TAR Lombardia (MI), Sez. IV, n. 1865, del 16 luglio 2013
Caccia e animali.Illegittimità cattura di uccelli selvatici ai fini di richiamo

E’ illegittimo il provvedimento della Giunta Regionale che ha autorizzato le Province ad effettuare la cattura di uccelli selvatici ai fini di richiamo. L’abbattimento o la cattura di uccelli selvatici appartenenti alle specie protette dalla direttiva medesima, è “esercitabile in via eccezionale”, talché l’autorizzazione degli Stati membri a derogare al divieto generale è subordinata ad una motivazione che faccia riferimento esplicito ed adeguatamente circostanziato alla sussistenza di tutte le condizioni prescritte dall’art. 9, paragrafi 1 e 2 della Direttiva 2009/147/CE concernente la conservazione degli uccelli selvatici. La deroga al divieto generale di cattura di animali selvatici vivi non può che essere interpretata in modo restrittivo, dovendosi ritenere imprescindibili delle giustificazioni congruenti, sia per procedere alla sua attuazione, che per individuare i limiti quantitativi ritenuti necessari. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 01865/2013 REG.PROV.COLL.

N. 02397/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2397 del 2012, proposto da: 
Associazione Lega per l'Abolizione della Caccia (Lac) Onlus, rappresentata e difesa dagli avv.ti Claudio Linzola e Lorenzo Platania, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Milano, Via Hoepli, 3;

contro

Regione Lombardia, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Annalisa Santagostino e Sabrina Gallonetto dell’Avvocatura Regionale, domiciliata in Milano, Piazza Città di Lombardia, 1; 
Ispra - Istituto Superiore della Protezione e la Ricerca Ambientale, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in Milano, Via Freguglia, 1;

nei confronti di

Provincia di Brescia, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Magda Poli, Gisella Donati e Raffaella Rizzardi, dell’Avvocatura Provinciale, con domicilio eletto in Milano, presso la Segreteria del Tribunale;
Provincia di Bergamo, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Giorgio Vavassori, Bortolo Pasinelli e Katia Nava, con domicilio eletto presso l’Avv. Angela Sarli in Milano, Galleria San Babila N.4/A; 
Provincia di Milano, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Alessandra Zimmitti, Angela Bartolomeo, Marialuisa Ferrari e Nadia Marina Gabigliani, dell’Avvocatura Provinciale, domiciliata in Milano, Via Vivaio, 1; 
Provincia di Monza e Brianza, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Elisabetta Baviera, e Luciano Fiori, dell’Avvocatura Provinciale, domiciliata in Milano, presso la Segreteria del Tribunale; 
Provincia di Como, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Matteo Accardi e Domenica Condello, con domicilio eletto in Milano, presso la Segreteria del Tribunale; 
Associazione Anuu Cacciatori Migratoristi Italiani - Sez. Provinciale di Brescia, rappresentata e difesa dagli avv.ti Carlo Maria Tanzarella, Mario Gorlani, e Innocenzo Gorlani, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Milano, Piazza Velasca, 5; 
Provincia di Varese, Provincia di Mantova, Provincia di Lecco; non costituite in giudizio.

e con l'intervento di

ad opponendum:
Federazione Italiana della Caccia (F.I.D.C.), rappresentata e difesa dall'avv. Lorenzo Bertacchi, con domicilio eletto in Milano, presso la Segreteria del Tribunale.

per l'annullamento

della deliberazione della Giunta Regionale della Regione Lombardia n. 4036 del 12.9.2012 pubblicata sul Burl del 17.9.2012 n. 38, ed ove occorrer possa, della nota I.s.p.ra. del 30.8.2012, prot. n. 32267, nonchè di ogni altro presupposto, consequenziale e comunque connesso.



Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Regione Lombardia, di Ispra - Istituto Superiore della Protezione e la Ricerca Ambientale, della Provincia di Brescia, della Provincia di Bergamo, della Provincia di Milano, della Provincia di Monza e Brianza, della Provincia di Como e della Associazione Anuu Cacciatori Migratoristi Italiani - Sez. Provinciale di Brescia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 giugno 2013 il dott. Mauro Gatti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

Con il provvedimento impugnato la Giunta Regionale ha autorizzato le Province ivi indicate ad effettuare la cattura di uccelli selvatici per la cessione ai fini di richiamo (nel proseguo “presicci”), per il 2012, approvando contestualmente un programma, riferito agli anni 2012-2017, di progressiva sostituzione dei richiami vivi di cattura con richiami vivi da allevamento, ed un ulteriore programma per la costituzione di una banca dati dei richiami vivi detenuti dai cacciatori.

Si sono costituiti in giudizio l’ANUU Cacciatori Migratoristi Italiani, Sezione Provinciale di Brescia, la Provincia di Bergamo, la Provincia di Brescia, la Provincia di Como, la Provincia di Milano, la Provincia di Monza e Brianza, e la Regione Lombardia.

Con ordinanza n. 1580/2012 è stata respinta la domanda cautelare.

All’udienza pubblica del 6.6.2013 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

I.1) Preliminarmente, deve essere respinta l’eccezione di sopravvenuta carenza di interesse alla definizione del gravame, fondata sull’intervenuta chiusura della stagione venatoria 2012.

Infatti, se è pur vero che l’atto impugnato ha esaurito i suoi effetti, è parimenti innegabile che una pronuncia di questo Tribunale favorevole alla ricorrente sarebbe destinata ad orientare e conformare l’attività amministrativa per le prossime stagioni venatorie, allo scopo di evitare la ripetizione di condotte contra legem, oltre ai possibili riflessi in relazione ad un ipotetico giudizio di tipo risarcitorio (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. IV 5.3.2009 n. 1751; 3.3.2010 n. 533).

I.2) Anche l’ulteriore questione preliminare, sollevata dalle Province di Brescia e di Bergamo, va rigettata.

Secondo tale eccezione, il ricorso dovrebbe essere dichiarato improcedibile poiché, in base a quanto disposto dall’art. 7 L.R. n. 26/93, sarebbero le Province a determinare concretamente il numero complessivo annuale di prelievo, laddove Regione Lombardia si limiterebbe ad ammettere in via generale la possibilità di svolgere le predette attività di cattura. Anche gli atti provinciali avrebbero pertanto portata lesiva, e come tali avrebbero dovuti essere impugnati.

L’eccezione è infondata, poiché, come correttamente osservato dalla ricorrente, il provvedimento impugnato consuma integralmente il potere astrattamente attribuito dalla norma all’autorità pubblica, prevedendo nel dettaglio l’entità dei capi catturabili, il numero degli impianti e la loro localizzazione, talché al medesimo procedimento hanno partecipato anche le Provincie, come risulta dal tenore letterale dello stesso atto.

Né in contrario può rilevare la giurisprudenza invocata dalla difesa delle Province, secondo cui sarebbe necessaria anche l’impugnazione degli atti attuativi, dal momento che la stessa si è formata nella vigenza di un regime giuridico oggi ormai superato (L.R. n. 14/2005).

Nel merito, il ricorso è fondato.

II.1) Con il primo motivo la ricorrente deduce eccesso di potere, sotto il profilo dello sviamento della causa tipica. Il provvedimento impugnato, emanato avvalendosi di un potere eccezionale e derogatorio, sarebbe stato in realtà esercitato, di anno di anno, per un lasso di tempo superiore a quindici anni, dando così luogo ad una permanente facoltà di cattura dei presicci, contraddicendo i fini e le ragioni per le quali i poteri derogatori sono stati eccezionalmente previsti dalla normativa.

Osserva il Collegio come, in generale, il vizio di sviamento si connota per l'esercizio del potere per un fine diverso dalla sua causa tipica (C.S., Sez. VI, 22.6.2006 n. 3825), consistente in una divergenza tra l'atto e la sua funzione istituzionale, che rivela in modo indubbio il dissimulato scopo che ne integra il vizio, mediante la dimostrazione dell'illegittima finalità perseguita in concreto dalla p.a. (C.S., Sez. IV, 27.4.2005 n. 1947).

