Cass. Sez. III n. 22459 del 16 giugno 2025 (UP 20 mar 2025)
Pres. Ramacci Rel. Aceto Ric. Varesano
Ecodelitti.Abusività della condotta
Con specifico riferimento al delitto di cui all’art. 452-quaterdecies cod. pen., il requisito della abusività deve essere interpretato in stretta connessione con gli altri elementi tipici della fattispecie, quali la reiterazione della condotta illecita e il dolo specifico d'ingiusto profitto. Ne consegue che la mancanza delle autorizzazioni non costituisce requisito essenziale per la configurazione del delitto che, da un lato, può sussistere anche quando la concreta gestione dei rifiuti risulti totalmente difforme dall'attività autorizzata, dall'altro, può risultare insussistente, quando la carenza dell'autorizzazione assuma rilievo puramente formale e non sia causalmente collegata agli altri elementi costitutivi del traffico.
RITENUTO IN FATTO
1.Alfonso Giulio Varesano ricorre per l’annullamento della sentenza del 30 ottobre 2023 della Corte di appello di Bari che, in riforma della sentenza assolutoria del 21 febbraio 2020 del Tribunale di Trani, impugnata dal Pubblico ministero, lo ha dichiarato colpevole del reato di cui all’odierno art. 452-quaterdecies cod. pen. e lo ha condannato alla pena principale, condizionalmente sospesa, di un anno e sei mesi di reclusione, oltre pene accessorie.
1.1.Con il primo motivo deduce il travisamento della prova, la contraddittorietà e la illogicità della motivazione.
Osserva, al riguardo, che, da un lato, la Corte di appello sostiene che, nel periodo considerato, erano stati irregolarmente gestiti ingenti quantitativi di rifiuti perché non era possibile risalirne alle origini in quanto conferiti in assenza di FIR, dall’altro che il consulente del Pubblico ministero aveva potuto ricostruire la gestione dei rifiuti dalla analisi delle ricevute fiscali e delle dichiarazioni MUD degli anni 2014-2017 per poi affermare che i privati avevano conferito i materiali senza l’emissione dei FIR, così ammettendo implicitamente che una ricostruzione dei rifiuti è stata possibile per poi affermare l’esatto contrario ossia che una tale movimentazione non risulta dal registro di carico/scarico attribuendo addirittura ai privati l’obbligo di compilazione dei FIR.
Orbene, afferma, la presenza di ricevute, registri e MUD esclude la sussistenza del reato per mancanza del dolo specifico e della natura “clandestina” della attività.
È stata travisata la testimonianza di Spadone, interpretata in modo tendenzioso perché la ricostruzione dei rifiuti conferiti dalla Officine Meccaniche Murgesi di Spinazzola, della quale il testimone era il legale rappresentante, è stata possibile grazie proprio all’esame delle dichiarazioni MUD dei consulenti del Pubblico ministero che hanno documentato quanti e quali tipi di rifiuti la predetta impresa aveva conferito alla società del ricorrente. Sicché, il fatto che lo Spadone avesse riferito di non essere in grado di dire cosa fosse un FIR non costituisce elemento interpretabile nel senso che la società del ricorrente raccoglieva i rifiuti in modo generico e senza i documenti previsti.
Oggetto di travisamento è altresì il dato dell’ingente quantitativo di rifiuti essendovi la prova che la società del ricorrente negli anni in considerazione ha gestito rifiuti in quantità decisamente inferiori a quelle massime autorizzate (800 tonnellate annue di rifiuti costituiti da veicoli fuori uso e 19.600 tonnellate annue di rifiuti costituiti da rottami ferrosi e non).
In ogni caso, conclude sul punto, difetta il requisito della abusività della condotta per l’assenza di contestazione della violazione dei titoli autorizzativi della società del ricorrente.
1.2.Con il secondo motivo deduce l’erronea applicazione degli artt. 193, comma 1, 212, comma 8, e 266, comma 5, d.lgs. n. 152 del 2006, e la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione.
L’obbligo giuridico dei FIR, afferma, grava esclusivamente su enti e imprese con esclusione degli ambulanti dediti a forme di commercio itinerante come invece diversamente (ed erroneamente) affermato dalla Corte di appello che ha ritenuto gravare su questi ultimi gli stessi obblighi di documentazione del trasporto di rifiuti metallici e ferrosi in realtà insussistenti, nell’assenza, oltretutto, di prova che autori dei conferimenti fossero proprio ambulanti non esonerati piuttosto che privati cittadini come emerge chiaramente dalle prove dichiarative e dal fatto che nessuno dei soggetti privati conferitori è stato perseguito e condannato, quale ambulante, per la violazione delle disposizioni di legge in materia di raccolta e trasporto di rifiuti.
