 Cass. Sez. III n. 21311 del 27 maggio 2011 (Ud. 13 apr. 2011)
Cass. Sez. III n. 21311 del 27 maggio 2011 (Ud. 13 apr. 2011)
Pres. Squassoni Est. Gazzara Ric. Roma
Danno ambientale. Legittimazione enti territoriali
Il risarcimento del danno ambientale di natura pubblica, in sé considerato come lesione dell’interesse pubblico e generale dell’ambiente, ora previsto e disciplinato soltanto dall’art. 311 D.Lv. 152\06 spetta esclusivamente allo Stato; tutti gli altri soggetti, singoli o associati, ivi compresi gli enti pubblici territoriali e le regioni, sono legittimati ad agire, ex art. 2043 c.c., per ottenere qualsiasi risarcimento del danno patrimoniale, ulteriore e concreto, che abbiano dato prova di avere subito dalla medesima condotta lesiva dell’ambiente in attinenza alla lesione di altri loro diritti patrimoniali, diversi dall’ interesse pubblico e generale alla tutela dell’ambiente
REPUBBLICA ITALIANA
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
 Sez. III Penale
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri  Magistrati:
 Dott. CLAUDIA SQUASSONI                                          - Presidente
Dott. GUICLA MULLIRI - Consigliere
Dott. GIULIO SARNO                                                     - Consigliere
 Dott. LUCA RAMACCI                                                    - Consigliere
Dott. SANTI GAZZARA - Rel. Consigliere
 ha pronunciato la seguente
 SENTENZA
 - sul ricorso proposto da:
 1) ROMA ELIO N. IL 03/04/1951
 - avverso la sentenza n. 10974/2007 CORTE APPELLO di NAPOLI, del 25/02/2009
 - visti gli atti, la sentenza e il ricorso
 - udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/04/2011 la relazione fatta dal Consigliere  Dott. SANTI GAllARA
 - Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Sante Spinaci che ha  concluso per l'inammissibilità 
 - Udito, per la parte civile, I'Avv. //
 - Uditi difensor Avv.ti G.L. e C.F., i quali hanno concluso insistendo sui  motivi dei ricorsi.
 RITENUTO IN FATTO
 Il Gup presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere con sentenza del 7/12/06,  resa a seguito di rito abbreviato. dichiarava Roma Elio colpevole dei reati di  cui agli arti. 416 c.p.. 256 e 260, d.P.R. 152/06, e unificatili ex art. 81  c.p., individuata la violazione più grave in quella di associazione a  delinquere, lo condannava alla pena di anni 7 di reclusione, con applicazione  delle pene accessorie, al risarcimento dei danni in favore delle parti civili,  da liquidarsi in separata sede e al pagamento di una provvisionale per ciascuna  di esse.
 La Corte di Appello di Napoli, con sentenza del 25/2/09, chiamata a pronunciarsi  sugli appelli avanzati nel!"interesse dell'imputato e dai difensori dell'Adiconsum  e del Consorzio per la Tutela della Mozzarella di Bufala Campana, ha confermato  la sentenza di prime cure.
 I difensori del Roma propongono autonomi ricorsi per cassazione, con i motivi di  seguito riportati:
- violazione degli artt. 74 e segg. c.p.p.. 18, L. 349/86 e 4, L. 265/89, rilevato che la Corte territoriale ha omesso di argomentare e dare adeguato riscontro ad uno specifico motivo di appello, con cui la difesa del prevenuto eccepiva la illegittimità della costituzione delle parti civili, limitandosi a condividere quanto sul punto il Tribunale aveva affermato:
 - nullità della sentenza per violazione degli artt. 335 e 407, co. 3. c.p.p.  inutilizzabilità delle risultanze investigative, in quanto, la tardività della  iscrizione del prevenuto nel registro degli indagati, che andava eseguita  immediatamente, non avrebbe potuto permettere di considerare utilizzabili gli  atti di indagine compiuti, considerando quale termine a quo la predetta  tardiva iscrizione. E' evidente che nella mancanza della iscrizione del Roma  Elio nel registro degli indagati i decreti di intercettazione dovevano ritenersi  nulli, poiché emessi in assenza di gravi indizi di reato.
