TAR Toscana, Sez. II, n. 1032, del 5 luglio 2013
Caccia e animali.Bracconaggio, legittimità revoca licenza di porto di fucile per uso caccia

Assolutamente rilevante e decisivo, nella prospettiva della revoca del provvedimento autorizzatorio al porto delle armi, si presenta l’episodio che ha visto l’identificazione del ricorrente, nel corso di un’operazione antibracconaggio condotta dal Corpo Forestale dello Stato, mentre in piena notte ed in possesso di una carabina con il colpo in canna e di un coltello con lama di 13 cm., si allontanava con due cinghiali decapitati, eviscerati ed incaprettati portati sulle spalle; con tutta evidenza, si tratta, infatti, di un episodio che evidenzia, anche indipendentemente dal riferimento ai numerosi precedenti dell’interessato quel rischio concreto di abuso dell’arma che giustifica il provvedimento di revoca del titolo autorizzatorio. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 01032/2013 REG.PROV.COLL.

N. 00963/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 963 del 2012, proposto da: 
Dante Pettorali, rappresentato e difeso dagli avv. Andrea Bartali, Graziella Ferraroni, con domicilio eletto presso Graziella Ferraroni in Firenze, via Duca D'Aosta 2;

contro

Ministero dell'Interno in persona del Ministro pro tempore, U.T.G. - Prefettura di Pisa, Questura di Pisa, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Distrettuale Dello Stato, domiciliata in Firenze, via degli Arazzieri 4;

per l'annullamento

del decreto prefettizio del Prefetto di Pisa prot. web 304/2012 del 14.04.2012, notificato il 24.04.2012, con cui è stato respinto il ricorso gerarchico avverso il provvedimento della Questura di Pisa del 22.12.2011 cat. 6/F 2011 div. Pas (notificato al ricorrente il 11.01.2012) con cui veniva revocata la licenza di porto di fucile per uso di caccia n. 660173-M rilasciata dalla Questura di Pisa il 12.01.2007 di cui era titolare l'odierno ricorrente; nonchè di ogni altro atto, connesso presupposto o conseguente, anche se incognito, ivi compresa, per quanto occorrer possa, la nota cat. 6F/2012 div. pas. del 08.03.2012, ignota;

nonchè per il risarcimento danni cagionati al ricorrente dall'Amministrazione con i provvedimenti impugnati.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno, di U.T.G. - Prefettura di Pisa e di Questura di Pisa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 maggio 2013 il dott. Luigi Viola e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

Il ricorrente era titolare di licenza di porto d’armi per uso venatorio, dal 12 gennaio 2007.

Con decreto prot. Cat. 6/F2011-Div. P.A.S. del 22 dicembre 2011, il Questore di Pisa decretava la revoca della licenza di porto d'armi per uso venatorio in possesso del ricorrente; a base del provvedimento era posto sostanzialmente un giudizio di inidoneità del ricorrente al porto d’armi desunto da un recente episodio (in particolare, si tratta dell’episodio del 30 luglio 2011 che ha visto l’identificazione del ricorrente, nel corso di un’operazione antibracconaggio condotta dal Corpo Forestale dello Stato, mentre in piena notte ed in possesso di una carabina con il colpo in canna e di un coltello con lama di 13 cm., si allontanava con due cinghiali decapitati, eviscerati ed incaprettati portati sulle spalle) e da una nutrita serie di precedenti per reati relativi alla violazione delle leggi sulla caccia, ingiuria e maltrattamento di animali.

Con decreto 10 aprile 2012 prot. Web 304/2012, il Prefetto di Pisa rigettava il ricorso gerarchico presentato dall’interessato, confermando la legittimità del decreto di revoca del porto d’armi per uso venatorio.

I provvedimenti meglio specificati in epigrafe erano impugnati dal ricorrente per: 1) violazione art. 7 e 10 della l. 241 del 1990; 2) violazione e falsa applicazione egli artt. 11, 42 e 43 del T.U. 773 del 1931, eccesso di potere per difetto di motivazione; 3) violazione e falsa applicazione art. 99 c.p. ed art. 32 l. 1ì57 del 1992, difetto di motivazione, carenza di istruttoria; 4) violazione e falsa applicazione art. 4 l. 110 del 1975, artt. 13 e 32 l. 157 del 1992, eccesso di potere per travisamento dei fatti; con il ricorso era altresì richiesto il risarcimento dei danni, anche non patrimoniali, derivanti dagli atti impugnati

Si costituivano le Amministrazioni resistenti, controdeducendo sul merito del ricorso.

All'udienza del 9 maggio 2013 il ricorso passava quindi in decisione.

DIRITTO

Il ricorso è infondato e deve pertanto essere rigettato.

A questo proposito, la giurisprudenza ha più volte rilevato come in materia di rilascio (o di revoca) del porto d'armi, l’Amministrazione di p.s., <<dovendo perseguire la finalità di prevenire la commissione di reati e/o fatti lesivi dell'ordine pubblico, (abbia) un’ampia discrezionalità nel valutare l'affidabilità del soggetto di fare buon uso delle armi (e quindi anche nel valutare le circostanze che consiglino l'adozione di provvedimenti di sospensione o di revoca di licenze di porto d'armi già rilasciate), onde il provvedimento di rilascio del porto d'armi e l'autorizzazione a goderne in prosieguo richiedono che l'istante sia una persona “esente da mende e al disopra di ogni sospetto e/o indizio negativo e nei confronti della quale esista la completa sicurezza circa il corretto uso delle armi, in modo da scongiurare dubbi e perplessità sotto il profilo dell'ordine pubblico e della tranquilla convivenza della collettività”>> (Consiglio Stato, sez. VI, 20 luglio 2006, n. 4604; sez. IV, 8 maggio 2003, n. 2424; 30 luglio 2002, n. 4073; 29 novembre 2000, n. 6347; più di recente, si vedano T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, 7 dicembre 2011 n. 1944; T.A.R. Piemonte sez. II 4 novembre 2011 n. 1149; T.A.R. Umbria 4 luglio 2011 n. 193).

