DIVIETO DELLE IMMISSIONI E TUTELA DELLA SALUTE. LA TUTELA DELL’AMBIENTE ED IL DANNO AMBIENTALE. CONFIGURABILITA’ DELL’INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO COME GETTO PERICOLOSO DI COSE.

di Barbara Blasco

L’istituto delle immissioni ha la sua origine nei rapporti di vicinato, nell’ambito dei quali non è sempre facile individuare l’entità dei diritti contrastanti in capo a soggetti diversi.

L’articolo 844 considera come immissione ogni emissione di fumi, calori, suoni o odore, non dando, tuttavia, un elenco tassativo, avendo la stessa giurisprudenza ammesso un’interpretazione estensiva della norma a tutte le ipotesi che presentano determinati e specifici caratteri, considerandola alla stregua di una clausola aperta, utilizzabile anche con riferimento a propagazioni simili.

Si ritiene, dunque, che le immissioni debbano essere effetto indiretto e mediato di attività lecite poste in essere in via continuativa o periodica, ma mai accidentale, proprio in quanto sarebbe considerata alla stregua di un atto illecito generatore di responsabilità, ai sensi del 2043 del codice, l’immissione diretta nel fondo altrui, essendo il facere in alieno sempre illecito.

Le immissioni per essere tali devono essere materiali, cioè percettibili attraverso i sensi dell’uomo o apparecchi rilevatori, in modo da incidere direttamente sull’uomo in base ad un preciso nesso di causalità.

Il requisito della materialità, infatti, ha indotto ad escludere la sanzionabilità di immissioni solo ideali, quali, ad esempio, quelle prodotte da comportamenti sconci o contrari alla morale comune.

Le immissioni considerate nella norma codicistica sono quelle provenienti dal fondo vicino e non, invece, prodotte da specifiche situazioni ambientali, tant'è che la disciplina di cui al 844 regola i rapporti tra proprietari vicini e fornisce al proprietario del fondo o a chi vive sullo stesso, un’azione reale a tutela della proprietà. Le attività immissive poste in essere dal proprietario del fondo trovano un limite nella normale tollerabilità, ma per fissare in maniera certa tale parametro, la dottrina ha precisato che il limite non è costituito dalla normalità dell’esercizio di una certa attività, bensì dalla tollerabilità di chi deve subirla.

Tale soglia non è stata predeterminata in modo rigido, non essendo normativamente agganciata a nessun parametro, onde per cui per individuarla e riempire di contenuti tale formula, occorre agganciarla a casi concreti, riferirsi alla condizione dei luoghi e calarsi, dunque, nella prospettiva del fondo disturbato, avendo riguardo alla normale destinazione dei luoghi, alle attività normalmente svolte in un determinato contesto, nonché alla situazione ambientale ed alle abitudini degli abitanti, oltre che, eventualmente, anche al tipo di sfruttamento urbanistico della zona considerata.

In ragione dell’intento di tutelare l’attività industriale, nel secondo comma dell’articolo in esame, si afferma l’importanza di contemperare le ragioni della proprietà e, dunque, l’interesse privato con le ragioni della produzione, ossia con l’interesse pubblico, vagliando la tollerabilità delle immissioni alla luce delle modalità con le quali vengono prodotte e delle attività che le causano.

Del rapporto tra il primo ed il secondo comma dell’articolo 844 viene data una lettura differente, in quanto per la tesi maggioritaria, tali due previsioni sono autonome e si configurano tre diversi tipi di immissioni (tollerabili lecite, intollerabili illecite ed intollerabili lecite, proprio perché permesse dall’ordinamento giuridico); per altra, invece, uno stesso fatto non può al contempo essere considerato lecito ed illecito, onde per cui il giudice per valutarlo è chiamato, in sostanza, a contemperare le contrapposte esigenze dei proprietari con un ampio potere discrezionale volto alla tutela sia della proprietà statica, sia di quella dinamica.