1.3.Con il terzo motivo deduce l’erronea e/o la falsa applicazione degli artt.
183, comma 1, lett. n), s), t) e z), d.lgs. n. 152 del 2006, nonché la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione in relazione allo svolgimento dell’attività di gestione dei rifiuti in zone non autorizzate, conclusione alla quale la Corte di appello giunge in base: a) alla qualifica dei “pezzi di ricambio” come rifiuti; b) alla mera presenza della pesa nell’area della società non soggetta ad autorizzazione.
Obietta, al riguardo, che: a) la pesa del rifiuto in entrata e in uscita non costituisce attività di trattamento o gestione del rifiuto stesso; b) la presenza di una pesa in area non autorizzata non integra il requisito della abusività del reato di cui all’art. 452-quaterdecies cod. pen., tantomeno la presenza di un capannone che ospitava l’impianto di trattamento delle acque meteoriche e le attrezzature da lavoro.
1.4.Con il quarto motivo deduce l’erronea applicazione dell’art. 15 d.lgs. n. 209 del 2003 e la contraddittorietà e illogicità della motivazione in relazione alla erronea qualifica dei pezzi di ricambio come rifiuti anche se stoccati nell’area non autorizzata, fatto quest’ultimo del tutto irrilevante: trattandosi di cose non costituenti rifiuto non rileva dove fossero stoccate. Ne consegue che nessuna attività di gestione dei rifiuti è stata effettuata in area non autorizzata e destinata alla vendita dei pezzi di ricambio.
1.5.Con il quinto motivo deduce l’erronea applicazione dell’art. 133 cod. pen. in relazione all’immotivato diniego delle circostanze attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
1.Il ricorrente è stato giudicato colpevole del reato di cui all’art. 452-quaterdecies cod. pen. (già art. 260 d.lgs. n. 152 del 2006) a lui ascritto perché, al fine di conseguire l'ingiusto profitto derivante dalla gestione irregolare dei rifiuti ricevuti - consistente nel risparmio dei costi inerenti il corretto allestimento, la manutenzione e l’ammodernamento dell'impianto nonché derivanti dall'omessa applicazione delle corrette procedure di messa in sicurezza e recupero dei rifiuti - , attraverso l'allestimento, quale responsabile legale della società Nuova Femeco Srl, esercente attività di rottamazione di veicoli di ogni genere, veicoli fuori uso e la gestione dei rifiuti ferrosi classificati non pericolosi, riceveva e gestiva ingenti quantità di rifiuti pericolosi e non pericolosi ed in particolare: (i) 641,055 tonnellate di rifiuti costituiti da veicoli fuori uso; (ii) ingenti quantità di materiali ferrosi e non (quantificabili in non meno di 2.235,568 tonnellate con riferimento al solo anno 2014 - quantitativo peraltro in linea con i dati parziali relativi all'anno 2015), rifiuti che, con riferimento alla prima tipologia (veicoli fuori uso), venivano gestiti irregolarmente in quanto l'impianto non era dotato di macchinari che consentivano la bonifica delle parti di veicoli inquinati da oli, liquidi e altro materiale inquinante, con riferimento alla seconda tipologia (rifiuti ferrosi e non), venivano gestiti irregolarmente in quanto non era stato possibile risalire all'origine degli stessi poiché conferiti senza FIR e certificato di analisi. Il tutto gestito in un'area in cui:
a) non vi era alcuna separazione tra i luoghi destinati alle operazioni di gestione dei rifiuti pericolosi e quelli destinati alla gestione dei rifiuti non pericolosi;
b) i rifiuti risultavano ammassati in promiscuità sia sul piazzale che nei cassoni;
c) la pavimentazione risulta risultava evidentemente logora tanto da non consentire la impermeabilizzazione del suolo;
d) vi erano evidenti commenti di sostanze oleose e pozze melmose. Commettendo il fatto con le seguenti modalità: - omettendo di adottare le occorrenti determinazioni per distinguere l'attività svolta come centro di raccolta per il trattamento dei veicoli dall'attività svolta in regime semplificato;
- utilizzando aree non ricomprese affatto in alcun titolo abilitativo; - omettendo di effettuare, per assenza delle occorrenti apparecchiature, il corretto trattamento dei veicoli fuori uso rendendone così impossibile il recupero; - ammettendo rifiuti non autorizzati e comunque in difetto della documentazione di trasporto prevista.
Il fatto è contestato come commesso in Corato sino al 3 novembre 2017.
