TAR Lombardia (MI), Sez. IV, n. 1221, del 10 maggio 2013
Urbanistica.Costruzione distanza legale e principio di prevenzione ex artt. 873 e 875 c.c.

Il principio di prevenzione, fotografato dal combinato disposto degli artt. 873 e 875 c.c., prevede che è consentito a chi costruisce per primo di operare la scelta tra il costruire alla distanza legale e l’erigere la propria fabbrica fino ad occupare l’estremo limite del confine, determinando così le modalità da seguire per chi costruisce dopo. Ne deriva che il citato principio non può coprire anche le ipotesi in cui chi ha costruito per primo, rispettando la distanza legale, successivamente alla costruzione dell’altro fabbricato, abbia poi violato tale distanza in conseguenza dell’ampliamento dell’edificio. Il principio di prevenzione opera al momento della realizzazione dell’edificio e non si estende anche agli ampliamenti realizzati successivamente alla costruzione dell’edificio antistante. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)



N. 01221/2013 REG.PROV.COLL.

N. 02830/2000 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2830 del 2000, proposto da:
Ardu Graziella e Pintore Carmina, rappresentate e difese dall'avv. Bruno Santamaria, con domicilio eletto in Milano, Galleria del Corso, 2;

contro

Comune di Vimercate, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Francesco Pintucci, con domicilio eletto in Milano, via G. Donizetti, 38;

per l'annullamento

del provvedimento n. 15679 del 31.3.2000 emesso dal Comune di Vimercate di rigetto della domanda di autorizzazione edilizia in sanatoria del 28.7.1999, avente ad oggetto la realizzazione di una chiusura per vano deposito, di due piccole tettoie e della chiusura perimetrale di un terrazzo;

del provvedimento prot. n. 15669 del 31.3.2000 emesso dal Comune di Vimercate di rigetto della domanda di concessione edilizia in sanatoria avente ad oggetto la formazione di un nuovo spazio abitabile nell’immobile di via Velasca

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Vimercate;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 febbraio 2013 il dott. Maurizio Santise e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Le odierne ricorrenti, proprietarie di un immobile sito in Vimercate, via Velasca 21, adibito a pizzeria-ristorante, realizzavano nell’immobile citato opere edilizie e, in particolare, la chiusura di un vano deposito, la realizzazione di due piccole tettoie e la chiusura perimetrale di un terrazzo, nonché la formazione di un nuovo spazio abitabile.

Con ordinanza del 13.5.1996 il Comune di Vimercate ordinava la demolizione delle opere abusive. In seguito le ricorrenti presentavano domanda di autorizzazione in sanatoria. L’amministrazione rilasciava, in data 25.10.1996, l’autorizzazione in sanatoria n. A/205/96 in relazione alla realizzazione di una struttura metallica ricopribile e negava il rilascio dell’autorizzazione per gli altri interventi.

Con ordinanza n. 234/URB del 12.6.1998, l’amministrazione revocava la precedente ordinanza di demolizione e contestualmente emanava nuova ordinanza di demolizione e di remissione dell’edificio in stato conforme alla prescrizione degli strumenti urbanistici.

In data 28.7.1999, le odierne ricorrenti presentavano due nuove domande di autorizzazione in sanatoria in relazione alle opere realizzate.

Il Comune di Vimercate, in data 11.4.2000, rigettava le domande in argomento perché contrastanti con le previsioni dettate dalla L. 10/1977, nonché per contrasto con gli artt. 873 c.c., 9 del D.M. 1444 del 2.4.1968 e 3.4.7., 3.4.18 e 3.4.22 del Regolamento locale d’igiene.

Con ricorso tempestivamente notificato all’amministrazione e regolarmente depositato nella segreteria di questo Tar, le ricorrenti impugnavano i provvedimenti indicati, contestandone la legittimità sotto svariati profili. In particolare, l’amministrazione, avrebbe errato nel rigettare le domande dei ricorrenti, perché si trattava di interventi di mera risistemazione dell’edificio esistente, senza la creazione di alcun aumento volumetrico.

L’amministrazione si costituiva regolarmente in giudizio, ritenendo in via preliminare inammissibile il ricorso perché le ricorrenti non avevano proceduto ad impugnare l’ordinanza di demolizione n. 234/98, e nel merito, chiedeva il rigetto del ricorso.