Ritiene il Collegio che nel caso di specie, per come la ricorrente ha articolato la propria censura, non emerga alcuna finalità occultamente perseguita dall’Amministrazione, in luogo di quella normativamente attribuitale, anche in relazione ai visti poteri derogatori, ciò che, come sopra evidenziato, dà luogo alla figura sintomatica dell’eccesso di potere per sviamento dalla causa tipica, dovendosi così, semplicemente, accertare se i predetti poteri derogatori, riferiti all’anno 2012, siano stati o meno correttamente esercitati, ciò che infatti forma oggetto dei successivi motivi di ricorso.

II.2) Con il secondo motivo si censura il provvedimento impugnato per violazione di legge, e quindi per contrasto con l’art. 9 della Direttiva 2009/147/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la conservazione degli uccelli selvatici; c.d. Direttiva Uccelli), per mancanza dei presupposti richiesti dal detto articolo onde ricorrere alla cattura di uccelli selvatici con reti in deroga al regime ordinario.

II.2.1.1) In primo luogo, va respinta l’eccezione sollevata dalla difesa delle Provincie di Bergamo e Como, secondo cui la disciplina dettata dal detto articolo atterrebbe alle specie protette di volatili, e non alle specie cacciabili.

In giurisprudenza (T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. II, 27.1.2011 n. 172) si è infatti già precisato che la direttiva comunitaria “concerne la conservazione di tutte le specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri al quale si applica il trattato” (art. 1c. 1) e che la stessa “si applica agli uccelli, alle uova, ai nidi e agli habitat” (art. 1 c. 2). Inoltre “gli Stati membri adottano le misure necessarie per mantenere o adeguare la popolazione di tutte le specie di uccelli di cui all'articolo 1” (art. 2), e “fatte salve le disposizioni degli articoli 7 e 9, gli Stati membri adottano le misure necessarie per instaurare un regime generale di protezione di tutte le specie di uccelli di cui all'articolo 1” (art. 5). In aggiunta, per quanto riguarda la caccia, la cattura o l'uccisione di uccelli nel quadro della detta direttiva, gli Stati membri vietano il ricorso a qualsiasi mezzo, impianto e metodo di cattura o di uccisione, in massa o non selettiva. Risulta pertanto chiaro che la tutela apprestata dalla direttiva si estende a tutti gli esemplari di uccelli, compresi quelli per i quali è ammessa la caccia in regime controllato, salve le speciali misure di protezione e conservazione per le particolari specie elencate nell’allegato I (art. 4).

II.2.1.2) Secondariamente, ritiene il Collegio che non osti allo scrutinio del motivo il fatto che il provvedimento impugnato preveda, unitamente alla possibilità di catturare i presicci nei quantitativi ivi menzionati, anche un piano di riduzione degli stessi negli anni successivi.

Il provvedimento impugnato ha infatti un contenuto plurimo, e cioè, da un lato, il detto programma pluriennale di progressiva riduzione delle catture, e dall’altro, l’autorizzazione al prelievo di 45.500 presicci nell’anno 2012, ciò che forma oggetto delle censure formulate con il presente ricorso, e sulle quali il Collegio è chiamato a pronunciarsi.

I predetti contenuti sono indubbiamente legati, dato che il 2012 costituisce la prima annualità del detto programma di riduzione delle catture, tuttavia, come detto, si tratta di autonome manifestazioni di volontà provvedimentale, che possono infatti essere contestate autonomamente, come in concreto avvenuto.

Conseguentemente, non colgono nel segno le difese delle resistenti laddove pretendono, sic et simpliciter, di desumere il fondamento e la legittimità del provvedimento impugnato nel presente ricorso (catture di presicci previste per l’anno 2012), dal contenuto di altra e distinta determinazione (piano di riduzione progressiva delle catture) pure acclusa nel medesimo atto.

II.2.2) Venendo al merito della censura, il visto articolo 9, con disposizione riproduttiva di quella avente analogo tenore già contenuta nella direttiva 79/409/CEE, prevede in particolare che gli Stati membri, sempre che non vi siano altre soluzioni soddisfacenti, possano derogare alle misure di protezione poste dalla medesima direttiva per il conseguimento di una serie di interessi generali tassativamente indicati fra i quali, per quanto riguarda il presente giudizio, quello di consentire, in condizioni rigidamente controllate ed in modo selettivo, la cattura, la detenzione o altri impieghi misurati di uccelli in piccole quantità.