 - violazione degli artt. 191, 266 e ss. c.p.p., col considerare che solo alla  data del 5/10/05 il p.m. acquisì la documentazione relativa al volume di affari  della R.F.G. s.r.l..
L'assenza di cognizione di tale elemento in tempo precedente determina, come logica conseguenza, che erano insussistenti gli elementi per procedere in ordine al reato di cui all'art. 53 bis, d.Lvo 22/97 per mancanza del requisito quantitativo del traffico ingente, derivando da ciò la inutilizzabilità di tutte le intercettazioni effettuate. in quanto le stesse non potevano essere disposte solo in relazione alla contravvenzione di cui al citato art. 51;
 - violazione degli artt. 416 e 417 c.p.p.. in quanto non si palesa correttamente  ed esaustivamente accettabile il discorso giustificativo svolto dal decidente,  nel rigettare le ragioni addotte dalla difesa del prevenuto, con il limitarsi a  ritenere la insussistenza di ogni e qualunque lesione al diritto di difesa: la  richiesta di rinvio a giudizio, stilata dal p.m. presenta, di contro. dei  profili insuperabili di nullità. collegati alla genericità ed imprecisione della  imputazione formulata.
 Si contraddice lo stesso decidente sul punto allorché prima afferma che detta  lacunosità non determina difetto alcuno, per poi affermare che la stessa  genericità di imputazione, operata dal p.m., costituirebbe causa di nuIlità  relativa, sanata dalla scelta del rito abbreviato.
 
 - violazione dell'ari. 63 c.p.p. in relazione ai reati contestati. perché c  indubbio che i giudici di merito hanno posto a fondamento del proprio giudizio  elementi indizianti acquisiti in violazione del disposto normativo di cui al  citato articolo, in quanto emerge dagli atti che i soggetti in questione sono  stati escussi in merito ad alcuni sversamenti di concimi per allevamenti su  fondi di loro proprietà che hanno costituito oggetto di specifiche attività di  accertamento da parte della p.g..
 
 Sussisteva. con netta evidenza, la necessità di escutere i proprietari dei  terreni con le garanzie di cui all'art, 63 c.p.p., potendosi. all'esito  dell'accesso sul fondo, ipotizzare la sussistenza del reato di cui all'art. 51.  d.l.vo 22/97 a carico degli stessi:
 - nullità della sentenza per violazione dell'art. 192 c.p.p. in relazione ai  reati contestati, perché i giudici di merito hanno individuato la R.G.F. s.r.l.  come elemento fondamentale del compendio di mezzi, utilizzato dalla associazione  a delinquere promossa dall'imputato e dal figlio di esso, Roma Francesco,  ignorando tutte le prove documentali, relative alla regolare attività svolta  dalla società predetta, rinvenibili nelle certificazioni abilitative  all'esercizio della attività a cui la R.G.F. era autorizzata. Va, sul punto,  sottolineata una ulteriore lacuna nella pronuncia impugnata, derivante dal  rigetto della istanza di rinnovo della istruttoria dibattimentale, che avrebbe  permesso di acclarare l'assunto della difesa del prevenuto, in ordine alla  corrispondenza tra attività svolta dalla società e autorizzazioni alla stessa  rilasciate:
 - errata applicazione della legge penale cd illogicità della motivazione in  relazione agli artt. 416 c.p., 192 c.p.p. e 125 c.p.p.. rilevato che non  sussiste nella specie, alcun elemento che possa fate ritenere concretizzato il  reato di associazione a delinquere. Il discorso svolto sul punto da parte della  Corte distrettuale, con netta evidenza, si palesa elusivo, non ottempera al  dovuto riscontro al precipuo motivo di appello, trincerandosi su apodittiche  affermazioni, in difetto di ogni e qualunque supporto, ma, specialmente,  allontanandosi dai parametri individuanti la fattispecie di reato contestata:
- ha errato il giudice di merito nel non volere ritenere la incompatibilità e. tutto al più, l'assorbimento del reato di cui all'art. 416 c.p. con quello previsto dall'art. 260, L. 152/06, visto che quest'ultima norma descrive una fattispecie associativa speciale, rispetto a quella più genericamente individuata dall'art. 416 c.p.:
 - ulteriore censura viene mossa al diniego delle attenuanti generiche e di  quelle di cui all'art. 114 c.p.. diniego non sopportato da adeguata e corretta  giustificazione, anzi sul punto si può affermare che la giustificazione è  fisicamente assente.