2.2.Dalla lettura della sentenza impugnata risulta che:
2.3.la società Nuova Femeco Srl era autorizzata alla gestione di un centro di demolizione di veicoli usati e alla raccolta di rottami ferrosi e metallici finalizzati al loro recupero, attività che comprendeva la cernita, la suddivisione in sotto- tipologie di rifiuti non pericolosi e il loro successivo avvio ad attività iniziale di recupero; l’autorizzazione prevedeva, inoltre, che i veicoli usati fossero messi in sicurezza e quindi demoliti;
2.4.all’esito del sopralluogo era emerso che nel piazzale utilizzato dalla società non risultava indicata la parte di area destinata ai rifiuti per la messa in riserva e quella destinata ai rifiuti soggetti a recupero, poiché tutti i rifiuti erano posti all’interno di alcuni cassoni o sul pavimento del piazzale stesso;
2.5.alcuni cassoni risultavano privi dell’indicazione del tipo di rifiuto contenuto;
2.6.la pavimentazione era deteriorata in più parti e presentava pozze oleose e melmose ed il piazzale stesso era privo di griglie di canalizzazione delle acque meteoriche e di dilavamento;
2.7.non era stata prodotta alcuna attestazione della impermeabilità dell’area;
2.8.l’impresa era priva di impianti e attrezzature per la bonifica dei motori e delle altre parti di veicoli usati;
2.9.all’interno dell’area venivano gestiti anche rifiuti pericolosi, quali veicoli e motori fuori uso che non risultavano bonificati;
2.10.alcuni soggetti che avevano conferito i rifiuti non erano in possesso delle autorizzazioni ambientali, né di quelle per il trasporto di rifiuti avendoli conferiti direttamente presso l’impianto senza alcuna possibilità di poterne stabilire l’origine attesa la mancanza dei FIR;
2.11.i conferimenti erano superiori a 30 chilogrammi;
2.12.negli anni 2012-2014, la società aveva accettato rifiuti metallici che, per le loro caratteristiche, essa non potevano gestire;
2.13.i rifiuti non venivano gestiti in maniera differenziata e l’area occupata era più ampia di quella autorizzata;
2.14.il Tribunale aveva ritenuto l’insussistenza del fatto all’esito delle deposizioni dei testimoni a discarico e dei consulenti tecnici della difesa i quali, diversamente dal consulente tecnico del Pubblico ministero (che, annotava il primo Giudice, non aveva effettuato alcun sopralluogo) avevano concordemente attestato la corretta gestione dei rifiuti ed in particolare: (a) la società aveva accettato solo rifiuti consentiti in base alle autorizzazioni in suo possesso, salvo per il rifiuto identificato con il codice CER 170409 accettato nell’anno 2013 per una quantità di 530 chilogrammi; (b) la superficie utilizzata per la gestione dei rifiuti corrispondeva a quella autorizzata, laddove le particelle acquistate successivamente e non comprese nell’autorizzazione erano state utilizzate per il deposito dei pezzi di ricambio e per la realizzazione di una struttura autorizzata (impianto per le acque di prima pioggia e un’abitazione); (c) la società era dotata di tutte le attrezzature necessarie alla gestione dei rifiuti che venivano accettati solo se correttamente caratterizzati dal codice CER che compariva anche nel FIR;
(d) la messa in sicurezza dei veicoli da demolire avveniva tramite la rimozione delle parti pericolose del veicolo stesso; per rimuovere l’olio veniva utilizzato un aspiratore e il liquido era riversato in appositi contenitori; (e) i rifiuti, ferrosi e non, venivano accettati tramite i formulari e poi portati nella zona dove sarebbero stati gestiti materialmente e si sarebbe successivamente provveduto alla loro cernita;
(f) quanto al conferimento di rifiuti da parte di privati, si procedeva all’identificazione del conferente tramite carta di identità e poi si rilasciava allo stesso una fattura con l’indicazione della quantità e della tipologia del materiale conferito (come confermato dai testimoni Zecchillo Francesco, Altamura Alessandro e Papagno Domenico che avevano riferito di aver conferito rifiuti ferrosi pur in assenza di FIR ma che la società si era sempre preoccupata di far specificare la provenienza dei rifiuti); (g) la pavimentazione era stata rifatta nel 2011 ed in azienda era presente un impianto di raccolta e trattamento delle acque meteoriche;
2.15.nel ribaltare la pronuncia assolutoria, la Corte di appello ha invece evidenziato che:
2.16.la Nuova Femeco aveva gestito, negli anni 2014-2016, tonnellate di rifiuti metallici (ferro e acciaio) non accompagnati da FIR e non registrati sul registro di carico e scarico (il dato era stato ricavato dall’esame delle ricevute fiscali emesse dalla società);
