.M. Lo Cascio G. (Conf.)
Amm.ne Prov.le Venezia (Chinaglia ed altro) contro Blue Valley SpA ed altri (Fabris)
(Regola giurisdizione).
GIURISDIZIONE CIVILE - GIURISDIZIONE ORDINARIA E AMMINISTRATIVA - IN GENERE - Controversia tendente al ristoro dei danni cagionati alla produzione agricola dalla fauna protetta - Giurisdizione del giudice amministrativo - Devoluzione - Fondamento.
La controversia instaurata nei confronti della regione Veneto per ottenere, a norma degli art. 26 legge n. 157 del 1992 e 28 legge reg. Veneto n. 50 dal 1993, il ristoro dei danni arrecati alla produzione agricola dalla fauna selvatica (in particolare da quella protetta), è devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo, atteso che la norma citata, riferendosi ai danni "non altrimenti risarcibili" e prevedendo solo "contributi per il risarcimento", configurano come interesse legittimo la posizione soggettiva dei danneggiati.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Michele CANTILLO - Primo Presidente Aggiunto F. F. -
Dott. Francesco AMIRANTE - Presidente di Sezione -
Dott. Giuseppe IANNIRUBERTO - Consigliere -
Dott. Giovanni OLLA "
Dott. Francesco CRISTARELLA ORESTANO - rel. "
Dott. Antonio VELLA "
Dott. Paolo VITTORIA "
Dott. Erminio RAVAGNANI "
Dott. Antonino ELEFANTE "
ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
sul ricorso iscritto al 09.12.1998 n. 20806/98 R. G. proposto
da
AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE DI VENEZIA, in persona del Presidente pro
tempore autorizzato con delibera della Giunta Provinciale n. 39294
del 17.9.1998, elettivamente domiciliata in Roma, Via dei Sansovino
n. 6, presso lo studio dell'Avv. Mario Ettore Verino che, con gli
Avv. Adelchi Chinaglia e Alvise Cecchinaro, la difende in virtù di
procura speciale a margine del ricorso,
ricorrente
contro
BLUE VALLEY S. p. A., ALBA S.r.l., AZIENDA MARINA AVERTO S.r.l.,
STAGNO DA PESCA LA BIANCA DI ZOGGIA S.a.s., VALLE CAVALLINO DEI F.LLI
FANTEN s.n.c., VALLE DRAGOJESOLO S.p.A., VAL GRANDE DI FERRI DE
LAZARA GACOMO S.d.f., VALLE GRASSABÒ DI F.LLI MONTI S.d.f., VALLE
FOSSE DI SCHIAVON G. S.a.s., VALLE ZIGNAGO S.p.A., ZAPPA DI RONCATO
G. S.a.s., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro
tempore, elettivamente domiciliate in Roma, Via Regina Margherita n.
262, presso l'Avv. Antonella Marrama, difese dall'Avv. Giovanni
Fabris in virtù di procura rilasciata per il giudizio di merito,
resistenti
e nei confronti di
REGIONE VENETO, in persona del Presidente pro tempore della Giunta
Regionale, difesa dall'Avvocatura dello Stato presso la quale è
domiciliata per legge in Roma, resistente per far regolare
preventivamente la giurisdizione nelle controversie, tutte riunite,
instaurate dalle società di cui sopra e pendenti davanti al
Tribunale di Venezia con il numero di R.G. 3549/97.
Udita la relazione della causa svolta, nella pubblica udienza
del 20 gennaio 2000, dal cons. Cristarella Orestano;
Sentiti, per la ricorrente, l'Avv. Adelchi Chinaglia e l'Avv.
Mario Ettore Verino, che hanno chiesto dichiararsi la giurisdizione
del giudice amministrativo;
Sentito, per le società resistenti, l'Avv. Giovanni Fabris che
ha chiesto dichiararsi la giurisdizione del giudice ordinario;
Sentito, per la Regione Veneto, l'Avv. La Porta dell'Avvocatura
dello Stato che ha chiesto dichiararsi la giurisdizione del giudice
amministrativo;
Sentito il Pubblico Ministero, in persona dell'Avv. Gen. Dott.