In generale, osserva il Collegio come la costante giurisprudenza ha già chiarito che il potere di deroga previsto dalla detta norma, laddove ammette l’abbattimento o la cattura di uccelli selvatici appartenenti alle specie protette dalla direttiva medesima, sia “esercitabile in via eccezionale”, talché l’autorizzazione degli Stati membri a derogare al divieto generale è subordinata ad una motivazione che faccia riferimento esplicito ed adeguatamente circostanziato alla sussistenza di tutte le condizioni prescritte dall’art. 9, paragrafi 1 e 2 (cfr. Corte cost. sentenze n. 168/1999 e n. 250/2008; Corte di Giustizia CE, 8.6.2006, causa C-118/94).

La deroga al divieto generale di cattura di animali selvatici vivi non può pertanto che essere interpretata in modo restrittivo, dovendosi ritenere imprescindibili delle giustificazioni congruenti, sia per procedere alla sua attuazione, che per individuare i limiti quantitativi ritenuti necessari (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. IV, 3.3.2010 n. 533).

La Commissione Europea ha peraltro avviato una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia (EU PILOT 1611/10/ENVI) proprio in considerazione della scorretta applicazione della norma di che trattasi.

II.2.2.1) La ricorrente lamenta in particolare che la deroga di cui al provvedimento impugnato è ammissibile solo “nel caso in cui non esista un’altra soluzione soddisfacente” al prelievo con le reti, ciò che invece sarebbe in realtà sconfessato dalla possibilità di allevare i presicci, anziché reperirli in natura.

Le altre parti, onde opporsi all’accoglimento del motivo, sostengono che i presicci provenienti da allevamento sono insufficienti al fabbisogno, anche in ragione della scarsa capacità riproduttiva annuale di alcune specie, ove poste in cattività.

La censura è fondata poiché, fin dal 1996, secondo la Corte di Giustizia (C.Giust. Sez. III 12 dicembre 1996 C-10/96.), il fatto che l’allevamento e la riproduzione in cattività delle specie in questione non siano ancora praticabili in larga scala non è di per sé idoneo a rimettere in discussione il carattere soddisfacente della soluzione alternativa al prelievo nell’ambiente naturale. Tale consolidato principio è stato peraltro recentemente ribadito, anche alla luce del progresso tecnico, da T.A.R Lombardia, Brescia, Sez. II, 19.7.2012 n. 1391, secondo cui “attualmente una soluzione alternativa concretamente applicabile consiste nell'utilizzo di richiami provenienti da allevamenti”.

La praticabilità di detta opzione è infine stata sostenuta anche in ambito amministrativo, ed illustrata in plurimi pareri dell’I.S.P.R.A. (prot. n. 824 del 14.2.2000, prot. n. 3046 del 17.5.2007, prot. n. 4129 del 17.6.2009, prot. n. 4417 del 8.6.2006, e da ultimo in data 20.7.2010).

II.2.2.2) Le resistenti evidenziano peraltro che i costi per ottenere un singolo esemplare da allevamento sarebbero di molto superiori a quelli necessari alla cattura di un singolo esemplare in natura, sicché il consistente abbandono di tale prassi “renderebbe inaccessibile ai meno abbienti la fruizione dei richiami vivi, in spregio ai criteri di buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa”, pregiudicandosi così l’interesse pubblico sotteso al servizio di erogazione di richiami vivi (così a pag. 18 memoria della Provincia di Brescia).

Ritiene tuttavia il Collegio che le predette ragioni di convenienza economica non possono giustificare la deroga al regime ordinario.

Come infatti già affermato nella citata sentenza dal T.A.R. Lombardia, Brescia, n. 1391/12, malgrado il costo dei richiami vivi provenienti da allevamento sia ancora impegnativo, specie se confrontato con la distribuzione gratuita degli esemplari catturati operata dalle Province, ben potrebbero essere introdotti dei correttivi per evitare che l’esercizio di questo tipo di caccia sia precluso ai meno abbienti, ad esempio dando la precedenza ai soggetti con minor reddito nella distribuzione dei richiami vivi catturati.