 CONSIDERATO IN DIRITTO
 I ricorsi sono infondati e vanno rigettati.
 La argomentazione motivazionale, adottata dal decidente a sostegno della  affermata colpevolezza del prevenuto in ordine ai reati ad esso ascritti, si  palesa in tutta evidenza, logica e corretta.
 La censura avanzata col primo motivo. relativa alla illegittimità della  costituzione delle parti civili, è priva di pregio.
 Sul punto si osserva che l'art. 18, co. 3, L. 349/86, attribuiva allo Stato e  agli enti territoriali, sui quali incidono i beni oggetto del fatto lesivo, la  legittimazione a promuovere la relativa azione per il risarcimento del danno,  anche se esercitata in sede penale.
 Il suddetto art. 18 è stato, però, abrogato dal d. L.vo 152/06 art. 3 1 8. co.  2. lett. a), ad eccezione del co. 5, che riconosce alle associazioni  ambientaliste il diritto di intervenire nei giudizi per danno ambientale.
 La normativa vigente riserva allo Stato ed in particolare al ministro  dell'ambiente e della tutela del territorio il potere di agire per il  risarcimento del danno ambientale in forma specifica e, se necessario, per  equivalente patrimoniale, anche esercitando l'azione civile in sede penale (art.  311).
 
 Le regioni e gli enti territoriali minori, in forza dell'art. 309, co. 1,  possono presentare denunce ed osservazioni nell'ambito di procedimenti  finalizzati alla adozione di misure di prevenzione, precauzione e ripristino,  oppure possono sollecitare l'intervento statale a tutela dell'ambiente, mentre  non hanno più il potere di agire iure proprio per il risarcimento del  danno ambientale.
 A seguito del citato mutamento legislativo la giurisprudenza di questa Corte ha  rilevato che la legittimazione a costituirsi parte civile nei processi per reati  ambientali spetta non soltanto al ministro dell'ambiente, ex art. 311 co. 1, d.  L.vo 152/06, ma anche all'ente pubblico territoriale, che, per effetto della  condotta illecita, abbia subito un danno patrimoniale risarcibile, ai sensi  dell'art. 2043 c.c. (Cass. 28/10/09, Ciarloni ).
 Di tal ché il risarcimento del danno ambientale di natura pubblica, in sé  considerato come lesione dell'interesse pubblico e generale dell'ambiente, ora  previsto e disciplinato soltanto dall'art. 311 cit. spetta esclusivamente allo  Stato; tutti gli altri soggetti, singoli o associati, ivi compresi gli enti  pubblici territoriali e le regioni, sono legittimati ad agire, ex art. 2043  c.c., per ottenere qualsiasi risarcimento del danno patrimoniale, ulteriore e  concreto, che abbiano dato prova di avere subito dalla medesima condotta lesiva  dell'ambiente in attinenza alla lesione di altri loro diritti patrimoniali,  diversi dall'interesse pubblico e generale alla tutela dell'ambiente (Cass.  21/10/2010, n. 41015; Cass. 11/2/2010, n. 14828).
 In dipendenza di quanto osservato, nel caso in esame, a giusta ragione, i  giudici di merito hanno ritenuto sussistere, in capo alle parti civili la  legitimatio ad processum.
