Cass. Sez. III n. 29084 del 8 luglio 2015 (Cc 14 mag 2015)
Pres. Franco Est. Ramacci Ric. Favazzo ed altra
Rifiuti. Materiali provenienti da demolizioni
I materiali provenienti da demolizioni rientrano nel novero dei rifiuti in quanto oggettivamente destinati all'abbandono, l'eventuale recupero è condizionato a precisi adempimenti, in mancanza dei quali detti materiali vanno considerati, comunque, cose di cui il detentore ha l'intenzione di disfarsi; l'eventuale assoggettamento di detti materiali a disposizioni più favorevoli che derogano alla disciplina ordinaria implica la dimostrazione, da parte di chi le invoca, della sussistenza di tutti i presupposti previsti dalla legge
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Messina, con ordinanza del 29/12/2014 ha rigettato la richiesta di riesame avverso il decreto di sequestro preventivo emesso il 29/11/2014 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Patti e concernente un'area di circa 4.000 mq di proprietà di MACINA Maria Eloisa, ipotizzandosi, nei confronti della stessa e del marito FAVAZZO Filadelfio, il reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, commi 1 e 3, e, nei confronti di quest'ultimo soltanto, anche la contravvenzione prevista e sanzionata dall'art. 734 c.p.. Avverso tale pronuncia i predetti propongono congiuntamente ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia. 2. Con un primo motivo di ricorso deducono la violazione di legge, lamentando che la motivazione dell'ordinanza impugnata sarebbe apparente, illogica ed incoerente e che il Tribunale avrebbe omesso di considerare le allegazioni difensive, concernenti l'insussistenza di una discarica, per essere il terreno interessato dalla sola presenza di rocce, utilizzate per lavori di piccola manutenzione del fondo.
Rilevano, inoltre, che la composizione morfologica dei materiali rinvenuti non sarebbe stata comunque accertata, come necessario, mediante consulenza tecnica, così come mancherebbe l'accertamento della quantità dei materiali medesimi mediante pesatura. Non risulterebbero verificate, inoltre, eventuali movimentazioni dei materiali medesimi e la temporaneità del deposito.
Aggiungono che i giudici del riesame non avrebbero tenuto conto della natura di sottoprodotto dei materiali rinvenuti sull'area in sequestro, provenienti da attività di escavazione effettuata in fondi limitrofi di loro proprietà e "destinati al riutilizzo in successivi processi di produzione" e del fatto che, nella fattispecie, mancherebbero i requisiti, individuati dalla giurisprudenza di questa Corte, per la configurabilità del reato di discarica abusiva.
Mancherebbe, dunque, un corretto accertamento circa la sussistenza del fumus del reato ipotizzato.
3. Con un secondo motivo di ricorso deducono la inesistenza e mera apparenza della motivazione anche con riferimento al periculum in mora, rilevando che il Tribunale avrebbe fatto ricorso a frasi di stile, richiamando il contenuto del provvedimento del G.I.P., facendo ricorso ad una inammissibile motivazione per relationem. 4. Con un terzo motivo di ricorso lamentano l'assoluta carenza di motivazione in relazione alla sussistenza del reato di cui all'art. 734 c.p., contestato al solo FAVAZZO Filadelfio e concernente lo
sbancamento della sommità di una collina e la destinazione a cava di un'area di circa 8.000 mq non di sua proprietà ne' in suo possesso. Insistono, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Occorre preliminarmente ricordare, con riferimento al primo motivo di ricorso, che la costante giurisprudenza di questa Corte si è ripetutamente espressa nel senso che il ricorso per cassazione avverso l'ordinanza emessa in sede di riesame di provvedimenti di sequestro (probatorio o preventivo) può essere proposto esclusivamente per violazione di legge e non anche con riferimento ai motivi di cui all'art. 606 c.p.p., lett. e), pur rientrando, nella violazione di legge, la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente in quanto correlate all'inosservanza di precise norme processuali (Sez. U, n. 5876 del 28/1/2004, Bevilacqua, Rv. 226710. V. anche Sez. 6, n. 6589 del 10/1/2013, Gabriele, Rv. 254893; Sez. 5, n. 35532 del 25/6/2010, Angelini, Rv. 248129; Sez. 6, n. 7472 del 21/1/2009, Vespoli, Rv. 242916; Sez. 5, n. 8434 del 11/1/2007, Ladiana, Rv. 236255). Tale evenienza non si è verificata nel caso in esame, in quanto la motivazione del provvedimento impugnato non presenta affatto vizi così radicali quali quelli indicati dalla giurisprudenza richiamata, tanto è vero che il ricorso, pur denunciando, in premessa, la mera apparenza della motivazione, si diffonde, poi, in una articolata critica delle argomentazioni sviluppate dai giudici del riesame, contraddicendo così, in maniera plateale, l'iniziale assunto. 2. Il Tribunale ha, in ogni caso, evidenziato come, dal verbale di sequestro e dalla documentazione fotografica acquisita, risulti che l'area sottoposta a sequestro, soggetta a vincolo idrogeologico, ZPS e ubicata in zona B del Parco dei Nebrodi, è interessata dalla presenza di materiale proveniente da "demolizione di strutture edili" misto a terre e rocce da scavo, per un volume di circa 350 mc, livellato ed accumulato, nel corso degli anni, con l'apparente ausilio di mezzi meccanici.
