REPUBBLICA
ITALIANA
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
PER
LA LOMBARDIA
BRESCIA
Registro
Ordinanze:
Registro Generale:
451/2001
nelle
persone dei Signori:
FRANCESCO
MARIUZZO Presidente
RENATO
RIGHI
Cons.
ALESSANDRA
FARINA Cons.,
relatore
ha
pronunciato la seguente
ORDINANZA
nella
camera di consiglio del 15 Maggio
2001
Visto
il ricorso 451/2001 proposto da:
CAVA
TELGATA SRL
rappresentata
e difesa da:
ALGANI
ALDO
con
domicilio eletto in BRESCIA
VIA
V.EMAN. II,60
presso
CARZERI
RUBENS
contro
COMUNE
DI TORRE PALLAVICINA
rappresentato
e difeso da:
BONARDI
FRANCO
ed
elettivamente domiciliato
presso
la Segreteria della Sezione,
in
Brescia via Malta, 12;
PROVINCIA
DI BERGAMO
rappresentata
e difesa da:
CODIGNOLA
ENRICO
VAVASSORI
GIORGIO
con
domicilio eletto in BRESCIA
VIA
ROMANINO,16
presso
CODIGNOLA
ENRICO
e
nei confronti di
MARCONI
GIUSEPPE NATALE
non
costituitosi in giudizio;
per
l'annullamento,
previa
adozione di misura cautelare, dell’ord. resp. 30.1.01, n. 454 e delib. G.C.
24.2.00, n. 15, concernenti esecuzione interventi di bonifica e ripristino
ambientale mediante presentazione progetto e conferimento incarico per
esecuzione indagini;
Visti
gli atti e i documenti depositati con il ricorso;
Vista
la domanda di sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato,
presentata in via incidentale dalla parte ricorrente;
Visto
l'atto di costituzione in giudizio di:
COMUNE
DI TORRE PALLAVICINA
PROVINCIA
DI BERGAMO
Udito
il relatore Cons. ALESSANDRA FARINA e,
uditi, altresì, i difensori delle parti;
Premesso
il generale potere di controllo in materia di rifiuti attribuito alla Provincia
ex art. 20, 1° comma lett. c Dlgs n. 22/97;
Ritenuto,
peraltro, che tale potere non escluda le competenze in materia di tutela di
inquinamento da rifiuti attribuite dallo stesso Dlgs n. 22/97 al Comune,
specificatamente dagli artt. 14 e 17, 3° e 4° comma, nonché dagli artt. 8 e
10 D.M. 471/99;
Tenuto
conto, altresì, della competenza attribuita allo stesso Comune dalla normativa
regionale – L.R. 14/98 – in materia di coltivazione di cava;
Richiamati
i poteri comunali di diffida ex art. 17, comma 4° nei confronti dei soggetti
ritenuti responsabili di inquinamento da rifiuti, in ordine alla redazione del
progetto di bonifica secondo quanto disposto dall’allegato 4 al citato D.M.
471/99;
Ritenuta,
alla luce delle citate disposizioni normative, l’assenza di apprezzabili
profili di fumus boni iuris;
Visto
l’art. 21, ottavo comma, della Legge 6 dicembre 1971, n. 1034, come introdotto
dall’art. 3 della Legge 21.7.2000, n. 205;
P.Q.M.
RESPINGE
la suindicata domanda incidentale di sospensione.
La
presente ordinanza sarà eseguita dall’Amministrazione ed è depositata presso
la Segreteria del Tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti.
BRESCIA,
15 Maggio 2001
ALESSANDRA
FARINA est.
Il
riparto di competenze amministrative e
questioni
di legittimità costituzionale sul Decreto Ronchi.
Il
diritto del Comune al risarcimento
nella
nuova fattispecie del danno
ambientale da bonifica
(a
cura di Annalisa Palomba)
Come è accaduto anche per le più recenti leggi settoriali in materia ambientale, anche nel Decreto Ronchi si è prescelta una ripartizione tra competenze della Provincia e del Comune che perseguisse i criteri del controllo e della gestione in senso stretto del problema dell’inquinamento[1].
Alle
Provincie, infatti, già dal 1990, con la Legge
n. 142, sono state attribuite
funzioni amministrative che
riguardino vaste zone intercomunali o
l’intero territorio provinciale in materia di difesa del suolo ed
organizzazione dello smaltimento a livello Provinciale.