2.17.i testimoni Altamura Alessandro e Zecchillo Francesco avevano confermato di aver conferito rifiuti metallici in assenza di documentazione di accompagnamento; Francesco Zecchillo aveva riferito di aver conferito materiale ferroso prodotto dalla sua attività o rinvenuto per terra per quantità pari a circa 200 quintali per volta, talvolta anche per venti giorni al mese, e che non era in possesso di alcuna autorizzazione o abilitazione (Alessandro Altamura aveva riferito di aver conferito almeno tre o quattro carrelli di materiale ferroso agganciato alla propria macchina);
2.18.il testimone Spadone, legale rappresentante dell’impresa Officine Meccaniche Murgesi di Spinazzola, aveva conferito, negli anni 2013-2014, scarti metallici costituiti da trucioli di ferro e rottami di ferro prelevati direttamente da Nuova Femeco mediante i propri camion non ricordando se i rifiuti fossero accompagnati da FIR;
2.19.nessuno dei privati conferitori possedeva i requisiti di “ambulanti” ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 266, comma 5, d.lgs. n. 152 del 2006;
2.20.i quantitativi di rifiuti conferiti non consentono nemmeno l’applicazione dell’art. 212 d.lgs. n. 152 del 2006;
2.21.l’attività veniva svolta dall’impresa in area non compresa nel titolo abilitativo essendo quella complessivamente destinata allo smaltimento dei rifiuti estesa 7609 metri quadrati a fronte dei 4500 autorizzati, secondo quanto accertato dal consulente tecnico del Pubblico ministero mediante il personale sopralluogo e la collaborazione del geometra autorizzato dal Tribunale;
2.22.nell’area non autorizzata erano presenti un impianto di raccolta delle acque di prima pioggia, un tunnel retrattile utilizzato come ricovero di alcuni macchinari utilizzati in azienda, una pesa interrata (utilizzata, secondo la testimonianza di un dipendente, per la pesatura del materiale conferito e delle autovetture fuori uso) e accumuli di rifiuti tipici dell'attività svolta dall'azienda, quali pezzi di ricambio di autovetture e pneumatici;
2.23.non v’è prova, per la Corte territoriale, della assenza di impermeabilizzazione della pavimentazione e di attrezzature idonee al recupero;
2.24.la sussistenza del delitto in considerazione è stata quindi affermata in considerazione: (a) del quantitativo complessivo di rifiuti illecitamente gestiti; (b) della finalità di lucro perseguita dall’impresa consistita nell’accettare rifiuti senza documentazione e nell’utilizzare un’ampia zona non assentita da alcuna autorizzazione per lo svolgimento dell’attività.
3.Il primo motivo di ricorso rende necessario definire i limiti della cognizione della Corte di cassazione.
3.1.Ed invero, l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n.6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944 - 01). Il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all'affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Sez. U, n. 930 del 13/12/1995, dep. 1996, Clarke, Rv. 203428 - 01).
3.2.L’indagine di legittimità può estendersi al contenuto delle singole prove solo quando la contraddittorietà della motivazione risulti da “atti del processo specificamente indicati” (cd. travisamento della prova), vizio configurabile quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia; il relativo vizio ha natura decisiva solo se l'errore accertato sia idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio (Sez. 5, n.48050 del 02/07/2019, S., Rv. 277758 - 01; Sez. 1, n. 53600 del 24/11/2016, dep. 2017, Sanfilippo, Rv. 271635 - 01; Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio, Rv. 258774; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499). Il travisamento della prova consiste in un errore percettivo (e non valutativo) tale da minare alle fondamenta il ragionamento del giudice ed il sillogismo che ad esso presiede. In particolare, consiste nell’affermare come esistenti fatti certamente non esistenti ovvero come inesistenti fatti certamente esistenti. Il travisamento rende la motivazione insanabilmente contraddittoria con le premesse fattuali del ragionamento così come illustrate nel provvedimento impugnato, una diversità tale da non reggere all’urto del contro-giudizio logico sulla tenuta del sillogismo.
Il vizio è perciò decisivo quando la frattura logica tra la premessa fattuale del ragionamento e la conclusione che ne viene tratta è irreparabile. Come ben spiegato da Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, n.m. sul punto, il travisamento della prova sussiste quando emerge che la sua lettura sia affetta da errore "revocatorio", per omissione, invenzione o falsificazione. In questo caso, difatti, la difformità cade sul significante (sul documento) e non sul significato (sul documentato).