 Del pari non meritevole di accoglimento risulta essere il secondo motivo di  ricorso, osservando che questa Corte ha affermato che il termine delle indagini  preliminari decorre dalla data in cui il p.m. ha iscritto nel registro delle  notizie di reato il nome della persona cui il reato è attribuito, senza che al  Gip sia consentito stabilire una diversa decorrenza, sicché gli eventuali  ritardi indebiti nella iscrizione, tanto della notizia di reato, quanto del nome  della persona cui lo stesso reato è attribuito, pur se abnormi, sono privi di  conseguenze agli effetti di quanto previsto dall'art. 407, co. 3, c.p.p.; né  l'eventuale violazione del dovere di tempestiva iscrizione, che pur potrebbe  configurare responsabilità disciplinari o addirittura penali a carico del p.m.  negligente, è causa di nullità degli atti compiuti, non ipotizzabile in assenza  di una espressa previsione di legge, in ossequio al principio di tassatività,  fissato dall'art. 177 del codice di rito (Cass. S.U. 24/9/09, n. 40538; Cass.  8/4/08, Bruno).
 Conseguentemente la tardività della iscrizione nel registro delle notizie del  reato del Roma non può determinare la inutilizzabilità delle indagini ( nella  specie intercettazioni telefoniche) acquisite precedentemente a detta iscrizione  (Cass. S.U. 21/6/2000, Tammaro ).
 In ordine alla acquisizione di elementi indizianti in violazione delle  disposizioni normative di cui agli artt. 266 e ss. c.p.p. si evidenzia che  l'autorizzazione a disporre la intercettazione di conversazioni o comunicazioni  telefoniche, o di altre forme di telecomunicazione, presuppone la esistenza di  gravi indizi di reato, compreso tra quelli indicati al co. 1 del citato art.  266, e la indispensabilità della intercettazione.
 I gravi indizi di reato, che costituiscono, quindi, il presupposto per il  ricorso alle intercettazioni attengono alla esistenza dell'illecito penale e non  alla colpevolezza di un determinato soggetto, sicché per procedere  legittimamente ad intercettazioni non è necessario che tali indizi siano a  carico di una persona individuata o del soggetto le cui comunicazioni debbano  essere captate a fine di indagine (ex plurimis Cass. 21/12/06, n. 42017).
 Nella specie, come, evidenziato dai giudici di merito, le disposte  intercettazioni telefoniche risultavano pienamente giustificate dal fatto che  erano in corso indagini relative ad un imponente traffico di rifiuti pericolosi.
 Infondata si palesa la eccezione di violazione del diritto di difesa,  determinata dalla imprecisione e genericità della imputazione, così come  formulata, per due ordini di motivi: in primis i capi di imputazione sono  sufficientemente completi e permettono all'imputato di predisporre una piena ed  adeguata contestazione all'accusa; di poi, la applicazione del rito premiale,  invocata dal prevenuto è preclusiva alla proposizione di detta eccezione.
 In ordine alla contestata violazione dell'art. 63 c.p.p., si ribadisce che la  sanzione di inutilizzabilità erga omnes " delle dichiarazioni assunte  senza garanzie difensive da un soggetto che avrebbe dovuto, sin dall'inizio,  essere sentito in qualità di imputato o persona soggetta alle indagini, postula,  che a carico dell'interessato siano già acquisiti, prima della escussione,  indizi non equivoci di reità, come tali conosciuti dalla autorità procedente,  non rilevando a tale proposito eventuali sospetti o intuizioni personali  dell'interrogante ( Cass. 23/4/09, n. 8 ).
 Ne consegue che tale condizione non può automaticamente farsi derivare dal solo  fatto che i dichiaranti risultino essere stati in qualche modo coinvolti in  vicende potenzialmente suscettibili di dare luogo alla formulazione di addebiti  penali a loro carico, occorrendo, invece, che tali vicende, per come percepite  dalla autorità inquirente, presentino connotazioni tali da non potere formare  oggetto di ulteriori indagini se non postulando necessariamente la esistenza di  responsabilità penali a carico di tutti i soggetti coinvolti o di taluni di essi  (Cass. 8/11/07, n. 40/60).
 Ossevarsi, ancora, che ai sensi del citato art. 63 c.p.p. le dichiarazioni rese  da coloro che avrebbero dovuto, sin dall'inizio della deposizione, essere  sentiti con le modalità prescritte per l'audizione degli indagati e, di contro,  sono stati assunti in difetto di esse, sono inutilizzabili contra se e contra alios.