Dato atto di tale circostanza, i giudici del riesame chiariscono anche che le emergenze indiziarie poste in evidenza smentiscono le contrarie allegazioni difensive, volte a sostenere la provenienza dei materiali dall'attività di scavo e la successiva utilizzazione in successive attività.
Si tratta, come è evidente, di argomentazioni che definiscono con chiarezza lo stato dei luoghi e rispondono in maniera adeguata alle censure difensive.
3. Invero, pur essendo il Tribunale del riesame obbligato ad esaminare anche le confutazioni e gli elementi offerti dagli indagati che possano avere influenza sulla configurabilità e sulla sussistenza del "fumus" del reato contestato (Sez. 3, n. 27715 del 20/5/2010, Barbano, Rv. 248134; Sez. 3, n. 18532 del 11/3/2010, D'Orazio, Rv. 247103), si è precisato, da parte della giurisprudenza di questa Corte, che il suo compito è pure quello di espletare il proprio ruolo di garanzia non limitando la propria cognizione alla astratta configurabilità del reato, dovendo invece considerare e valutare tutte le risultanze processuali in modo coerente e puntuale, esaminando, conseguentemente, non solo le allegazioni probatorie del Pubblico Ministero, ma anche le confutazioni e gli altri elementi offerti dalla difesa degli indagati che possano influire sulla configurabilità e sussistenza del fumus del reato ipotizzato (ex pi., Sez. 5, n. 49596 del 16/9/2014, Armento, Rv. 261677; Sez. 5, n. 28515 del 21/5/2014, Ciampani e altri, Rv. 260921; Sez. 4, Sentenza n. 15448 del 14/3/2012, Vecchione, Rv. 253508; Sez. Ili n. 27715/2010 cit.; Sez. 3, n. 26197 del 5/5/2010, Bressan, Rv. 247694; Sez. MI n. 18532/2010 cit., con ampi richiami ai precedenti) con l'ulteriore precisazione che il suo sindacato, lungi dall'estendersi ad ogni questione prospettata dall'indagato, resta comunque vincolato entro limiti ben precisi, rappresentati dalla effettiva influenza della questione dedotta sulla fondatezza del fumus del reato e che, pertanto, la valutazione richiesta non può ritenersi dovuta in presenza di qualsiasi allegazione difensiva che si risolva in una mera negazione degli addebiti o in una diversa lettura degli elementi acquisiti, ma solo quando la rilevanza dell'apporto della difesa sia di immediata evidenza ed oggettivamente determinante in relazione al "fumus commissi delicti" (Sez. 3, n. 13038 del 28/2/2013, Lapadula, Rv. 255114; Sez. 3 n. 19658 del 9/5/2012, Basile, non massimata; Sez. III n. 19331, 17 maggio 2011, non massimata; Sez. 3 n. 7242, 27/4/2011, Tocchini non massimata). 4. Ciò posto, deve rilevarsi anche come il Tribunale abbia chiaramente evidenziato che le allegazioni difensive risultavano meramente assertive, non fornendo alcun concreto elemento a sostegno dell'affermazione di una diversa natura e destinazione dei materiali rinvenuti sull'area in sequestro ed erano contraddette dalle risultanze investigative poste in evidenza.
Altrettanto avviene nel ricorso sottoposto all'attenzione di questa Corte, dove si continua a negare la natura di rifiuto dei materiali suddetti e la loro destinazione ad una successiva utilizzazione. Tali argomentazioni, tuttavia, oltre a porsi nuovamente in contrasto con dati fattuali evidenziati dai giudici del riesame e non suscettibili di valutazione in questa sede di legittimità, si basano su affermazioni inconferenti e giuridicamente errate. 5. Va infatti rilevato come, ai fini della configurabilità del reato ipotizzato, non sia affatto necessario l'espletamento di una consulenza tecnica per accertare la natura e la composizione dei rifiuti ne', tanto meno, la loro pesatura per verificarne la quantità esatta, quando, come nel caso di specie, tali dati siano verificabili attraverso l'esame diretto.