Giovanni Lo Cascio, che ha concluso sia dichiarata la giurisdizione
del giudice amministrativo.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con distinti atti di citazione del 1997 le undici società oggi
intimate convennero in giudizio, avanti il Tribunale di Venezia,
l'Amministrazione Provinciale di Venezia e la Regione Veneto,
ciascuna di esse esponendo che esercitava attività di itticoltura
nelle valli della lacuna di Venezia e che aveva subito ingenti danni
per la presenza di stormi di uccelli ittiofagi appartenenti a specie
protette (cormorani ed aironi cinerini) i quali si nutrivano dei
pesci allevati nelle valli di cui sopra.
Chiesero, pertanto, la condanna degli Enti convenuti al
risarcimento in loro favore dei lamentati danni, invocando l'art. 26
della legge statale 11.2.1992 n. 157 e l'art. 28 della legge
regionale Veneto 9.12.1993 n. 50 che prevedono l'istituzione di un
fondo a carico della Regione, ma gestito dalla Provincia, per far
fronte ai danni arrecati alla produzione agricola dalla fauna
selvatica, in particolare da quella protetta.
Nei giudizi, tutti riuniti, si costituirono tanto
l'Amministrazione Provinciale quanto la Regione, eccependo
pregiudizialmente il difetto di giurisdizione del giudice ordinario.
Prima di ogni decisione sulla causa in sede di merito,
l'Amministrazione Provinciale di Venezia ha proposto regolamento
preventivo di L71Unsdizione alle Sezioni Unite di questa Corte,
illustrandolo poi con memoria.
Le società intimate hanno resistito intervenendo alla
discussione a mezzo del loro difensore costituito nel giudizio di
merito.
Anche la Regione Veneto è intervenuta alla discussione a mezzo
dell'Avvocatura dello Stato.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Nel propugnare il difetto di giurisdizione del giudice ordinano
a favore del giudice amministrativo, la ricorrente argomenta come
segue:
- L'art. 26, 1^ comma, della L.S, 11.2.1992 n. 157 dispone che
"per far fronte ai danni non altrimenti risarcibili arrecati alla
produzione agricola e alle opere approntate sui terreni coltivati e a
pascolo dalla fauna selvatica, in particolare da quella protetta,...
è costituito a cura di ogni regione un fondo destinato alla
prevenzione e ai risarcimenti, al quale affluisce anche una
percentuale dei proventi di cui all'art. 23" (tasse di concessone
regionale in materia di caccia);
La Regione Veneto, dando attuazione ai principi contenuti nella,
menzionata legge dello Stato, ha previsto, nell'art. 28 della L. R.
9.12.1993 n. 50, innanzitutto l'adozione, insieme con il piano
faunistico venatorio regionale, di un regolamento contenente, tra
l'altro, "i criteri e modalità per l'utilizzazione del fondo" di cui
sopra;
- Questo stesso art. 28, poi, al comma 3^, delega alle Province
"l'erogazione dei contributi per il risarcimento" dei danni di cui
all'art. 26 della legge statale e disciplina la composizione del
comitato che, a livello provinciale, deve gestire la quota del fondo
ripartita a favore di ciascuna provincia;
- La determinazione dei criteri e modalità per l'erogazione dei
contributi in parola è contenuta nelle norme del regolamento
allegato alla L.R. 27.6.1996 n. 17 avente ad oggetto il piano
faunistico venatorio regionale per gli anni 1996-2001, norme che,
sebbene definite regolamentari, hanno valore di legge primaria in
quanto adottate con legge regionale e facenti parte della stessa;
- Orbene, l'esplicito riferimento dell'art. 26 della legge
statale 157/1992 a "danni non altrimenti risarcibili" e la
qualificazione delle somme da erogare come "contributi per il
risarcimento" ad opera dell'art. 28 della L.R. 50/1993 dimostrano
chiaramente che la posizione riconosciuta al privato non è di
diritto soggettivo, bensì di interesse legittimo, il che trova
conferma nella mancata predeterminazione del contributo, il quale
viene erogato dalla Provincia nei limiti della quota di fondo
regionale assegnatale e non corrisponde, quindi, alla perdita
integrale subita dal danneggiato, anche perché è escluso per i
danni stimati di importo inferiore a L 100.000, sicché è lasciata
un'ampia discrezionalità all'Amministrazione Regionale,
discrezionalità giustificata anche dalle condizioni oggettive del
territorio lacunare e vallivo che, per le sue peculiari
caratteristiche geomorfologiche e per la tipicità della sua fauna e
della sua flora, è soggetto ad una disciplina venatoria particolare
dettata in funzione di una maggiore tutela dell'habitat, ossia
dell'interesse collettivo, di livello superiore, della protezione
dell'ambiente naturale.
