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Sez. 3, Sentenza n. 5468 del 11/01/2005 Ud. (dep. 14/02/2005 ) Rv. 230916
Presidente: Papadia U. Estensore: Squassoni C. Relatore: Squassoni C. Imputato: Rizzi. P.M. D'Angelo G. (Conf.)
(Rigetta, Trib. Udine sez.dist. Palmanova, 17 gennaio 2003)
INDAGINI PRELIMINARI (Cod. proc. pen. 1988) - ATTIVITÀ DELLA POLIZIA GIUDIZIARIA - accertamenti urgenti su luoghi, cose e persone - Irripetibilità - Applicabilità nelle indagini relative a reati in materia ambientale - Fattispecie in tema di gestione e deposito di rifiuti non pericolosi.

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Massima (Fonte CED Cassazione)
In tema di reati ambientali relativi alla gestione ed allo smaltimento dei rifiuti, costituisce un accertamento urgente su cose o situazioni suscettibili per loro natura di subire modificazione o di scomparire in tempi brevi, secondo quanto previsto dall'art. 354 cod.proc.pen., l'osservazione immediata e diretta dello stato dei luoghi, effettuata dalla polizia giudiziaria in relazione allo stoccaggio di rifiuti non pericolosi (Nel caso di specie, la Suprema Corte ha ritenuto necessaria ed urgente la verifica della consistenza, stato e modalità di gestione di "alghe e materiale spiaggiato", in quanto rifiuti in putrefazione che causavano esalazioni maleodoranti, con rischi per la salute e per l'ambiente).

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. PAPADIA Umberto - Presidente - del 11/01/2005
Dott. VITALONE Claudio - Consigliere - SENTENZA
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere - N. 3
Dott. GRILLO Carlo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. SARNO Giulio - Consigliere - N. 040156/2003
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) RIZZI STEFANO;
avverso SENTENZA del 17/01/2003 TRIB.SEZ.DIST. di PALMANOVA;
visti gli atti, la sentenza ed il procedimento;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. SQUASSONI CLAUDIA;
Udito il Pubblico Ministero nella persona del Dott. D'ANGELO Giovanni che ha concluso: rigetto del ricorso;
udito il difensore avv. Raffaele Candullo (ROMA).
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con sentenza 17.1.2003, il Tribunale di Udine sd Palmanova ha ritenuto Rizzi Stefano responsabile dei reati previsti dall'art. 51 c. 1 DLvo 22/1997 (per avere effettuato attività di raccolta e recupero di rifiuti non pericolosi - alghe e materiale spiaggiato - in violazione della ordinanza 31.8.2000 della Provincia di Udine) e dall'art. 51 c. 4 DLvo 22/1997 (per avere effettuato attività di raccolta e recupero dei rifiuti su precisati in violazione delle condizioni e dei requisiti richiesti dall'art. 33 DLvo 22/1997 e dal DM 5.2.1998); il Tribunale, concesse le attenuanti generiche ed uniti i reati con il vincolo della continuazione, ha condannato l'imputato alla pena di euro ottomila di ammenda.
Per giungere a tale conclusione, il Giudice ha, innanzi tutto, disatteso la richiesta difensiva tendente alla estromissione dal fascicolo del dibattimento del verbale di accertamento 3.8.2000 stante la natura irripetibile dell'atto, che descriveva situazioni suscettibili di subire modificazioni. Nel merito, il Giudice - in base al ricordato verbale, reputato utilizzabile, ed alle dichiarazioni dei testi- ha ritenuto provato la violazione dell'art. 51 c. 4 DLvo 22/1997 per lo stoccaggio di materiali in quantità superiore ai limiti ammessi, per l'assenza di previa vagliatura dei rifiuti sul luogo di produzione, per la carenza di cautele idonee ad evitare danni alla salute ed allo ambiente, per la collocazione della attività in zona commerciale anziché artigianale-industriale come comunicato nello avvio della procedura. Inoltre, per quanto concerne la contravvenzione di cui all'art. 51 c. 1 DLvo 22/1997, il Giudice ha rilevato come l'imputato non avesse ottemperato alla diffida della Provincia 31.8.2000 di non proseguire la attività.