II.2.2.3) Inoltre, osserva il Collegio che il provvedimento impugnato è illegittimo, per insufficienza di motivazione, in ordine all’impossibilità di approvvigionamento dei presicci con modalità diverse da quelle derogatorie al regime ordinario di cui alla citata Direttiva, la quale, come visto, consente invece il ricorso alla cattura solo qualora non esista alcun altra “soluzione soddisfacente”.

La motivazione addotta in tal senso è infatti apodittica, limitandosi ad affermare “che l’attività di allevamento, soprattutto per alcune specie, essendo in una fase iniziale, presenta maggiori criticità”, laddove solo nel corso del presente giudizio sono state enucleate le ragioni a supporto del provvedimento impugnato (v. precedenti punti II.2.2.1. e II.2.2.2.). Gli argomenti difensivi dedotti nel processo avverso il provvedimento, proprio in quanto non inseriti in un procedimento amministrativo, non sono tuttavia idonei ad integrare in via postuma la motivazione (T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. IV 5.4.2013 n. 989), e ciò tanto più se, come nel caso di specie, trattasi di attività amministrativa non vincolata.

Erroneamente pertanto, la difesa della Provincia di Bergamo stigmatizza come “apodittica” l’affermazione della ricorrente secondo cui il ricorso all’allevamento darebbe risultati sufficienti a coprire il fabbisogno, così invertendo l’onere probatorio che invece avrebbe dovuto essere assolto dalla Regione, nel momento in cui la stessa si avvaleva di un potere eccezionale e derogatorio, peraltro più volte in passato già illegittimamente esercitato.

II.2.3) Fermo restando quanto precede, osserva il Collegio che la legittimità del provvedimento impugnato non può predicarsi, in considerazione della sua collocazione dell’ambito del visto programma di riduzione plurienennale delle catture, di cui il medesimo rappresenta la prima annualità.

T.A.R Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 1391/2012 cit., con un principio che il Collegio condivide, ha infatti ravvisato nella progressiva riduzione del numero degli esemplari catturabili una condizione di legittimità dei provvedimenti che approvano i piani di cattura dei richiami vivi. Tale sentenza ha così respinto un ricorso in cui si era proceduto alla riduzione di oltre il 25% delle catture (8,44% da parte della Regione, e 17,29 da parte della Provincia, v. punto 23 della sentenza), analogamente a quanto ritenuto da T.A.R. Veneto, Sez. I, 6.11.2011 n. 1344, nella cui fattispecie il numero dei capi catturabili era passato da 25.300 e 16.000 (con una riduzione pari ad oltre il 35%).

Nella fattispecie in esame, rispetto ai quantitativi previsti per l’anno 2011 dalla L.R. n. 16/2011, annullata dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 160/2011, il programma di cui al provvedimento impugnato prevede una minima riduzione del 3,2% per il 2012, e poi del 10% per il 2013, del 16,67% per il 2014, del 33,33% per il 2015, del 50% per il 2016, e del 100% per il 2017.

Ritiene il Collegio che l’entità di tale decremento non è pertanto sufficiente, in relazione alla modesta riduzione quantitativa prevista per l’anno 2012, di sole 1.500 unità, pari a circa il 3% del contingente catturabile, analogamente a quanto già ritenuto in giurisprudenza (T.A.R Lombardia, Brescia, Sez. II, 19.7.2012, n. 1393), in cui si è annullato un provvedimento che disponeva una riduzione delle catture pari al solo 1,96%, affermandosi che tale entità dava luogo ad “una sostanziale stabilizzazione del fenomeno della cattura dei richiami vivi, che si pone in contrasto con la prospettiva del progressivo abbandono di questa pratica”.