Del resto, in termini più decisamente sistematici, non bisogna dimenticare che <<il rapporto giuridico che scaturisce dal rilascio di detta autorizzazione di polizia resta pur sempre subordinato, in tutto il suo svolgimento, alla coincidenza con l'interesse pubblico, rimesso appunto alla valutazione discrezionale della P.A., il cui giudizio non può essere sindacato se non sotto il profilo del rispetto dei canoni di ragionevolezza e della coerenza>> (Consiglio Stato, sez. VI, 20 luglio 2006, n. 4604); sotto il profilo applicativo, il carattere accentuatamente discrezionale del giudizio in ordine all’affidabilità nell’uso delle armi importa poi la legittimità anche del ricorso a <<valutazioni della capacità di abuso fondate su considerazioni probabilistiche e su circostanze di fatto assistite da meri elementi di fumus, in quanto nella materia de qua l'espansione della sfera di libertà dell'individuo è, appunto, destinata a recedere di fronte al bene della sicurezza collettiva>> (Consiglio Stato, sez. VI, 20 luglio 2006, n. 4604; sez. IV, 8 maggio 2003, n. 2424; T.A.R. Umbria 4 luglio 2011, n. 193).

Nel caso di specie, le valutazioni compiute dalla Prefettura e dalla Questura di Pisa costituiscono appunto espressione di quella valutazione puramente probabilistica (e cautelativa) richiesta dalla giurisprudenza e non presentano certamente quegli aspetti di evidente illogicità o di travisamento dei fatti che potrebbero legittimarne l’annullamento giurisdizionale.

In particolare, assolutamente rilevante e decisivo, nella prospettiva della revoca del provvedimento autorizzatorio al porto delle armi, si presenta l’episodio del 30 luglio 2011 che ha visto l’identificazione del ricorrente, nel corso di un’operazione antibracconaggio condotta dal Corpo Forestale dello Stato, mentre in piena notte ed in possesso di una carabina con il colpo in canna e di un coltello con lama di 13 cm., si allontanava con due cinghiali decapitati, eviscerati ed incaprettati portati sulle spalle; con tutta evidenza, si tratta, infatti, di un episodio che, al di là delle minimizzazioni contenute in ricorso (e che non smentiscono assolutamente la materialità dell’accaduto), evidenzia, anche indipendentemente dal riferimento ai numerosi precedenti dell’interessato (che sono citati solo in funzione confermativa del giudizio di inidoneità dello stesso all’uso delle armi), quel rischio concreto di abuso dell’arma che giustifica il provvedimento di revoca del titolo autorizzatorio.

Del tutto irrilevante è poi il riferimento alla previsione dell’art. 32 della l. 11 febbraio 1992, n. 157 (che riguarda la revoca obbligatoria del porto d’armi successiva a determinate condanne penali per la violazione delle norme in materia di caccia, mentre in questo caso, la revoca è stata discrezionalmente disposta dall’Amministrazione, sulla base di un giudizio prognostico, come già rilevato, assolutamente valido) o il riferimento alle precedenti vicende penali del ricorrente (che, come già rilevato, sono citate solo in funzione confermativa di un giudizio di pericolosità che, in verità, può ampiamente ed autonomamente reggersi sull’episodio del 30 luglio 2011).

Del tutto insussistente è poi la denunciata violazione dell’art. 7 l. 7 agosto 1990 n. 241; la comunicazione di inizio procedimento 20 ottobre 2011 prot. Cat. 6F/2011-Contenzioso della Questura di Pisa individuava, infatti, espressamente l’episodio del 30 luglio 2011 che ha portato alla revoca del titolo ed è pertanto totalmente insussistente la violazione del principio del contraddittorio.

Completamente irrilevante è poi il fatto che la comunicazione di inizio procedimento prospettasse l’applicazione anche della sanzione della sospensione del titolo accanto alla revoca; con tutta evidenza, si tratta, infatti, di una normale applicazione del principio di gradualità sanzionatoria (il procedimento può, infatti, portare a sanzioni conservative, come a sanzioni interdittive) ed il ricorrente non può certo lamentarsi del fatto che l’Amministrazione abbia iniziato il procedimento in una prospettiva aperta anche a soluzioni a lui più favorevoli (poi scartate, in conseguenza dell’accertamento della notevole gravità del comportamento addebitato al Sig. Pettorali).

In definitiva, il ricorso deve pertanto essere rigettato, sia per quello che riguarda l’azione di annullamento, che per quello che riguarda l’azione risarcitoria; le spese di giudizio delle Amministrazioni resistenti devono essere liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta, sia per quello che riguarda l’azione di annullamento, che per quello che riguarda l’azione risarcitoria, come da motivazione.

Condanna il ricorrente alla corresponsione, alle Amministrazioni resistenti, della somma di € 3.000,00 (tremila/00), a titolo di spese del giudizio.

Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2013 con l'intervento dei magistrati:

Angela Radesi, Presidente

Luigi Viola, Consigliere, Estensore

Bernardo Massari, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 05/07/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)