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 IL RISPARMIO IDRICO – NOTE A MARGINE DI T.A.R. LOMBARDIA,– dep. 20 maggio 2003– Pres. Guerrieri Est. Guerrieri dell'Avv. Veronica DINI

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I fatti

La sentenza annotata ha ad oggetto una questione di rilevante interesse pratico, peraltro scarsamente affrontata dalla giurisprudenza amministrativa: l'installazione di un contatore per il consumo dell'acqua in ogni singola unità abitativa compresa in un condominio, secondo quanto disposto dall'art. 5 della L.36/1994.

Nella fattispecie, la società costruttrice della palazzina si era impegnata, con propria dichiarazione, a edificare in particolare in conformità di quanto previsto dall'art.25 del D.L.vo 152/99, ma era poi venuta meno a tale impegno asserendo il costo eccessivo dell'adeguamento dell'impianto idrico e sostenendo la non obbligatorietà della normativa citata, in assenza del regolamento attuativo emanato dalla Regione Lombardia.

Dopo un'ampia e approfondita disamina della normativa di settore, il Collegio ha ritenuto che "…nel merito, il ricorso è infondato: l'impresa ricorrente deve sottostare alla pretesa dell'Azienda di erogazione dell'acqua di installare contatori di lettura dei consumi ad ogni singola unità abitativa, perché ciò risponde alle previsioni dell'art. 5 della legge Galli 5.1.1994 n.36, novellato e ribadito dall'art.25 del D.L.vo n. 152/99, adottato in recepimento delle direttive n.91/271/CEE e n, 91/676/CEE, normativa europea che deve essere direttamente applicata dal giudice italiano, eventualmente anche disapplicando la norma nazionale, ove in ho fosse di segno contrario".

Il risparmio idrico

1. I concetti di risparmio idrico e riutilizzo dell'acqua, cui fa riferimento la sentenza annotata, sono contenuti innanzitutto nella L.36 del 5.1.1994 (cd. Legge Galli) per l'uso integrato della risorsa idrica, che stabilisce alcuni principi generali importanti - "tutte le acque sono pubbliche", comprese quelle sotterranee – e definisce i criteri per la gestione delle acque, considerandone in modo integrato l'intero ciclo dell'approvvigionamento alla depurazione.

L'art.5, in particolare, fa riferimento al "risparmio idrico".

Successivamente, è stato introdotto il D.L.vo 152/1999, che si pone l'obiettivo di tutelare dal punto di vista qualitativo e quantitativo la risorsa idrica, regolamentando in modo unitario l’utilizzo di tale bene secondo un’ottica attenta all’obiettivo del risparmio idrico. Giova in particolare rammentare che tale normativa istituisce lo strumento programmatico del piano di tutela delle acque, sancisce e regolamenta specificamente il risparmio idrico ed incentiva il riutilizzo dell’acqua reflua o già usata nel ciclo produttivo[1].

Il primo comma dell'art.25, rubricato anch'esso "risparmio idrico", individua in coloro che gestiscono o utilizzano la risorsa idrica i soggetti tenuti ad adottare "le misure necessarie all'eliminazione degli sprechi, alla riduzione dei consumi e a incrementare il riciclo e il riutilizzo, anche mediante l'utilizzazione delle migliori tecniche disponibili".

Il 2° comma del medesimo articolo interviene a modificare l'art.5 della L.36/94, sostituendone il primo comma con il seguente:  "le Regioni prevedono norme e misure volte a favorire la riduzione dei consumi e l'eliminazione degli sprechi ed in particolare a:

a)     migliorare la manutenzione delle reti di adduzione e di distribuzione di acque a qualsiasi uso destinate al fine di ridurre le perdite;

b)      realizzare, in particolare nei nuovi insediamenti abitativi, commerciali e produttivi di rilevanti dimensioni, reti duali di adduzione al fine dell'utilizzo di acque meno pregiate per usi compatibili;

c)       promuovere l'informazione e la diffusione di metodi e tecniche di risparmio idrico domestico e nei settori industriale, terziario ed agricolo;

d)      installare contatori per il consumo dell'acqua in ogni singola unità abitativa nonchè contatori differenziati per le attività produttive e del settore terziario esercitate nel contesto urbano;

e)     realizzare nei nuovi insediamenti sistemi di collettamento differenziati per le acque piovane e per le acque reflue".