Peraltro, neppure i quantitativi previsti per gli anni 2013 e 2014 paiono soddisfare le condizioni espresse nelle citate pronunce onde ritenere ammissibile, eccezionalmente, il prelievo di presicci, in considerazione dell’esistenza di un piano di riduzione delle catture, trattandosi di entità eccessivamente esigue, che sostanzialmente, per il triennio 2012-2014, reiterano e consolidano la regola delle catture in natura, a fronte di una loro riduzione quasi solo simbolica. Solo l’entità numerica della riduzione prevista dall’anno 2015, pari ad un terzo, ha infatti un’entità significativa, che avrebbe tuttavia dovuto essere adottata nel provvedimento in questa sede impugnato, e non dopo ben un triennio, come invece accaduto.

L’entità della riduzione delle catture previste per l’anno 2012, così come del resto per gli esercizi 2013-2014, non consente pertanto di supportare la deroga; solo con l’anno 2015, il piano di riduzione prevede un quantitativo sufficiente, che avrebbe invece dovuto essere indicato fin dalla presente annualità, e successivamente, progressivamente ed ulteriormente ridotto.

Peraltro, occorre prendere atto che, come risulta dalla citata sentenza T.A.R. Lombardia, Brescia, n. 1391/2012 (punto 22), la Regione Lombardia, con richiesta di parere indirizzato all’I.S.P.R.A. in data 25.7.2011, si era impegnata, per l’anno 2012, a ridurre dell’80% il numero dei capi catturabili, rispetto al triennio 2009-2011, ciò che in realtà non è poi accaduto, come desumibile dal contenuto del provvedimento impugnato.

II.2.4) Sotto altro profilo, osserva la ricorrente che il detto art. 9 consente la deroga a condizione che la cattura sia esercitata “in modo selettivo”, ciò che sarebbe inconfigurabile nel caso di specie, a fronte dell’utilizzo di reti, le quali non potrebbero essere considerate mezzi selettivi, come peraltro sostenuto dalla giurisprudenza recente.

Osserva il Collegio che l'art. 8 par. 1 della Dir. 2009/147/CE vieta la caccia condotta con metodi di cattura o di uccisione in massa o non selettivi, tra cui quelli elencati all'allegato IV. Quest'ultima norma fa riferimento anche alle reti, qualificando implicitamente tale metodo, che è appunto quello utilizzato nel caso in esame, come non selettivo. L'art. 9 par. 1-c della medesima direttiva consente di derogare alle disposizioni dell'art. 8 per piccole quantità di uccelli selvatici ma richiede che la cattura avvenga "in condizioni rigidamente controllate e in modo selettivo". Il coordinamento tra l'art. 8 e l'art. 9 della direttiva pone il problema se le reti, considerate un metodo non selettivo ai fini della caccia, possano essere qualificate come un modo di cattura selettivo quando gli uccelli selvatici siano prelevati per impieghi particolari.

La giurisprudenza è stata divisa in ordine al requisito della selettività delle reti, ritenendosi la sussistenza di tale requisito, qualora, per le caratteristiche tecniche delle reti impiegate e per la presenza di personale specializzato, sia garantita la sopravvivenza e la tempestiva liberazione dalle reti degli esemplari appartenenti a specie protette, la cui cattura non è consentita (C.S., Sez. VI, 19.5.2003 n. 2698). In altri casi la giurisprudenza ha invece escluso la selettività di tali strumenti (T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. II, 27.1.2011 n. 172, C.Cost., 29.5.2009 n. 165).

L’approccio più recente di tale serrato confronto pare tuttavia favorevole ad ammettere l’utilizzo delle reti, quantomeno per effettuare catture con modalità e controlli pressoché identici a quelli previsti nel provvedimento impugnato.