A tali argomentazioni va data sostanziale adesione.
È opportuno osservare preliminarmente che non interferisce
sulla decisione del caso in esame la recente sentenza di queste
Sezioni Unite n. 500 del 1999 in materia di "risarcibilità degli
interessi legittimi".
Tale innovativa sentenza - superando la tradizionale lettura
dell'art. 2043 cod. civ., identificante il "danno ingiusto" con la
lesione di un diritto soggettivo, e ritenendo, invece, che tale
espressione stia ad indicare il danno che l'ordinamento non può
tollerare che rimanga a carico della vittima ma esige che vada
trasferito sull'autore del fatto in quanto lesivo di interessi
giuridicamente rilevanti, quale che sia la loro qualificazione
formale e, quindi, anche ove non assurgano al rango di diritti
soggettivi - ha dichiarato inammissibile il regolamento di
giurisdizione richiesto in un giudizio instaurato da un privato
contro un Comune per ottenere il risarcimento dei danni cagionatigli
dal mancato inserimento di un'area lottizzata di sua proprietà tra
le zone edificabili previste nell'adottato piano regolatore generale,
perché la questione proposta, stante appunto la ritenuta
risarcibilità degli interessi legittimi, atteneva al mento, e non
alla giurisdizione.
Diverso è il caso formante oggetto della presente controversia,
non essendo in alcun modo in gioco nella stessa una responsabilità
da illecito aquiliano, dal momento che le società itticultrici oggi
resistenti ebbero a fondare la loro azione risarcitoria
esclusivamente sull'art. 26 della legge statale n. 157/92 e sull'art.
28 della legge regionale veneta n. 50/93 senza minimamente addurre
nè un'ingiustizia del danno, sia pure nel senso più lato di cui
alla richiamata sentenza 500/99, ne' l'esistenza di un fatto doloso o
colposo della P.A. che lo avesse cagionato, ma limitandosi a
prospettare il dato obiettivo della notevole diminuzione del pescato,
a causa della massiccia presenza di uccelli ittiofagi appartenenti a
specie protette dalla vigente legislazione sulla fauna selvatica, e a
pretenderne il ristoro attraverso il fondo regionale appositamente
costituito in forza delle leggi suddette.
Il criterio da seguire per l'individuazione del giudice cui
attribuire la giurisdizione non può che essere, allora, quello
tradizionale ed è ad esso, appunto, che queste Sezioni Unite hanno
fatto ricorso in fattispecie analoghe, risolvendo la questione in
maniera diversa a seconda della consistenza riconoscibile di volta in
volta alla posizione soggettiva del danneggiato ed attribuendo
essenziale rilievo, a tal fine, al concreto atteggiarsi della
disciplina positiva concernente la ristorabilità dei danni prodotti
dalla selvaggina protetta
Così le sentenze n. 5501 del 1991 e n. 11173 del 1995, la quale
ultima, occupandosi del caso di un'azienda agricola compresa in una
"zona di rifugio" della selvaggina in base all'art. 20 della L.R.
Veneto 14.7.1978, le cui colture ad orzo e frumento avevano subito
danni a causa della eccessiva quantità di passeri esistenti in tale
zona, ha attribuito alla posizione del proprietario danneggiato la
consistenza di diritto soggettivo, affermando, perciò, la
giurisdizione del giudice ordinario - nonostante la ritenuta
inconferenza del richiamo agli artt. 2043 e 2052 cod. civ. ed il
riconoscimento che gli uccelli, come fauna selvatica, appartengono al
patrimonio indisponibile dello Stato e sono tutelati nell'interesse
della comunità nazionale - in quanto dal tenore delle norme della
citata legge regionale (art. 20) e della legge-quadro 27.12.1977 n.