A fronte di immissioni ritenute intollerabili, l’interprete può distinguere quelle che, pur superando la normale tollerabilità sono, però, lecite e per la produzione delle quali è previsto un indennizzo.   Questo è fissato in relazione alla diminuzione del valore venale del bene per effetto delle immissioni e con riferimento alle ripercussioni che esse hanno sull’uso del bene ed indipendentemente dalla colpa di colui che le ha prodotte.

Molto discussa è la natura del rimedio indennitario, perché secondo una parte della giurisprudenza sussisterebbe in tal caso una sorta di responsabilità da atto dannosa, ma lecito; per altra, invece, si tratterebbe di un vero e proprio risarcimento del danno commisurato alla minore o impossibile utilizzazione del bene, estendendo per analogia a queste fattispecie le norme sulle servitù coattive.

Al di là di questi casi, le immissioni sono ritenute illecite, in quanto non autorizzate, proprio perché le esigenze della proprietà sono prevalenti. A favore del proprietario del fondo danneggiato sorgono, infatti, due distinte azioni tra loro cumulabili, una inibitoria, a carattere reale e rivolta all’eliminazione della causa dell’immissione; l’altra, a carattere personale, tesa al risarcimento dell’eventuale danno ex 2043, essendo una responsabilità oggettiva, automaticamente prodotta con il superamento della normale tollerabilità.

Per fare cessare le immissioni intollerabili, il proprietario può agire anche con il rimedio di cui all’articolo 949, ovvero con l’azione negatoria, di natura reale, a difesa della proprietà, con la quale, infatti, il proprietario tende a fare accertare l’illegittimità del’immissione in via definitiva, facendola, perciò, cessare in quanto se essa fosse tollerata ne deriverebbe la nascita di una servitù.

Altro possibile esito del giudizio comparativo di interessi può essere l’utilizzo di poteri ordinatori del giudice, con i quali si può autorizzare l’immissione a condizione che il soggetto immettente adotti particolari accorgimenti, idonei a far rientrare l’immissione entro la soglia della normale tollerabilità.

Legittimato attivo ad esperire l’azione di cui al 844 non è solo il proprietario, ma anche il conduttore o titolare di un diritto reale o di godimento sul fondo, quanto, invece, alla legittimazione passiva la giurisprudenza ritiene che l’azione di cui al 844 sia diretta oltre che contro il proprietario del fondo immettente, anche contro l’autore materiale dell’immissione.

L’intollerabilità dell’immissione può anche essere soggettiva, in quanto può ledere il diritto alla salute di un determinato individuo, e la giurisprudenza tradizionale in tal caso tendeva a negare l’applicabilità della tutela ex 844 del codice. Tale questione ha trovato alterne soluzioni in dottrina e giurisprudenza perché, in passato, un lungo dibattito si è sviluppato intorno alla possibilità di sganciare la disciplina delle immissioni da una mera logica proprietaria rivolta a regolare i soli rapporti di vicinato, ma anche a fornire tutela a più ampio raggio, coprendo l’individuo in quanto tale e non solo se ed in quanto proprietario.

Secondo un certo orientamento dottrinale, l’articolo 844 avrebbe in se una grande forza espansiva, proprio perché potrebbe sicuramente ricollegarsi alla garanzia della salute e della salubrità ambientale del luogo, al di là degli stretti ed angusti limiti di tutela dei diritti domenicali, stante l’accertata primazia del bene salute sugli interessi economici della produzione. Per la tesi suvvista, in sostanza, occorre valutare la normale tollerabilità in un quadro ambientale complessivo e non solo nell’alveo di un’attività quotidiana svolta dall’immittente in un dato territorio, in modo tale, perciò, che il proprietario potesse agire ex art. 844 nella sua dimensione reale, cioè a tutela della proprietà, ed in quella personale, a tutela del diritto ala salute ex art. 32 della costituzione, con un danno risarcibile ex art. 2043, a fronte di attività protrattesi nel tempo, senza la predisposizione di adeguate tutele per la salute.

Tali argomenti non sono stati abbracciati dalla giurisprudenza più recente che tutt’ora ritiene l’articolo in oggetto saldamente ancorato ad una logica proprietaria e, quindi, sostanzialmente, sgancia tale articolo dalla tutela aquiliana del diritto alla salute ex art. 2043.

