Pres. Papa Est. Petti Ric. Rando
Rifiuti. Autosmaltimento
L'autosmaltimento , a norma dell'articolo 32 D.Lv. 22-97, può essere effettuato decorsi novanta giorni dalla comunicazione d'inizio attività alla provincia a condizione però che siano rispettate le norme tecniche dettate per tale attività dal Governo in persona dei Ministri competenti (Ambiente,Industria Commercio, Artigianato ecc). I decreti ministeriali devono individuare per ciascun tipo di attività le quantità di rifiuti, i procedimenti, i metodi e le condizioni di smaltimento . Senza l'adozione dei decreti ministeriali non è possibile avvalersi della procedura semplificata e l'interessato è obbligato a richiedere l'autorizzazione. Ora, mentre per le attività di recupero di cui all'articolo 33 sono stati adottati decreti ministeriali, analoga iniziativa non è stata assunta per l 'autosmaltimento. L’ attività svolta in assenza di autorizzazione non configura una violazione meramente formale perché non può essere demandato all'arbitrio del singolo la scelta delle quantità o delle condizioni ritenute più idonee per l'autosmaltimento
La disciplina anzidetta non ha subito modificazioni più favorevoli a seguito dell'entrata in vigore del decreto legislativo n 152 del 2006
Udienza pubblica dell'8 novembre 2006
SENTENZA N. 1730
REG. GENERALE n. 46645/2004
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dai sigg. magistrati:
Dott. Enrico
Papa
presidente
Dott. Ciro
Petti
consigliere
Dott. Vincenzo
Tardino
consigliere
Dott. Alfredo Maria
Lombardi
consigliere
Dott. Franco
Amedeo
consigliere
Ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sul ricorso proposto dal difensore di Rando Francesco, nato a Genova il 12 agosto del 1937, avverso la sentenza del tribunale di Roma del 26 settembre del 2003;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Ciro Petti;
sentito il P.M. nella persona del sostituto procuratore generale dott. Vittorio Meloni, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso
sentito il difensore avv. Gian Michele Gentile il quale ha concluso per l'accoglimento del ricorso
letti il ricorso e la sentenza denunciata, osserva quanto segue
IN FATTO
Con sentenza deI 26 settembre del 2003, il tribunale di Roma condannava
Rando Francesco alla pena, condizionalmente sospesa, di €
8000,00 di ammenda, quale responsabile, in concorso di circostanze
attenuanti generiche, del reato di cui all'articolo 51 comma 1 lettera
a) del D. L.vo n 22 del 5 febbraio 1997, per avere, nella sua
qualità di responsabile della società "E Giovi",
con sede in Roma, la quale gestiva la discarica di Malagotta,
effettuato senza la prescritta autorizzazione, iscrizione o
comunicazione di cui agli artt 27, 28, 31 e 33 del decreto legislativo
citato, attività di smaltimento del percolato,
tramite trattamento di inertizzazione mediante l'uso di calce viva, al
fine di renderlo palabile e depositarlo nella discarica stessa,
limitatamente al periodo compreso tra il 2 marzo del 2001 ed il 12
dicembre del 2002.
Il tribunale, dopo avere precisata che il trattamento innanzi indicato
consisteva in un'operazione di smaltimento di cui all'allegato B)
lettera d ) del decreto legislativo n. 22 del 1997 e per ciò
necessitava di specifica autorizzazione, osservava che non era
applicabile l'articola 32 del decreto citato perché non
risultavano ancora emanate norme tecniche per quanto concerneva il
trattamento del percolato; che l'autorizzazione rilasciata in
precedenza all'imputato era scaduta a norma dell'articolo 57 decreto
Ronchi a seguito del decorso del quadriennio successivo all'entrata in
vigore del decreto citato; che i provvedimenti autorizzativi successivi
al marzo del 2001 e fino al mese di dicembre del 2002 non riguardavano
gli impianti relativi alla raccolta ed al trattamento del percolato e
quindi l'attività di autosmaltimento doveva ritenersi
illecita fino al dicembre del 2002.
Ricorre per cassazione l'imputato sulla base di un unico articolato
motivo.
IN DIRITTO
Preliminarmente va respinta l'istanza avanzata in sede di discussione
diretta alla produzione di nuovi documenti, tendenti, secondo il
difensore, alla dimostrazione in via interpretativa dell'esistenza di
un'autorizzazione implicita. Invero i documenti esibiti per la prima
volta in sede di legittimità non sono ricevibili
perché il nuovo codice di rito non ha previsto all'articolo
613 c.p.p., diversamente dall'abrogato articolo 533, tale
facoltà, giacché il legislatore del 1988 ha
voluto esaltare il ruolo di pura legittimità della Corte
suprema, la quale procede non ad un esame degli atti, ma soltanto alla
valutazione della logicità della motivazione e della sua
correttezza sotto il profilo giuridico. In cassazione possono essere
introdotti solo documenti relativi a cause estintive del reato che non
richiedono accertamenti fattuali, all'ius superveniens
ed in genere documenti sopravvenuti non attinenti al merito (Cass.
giugno del 1999 Calascibetta). Nella fattispecie, peraltro, secondo
quanto riferito dallo stesso difensore, dalla nuova documentazione si
dovrebbe desumere in via interpretativa l'esistenza di
un'autorizzazione implicita. Si tratterebbe quindi di un documento che
richiede comunque un'indagine di merito e che non può essere
esaminato separatamente dagli altri documenti, e d'altra parte, sarebbe
irrilevante perché l'autorizzazione deve essere esplicita.