Avverso la sentenza, Ricci ha proposto appello che è stato correttamente qualificato dalla Corte territoriale come ricorso per Cassazione essendo la sentenza del primo Giudice solo sindacabile ex art. 593 uc c.p.p..
Nei motivi di impugnazione, deduce difetto di motivazione e violazione di legge, in particolare, rilevando:
- che il verbale di accertamenti del 3.8.2000 è inutilizzabile perché non sono state evidenziate le ragioni di urgenza che hanno giustificato il ricorso alla procedura non garantita dell'art. 354 c.p.p. e non a quella specifica, per il caso di possibile mutamento dello stato dei luoghi, prevista dall'art. 360 c.p.p.;
- che l'imputato non è stato posto in grado di contestare le affermazioni degli agenti in contraddittorio e con l'ausilio di propri consulenti tecnici e ciò ha comportato violazione dei diritti della difesa;
- che gli inquirenti si sono limitati ad effettuare rilievi senza l'espletamento di quelle investigazioni, fattibili anche in epoca posteriore al sopralluogo, che il caso richiedeva;
- che, per il reato di cui all'art. 51 c. 1 DLvo 22/1997, è incorso in un errore scusabile di diritto non ritenendo che la inottemperanza all'ordine avesse rilevanza penale per il contenuto della ordinanza 31.8.2000;
- che il piano regolatore era stato modificato dopo la comunicazione ex art. 33 DLvo 22/1997 per cui è da escludersi la consapevolezza dell'imputato di esercitare l'attività in zona vietata. Il Collegio rileva che le deduzioni non sono meritevoli di accoglimento per cui il ricorso deve essere rigettato con le conseguenze di legge.
La Polizia Giudiziaria, a norma dell'art. 354 c.p.p. è legittimata a compiere una serie di attività tipiche ed atipiche: può effettuare gli accertamenti urgenti sui luoghi, sulle cose e sulle persone, provvedere al sequestro di urgenza onde assicurare che le tracce e le res concernenti il reato siano conservate e che la situazione non sia mutata prima che il Pubblico Ministero intervenga o assuma la direzione delle indagini.
La norma permette alla Polizia di prendere le opportune iniziative perché gli elementi probatori non si disperdano; se necessario, per gli accertamenti ed i rilievi, la Polizia può farsi assistere, ex art. 348 u.c. c.p.p., da persone dotate di specifiche competenze tecniche che forniscono un parere non destinato ad essere utilizzato come prova. A sensi dell'art. 354 c.p.p., gli accertamenti che concernono cose o situazioni suscettibili per loro natura di subire modificazione e, addirittura, di scomparire in tempi brevi (così che, in seguito, potrebbero solo essere riferiti o descritti) possono essere effettuati, a ragione della improcrastinabile urgenza, in assenza del difensore che, tuttavia, ha il diritto di intervenire senza essere avvisato. I ricordati accertamenti, essendo atti ontologicamente irripetibili, sono acquisiti al fascicolo per il dibattimento ed, in seguito a lettura, veicolano nel novero delle prove utilizzabili dal Giudice al fine della decisione. Gli accertamenti eseguiti in mancanza delle condizioni di urgenza richieste dalla norma sono inficiati da nullità a regime intermedio per violazione dell'art. 178 lett. e c.p.p.; alcuni ritengono che sono, comunque, utilizzabili nei giudizi della alternativa inquisitoria trattandosi di irregolarità non riconducibile alle nullità di ordine generale ne' alla inutilizzabilità prevista per le prove acquisite in violazione dei divieti di legge (Cass. Sez. 3 27.3.1990, Castaldi).