Alla pubblica udienza del 20 febbraio 2013, la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

In via preliminare, va rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dall’amministrazione perché le ricorrenti non hanno previamente impugnato l’ordinanza di demolizione avente ad oggetto le opere indicate nelle domande di concessione in sanatoria.

La doglianza non ha pregio, perché a seguito dell'istanza di sanatoria l'ordinanza di demolizione deve essere sostituita o dalla concessione in sanatoria o da un nuovo provvedimento sanzionatorio. La giurisprudenza amministrativa consolidata, cui questo Collegio intende dare continuità, anche se intervenuta in relazione alla declaratoria di improcedibilità del ricorso avente ad oggetto l’ordinanza di demolizione, ha chiarito che la presentazione dell'istanza di sanatoria dell'abuso edilizio produce in capo all'amministrazione l'obbligo di avviare e concludere il relativo procedimento con provvedimento espresso e motivato, e che la determinazione amministrativa, in caso di contenuto favorevole al privato, avrà come effetto l'integrale soddisfacimento delle sue pretese con conseguente caducazione dell’ordinanza di demolizione dell'opera, mentre, in caso di rigetto della domanda, la lesione della sfera giuridica del richiedente originerà da questo nuovo provvedimento e dalla rinnovata misura sanzionatoria che a tale atto dovrà necessariamente seguire (cfr., ex plurimis T.A.R. Salerno Campania sez. II, 19 ottobre 2012, n. 1902).

Ne deriva, pertanto, che l’eccezione di inammissibilità del ricorso va rigettata.

Superata tale questione preliminare, il presente giudizio ha ad oggetto due domande di rilascio di concessione in sanatoria in relazione alla chiusura al piano terra di vano ad uso deposito, alla realizzazione di due piccole tettoie, alla chiusura perimetrale di terrazzo coperto, nonché alla formazione di un nuovo spazio abitabile.

L’amministrazione ha rigettato entrambe le richieste in sanatoria, ritenendo che, in relazione alla realizzazione del nuovo spazio abitabile, il progetto risulterebbe in contrasto con l’art. 873 c.c. perché non sarebbe rispettata la distanza minima tra le costruzioni, nonché in contrasto con gli artt. 9 del D.M. 1444 del 2.4.1968, 3.4.7., 3.4.18 e 3.4.22 del Regolamento locale d’igiene. In relazione ai restanti interventi, l’amministrazione ha rigettato la domanda in sanatoria perché gli interventi sarebbero in contrasto con l’art. 1 L. 10/1977, che richiede per ogni attività di trasformazione urbanistica il rilascio della concessione edilizia.

Tanto premesso, il ricorso va in parte accolto.

Le ricorrenti hanno presentato le istanze in sanatoria sotto la vigenza dell’art. 13 L. 47/1985, che stabiliva che in caso di opere eseguite in assenza di concessione il responsabile dell'abuso può ottenere la concessione o l'autorizzazione in sanatoria quando l'opera eseguita in assenza della concessione o l'autorizzazione è conforme agli strumenti urbanistici generali e di attuazione approvati e non in contrasto con quelli adottati sia al momento della realizzazione dell'opera, sia al momento della presentazione della domanda.

Ne deriva che il presupposto per ottenere la concessione in sanatoria è la realizzazione dell’intervento in assenza di idoneo titolo edilizio, ma con la precisazione che l’intervento deve, comunque, essere conforme agli strumenti urbanistici generali e di attuazione approvati e non in contrasto con quelli adottati sia al momento della realizzazione dell'opera, sia al momento della presentazione della domanda (c.d. doppia conformità).

Nel caso di specie, è emerso in maniera non contestata che le ricorrenti hanno realizzato determinati interventi senza chiedere la concessione edilizia e per tali motivi hanno domandato il rilascio del titolo in sanatoria.

L’amministrazione, in relazione alla richiesta del 28.7.1999 n. 23762/99, ha motivato il diniego, ritenendo che gli interventi richiesti dovessero essere previamente assentiti attraverso concessione edilizia.

Come detto, la concessione edilizia in sanatoria, disciplinata dall’art. 13 L. 47/1985, presuppone che le opere siano state eseguite in assenza di concessione, ma che, comunque, sussistano i presupposti per rilasciare la concessione, perché l’intervento è, comunque, conforme agli strumenti urbanistici generali e di attuazione approvati. L’amministrazione, quindi, nel provvedimento citato ha erroneamente motivato le ragioni del diniego, perché avrebbe dovuto chiarire se le opere realizzate dalle ricorrenti potevano, comunque, essere assentite in base agli strumenti urbanistici vigenti o se, invece, in ogni caso, si trattava di opere non assentibili.