3.3.Come ulteriormente affermato da Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, Dos Santos Silva Welton, Rv. 283370 - 01, il vizio di "contraddittorietà processuale" (o "travisamento della prova") vede circoscritta la cognizione del giudice di legittimità alla verifica dell'esatta trasposizione nel ragionamento del giudice di merito del dato probatorio, rilevante e decisivo, per evidenziarne l'eventuale, incontrovertibile e pacifica distorsione, in termini quasi di "fotografia", neutra e a- valutativa, del "significante", ma non del "significato", atteso il persistente divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merito dell'elemento di prova. Come spiegato in motivazione, «il vizio di "travisamento della prova" (o di contraddittorietà processuale come lo qualifica la dottrina più attenta) chiama in causa, in linea generale, le ipotesi di infedeltà della motivazione rispetto al processo e, dunque, le distorsioni del patrimonio conoscitivo valorizzato dalla motivazione rispetto a quello effettivamente acquisito nel giudizio. Tre sono le figure di patologia della motivazione riconducibili al vizio in esame: la mancata valutazione di una prova decisiva (travisamento per omissione); l'utilizzazione di una prova sulla base di un'erronea ricostruzione del relativo "significante" (cd.
travisamento delle risultanze probatorie); l'utilizzazione di una prova non acquisita al processo (cd. travisamento per invenzione). In questi casi non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano (cfr. tra le altre Sez. 5, n.39048 del 25/09/2007, Casavola, Rv. 238215). Invero il vizio di "contraddittorietà processuale" vede circoscritta la cognizione del giudice di legittimità alla verifica dell'esatta trasposizione nel ragionamento del giudice del dato probatorio nei termini di una "fotografia", neutra e a-valutativa, del "significante", ma non del "significato", atteso il persistente divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merito dell'elemento di prova (Sez. 1, n. 25117 del 14/07/2006, Stojanovic, Rv.234167; Sez. 5, n. 36764 del 24/05/2006, Bevilacqua, Rv. 234605). L'elemento travisato deve assumere portata decisiva».
3.4.Quando viene dedotto il travisamento della prova è onere del ricorrente, in virtù del principio di “autosufficienza del ricorso”, suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell'integrale contenuto degli atti medesimi (ovviamente nei limiti di quanto era già stato dedotto in sede di appello), dovendosi ritenere precluso al giudice di legittimità il loro esame diretto, a meno che il "fumus" del vizio dedotto non emerga all'evidenza dalla stessa articolazione del ricorso (Sez. 2, n. 20677 dell’11/04/2017, Schioppo, Rv. 270071; Sez. 4, n.
46979 del 10/11/2015, Bregamotti, Rv. 265053; Sez. F. n. 37368 del 13/09/2007, Torino, Rv. 237302). Non è sufficiente riportare meri stralci di singoli brani di prove dichiarative, estrapolati dal complessivo contenuto dell'atto processuale al fine di trarre rafforzamento dall'indebita frantumazione dei contenuti probatori, o, invece, procedere ad allegare in blocco ed indistintamente le trascrizioni degli atti processuali, postulandone la integrale lettura da parte della Suprema Corte (Sez. 1, n. 23308 del 18/11/2014, Savasta, Rv. 263601; Sez. 3, n. 43322 del 02/07/2014, Sisti, Rv. 260994, secondo cui la condizione della specifica indicazione degli "altri atti del processo", con riferimento ai quali, l'art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., configura il vizio di motivazione denunciabile in sede di legittimità, può essere soddisfatta nei modi più diversi (quali, ad esempio, l'integrale riproduzione dell'atto nel testo del ricorso, l'allegazione in copia, l'individuazione precisa dell'atto nel fascicolo processuale di merito), purché detti modi siano comunque tali da non costringere la Corte di cassazione ad una lettura totale degli atti, dandosi luogo altrimenti ad una causa di inammissibilità del ricorso, in base al combinato disposto degli artt. 581, comma primo, lett. c), e 591 cod. proc. pen.). E’ necessario, pertanto: a) identificare l'atto processuale omesso o travisato; b) individuare l'elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verità dell'elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonché della effettiva esistenza dell'atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l'atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l'intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale "incompatibilità" all'interno dell'impianto argomentativo del provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010, Damiano, Rv. 249035).
3.5.Il principio di autosufficienza del ricorso trova applicazione anche a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 165-bis disp. att. cod. proc. pen., introdotto dall'art. 7, comma 1, d.lgs. 6 febbraio 2018, n. 11, che si traduce nell'onere di puntuale indicazione, da parte del ricorrente, degli atti che si assumono travisati e dei quali si ritiene necessaria l'allegazione, materialmente devoluta alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato ove a ciò egli non abbia provveduto nei modi sopra indicati (Sez. 5, n. 5897 del 03/12/2020, Rv. 280419 - 01; Sez. 2, n. 35164 del 08/05/2019, Rv. 276432 - 01).