La proposta contemperativa è quella del Bianca, in ordine alla valenza da dare all’articolo 844 in riferimento alla tutela del diritto alla salute. Se, infatti, con il termine salute si intende riferirsi al concetto di salute organica, allora questa non può essere in alcun modo lesa o messa in pericolo, non essendo, dunque, possibile alcun contemperamento tra opposti interessi in gioco, secondo lo schema dell’articolo 844.

Se, invece, la salute è intesa in un’accezione psicofisica, è allora possibile operare quel contemperamento suvvisto e l’articolo in esame, pur non potendo tutelare il diritto alla salute ed alla salubrità ambientale in via diretta ed immediata, può farlo, tuttavia, in via aggiuntiva e secondaria.  Il diritto alla salute, in sostanza, nella sua accezione di diritto di libertà, abbraccia anche un diritto negativo di difesa, a fronte di aggressioni provenenti da privati, onde per cui potrebbe essere implicitamente incluso nell’articolo 844, considerandolo in un’ottica costituzionalmente orientata.  Occorre, tuttavia, dire che dalla lettura di quest’ultimo si evince come tale disposizione non consideri l’inquinamento alla stregua di un fattore immissivo, essendo l’opposizione di tale fenomeno affidato a discipline di carattere pubblicistico.

Per la giurisprudenza di maggioranza, l’interferenza tra la disciplina privatistica e pubblicistica è di tipo relativo, per cui in caso di superamento dei limiti pubblicistici, ciò non vale a connotare l’immissione intollerabile a livello civilistico e ciò proprio a dimostrazione della diversità dei beni protetti dalle due normative.

Per quanto attiene, invece, alla tutela dell’ambiente, fino alla recente riforma del titolo quinto, la costituzione non considerava alcun espresso richiamo ad essa ed anche oggi l’unico riferimento che viene fatto è quello relativo al riparto di competenze tra stato e regioni.

La stessa definizione giuridica della parola ambiente è controversa, in quanto questo concetto è variegato e multidimensionale, tanto che è arduo individuare una nozione giuridica che non risulti in concreto troppo generica.

Nel diritto ambientale, in sostanza, confluiscono tutte quelle discipline di settore in cui si persegue come finalità la tutela degli equilibri ecologici: la disciplina dell’acqua, dell’aria e del rumore; la difesa del suolo; lo smaltimento dei rifiuti; la protezione della natura e delle aree protette; la valutazione dell’impatto ambientale ed i tentativi di neutralizzare il rischio di danno ambientale.

Effetto trainante per la definitiva affermazione di un diritto ambientale è svolto dalla disciplina comunitaria che da tempo ha inserito l’ambiente tra i principi fondamentali del suo ordinamento ed ha fissato tre criteri cardine per la sua gestione: la prevenzione e la correzione alla fonte dei danni causati all’ambiente, finalizzato, perciò, ad azzerare la necessità di interventi successivi alla produzione del danno ambientale; la regola chi inquina paga; il criterio precauzionale, atto ad individuare on certezza scientifica i nessi tra attività umane e danni procurati all’ambiente.

Si sono individuate, inoltre, due categorie di soggetti, a seconda della valutazione in merito alla possibilità che essi determinino una minaccia effettiva, o anche solo potenziale, all’ambiente, ed in tal caso a costoro la produzione del danno ambientale sarà imputata a titolo di responsabilità oggettiva, a differenza di altre patologie di soggetti per i quali occorrerà non prescindere dall’imputazione del danno a titolo di dolo o di colpa.

La materia della tutela dell’ambiente e del’ecosistema è talmente vasta e trasversale da non poter non interferire con le materie regionali, essendo oggi unanimemente considerata un valore costituzionale primario, onde per cui lo stato ha il compito di fissare standard di tutela uniformi sull’intero territorio nazionale, ma ciò non significa escludere le regioni dalla cura di interessi funzionalmente collegati a quelli ambientali.