 Se, invece, nel corso della escussione la loro posizione di persona informata  sui fatti muta in quella di indagata, le pregresse dichiarazioni da essi fornite  non possono essere utilizzate contra se, ma lo possono contra alios: nel  caso di specie nessuna emergenza giustifica la conclusione del ricorrente,  peraltro immotivata, che le due indicate persone fossero destinatarie di  indagini ab origine.
 Peraltro, la Corte territoriale rileva, a giusta ragione, come, anche a volere  ritenere inutilizzabili le dichiarazioni de quibus, l'impalcatura del  teorema accusatorio non sarebbe risultato affatto compromessa, visto che la  prova di reità risulta solidalmente assicurata dagli esiti dei controlli operati  dai C.C. sui fondi agricoli siti nei Comuni di Castel Volturno, Villa Literno,  San Tammaro e Falciano del Massico, nel corso dei quali vennero direttamente  constatati sversamenti di fanghi di depurazione e di altri materiali inquinanti.
 Non meritevole di accoglimento è, del pari, la eccezione di violazione dell'art.  192 c.p.p.: il giudice, a giusta ragione, ritiene che a nulla rileva che la  società di cui il prevenuto era amministratore occulto avesse ottenuto tutte le  attestazioni per esercitare la attività che secondo statuto era indicata, in  quanto, parallelamente a detta attività (lecita), ne veniva svolta altra  tendente a realizzare l'obiettivo criminoso preso di mira.
 La doglianza, di poi, tende ad una rivalutazione della piattaforma probatoria,  su cui al giudice di legittimità è precluso di procedere a rianalisi estimativa.
 Sulla concretizzazione del reato contestato al capo a), la sentenza appare  cornpiutamente argomentata, rilevato che il giudice di merito richiama le  emergenze istruttorie che cristallizzano la condotta in quella tipica prevista  dall'art. 416 c.p.p., in ragione del carattere dell'accordo criminoso,  determinante un vincolo permanente a causa della consapevolezza di ciascuno  degli associati di fare parte di un sodalizio e di partecipare con contributo  causale, alla realizzazione di un duraturo programma criminale: il Roma Elio,  era il promotore e il gestore della associazione; il figlio di costui, Roma  Francesco, il Bellotta Nicola, il Cantone Francesco, il Diana Raffaele e il  Falcone Gaudenzio, contribuivano, ciascuno, adempiendo ai compiti loro demandati  dal prevenuto, a far si che l'attività illecita raggiungesse lo scopo prefisso.
 Ne, nella specie, è da considerare il reato di cui all'art. 416 c.p. assorbito  dalla fattispecie criminosa di cui all'art. 260, d.lvo 152/06, e ciò in  dipendenza della diversità degli illeciti commessi dai consociati, costituente  il vasto programma delinquenziale posto in essere dalla associazione.
 Il diniego delle attenuanti generiche e la quantificazione della pena, nella  misura come inflitta, risultano ampiamente e correttamente argomentati, con  l'evidenziare gli elementi ritenuti preclusivi all'accoglimento delle istanze  avanzate dalla difesa dell'imputato: la durata operativa della associazione, il  quantitativo di rifiuti illecitamente accettati presso l'impianto, l'entità di  essi sversati e solo in limitatissima misura censiti dagli inquirenti, il numero  e la dimensione dei terreni interessati agli sversamenti, la pericolosità di una  parte di essi rifiuti, la ingente quantità dei profitti conseguiti e programmati  in uno alla lesione degli interessi tutelati; la pericolosità soggettiva del  Roma, ravvisabile nei precedenti penali a carico, nella spregiudicata  insensibilità dimostrata nel, perpetrare la condotta illecita contestatagli;  elementi tutti ampiamente giustificativi delle conclusioni a cui è pervenuto il  decidente nel non applicare l'art. 62 bis c.p. e nel determinare il trattamento  sanzionatorio inflitto.
 P. Q. M.
 La Corte Suprema di Cassazione rigetta i ricorsi e condanna il ricorrente al  pagamento delle spese processuali.
 Così deciso in Roma il 13/4/2011.
 
 DEPOSITATA IN CANCELLERIA 27/05/2011
 
                    