Ne deriva che il ricorso va accolto in relazione al provvedimento n. 15669 del 31.3.2000, di rigetto della richiesta del 28.7.1999 n. 23762/99,che va annullato per erroneità della motivazione, con salvezza delle ulteriori determinazioni dell’amministrazione.

Con riguardo, invece, al provvedimento n. 15669 del 31.3.2000, di rigetto della richiesta del 28.7.1999, n. 23762, con cui l’amministrazione resistente ha negato la domanda di concessione edilizia in sanatoria tesa alla creazione di un nuovo spazio abitabile, il ricorso va rigettato, perché il provvedimento risulta congruamente motivato.

L’amministrazione, come detto, ha rigettato la richiesta in argomento, non perché l’opera non era stata previamente assentita, ma perché in contrasto, in ogni caso, con l’art. 873 c.c., con l’art. 9 del D.M. 1444 del 2.4.1968, nonché con gli artt. 3.4.7., 3.4.18 e 3.4.22 del Regolamento locale d’igiene.

In particolare, secondo l’amministrazione, la creazione di un nuovo spazio abitabile avrebbe violato l’art. 873 c.c. che fissa la distanza minima tra le costruzioni in mt. 3,00, nonché con l’art. 9 del D.M. 1444 del 2.4.1968, che stabilisce in mt. 10 la distanza tra i fabbricati, prendendo come punto di riferimento la distanza tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti. Inoltre, l’intervento avrebbe violato il Regolamento d’igiene che prescrive determinate altezze minime e la ventilazione dei locali.

Orbene, il provvedimento dell’amministrazione risulta correttamente motivato.

Le ricorrenti hanno chiesto l’autorizzazione in sanatoria per la creazione di un nuovo spazio abitabile per l’ampliamento della sala ristorante; il nuovo corpo di fabbrica “risulta posto ad una distanza di circa 2,50 mt. dall’edificio confinante” e, quindi, in aperta violazione sia dell’art. 873 c.c. che dell’art. 9 D.M. 1444 del 2.4.1968.

Secondo le ricorrenti, l’art. 873 c.c. non si applicherebbe al caso di specie, perché una porzione dell’edificio delle ricorrenti che preesisteva all’intervento, nonché all’edificio antistante, era posto ad una distanza maggiore di mt. 3 e, pertanto, per il principio della prevenzione sarebbe ininfluente che successivamente si sia ridotta la distanza tra gli edifici.

La censura non può essere condivisa.

Il principio di prevenzione, fotografato dal combinato disposto degli artt. 873 e 875 c.c., prevede che è consentito a chi costruisce per primo di operare la scelta tra il costruire alla distanza legale e l’erigere la propria fabbrica fino ad occupare l’estremo limite del confine, determinando così le modalità da seguire per chi costruisce dopo (cfr., Cass., 3638/2007). Ne deriva che il citato principio non può coprire anche le ipotesi in cui chi ha costruito per primo, rispettando la distanza legale, successivamente alla costruzione dell’altro fabbricato, abbia poi violato tale distanza in conseguenza dell’ampliamento dell’edificio. Il principio di prevenzione opera al momento della realizzazione dell’edificio e non si estende anche agli ampliamenti realizzati successivamente alla costruzione dell’edificio antistante.

Ne deriva che, pertanto, correttamente l’amministrazione ha negato il rilascio della concessione edilizia, in quanto il richiesto ampliamento è stato realizzato in violazione della distanza minima prevista dall’art. 873 c.c.

Tale motivazione sorregge da sola la legittimità del provvedimento impugnato e consente di ritenere superfluo l’esame degli altri motivi di doglianza contenuti in ricorso e diretti a contestare le ulteriori motivazioni del diniego di sanatoria.

La soccombenza ripartita giustifica la compensazione delle spese di lite tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,

lo accoglie in relazione al provvedimento di rigetto della richiesta del 28.7.1999 n. 23762/99, che per l’effetto annulla;

lo rigetta in relazione al provvedimento di rigetto della richiesta del 28.7.1999 n. 23761/99.

Compensa le spese di lite tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 20 febbraio 2013 con l'intervento dei magistrati:

Domenico Giordano, Presidente

Elena Quadri, Consigliere

Maurizio Santise, Referendario, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 10/05/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)