Differente è la previsione dell'art. 360 c.p.p., che è una alternativa deflativa allo incidente probatorio, ed è applicabile quando siano necessari accertamenti tecnici per cui sono necessarie specifiche competenze e che riguardano situazioni soggette a modificazione e, pertanto, non sono differibili o ripetibili; in tale caso, occorre, per la peculiare situazione, un accertamento avente valore di prova in tutti i tipi di giudizio per cui il Pubblico Ministero può optare per l'incidente probatorio o per la particolare procedura prevista nell'art. 360 c.p.p.. Tanto premesso, il Collegio rileva che, nella ipotesi concreta, non si può seriamente dubitare del requisito della urgenza per la stessa situazione operativa che aveva richiesto l'intervento della Polizia; occorreva, infatti, verificare la consistenza, lo stato e le modalità di gestione di rifiuti in putrefazione che causavano emanazioni maleodoranti, per le quali vari cittadini si erano lamentati, con possibili danni o ricadute negative per la salute e l'ambiente. Gli accertamenti effettuati a sensi dell'art. 354 c.p.p. si sono limitati ad una osservazione immediata e diretta dello stato dei luoghi ed alla descrizione oggettiva e statica della situazione dei rifiuti e, pertanto, non richiedevano l'intervento della difesa. L'attività della Polizia è stata circoscritta a dei "meri rilievi" come segnala lo stesso imputato nei motivi di impugnazione quando lamenta del mancato espletamento di più approfondite investigazioni. Di conseguenza, gli accertamenti in oggetto - rimasti nell'ambito di operatività dell'art. 354 c.p.p. - sono stati correttamente inseriti nel fascicolo del dibattimento ed utilizzati ai fini decisori. Necessita, tuttavia, verificare la tesi della difesa secondo la quale non era sufficiente una descrizione dello stato dei luoghi, ma occorreva l'espletamento di un accertamento tecnico posto in essere da un esperto. La critica ha consistenza solo per quanto riguarda la misurazione del materiale reperito dal momento che la mancata selezione dei rifiuti e la inesistenza di un adeguato sistema di raccolta dei liquidi di percolazione erano circostanze evidenziabili e valutabili senza particolari conoscenze tecniche. Ora la misurazione della quantità dei rifiuti giacenti è stata effettuata dalla Polizia avendo come referente il perimetro del sito ove giaceva il materiale e l'altezza del loro cumulo; trattasi di una attività squisitamente materiale e la elaborazione dei dati è stata limitata alla effettuazione di in calcolo, pertanto sempre ripetibile, che non richiedeva l'apporto di persone dotate di specifiche competenze tecniche o scientifiche.
Sul punto, il ricorrente non pone in discussione i dati fattuali dai quali è stata tratta la misurazione ne' il metodo della stessa, ma formula generiche censure prive della necessaria specificità e concretezza; i consulenti di parte - della cui mancanza il ricorrente si duole deducendo violazione dei diritti della difesa - ben potevano essere nominati, a sensi dell'art. 233 c. 1 c.p.p., anche in assenza di indagini garantite della autorità giudiziaria.
Per quanto concerne il reato previsto dall'art. 51 c. 1 DLvo 22/1997, il ricorrente stesso ammette un errore sul precetto, cioè, la mancata conoscenza che il proseguimento della attività, nonostante il divieto imposto dalla ordinanza 31.8.2000 della Provincia di Udine, costituisse un fatto penalmente rilevante.
Tale tipo di errore non scusa a meno che possa considerarsi inevitabile a sensi della sentenza 364/1988 della Corte Cost.; sul tema, il ricorrente segnala che la circostanza che gli ha precluso la comprensione delle conseguenze della sua condotta era da individuarsi nella specificazione, contenuta nel provvedimento di interdizione dalla attività, dei soli rimedi amministrativi esperibili. La prostettazione non ha consistenza dal momento che la Pubblica amministrazione - non menzionando le sanzioni penali che avrebbero dovuto essere note allo interessato - non aveva tenuto alcun comportamento positivo dal quale l'imputato potesse ragionevolmente ritenere lecita penalmente la prosecuzione della sua attività; la mancata conoscenza del precetto appalesa che il ricorrente è venuto meno al dovere, che incombe ad ogni consociato in vista della osservanza delle regole penali, di informazione prima di intraprendere una attività normativamente disciplinata. La residua deduzione non è puntuale in fatto in quanto il testo della sentenza da atto che, all'epoca delle comunicazioni effettuate ex art. 33 DLvo 22/1997, il piano regolatore era mutato con una variante che, stante la sua pubblicità, avrebbe dovuto essere nota allo imputato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 11 gennaio 2005.
Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2005