968, contenente principi generali e disposizioni per la protezione e
la tutela faunistica e disciplina della caccia (artt. 6 e 26),
emergeva che l'indennizzo da esse previsto per i terreni compresi
nelle zone di rifugio che ricevano pregiudizio economico a causa
della fauna selvatica protetta, aveva funzione risarcitoria in senso
stretto e, quindi, di reintegrazione patrimoniale, così da doversi
escludere un potere discrezionale dell'amministrazione sia in ordine
all'an, sia in ordine al quantum debeatur (v, anche sent. n. 587 del
1999).
Analogo ragionamento è stato seguito dalla sentenza n. 12901
del 1998 riguardante una controversia per danni provocati dalla fauna
selvatica alle colture agricole di un fondo ricadente all'interno
della fascia di silenzio venatorio del Parco Lombardo della Valle del
Ticino.
Per converso, altra sentenza, la n. 12106 del 1995, in una
fattispecie in cui il privato aveva lamentato danni a terreni inclusi
nel comprensorio del Parco naturale dei Monti Sibillini, invasi in
ore notturne da cinghiali usciti dai boschi circostanti, ha posto in
risalto la singolarità della figura dei parchi naturali e del regime
giuridico dei terreni agricoli in essi compresi, soggetti a forti
restrizioni del diritto di proprietà e di godimento in vista delle
perseguite finalità di tutela e miglioramento della flora e della
fauna e della conservazione dell'ambiente, osservando che le
situazioni di eventuale pregiudizio che i proprietari di tali
terreni possono subire, per limitazioni dirette di attività o per
una forma indiretta di limitazione di sfruttamento (derivante
dall'impossibilità di abbattimento degli animali selvatici), sono
situazioni meramente conseguenti e connesse alla tutela
dell'interesse collettivo, rispetto al quale la situazione giuridica
del privato viene degradata ad interesse, dopo di che ha finito col
ritenere risolutivo, ai fini della affermata giurisdizione del
giudice amministrativo, il fatto che, coerentemente con tutto questo,
nella disciplina dettata dalla legge 12.7.1923 n. 1511 e dal relativo
regolamento (R.D. 27.9.1923 n. 2124) per il Parco Nazionale
d'Abruzzo, transitoriamente applicabile al Parco dei Monti Sibillini,
per espresso richiamo della legge 11.3.1988 n. 67, in attesa
dell'approvazione della legge-quadro sui parchi nazionali e sulle
riserve naturali, non era disposto alcun indennizzo ragguagliato alla
effettività dei danni cagionati dagli animali selvatici a singole
coltivazioni ma era previsto solo un "compenso" che, in assenza di
elementi normativamente prefissati per la sua determinazione e
liquidazione, non assumeva alcun carattere di certezza, almeno nel
quantum, cosicché doveva ritenersi che la situazione vantata dal
privato danneggiato fosse solo di interesse legittimo.
Alla stessa conclusione deve pervenirsi nel caso di specie.
Pacifico, infatti, che anche in esso, come in tutti quelli
considerati dalle sentenze sopra citate, il lamentato pregiudizio
economico e intimamente connesso alla tutela di interessi
squisitamente pubblicistici, qual è quello alla protezione
dell'ambiente naturale e, in particolare, della fauna selvatica
(ormai non più res nullius ma appartenente al patrimonio
indisponibile dello Stato in forza dell'art. 1 della legge 27.12.1977
n. 968, ora art. 1 L. 157/92), senza alcun riferimento a condotte
della P.A. connotate da dolo o colpa, neppure sotto il profilo degli
art. 2051 e 2052 cod. civ., la posizione dei privati danneggiati in
tanto può assurgere al rango di interesse tutelabile in quanto il
legislatore ha approntato delle norme miranti ad assicurare loro un
certo ristoro di detto pregiudizio.
L'intensità di tale tutela e., quindi, la qualificabilità di
quella posizione come diritto soggettivo o interesse legittimo,
dipende, però, dal modo in cui le norme sono concretamente
formulate, cioè dal fatto che esse abbiano previsto tout court la
riparazione del danno nella sua interezza o, magari, in una ben
determinata misura percentuale, oppure abbiano lasciato alla P.A. un
margine di discrezionalità nel riconoscimento del ristoro o nella
determinazione del suo ammontare.