T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. II, 19.7.2012 n. 1393 e T.A.R. Veneto, Sez. I, 6.11.2011 n. 1344, hanno infatti statuito che, per quanto le reti siano un metodo intrinsecamente non selettivo, non possono tuttavia essere considerati privi di rilievo alcuni elementi che caratterizzano la fattispecie in quel caso decisa, e che sussistono anche nella presente, invece assenti nelle pronunce di segno contrario. Più precisamente si è affermato, con principi che il Collegio condivide, che: (a) le pratiche autorizzate non costituiscono atti di caccia, ma operazioni di cattura di richiami vivi; (b) l'interesse di chi gestisce gli impianti di cattura è la sopravvivenza degli uccelli catturati, il che rappresenta una garanzia anche per gli esemplari che devono essere liberati in quanto appartenenti a specie non catturabili; (c) il numero di capi di cui è ammessa la cattura è destinato a ridursi progressivamente, a conferma che queste pratiche hanno carattere eccezionale, ossia costituiscono deroghe in senso proprio; (d) gli impianti di cattura sono esattamente individuati sul territorio e dunque sono facilmente controllabili dalle autorità competenti (e) la gestione degli impianti di cattura è sottoposta al controllo dell'ISPRA ed è regolata da puntuali norme tecniche. I predetti elementi consentono pertanto di ritenere che l'utilizzo di reti da un lato non comporti i rischi indicati nell'art. 8 par. 1 della Dir. 2009/147/CE (uccisione in massa di uccelli selvatici o estinzione di una specie a livello locale), e dall'altro raggiunga invece il requisito imposto dall'art. 9 par. 1-c della Dir. 2009/147/CE (cattura in condizioni rigidamente controllate). Con tali garanzie risulta ridimensionato, e può pertanto essere tollerato, il carattere intrinsecamente non selettivo delle reti. Anche in questo caso, rimane il fatto che l'amministrazione ha l'obbligo di ridurre quanto più possibile i rischi per gli esemplari catturati, esigendo l'applicazione delle norme tecniche più recenti su cui si sia formato il consenso della comunità scientifica.

II.2.5) Infine, lamenta la ricorrente come la violazione del detto articolo 9 emergerebbe anche dalla mancata illustrazione di controlli in ordine alla verifica del rispetto delle condizioni previste, laddove il medesimo prevede che la cattura avvenga “in condizioni rigidamente controllate”.

Osserva il Collegio come la Corte di Giustizia, nella sentenza 8.6.2006 cit., ha effettivamente affermato che deve essere esercitato un controllo efficace, effettivo, e tempestivo, durante i periodi considerati dalle decisioni in deroga al regime di protezione previsto dalla direttiva.

Tuttavia, l’allegato 3 della delibera impugnata disciplina effettivamente i “controlli minimi garantiti presso gli impianti di cattura e ai cacciatori da appostamento fisso nel corso della stagione venatoria 2012-2013”, indicando, per ogni ambito provinciale, il personale di vigilanza da destinare ai controlli, il numero minimo di controlli presso gli impianti di cattura nel periodo di attività, ed il numero minimo di controlli sui cacciatori che detengono richiami per la caccia di appostamento, ciò che rende infondate le predette doglianze.

3) Con il terzo motivo la ricorrente si duole del fatto che il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo per violazione dell’art. 19 bis c. 3 L. n. 157/92, per non essere stato preceduto dall’acquisizione del parere dell’I.S.P.R.A., il quale si sarebbe pronunciato solo sul programma di riduzione, e sulla creazione della banca dati, ma non in ordine alla cattura dei 45.500 esemplari, concretamente prevista per l’anno 2012.

Il motivo è infondato.

Il provvedimento impugnato richiama espressamente la nota I.S.P.R.A. n. 32267 del 30.8.2012, con la quale viene espresso parere favorevole relativamente al programma di riduzione dei richiami da cattura. A sua volta, in precedenza, con nota prot. n. 11628 del 28.8.2012, Regione Lombardia aveva comunicato ad I.S.P.R.A., tra l’altro, anche i quantitativi di prelievi previsti nel provvedimento impugnato, ciò che rende il motivo infondato.

Per quanto I.S.P.R.A. non si sia, separatamente, pronunciata sulla parte del programma che riguarda l’anno 2012, come detto, anche tale dato è stato portato a sua conoscenza, e deve pertanto intendersi formalmente acquisito il suo parere anche su tale aspetto.

Il ricorso va pertanto accolto.

Sussistono tuttavia giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio, in considerazione del complessivo andamento della controversia.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie, e per l’effetto annulla il provvedimento in epigrafe impugnato, nei termini di cui in motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 6 giugno 2013 con l'intervento dei magistrati:

Domenico Giordano, Presidente

Mauro Gatti, Primo Referendario, Estensore

Maurizio Santise, Referendario

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 16/07/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)