Invero il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 184, comma 3, lett. b), definisce come rifiuti speciali quelli derivanti dalle attività di demolizione e costruzione, nonché i rifiuti che derivano dalle attività di scavo, fermo restando quanto disposto dall'articolo 184- bis in materia di sottoprodotti (v. Sez. 3, n. 3202 del 2/10/2014 (dep. 2015), Giaccari, Rv. 262128; Sez. 3, n. 17823 del 17/1/2012, Celano, Rv. 252617; Sez. 3, n. 37280 del 12/6/2008, Picchioni, Rv. 241088; Sez. 3, n. 33882 del 15/6/2006, P.M. in proc. Barbati ed altri, Rv. 235114).
Dunque, le caratteristiche del rifiuto e la sua classificazione, considerata la natura, non necessitano, di regola, di particolari verifiche o analisi, essendone immediatamente rilevabile la provenienza e trattandosi di materiali del quale solitamente ci si disfa, salvo destinarli a successivi impieghi che vanno, però, dimostrati, cosa che non è avvenuta nel caso in esame. 6. I ricorrenti si riferiscono infatti, in un primo momento, del tutto incidentalmente, ad una non meglio specificata "temporaneità del deposito" che i giudici del riesame avrebbero omesso di considerare, per poi affermare che i materiali sarebbero classificabili come sottoprodotti.
Tali circostanze risultano, però, platealmente smentite da un dato fattuale inequivocabile posto in evidenza dai giudici del riesame laddove si evidenzia, nell'ordinanza impugnata, che i rifiuti risultavano livellati ed accumulati sul posto nel corso degli anni, verosimilmente mediante l'ausilio di mezzi meccanici. Una simile evenienza è, da sola, chiaramente sintomatica della definitiva collocazione dei rifiuti sull'area sequestrata. Inoltre, tanto il deposito temporaneo (se a quello definito dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183 comma 1, lett. bb), intendono riferirsi i ricorrenti) quanto i sottoprodotti, necessitano di specifici requisiti chiaramente indicati dalla legge, la cui sussistenza deve essere dimostrata da chi invoca l'applicazione di tali disposizioni che derogano alla disciplina generale sui rifiuti (v. Sez. 3, n. 17453 del 17/4/2012, Buse, Rv. 252385; Sez. 3, n. 16727 del 13/04/2011, Spinello, non massimata; Sez. 3, n, 41836 del 30/09/2008, Castellano, Rv. 241504, in tema di sottoprodotti; Sez. 3, n. 15680 del 3/3/2010, Abbatino, non massimata; Sez. 3, n. 21587 del 17/3/2004, Marucci, non massimata; Sez. 3, n. 30647del 15/06/2004, Dell'Angelo, non massimata, in tema di deposito temporaneo e, con riferimento alle terre e rocce da scavo, Sez. 3, n. 35138 del 18/6/2009, Bastone Rv. 244784; Sez. 3, n. 37280 del 12/6/2008, Picchioni, Rv. 241087; Sez. 3, n. 9794 del 29/11/2006 (dep. 2007), Montigiani, non massimata sul punto) e, nel caso in esame, tale dimostrazione manca del tutto.
In ogni caso, difetterebbero, quanto meno, secondo quanto accertato in fatto nell'ambito della limitata cognizione attribuita ai giudici del riesame, la raccolta dei rifiuti nel luogo della produzione con riferimento al deposito temporaneo (atteso che gli stessi ricorrenti affermano, a pag. 6 del ricorso, che i materiali provenivano da "attività di escavazione compiuta su fondi limitrofi di loro proprietà") e, per ciò che riguarda i sottoprodotti, l'origine da un "processo di produzione", di cui costituiscono parte integrante. 7. Deve conseguentemente affermarsi il principio secondo il quale i materiali provenienti da demolizioni rientrano nel novero dei rifiuti in quanto oggettivamente destinati all'abbandono, l'eventuale recupero è condizionato a precisi adempimenti, in mancanza dei quali detti materiali vanno considerati, comunque, cose di cui il detentore ha l'intenzione di disfarsi; l'eventuale assoggettamento di detti materiali a disposizioni più favorevoli che derogano alla disciplina ordinaria implica la dimostrazione, da parte di chi lo invoca, della sussistenza di tutti i presupposti previsti dalla legge. 8. I ricorrenti, inoltre, contestano la sussistenza del fumus del reato di discarica abusiva, il quale, però, è motivatamente ritenuto dimostrato, in fatto, dai giudici del riesame, proprio in relazione alle più volte ricordate condizioni dei rifiuti rinvenuti. L'articolo 256, comma 3, che sanziona la realizzazione e gestione di discarica abusiva al di fuori dei casi sanzionati dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 29 quattordecies, comma 1, deve essere letto in
correlazione con il D.Lgs. 13 gennaio 2003, n. 36, recante la "attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti".