3.6.In conclusione: a) il vizio di motivazione non può essere utilizzato per spingere l’indagine di legittimità oltre il testo del provvedimento impugnato, nemmeno quando ciò sia strumentale a una diversa ricomposizione del quadro probatorio che, secondo gli auspici del ricorrente, possa condurre il fatto fuori dalla fattispecie incriminatrice applicata; b) l’esame può avere ad oggetto direttamente la prova (ed il suo contenuto) quando se ne deduce il travisamento, purché l’atto processuale che la incorpora sia allegato al ricorso (o ne sia integralmente trascritto il contenuto) e possa scardinare la logica del provvedimento creando una insanabile frattura tra il giudizio e le sue basi fattuali; c) la natura manifesta della illogicità della motivazione del provvedimento impugnato costituisce un limite al sindacato di legittimità che impedisce alla Corte di cassazione di sostituire la propria logica a quella del giudice di merito e di avallare, dunque, ricostruzioni alternative del medesimo fatto, ancorché altrettanto ragionevoli; d) non è consentito, in caso di cd. “doppia conforme”, dedurre il travisamento della prova mediante la pura e semplice riproposizione delle medesime questioni fattuali già devolute in appello soprattutto quando, come nel caso di specie, la censura riguardi il medesimo compendio probatorio non avendo la Corte territoriale attinto a prove diverse da quelle scrutinate in primo grado.
3.7.Non è dunque ammesso, in sede di legittimità, proporre un’interlocuzione diretta con la Suprema Corte in ordine al contenuto delle prove già ampiamente scrutinate in sede di merito sollecitandone l’esame e proponendole quale criterio di valutazione della illogicità manifesta della motivazione; in questo modo si sollecita la Corte di cassazione a sovrapporre la propria valutazione a quella dei Giudici di merito laddove, come detto, ciò non è consentito, nemmeno quando venga eccepito il travisamento della prova. Il travisamento non costituisce il mezzo per valutare nel merito la prova, bensì lo strumento - come detto - per saggiare la tenuta della motivazione alla luce della sua coerenza logica con i fatti sulla base dei quali si fonda il ragionamento.
3.8.Orbene, il primo motivo si espone proprio a quelle censure che il ricorrente afferma di ben conoscere e di voler evitare. Il richiamo al contenuto di prove (tra queste la testimonianza di Spadone) delle quali viene dedotto il travisamento e che, tuttavia, in violazione del principio di autosufficienza, non vengono nemmeno allegate al ricorso, rende impossibile lo scrutinio delle censure difensive anche in ordine alla identificazione dei soggetti conferenti i rifiuti e al loto obbligo di compilazione dei FIR. Oltretutto la censura è “parziale” perché evita il confronto con altre prove (tra queste le testimonianze di Zecchillo e Altamura che avevano riferito di aver conferito materiale ferroso senza alcuna documentazione e per quantità ogni volta considerevoli e con frequenza quasi quotidiana) del tutto neglette.
3.9.Non è poi chiara (non essendo specificata) la natura decisiva del travisamento. Si afferma da parte del ricorrente che la Corte di appello ha potuto comunque ricostruire la quantità di rifiuti trattati e che, dunque, l’attività della Nuova Femeco Srl non era clandestina considerata la effettiva “tracciabilità” dei rifiuti stessi.
3.10.Il rilievo non è decisivo perché è giuridicamente infondato.
3.11.Le condotte del cedere, ricevere, trasportare, esportare, importare, o comunque gestire ingenti quantitativi di rifiuti tipizzate dall’art. 452-quaterdecies cod. pen., sono qualificate dalla loro abusività.
3.12.La natura abusiva qualifica anche la condotta di altri delitti contro l’ambiente (artt. 452-bis, 452-quater, 452-sexies cod. pen.).
3.13.In termini generali, la condotta è "abusiva" non solo quando viene svolta in assenza delle prescritte autorizzazioni o sulla base di autorizzazioni scadute o palesemente illegittime o comunque non commisurate alla tipologia di attività richiesta, ma anche quando è posta in essere in violazione di leggi statali o regionali - ancorché non strettamente pertinenti al settore ambientale - ovvero di prescrizioni amministrative (Sez. 3, n. 15865 del 31/01/2017, Rizzo, Rv. 269491 - 01; Sez. 3, n. 46170 del 21/09/2016, Simonelli, Rv. 268060 - 01; parla di abuso del titolo amministrativo di cui si ha la disponibilità, Sez. 3, n. 26007 del 25/04/2019, Pucci, Rv. 276015 - 02).