La ratio della norma è quella di evitare gli sprechi dovuti a perdite nelle reti di distribuzione dell'acqua, attraverso sia un'attività tecnica di corretta manutenzione che mediante la diffusione  dell'informazione e la promozione della ricerca. In particolare, per quel che attiene la sentenza in commento, la normativa ritiene essenziale, per un reale risparmio idrico, il conteggio dei consumi attraverso contatori in ogni unità abitativa, nonché contatori differenziati per le attività produttive e del settore terziario esercitate nel contesto urbano[2].

Il D.L.vo 152/1999 ha altresì introdotto il comma 1bis dell'art.5, secondo il quale : " gli strumenti urbanistici, compatibilmente con l'assetto urbanistico e territoriale e con le risorse finanziarie disponibili, prevedono reti duali al fine dell'utilizzo di acque meno pregiate, nonchè tecniche di risparmio della risorsa. Il comune rilascia la concessione edilizia se il progetto prevede l'installazione di contatori di ogni singola unità abitativa, nonchè il collegamento a reti duali, ove già disponibili".

In tal modo, si saldano gli strumenti urbanistici con quelli della tutela della risorsa idrica, come suggerito dalla dottrina[3].

Il 2° comma dell'articolo 5 L.36/94, rimasto invariato, dispone che, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge, sia adottato, con decreto del Ministro dei lavori pubblici, un regolamento per la definizione dei criteri  e del metodo in base ai ali valutare le perdite degli acquedotti e delle fognature. Entro il mese di febbraio di ciascun anno, i soggetti gestori dei servizi idrici sono poi tenuti a trasmettere al Ministero dei lavori pubblici i risultati delle rilevazioni eseguite con tale metodologia.

Scopo della norma è, evidentemente, quello di individuare un metodo di valutazione delle perdite di acqua che sia uniforme su tutto il territorio nazionale.

Anche nel caso di specie, il T.A.R., richiamata la normativa di settore,  correttamente sottolinea come "…nel suo insieme, il sistema vigente impegna l'utente finale ad essere responsabile del proprio consumo idrico, a valle del contatore individuale, cioè lo impegna personalmente […] a controllare sciupii dell'acqua erogata ed eventuali perdite dell'impianto interno alla sua abitazione, o struttura produttiva".

2. Nella vicenda all'esame del Collegio, i ricorrenti sostengono tuttavia che il sistema normativo delineato non sia ancora applicabile, in considerazione del fatto che non esisterebbe alcun regolamento regionale che disciplini criteri tecnici cui riferirsi per la redazione dei progetti edificatori.

Ebbene, sul punto, vi è al contrario da sottolineare innanzitutto che, in attuazione di quanto disposto dall'art.5  comma 2° della Legge Galli, è stato emanato il D.M.  8.1.1997 n°99 che definisce il metodo in base al quale devono essere valutate le perdite degli acquedotti e delle fognature, e contiene inoltre regole per il sistema di monitoraggio e per la stesura dei rapporti annuali che i gestori dei servizi idrici devono trasmettere al Ministero [4].

Esso si applica a tutti gli impianti di acquedotto e alle fognature.

Quanto alle Regioni, il citato art.5 della Legge Galli le impegna a emanare "norme e misure volte a favorire la riduzione dei consumi e l'eliminazione degli sprechi…".  Secondo l'interpretazione del T.A.R. Lombardia, si tratterebbe di una norma esclusivamente  programmatica, così come confermato  dalla lett. c) del primo comma della disposizione, che impone di "promuovere l'informazione e la diffusione" delle misure volte alla riduzione dei consumi.

In ogni caso, la Regione Lombardia ha emanato la L.R. 21/1998 "Organizzazione del servizio idrico integrato e individuazione degli ambiti territoriali ottimali in attuazione della L.5 gennaio 1994 n.36 <>".