Ai
Comuni, viceversa, vengono per lo più riconosciuti poteri regolamentari e
gestori sui rifiuti[2],
nonché compiti di controllo in materia di bonifica, così come è stato
precisato nell’ordinanza in commento.
Due
aspetti meritano un qualche rilievo: il primo, attiene i profili di legittimità
che sono stati sollevati con riferimento al riparto di competenze amministrative
nell’ambito del Decreto Ronchi; il secondo, riguarda, d’altro canto, la
valorizzazione del ruolo del Comune nel D.M. n. 471 del 1999, con riferimento
alla messa in sicurezza e bonifica dei siti contaminati da rifiuti.
Sotto
il primo profilo, si segnala che il
sistema del Decreto Ronchi è incentrato sulla pianificazione da parte della
Regione, compresa l’elaborazione, approvazione e aggiornamento dei piani
per la bonifica di aree inquinate, giusto l’art. 19), lett. c del D.lgv.
22/1997. Alle Province, come si è visto, vengono assegnati compiti di controllo
e monitoraggio, anche con riferimento agli interventi di bonifica, ai sensi
dell’art. 20, c. 1, lett. b). La dottrina ha avanzato delle perplessità con
riferimento a tale sistema, sia sotto l’aspetto dell’opportunità, che
quello della legittimità costituzionale[3].
L’aspetto
dell’opportunità riguarda la commistione tra competenze amministrative e
tecnico scientifiche: è stato rilevato come non si possa pretendere che i
Comuni siano dotati di capacità tecniche alla luce della specifica capacità
dei siti contaminati ed, inoltre, i raccordi con le Agenzie Regionali per
l’Ambiente in fase di prelievo, campionamento e perimetrazione dei siti
contaminati sono ancora in uno stato di avvio e sperimentazione[4]
Dal
punto di vista della legittimità costituzionale, invece, si ricorda che sono
state sottoposte al vaglio della Corte Costituzionale alcune questioni.
In
ordine alla prima questione, si ricorda la censura inerente la restrizione delle
competenze regionali con riferimento, sia all’art. 117 Cost., sia all’art.
97 Cost., in ragione della incoerente ed inefficiente organizzazione del
settore, uniformando all’eccesso, una disciplina che andrebbe adeguate alle
specifiche esigenze delle singole Regioni.
Non
solo, con precipuo riferimento alla c.d. variante implicite di cui all.’art.
17 del D.glv. 22/1997, è stata
censurata la carenza di qualsivoglia forma di controllo e di intervento da parte
della Regione su dette varianti, specie se si considera il contrasto che tale
compagine crea in relazione alla competenza regionale in materia di piani di
bonifica ed anagrafe dei siti contaminati[5].
Da
ultimo, si consideri che alle Regioni non è dato partecipare agli interventi di
bonifica di interesse nazionale, carenza che è parsa incomprensibile, posto che
comunque la bonifica interessa il territorio di più Regioni. Si era già
ritenuto come tale prassi, senza introdurre l’apposito istituto della
conferenza Stato-Regioni, vada ad indebolire la figura regionale, ciò in
contraddizione con l’attuale e più recente decentramento amministrativo[6].
A
corollario della disciplina sulle competenze nel Decreto Ronchi, merita un
approfondimento anche un altro aspetto: il nuovo danno ambientale da bonifica
riconosciuti ai Comuni.
Vale
in primo luogo osservare che la giurisprudenza, soprattutto la più recente, è
dell’avviso di riconoscere ai
Comuni il risarcimento per danno ambientale.
In
particolare, si legge nelle pronunce della Corte di Cassazione che il danno
all’ambiente va riconosciuto ai Comuni non già in forza dell’art. 18 della
L. 349 del 1986, che ha meramente natura ricognitiva, ma in ragione dell’art.
2043 del codice civile Va, infatti,
distinto, il danno ai singoli beni di proprietà privata o pubblica, che trovano
la loro tutela nelle regole ordinarie ed il danno all’ambiente, considerato
quale bene materiale in sé, ontologicamente diverso dai singoli beni che ne
formano il substrato ed oggetto di specifica tutela da parte dell’ordinamento,
indipendentemente dall’incidente del fatto illecito sui singoli beni o valori
che ne sono componenti[7].