3.14.Con specifico riferimento al delitto di cui all’art. 452-quaterdecies cod. pen., il requisito della abusività deve essere interpretato in stretta connessione con gli altri elementi tipici della fattispecie, quali la reiterazione della condotta illecita e il dolo specifico d'ingiusto profitto. Ne consegue che la mancanza delle autorizzazioni non costituisce requisito essenziale per la configurazione del delitto che, da un lato, può sussistere anche quando la concreta gestione dei rifiuti risulti totalmente difforme dall'attività autorizzata (Sez. 3, Putrone, cit.; Sez. 5, n. 40330 del 11/10/2006, Pellini, Rv. 236294 - 01, secondo cui sussiste il carattere abusivo dell'attività organizzata di gestione dei rifiuti qualora essa si svolga continuativamente nell'inosservanza delle prescrizioni delle autorizzazioni, il che si verifica non solo allorché tali autorizzazioni manchino del tutto - cosiddetta attività clandestina -, ma anche quando esse siano scadute o palesemente illegittime e comunque non commisurate al tipo di rifiuti ricevuti, aventi diversa natura rispetto a quelli autorizzati e accompagnati da bolle false quanto a codice attestante la natura del rifiuto, in modo da celarne le reali caratteristiche e farli apparire conformi ai provvedimenti autorizzatori dei siti di destinazione finale; nello stesso senso, Sez. 3, n. 40828 del 06/10/2005, Fradella, Rv. 232350 - 01; secondo Sez. 3, n. 33089 del 15/07/2021, Centro Servizi Ambientali, Rv. 282101 - 01, la verifica della rispondenza delle autorizzazioni ambientali alle Best Available Techniques, B.A.T., in relazione al tipo di attività svolta e alla incidenza della eventuale difformità, e, in ogni caso, il rispetto di queste ultime, assume rilievo al fine dell’accertamento della abusività della condotta, in quanto le stesse concorrono a definire il parametro, di legge o di autorizzazione, di cui è sanzionata la violazione e la cui inosservanza, se incidente sul contenuto, sulle modalità e sugli esiti della attività svolta, può determinare la abusività di quest’ultima, in quanto esercitata sulla base di autorizzazione difforme da BAT Conclusions rilevanti ai fini di tale attività o in violazione di queste ultime); dall'altro, può risultare insussistente, quando la carenza dell'autorizzazione assuma rilievo puramente formale e non sia causalmente collegata agli altri elementi costitutivi del traffico (Sez. 3, n. 44449 del 15/10/2013, Ghidoli, Rv. 258326 - 01, che, in applicazione di tale principio, ha annullato il sequestro preventivo di un "residence" turistico, disposto sulla base di mere irregolarità degli impianti preposti al trattamento dei reflui fognari e delle acque di scarico; Sez. 3, Serrao, cit., che ha ritenuto integrato il reato in questione a carico di un soggetto, titolare di regolare autorizzazione per i propri impianti a ricevere e trattare rifiuti e provvedere all'integrale recupero degli stessi, qualora tecnicamente possibile, attraverso una lavorazione finalizzata al recupero o al reimpiego in altro ciclo produttivo della parte riutilizzabile, mentre soltanto la parte non recuperabile poteva essere destinata allo smaltimento, il quale, invece, contrariamente all'attestazione alle industrie conferenti i rifiuti della loro messa in riserva con finalità di recupero attraverso i propri impianti, si era disfatto dei rifiuti medesimi, trasportandoli e conferendoli ad altri impianti).
3.15.La deduzione difensiva che la natura abusiva dell’attività debba essere esclusa per la mancanza di clandestinità e per la possibilità della ricostruzione postuma dei quantitativi di rifiuti trattati si espone a più censure: (i) la prima: la natura clandestina dell’attività non costituisce requisito strutturale della fattispecie di reato; (ii) la seconda: la possibilità di ricostruire ex post la quantità di rifiuti trattati (e dunque di accertare un elemento tipico della fattispecie) si risolverebbe sempre a vantaggio dell’imputato perché, per assurdo, la raggiunta prova della sussistenza di un elemento strutturale della fattispecie determinerebbe l’insussistenza del reato per mancanza della natura abusiva.
3.16.Ciò che rileva è il fatto che la Corte di appello dà conto di prove dichiarative dalle quali risultano numerosi conferimenti di rifiuti per quantità ogni volta considerevoli (per un totale di svariate tonnellate) da parte di soggetti non autorizzati e privi di documentazione, aggiungendo che nessuno, in Nuova Femeco, aveva rifiutato tali conferimenti benché in assenza di FIR o avesse mai posto il problema. La quantità di rifiuti, nemmeno registrati nei registri di carico-scarico, era stata accertata sulla base delle sole ricevute fiscali e tale affermazione è tutt’altro che contraddittoria.
3.17.Altro aspetto della abusività della condotta è costituito dall’utilizzo di ampie zone non comprese nella autorizzazione funzionale alla gestione della ingente quantità di rifiuti.