Tale normativa, peraltro, non detta criteri tecnici, ma determina le scelte di competenza della Regione relativamente alla Legge Galli. In particolare, vengono individuati i seguenti obiettivi:

a)     "valorizzare e salvaguardare nel tempo la qualità e la quantità del patrimonio idrico per gli usi antropici, ambientali e produttivi;

b)     rimuovere i fattori che causano diseconomia nella produzione dei servizi e livelli di qualità inadeguati ai fabbisogni dell'utenza, perseguendo un disegno di razionalizzazione e ottimizzazione rispetto ai temi delle dotazioni idriche e della loro qualità, delle perdite delle reti, degli equilibri fra i diversi usi, della frammentazione nelle dimensioni gestionali, della politica tariffaria".

È del resto pacifico che, se anche la Regione avesse adottato criteri diversi e in contrasto con la normativa europea, il giudice nazionale avrebbe dovuto disapplicarli.

Per quanto attiene poi la concessione edilizia che il Comune deve rilasciare per l'installazione di contatori per singola unità abitativa, il comma 1bis dell'art.5 citato, non subordina tale incombente all'entrata in vigore di uno specifico regolamento regionale.

3. Occorre da ultimo precisare che il D.L.vo 152/1999 è attuativo di due direttive CEE (rispettivamente N°91/271/CEE e n°91/676/CEE) e che la normativa europea è direttamente applicabile dal giudice italiano, anche disapplicando le norme nazionali contrarie.

Ne deriva che le disposizioni dei commi 1 e 1bis dell'art.5 L.36/94, così come modificati dal D.L.vo 152/99, devono essere ritenuti immediatamente utilizzabili in relazione al risparmio idrico.

Vi è inoltre da richiamare l'art.33 della Legge Galli, secondo il quale "le disposizioni di cui alla presente legge costituiscono principi fondamentali ai sensi dell'art.117 della Costituzione" .

Tale disposizione attribuisce alla L.36/94 il carattere di legge-cornice ex art. 117 Cost., al fine di limitare l'autonomia legislativa regionale.

La dottrina[5] aveva rilevato che, ai sensi dell'art.117 cost., la potestà legislativa regionale concorrente non sussiste in materia di acque pubbliche: in tale settore, le Regioni ordinarie sarebbero titolari esclusivamente di funzioni amministrative delegate dallo Stato. Successivamente all'emanazione della Legge Galli, tuttavia, è intervenuto il D.lgs. 31.3.1998 n°112 che ha conferito alle Regioni e agli enti locali competenti per territorio la gestione del demanio idrico (artt. 86 e 89).

L'art.88, invece, fa riferimento ai compiti di rilievo nazionale ed è stato di recente modificato dal D.P.R. 207/2002, nel senso che: "..ai sensi dell'art. 1, comma 4, lettera c), della legge 15 marzo 1997, n. 59, hanno rilievo nazionale i compiti relativi: … q) alla definizione ed all'aggiornamento dei criteri e metodi per il conseguimento del risparmio idrico previsto dall'art. 5 della legge 5 gennaio 1994, n. 36".

4. Sul punto, si segnala solo che il 14 maggio 2003 il Senato ha approvato il DDL 1753 – "Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione" - il cui art. 1 delega il Governo ad adottare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi di riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni legislative in materia di tutela delle acque dall’inquinamento e gestione delle risorse idriche;

Alla luce di tale normativa, nazionale e regionale, si ritiene dunque di particolare interesse  l'analisi e le conclusioni offerte dalla sentenza annotata.

Veronica Dini



[1] Cons. St., Sez. VI, del 18 aprile 2003, n. 2085.

[2] Sul punto, occorre tuttavia rilevare il parere contrario di alcuni autori, secondo i quali la responsabilizzazione individuale e non condominiale in merito al consumo dell'acqua non giustifica comunque i costi ingenti connessi a tale operazione. Cfr, ad esempio, CATUREGLI, Commento all'art.5, in Prime note, 1994, PAG. 155 E SS.

[3] Cfr. COLUCCI,  RAMPULLA, Metodologie per il collegamento della tutela delle acque con il governo del territorio, in Regioni, 1975, pag.1 e ss.

[4] Cfr. anche la circolare del Ministro dei lavori pubblici 24 febbraio 1998, serie generale n°52, recante nota esplicativa al decreto.

[5] U: POTOTSCHNIG, E. FERRARI, Commentario alle disposizioni in materia di risorse idriche, Cedam 2000, pag. 343