Con
riferimento alla legittimazione degli enti locali per danno ambientale, si è
parlato di i) diritto soggettivo
pubblico all'integrità del territorio[8],
ii) interesse della collettività, la cui lesione comporta un danno pubblico
ambientale[9],
iii) danno pubblico di natura patrimoniale, per gli immediati impegni di spesa
sul bilancio degli enti pubblici che comporta[10],
iv) danno morale[11],
con intenti sanzionatori più che reintegratori e riparatori.
In
conclusione, il danno ambientale è il risultato della lesione di un bene
immateriale con riflessi patrimoniali ed ha natura pubblica. Le più recenti
sentenze, dunque, giustificano la
legittimazione degli enti locali per danno ambientale, perché più da vicino
rappresentano i diritti dei cittadini componenti la comunità stessa, assumono
la veste di danneggiati direttamente ed indirettamente in forza dell'ius
gestionis dell'assetto ecologico del territorio[12].
La
sanzione risarcitoria è considerata conseguenza della situazione giuridica
tutelata.
Ne discende che se il bene ambiente è danno alla collettività e
comunità nel proprio ambito territoriale ed agli interessi all’equilibrio
ecologico, biologico e sociologico del territorio e se anche per il privato
cittadino il danno ambientale potrebbe essere ingiusto nei limiti in cui il
assume rilevanza, rimanendo comunque ferma la tutela del cittadino che ha subito
nocumento dal danno ambientale, implicita è dunque la rilevanza del rapporto
tra il soggetto ed il bene risultante dallo stato dei luoghi, sicché la
specificità dell’insediamento abitativo, dell’habitat naturale non può non
avere rilevanza in tema di legittimazione processuale.
Riconosciuto il risarcimento per danno ambientale ai Comuni, si è posto più attualmente il problema dell’esistenza e della legittimazione degli enti locali minori per danni ambientali da bonifica.
Un’autorevole
dottrina aveva da tempo riconosciuto il danno ambientale se ed in quanto
l’illecito degrado dell’ambiente si
trasforma per l’ente in ulteriori spese, quali la bonifica del territorio
degradato. Si tratta di spese di disinquinamento che investono anche la sfera di
potestà amministrativa dei Comuni, preposti al governo e corretto assetto del
territorio, compresa l’attivazione per le opere di ripristino ambientale[13].
Per quanto riguarda il danno da bonifica in senso stretto, viceversa, la dottrina si è mostrata cauta.
Da una prima lettura dell’art. 17, la dottrina non ha visto una
correlazione immediata tra superamento dei limiti di accettabilità e diritto
del Comune al risarcimento del danno in giudizio. Questa tesi si è fondata
sull’assunto che l’art. 17 del Decreto Ronchi non apparterrebbe storicamente
al sistema della responsabilità civile, storicamente fondato sulla
necessità di riparare una lesione, ma si colloca fra gli strumenti di controllo
del diritto pubblico[14].
Piuttosto l’art. 17 del D.lgv. 22/1997 può essere visto come
una forma di controllo del ripristino dello stato dei luoghi.
Questo orientamento pare oggi essere stato superato dall’integrazione dell’art. 18 della L. 349 del 1986, ad opera dei commi 1 e 2 dell’art. 114 della Legge 388/2000, c.d. finanziaria per il 2001[15].
I nuovi commi 9 bis e 9 ter dell’art. 18 della L. 349 del 1986 hanno previsto un meccanismo ulteriore di risarcimento del danno ambientale, con la previsione della liquidazione, in seguito a condanna, del responsabile per i danni da bonifica, ulteriori rispetto al danno ambientale.
In prima battuta, si è ritenuto che, posta la non perfetta coincidenza tra i concetti di ripristino dello stato dei luoghi e decontaminazione dei siti inquinati da rifiuti, si realizzerebbe un meccanismo finanziario, in base alla connessione logico-giuridica tra danno ambientale di cui all’art. 18 della L. 349 del 1986 ed art. 17 del D.lgv. 22/1997, che consentirebbe di finanziare l’attività di bonifica dei siti contaminati. Non si capisce bene se, tale fondo destinato alla bonifica, già previsto dalla L. 426 del 1998, vada poi a coprire le spese connesse a quel determinato sito o piuttosto costituisca un superfondo, come nel caso del CERCLA Act del 1980 adottati negli Stati Uniti, che vada in generale a finanziarie gli interventi di bonifica, quando non è possibile rintracciare il responsabile o questi è insolvibile.