3.18.Inammissibili, alla luce delle considerazioni ampiamente sviluppate ai §§ 3.1-3.7 che precedono, sono, sotto questo profilo, le deduzioni relative alla insussistenza del requisito della ingente quantità di rifiuti che sollecitano un non consentito esame di prove documentali e testimoniali (in particolare delle dichiarazioni dello Spadone) nemmeno allegate al ricorso.
4.Il secondo motivo è generico e manifestamente infondato ed è anche mal posto.
4.1.Il ricorrente contesta la natura abusiva dei conferimenti effettuati in assenza di FIR deducendo l’inapplicabilità dell’obbligo a persone diverse da enti e imprese e dunque ai conferitori occasionali, a coloro cioè che: (a) effettuano, in modo occasionale e saltuario, trasporti di rifiuti non pericolosi da essi stessi prodotti che non eccedano la quantità di trenta chilogrammi o di trenta litri per non più di cinque volte l’anno; oppure (b) che svolgono l’attività di ambulante, anche se oggetto del loro commercio sono rifiuti di rame e di metalli, ferrosi e non, e limitatamente ai rifiuti che formano oggetto del loro commercio.
4.2.La deduzione difensiva postula (avvalendosi, ancora una volta, di inammissibili deduzioni fattuali) che i conferimenti fossero occasionali o saltuari o che fossero effettuati da persone esercenti attività di ambulante, in tal modo, da un lato, sovvertendo quel che emerge dalla lettura del testo della motivazione della sentenza (da cui risulta che i conferimenti erano tutt’altro che occasionali), dall’altro ipotizzando qualità soggettive dei conferitori che non solo non risultano dalla sentenza, né da prove (in tesi) travisate per omissione, ma sono anzi smentite da precise evidenze probatorie da cui risulta che conferitori erano anche titolari di imprese (Pasquale Spadone).
4.3.Ciò in un contesto nel quale le movimentazioni in entrata e in uscita dei rifiuti non venivano comunque annotate sul registro di carico e scarico di cui all’art. 190 d.lgs. n. 152 del 2006, il quale, in caso di gestione di rifiuti (anche) pericolosi, non ammette equipollenti (art. 1, comma 4, del regolamento recante approvazione dei modelli dei registri di carico e scarico approvato con d.m. 1 aprile 1998, n.
148).
5.Il terzo motivo è proposto al di fuori dei casi consentiti dalla legge ed è manifestamente infondato.
5.1.La riconducibilità della pesa e del tunnel all’ambito dell’autorizzazione costituisce altra postulazione fattuale che, per le ragioni già ampiamente spiegate al § 3 che precede, non è consentita in sede di legittimità.
5.2.Sotto altro profilo, la doglianza è generica perché oltre alla pesa dei rifiuti (attività, quest’ultima, che non si vede come possa essere esclusa dal più ampio concetto di “gestione” del rifiuto) e al deposito degli attrezzi, nell’area non autorizzata erano stati depositati «accumuli di rifiuti tipici dell’attività svolta dall’azienda, quali pezzi di ricambio di autovetture e pneumatici» (pag. 8 della sentenza). La pesa appartiene alla fase del “carico” del rifiuto che deve essere documentata mediante annotazione nei registri di carico e scarico (art. 1, comma 5, d.m. n. 148 del 1998) perché concorre alla individuazione dei quantitativi massimi di rifiuti che l’impianto è autorizzato a trattare. Che la “pesa” debba essere effettuata all’interno dell’area autorizzata alla gestione del rifiuto è perciò considerazione sin troppo ovvia.
6.Le considerazioni che precedono depongono per la genericità anche del quarto motivo per l’irrilevanza delle questioni dedotte (la natura di non rifiuto dei pezzi di ricambio) visto che il ricorrente neglige che: a) il deposito di rifiuti non era costituito solo da pezzi di ricambio, ma anche da pneumatici; b) la pesa veniva utilizzata anche per i veicoli fuori uso.
7.L’ultimo motivo è manifestamente infondato.
7.1.La Corte di appello ha fatto buon governo dell’insegnamento secondo il quale il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente giustificato con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la modifica dell'art. 62-bis cod. pen., disposta con il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente non è più sufficiente lo stato di incensuratezza dell’imputato (Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, Guarnieri, Rv. 283489 - 01; Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986; Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, Papini, Rv. 260610; Sez. 1, n. 3529 del 22/09/2013, Stelitano, Rv. 195339).
8.Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod.
proc. pen., essendo essa ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente nella misura di € 3.000,00. Il Collegio intende in tal modo esercitare la facoltà, introdotta dall’art. 1, comma 64, legge n. 103 del 2017, di aumentare, oltre il massimo edittale, la sanzione prevista dall’art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso considerate le ragioni della inammissibilità stessa come sopra indicate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 20/03/2025.