Nel D.Lgs. n. 36 del 2003, art. 2, comma 1, lett. g), si rinviene una definizione della nozione di discarica, specificandosi che per tale deve intendersi un'area "adibita a smaltimento dei rifiuti mediante operazioni di deposito sul suolo o nel suolo, compresa la zona interna al luogo di produzione dei rifiuti adibita allo smaltimento dei medesimi da parte del produttore degli stessi, nonché qualsiasi area ove i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno".
Aggiunge la richiamata disposizione che "sono esclusi da tale definizione gli impianti in cui i rifiuti sono scaricati al fine di essere preparati per il successivo trasporto in un impianto di recupero, trattamento o smaltimento, e lo stoccaggio di rifiuti in attesa di recupero o trattamento per un periodo inferiore a tre anni come norma generale, o lo stoccaggio di rifiuti in attesa di smaltimento per un periodo inferiore a un anno", consentendo così, grazie all'indicazione del dato temporale, di distinguere la discarica da altre attività di gestione.
Prescindendo dal richiamare le diverse pronunce di questa Corte sulla nozione di discarica, è sufficiente ricordare che si ha discarica abusiva tutte le volte in cui, per effetto di una condotta ripetuta, i rifiuti vengono scaricati in una determinata area, trasformata di fatto in deposito o ricettacolo di rifiuti con tendenziale carattere di definitività, in considerazione delle quantità considerevoli degli stessi e dello spazio occupato (cfr. Sez. 3, n. 47501 del 13/11/2013, Caminotto, Rv. 257996; Sez. 3, n. 27296 del 12/5/2004, Micheletti, Rv. 229062).
La discarica abusiva dovrebbe presentare, orientativamente, una o più tra le seguenti caratteristiche, la presenza delle quali costituisce valido elemento per ritenere configurata la condotta vietata: accumulo, più o meno sistematico, ma comunque non occasionale, di rifiuti in un'area determinata; eterogeneità dell'ammasso dei materiali; definitività del loro abbandono;
degrado, quanto meno tendenziale, dello stato dei luoghi per effetto della presenza dei materiali in questione.
Si è ulteriormente precisato che il reato di discarica abusiva è configurabile anche in caso di accumulo di rifiuti che, per le loro caratteristiche, non risultino raccolti per ricevere nei tempi previsti una o più destinazioni conformi alla legge e comportino il degrado dell'area su cui insistono, anche se collocata all'interno dello stabilimento produttivo (Sez. 3, n. 41351 del 18/9/2008, Fulgori, Rv. 241533; Sez. 3, n. 2485 del 9/10/2007(dep. 2008), Marchi, non massimata sul punto).
Le conclusioni cui è pervenuto il Tribunale appaiono, pertanto, perfettamente in linea con i richiamati principi giurisprudenziali. 9. Parimenti corrette appaiono le determinazioni dei giudici del riesame in relazione alla valutazione del periculum in mora, oggetto di censura nel secondo motivo di ricorso, poiché, anche in questo caso, la motivazione non può dirsi meramente apparente. Il giudici del riesame hanno infatti legittimamente richiamato le conclusioni cui era pervenuto il Giudice per le indagini preliminari, affermando di condividerle e, pertanto, dimostrando di averle sottoposte ad adeguato vaglio critico, ricordando come la libera disponibilità dell'area avrebbe potuto agevolare la reiterazione della condotta illecita o la commissione di altri reati, nonché l'aggravamento delle conseguenze di quello oggetto di provvisoria incolpazione, considerata la particolarità della zona interessata dalla discarica abusiva, trattandosi di area sottoposta a vincolo idrogeologico, ambientale e paesaggistico.
La infondatezza del motivo di ricorso appare, pertanto, di macroscopica evidenza.
10. Per ciò che concerne, infine, il terzo motivo di ricorso, deve rilevarsi che, come risulta dalle stesse argomentazioni sviluppate dai ricorrenti, la contestazione, al solo FAVAZZO, del reato di cui all'art. 734 c.p., riguarda condotte poste in essere su un'area diversa da quella interessata dalla discarica e rispetto alla quale non viene mossa alcuna censura, affermando peraltro i ricorrenti di non esserne proprietari ne', tanto meno, possessori. È pertanto evidente che nessun obbligo di motivazione avevano i giudici del riesame rispetto a fatti diversi da quelli posti a fondamento della misura cautelare reale oggetto di impugnazione. 11. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Così deciso in Roma, il 14 maggio 2015.
Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2015