Lo stato ha, in sostanza, il compito di porre in essere quelle grandi scelte strategiche per la tutela dell’ambiente, essendo necessario muoversi in ottemperanza ad adeguate scelte scientifiche. Il diritto ambientale ha acquisito sempre più dignità ed autonomia, ma il legislatore si è, tuttavia, mosso il più delle volte in virtù di finalità emergenziali, più che sistematiche, con conseguenze disastrose sul piano dell’unità del sistema che ne è derivato.

L’esigenza di accorpamento delle varie fonti legislative si è concretizzata grazie all’emanazione del testo unico sull’ambiente in cui le parole d’ordine sono riordino e semplificazione.

La finalità che con esso si è tentato di perseguire è stata quella di garantire il più possibile la salute della comunità, tanto che dal binomio salute-ambiente ne è derivato il diritto alla salubrità ambientale.

Perché possa correttamente parlarsi di danno ambientale è obbligatorio che gli effetti favorevoli di una componente ambientale vengano meno in modo significativo e misurabile.

Il T.U. prevede l’apertura di un vero e proprio procedimento amministrativo che s’innesta su denunce o in base a verifiche d’ufficio, onde per cui in presenza di minacce gravi ed imminenti, il ministro dell’ambiente adotta un’ordinanza urgente ed extra ordinem.

Accertato, dunque, il pregiudizio all’ambiente ed individuati i responsabili, la massima autorità garante della tutela dell’ambiente, imporrà loro il ripristino dello stato dei luoghi che, qualora impossibile o eccessivamente oneroso, sarà sostituito dall’obbligo di risarcimento del danno per equivalente economico.

La quantificazione di tale obbligo ha una funzione più che riparatoria sanzionatoria che, tuttavia, non può essere inferiore, anche se forfettaria, all’entità delle sanzioni amministrative irrogate per aver violato le prescrizioni ambientali.

Anche le associazioni ambientali possono agire in giudizio quali sostituti processuali del comune o della provincia interessata dal danno ambientale e ciò in quanto l’interesse alla tutela dell’ambiente è un interesse diffuso, anche se lo stato è comunque deputato ad avere un ruolo fondamentale nella sua gestione. E’ fondamentale, perciò, che sia tutt’al più il singolo soggetto che ha subito un danno alla sua salute a seguito del danno ambientale a costituirsi in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni dai responsabili presso il giudice ordinario, non potendo agire, invece, in sua vece, l’associazione ambientalista.

Per valutare in modo certo la nocività delle immissioni, al di là del criterio relativo determinato dalla situazione dello stato dei luoghi dettato dall’articolo 844, la legge quadro sull’elettrosmog 36 del 2001 ha utilizzato, per definire l’inquinamento elettromagnetico, il riferimento ad apposite tabelle, rinviando, attraverso la tecnica di tipizzazione legislativa della norma penale in bianco, ad un atto di normazione secondaria.

La normale tollerabilità dell’immissione doveva valutarsi nell’alveo di un quadro ambientale complessivo e non solo nell’ambito di un’attività quotidiana posta in essere dall’immittente in un dato territorio. Il riferimento alle tabelle, fondamentale sia ai fini di un controllo ex ante che ex post, è utile tanto se si fa valere in giudizio il proprio legittimo diritto domenicale ed il consequenziale diritto a non subire immissioni in grado di svalutare il fondo, quanto se in tale giudizio si innesta una pretesa risarcitoria alla salubrità ambientale.

Il risultato è un sistema complesso, a carattere tecnico-amministrativo, in cui l’atto autorizzativo all’attività immissiva, se rispettoso dei requisiti legali, toglie qualsiasi profilo d’illiceità penale al fatto.

A fronte della lesione del diritto alla salute di chi è coinvolto dalle immissioni delle centrali propaganti onde elettromagnetiche, è sorto il problema anche della relativa competenza giurisdizionale. L’attività immissiva posta in essere dalle centrali elettromagnetiche, se lesiva del diritto alla salute dei singoli individui, rientra nell’alveo del sindacato del giudice ordinario, in quanto i comportamenti pregiudicanti la salute sono meri comportamenti materiali, non ricollegabili a nessun esercizio di poteri funzionali ed autoritativi della P.A. e, come tali, incapaci di degradare il diritto soggettivo alla salute in interesse legittimo.