Le norme cui far riferimento nel caso che ci occupa sono l'art.
26 della legge statale 11.2.1992 n. 157, contenente la disciplina
della fauna selvatica omeoterma e del prelievo venatorio, e l'art. 28
della legge regionale veneta 9.12.1993 n. 50.
Orbene, la pprima di tali norme, prevedendo l'istituzione, a
cura di ogni regione. di un fondo "per far fronte ai danni non
altrimenti risarcibili arrecati alla produzione agricola e alle opere
approntate sui terreni coltivati e a pascolo dalla fauna selvatica,
in particolare da quella protetta, e dall'attività venatoria...",
già prefigura un limite alla ristorabilità di tali danni
rappresentato dall'entità degli istituendi fondi, limite che, del
resto trova la sua giustificazione razionale nell'esigenza di non
gravare la P.A. di oneri indeterminati ed imprevedibili nel loro
ammontare in relazione ad eventi che non sono ascrivibili a suoi
comportamenti illegittimi ma si collegano alla tutela di interessi
superiori affidati alle sue cure.
L'art. 28 della citata legge regionale n. 50 del 1993, poi, dopo
avere stabilito nel primo comma che, "per far fronte" ai danni di cui
all'art. 26 della L. S. 157/92, "è costituito un fondo regionale
destinato alla prevenzione e ai risarcimenti", affida alla Giunta,
con il secondo comma, il compito di ripartire annualmente il fondo
stesso "sulla base dei criteri e modalità previste alla lettera d),
comma 5, dell'art. 8" e, al terzo comma, definisce significativamente
"contributi per il risarcimento" le somme erogate ai privati,
delegando tale erogazione alle province e, per esse, ad appositi
comitati.
Il citato art. 8, comma 5 lett. d), a sua volta, demanda al
regolamento di attuazione del piano faunistico venatorio regionale la
fissazione di detti criteri e modalità di utilizzazione del fondo, e
tale regolamento, approvato in allegato alla L. R. veneta 27.6.1996
n. 17, stabilendo che non sono ammessi ad indennizzo danni stimati di
importo inferiore a L 100.000 e facendo riferimento, per la
determinazione del contributo, a prezziari regionali o alla
"produzione media zonale", senza alcun riferimento al danno
effettivo, conferma ulteriormente che alla Regione è lasciato un
ampio margine di discrezionalità, per lo meno in ordine al quantum
del contributo da erogare, e che, pertanto, la posizione del privato
ha la connotazione dell'interesse legittimo e non quella del diritto
soggettivo.
A tutto ciò va aggiunto che la Regione Veneto, con l'art. 9
della sua recente legge 26.9.1999 n. 46, ha proceduto ad una
"interpretazione autentica dell'art. 28 della legge regionale
9.12.1993 n. 50", stabilendo che esso si interpreta "nel senso che il
risarcimento dei danni prodotti dalla fauna selvatica e
dall'attività venatoria è un contributo riconosciuto ai danneggiati
nei limiti dello stanziamento annuale del riconosciuto a capitolo di
spesa previsto nell'apposito fondo regionale da ripartire tra le
province con provvedimento della Giunta regionale", con il che resta
definitivamente confermata la consistenza di interesse legittimo
della posizione del privato che ha subito il danno in questione.
Alla stregua delle osservazioni che precedono va dichiarato che
la competenza giurisdizionale sulla controversia promossa dalle varie
società itticultrici delle valli della Laguna di Venezia nei
confronti dell'Amministrazione Provinciale di Venezia e della Regione
Veneto appartiene al giudice amministrativo.
Ricorrono giusti motivi per compensare tra le parti le spese
dell'intero giudizio.
P.Q.M.
LA CORTE A SEZIONI UNITE
Dichiara la giurisdizione del giudice amministrativo. Compensa
tra le parti le spese dell'intero giudizio.
Così deciso in Roma, il 20 gennaio 2000.
Depositato in cancelleria il 29 settembre 2000