Il sito inquinato, od il pericolo concreto ed attuale di superamento dei limiti tabellari di cui al D.M. 471 del 1999, costituirebbero una nozione anticipata di danno ambientale, danno che residuerebbe dalla valutazione del più generico art. 18 della L. 349 del 1986, non con riferimento all’ambiente in sé o alla salute pubblica, bensì concentrato al solo sito contaminato ed alle spese di bonifica, al criterio del costo-fattura del ripristino[16].
Si crea, in tal modo, una terza via del risarcimento, ancorata a nuovi e più realistici parametri di risarcimento.
[1] FRANCESCO FONDERICO, Ambiente ed Amministrazione in Italia, Riv. Giur. Ambiente, 5/1997, 633 ss.
[2] PAOLA FICCO, La gestione dei rifiuti. Il nuovo sistema dopo il Decreto Ronchi, II^ ed. Milano, 1998.
[3] ROBERTO RUSSO, Bonifica e messa in sicurezza dei siti contaminati: osservazioni sull’art. 17 del D.lgv. 22/1997, in Riv. Giur. Ambiente, 3-4/1998, 429 ss.
[4] ALDO BUSA’, Bonifica e ripristino dei siti inquinati da rifiuti, Ambiente, 1997
[5] Ricorso Regione Lazio e Toscana, pubblicati su G.U., Serie Speciale, n. 16 del 16.4.1997, 74 ss.
[6] PAOLO MANTINI, La Corte Costituzionale contro lo statalismo e la deregulation in materia di ambiente, in Riv. Giur. Edil., 1992, I, 1035 ss.
[7] CLAUDIO VIVANI, La Cassazione si pronuncia sul diritto dei Comuni al risarcimento del danno ambientale, in Urbanistica ed Appalti, 7/1998, 721 ss.
[8] POSTIGLIONE, Una svolta per il danno all'ambiente, la L. 8.7.1986, n. 349 in Riv. Giur., Amb., 1986, 251.
[9] F. FERLITO, Il ruolo del Comune nella gestione dell'Ambiente, in Foro Amm., 1982, 331; GIAMPIETRO, tutela dell'ambiente e danno ambientale, R.G.A.; 1986, 492.
[10] G. CAMARDA, Ambiente, ambiente marino e danno ambientale, Riv. Giur. Amb., 1986, 511.
[11] LINA BIGLIAZZI GERI, A proposito di danno ambientale e di responsabilità civile, relazione al Convegno tenutosi a Milano, 1987; contra MARIO LIBERTINI, Le nuove frontiere del danno risarcibile, in Contratto ed impresa, 1987, 122-123: la tesi del diritto all'ambiente come diritto della personalità, inaccettabile in ogni caso per l'impossibilità di mediare fra diverse scelte individuali imponderabili (in senso tecnico), assume vieppiù il carattere di un'architettura impossibile, quando la si vuol coniugare con ricostruzioni globali del bene ambiente; ed ancor più, si raggiunge una sorta di surrealismo giuridico, quando a questi enunciati si accosta talora quello per cui l'ambiente sarebbe anche un bene patrimoniale.
[12] FRANCESCO PISCIOTTA, I presupposti erronei della tutela ambientale, in TAR, 1985, 195 ss. MARIO BELLOCCI, la configurazione dell’ambiente nella più recente giurisprudenza della Corte Costituzionale, Diritto e Scienza dell’amministrazione, 513 e ss. 1988.
[13] GUIDO GREDO, L’illecito degrado dell’ambiente ed il problema del risarcimento dei danni subiti dagli enti pubblici, in Studi in onore di Antonio Amorth, 1980, 453 ss.
[14] ROBERTO RUSSO, cit.
[15] Legge 23.12.2000 n. 388 in GU 302 del 29.12.2000.
[16] A.A.VV., La bonifica dei siti contaminati, a cura di F. GIAMPIETRO, Milano, 2001, 505 ss.