Se, al contrario, si ritiene che l’attività materiale di gestione o erogazione del servizio sia da considerarsi solo attuativa del provvedimento funzionale autorizzatorio della P.A. allora la giurisdizione sarà quella, innegabilmente quella esclusiva del g.a.

La tutela del diritto alla salute è alla base di tutti quei provvedimenti inibitori delle attività immissive, in virtù dei quali, anche in mancanza di prove certe a carattere tecnico statistico del nesso di causalità tra fatto immissivo ed evento lesivo pregiudizievole alla salute, il g.o. può condannare a provvedimenti inibitori o ad un facere specifico, a massimo presidio del diritto alla salute, costituzionalmente garantito.

In merito alla sussumibilità nel reato di getto pericoloso di cose, ex articolo 674 del codice penale, della condotta del gestore dell’impianto che propaga onde elettromagnetiche in misura superiore ai limiti tabellari, occorre dire che tale previsione non poteva certo rientrare nell’ambito previsionale dell’articolo 844 in tema d’immissioni, in quanto in tal caso si trattava di immissioni non percettibili sotto il profilo percettivo o sensoriale.

Parte della giurisprudenza e della dottrina hanno affermato l’impossibilità di ricomprendere nella nozione di cosa l’onda elettromagnetica, in quanto essa non ha una sua materialità, tipica del concetto di cui al 674, ed anche perché, se il legislatore avesse voluto ricomprendere nel concetto di cosa l’energia, l’avrebbe fatto espressamente, com’è avvenuto con riferimento al reato di furto.

Per altra giurisprudenza è ben possibile ricomprendere l’onda e l’energia elettromagnetica nel concetto di cosa in generale e ciò in quanto, al momento dell’emanazione del codice Rocco non era ancora avvertito il fenomeno del’inquinamento elettromagnetico, onde per cui, con un’interpretazione evolutiva, si potrebbe rientrare nel 674.

La Cassazione in un primo tempo ha abbracciato la prima delle tesi suvviste, in quanto ha sostenuto che il concetto di cosa presupponga inevitabilmente che la cosa sia preesistente in natura, in quanto il 674 prevede e sanziona un getto pericoloso che ha una valenza offensiva concreta, per cui tra l’illecito penale da esso descritto e quello amministrativo contemplato dalla legge quadro sull’elettrosmog non c’è un rapporto di specialità, quanto piuttosto tra norma amministrativa di pericolo astratto e una penalistica di pericolo concreto.

Aderendo a tale tesi, perché possa dirsi consumata la fattispecie di reato, non sarebbe sufficiente il superamento del limite tabellare, essendo necessario, altresì, che il giudice verifichi la concreta pericolosità di quel particolare tipo di superamento e valuti i diversi interessi in gioco, dovendo salvaguardare quello di rilevanza primaria, ossia il diritto alla salute.

Secondo un diverso orientamento, invece, il 674 configurerebbe un reato di pericolo astratto, onde per cui, ai fini dell’integrazione del reato, basterebbe solo il superamento del limite tabellare, esonerando il giudice penale dalla difficile valutazione comparativa degli interessi in gioco e dell’effettiva pericolosità della propagazione.

Per tale tesi, in sostanza, l’articolo 15 della legge 36 del 2001 tutela solo l’interesse formale all’osservanza dei limiti tabellari, mentre il 674 salvaguarda, invece, il bene sostanziale, ossia la salute pubblica. In tal modo l’agente, commettendo un solo fatto, violerebbe tanto le norme amministrative, quanto quelle penali. A livello civilistico, così facendo, sarebbe inoltre possibile innestare in uno stesso giudizio pretese che si fondano su diritti diversi, anche se fanno capo allo stesso titolare, e che mirano ad ottenere risultati non sovrapponibili (misure, cioè, interdittive da un lato, e risarcitorie dall’altro).