Ciò premesso, con l'unico motivo di ricorso il difensore
deduce la violazione della norma incriminatrice nonché
contraddittorietà della motivazione desumibile dal testo del
provvedimento. Il ricorrente, dopo avere premesso che il processo di
trattamento in questione non è chimico - fisico,
come ritenuto dal tribunale, ma unicamente fisico, posto che la
possibilità di ricovero di tali rifiuti liquidi in discarica
si realizza solo attraverso la loro solidificazione e la loro
palabilità, osserva che tale operazione non costituisce
trattamento perché non mira al recupero o alla
riutilizzazione del rifiuto; che pertanto è errato il
riferimento all'allegato b) del decreto Ronchi, perché, per
il ricovero in discarica di quel percolato reso palabile, non era
necessaria alcuna autorizzazione. In ogni caso l'autorizzazione si
poteva considerare contenuta nei decreti deI 2001 che avevano avuto ad
oggetto la discarica in questione. Sostiene infine che illegittimamente
il tribunale aveva escluso l'applicabilità dell'articolo 32
del decreto dianzi citato per la ritenuta mancata formale adozione
delle norme tecniche di cui all'articolo 31 del medesimo decreto:
infatti l'esistenza delle condizioni tecniche di sicurezza, peraltro
già esistenti nella prassi, era stata di fatto constatata
dalla provincia allorché aveva concesso l'autorizzazione del
1987.
Il motivo è infondato.
A norma dell'articolo 5 del decreto Ronchi Io smaltimento deve essere
effettuato in condizioni di sicurezza e costituisce la fase residuale
dell'attività di gestione dei rifiuti. A norma dell'articolo
6 lettera g) del citato decreto, per smaltimento si intendono tutte le
operazioni indicate nell'allegato B) che sono quindici e sono
costituite per Io più da sistemi e tecnologie di
smaltimento, fatta eccezione per quelle indicate sotto i punti d) 14 e
d) 15, che costituiscono operazioni preliminari e temporanee
preordinate all'espletamento di quelle precedenti. La più
semplice operazione di smaltimento è costituita dal mero
deposito sul suolo e nel suolo di cui al punto d/l) senza alcun
trattamento. A norma degli articoli 27 e 28 decreto Ronchi sia la mera
realizzazione di un impianto di smaltimento che la stessa
attività di smaltimento devono essere autorizzate. Tuttavia
l'obbligo dell'autorizzazione è inderogabile solo per
l'attività di smaltimento vero e proprio ossia per il
conferimento in discarica mentre può essere derogato da
procedure semplificate per quanto riguarda le attività di
recupero e quelle di autosmaltimento. L'esercizio
dell'attività di smaltimento senza l'autorizzazione o, nei
casi in cui è consentita, senza l'adozione della procedura
semplificata è sanzionata a norma dell'articolo 51 decreto
legislativo n. 22 del 1997, il quale dispone che "chiunque
effettua un'attività di raccolta, trasporto, ... smaltimento
ecc in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o
comunicazione di cui agli artt 27, 28, 29, 30, 31, 32 e 33 è
punito.." Dall'uso del termine "prescritta"
si evince che non è sufficiente una qualsivoglia generica
autorizzazione, ma ciascuna attività deve essere
esplicitamente assentita con la procedura specificamente prevista per
essa ed alle condizioni appositamente stabilite. L'autosmaltimento, a
norma dell'articolo 32, può essere effettuato decorsi
novanta giorni dalla comunicazione d'inizio attività alla
provincia a condizione però che siano rispettate le norme
tecniche dettate per tale attività dal Governo in persona
dei Ministri competenti (Ambiente, Industria Commercio, Artigianato
ecc). I decreti ministeriali devono individuare per ciascun tipo di
attività le quantità di rifiuti, i procedimenti,
i metodi e le condizioni di smaltimento. Senza l'adozione dei decreti
ministeriali non è possibile avvalersi della procedura
semplificata e l'interessato è obbligato a richiedere
l'autorizzazione. Ora, mentre per le attività di recupero di
cui all'articolo 33 sono stati adottati decreti ministeriali, analoga
iniziativa non è stata assunta per
l'autosmaltimento. L'imputato quindi non poteva avvalersi della
procedura semplificata. Non si tratta di una violazione meramente
formale, come sostiene il difensore, perché non
può essere demandato all'arbitrio del singolo la scelta
delle quantità o delle condizioni ritenute più
idonee per l'autosmaltimento.
La disciplina anzidetta non ha subito modificazioni più
favorevoli per l'imputato a seguito dell'entrata in vigore del decreto
legislativo n 152 del 2006.
Nella fattispecie, il tribunale si è attenuto a tali
principi e, con motivazione esente da vizi logici, ha accertato che
'l'imputato non era in possesso dell'autorizzazione prescritta per
l'attività dì autosmaltimento e, d'altra parte,
non poteva optare per la procedura semplificata per la mancata adozione
dei decreti indicati nell'articolo 31 del decreto legislativo n. 22 del
1997.
Per il rigetto del ricorso il ricorrente è tenuto al pagamento
delle spese processuali
P. Q. M
la Corte
Letto l'art. 616 c.p.p.,
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma l'8 novembre del 2006
Il consigliere estensore Il Presidente
Ciro Petti Enrico Papa