Cass. Sez. III n. 38514 del 16 ottobre 2007 (Ud. 9 ott. 2007)
Pres. Lupo Est. Marini Ric. Cogoni
Rifiuti. Materiale da demolizioni (recupero)

Il materiale proveniente da demolizioni edili è rifiuto che resta tale sino al completamento delle attività di separazione e cernita, in quanto la disciplina in materia di gestione dei rifiuti si applica sino al completamento delle operazioni di recupero, tra le quali l'art. 183 lett. h) del d.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152 indica la cernita o la selezione.. Deve poi essere provato in quali termini e con quali destinazioni detti materiali verranno integralmente riutilizzati così come la destinazione al totale reimpiego in tempi certi

Rileva

Il Tribunale di Cagliari con sentenza in data 29 novembre 2005 ha condannato il Sig.Cogoni, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di mesi otto di arresto e euro 4.000,00 di ammenda, con confisca dell’area in sequestro, per il reato previsto dal comma terzo dell’art. 51 del d.lgs. n. 22 del 1997 per avere realizzato una discarica di rifiuti anche pericolosi.

Fatto accertato il 13 novembre 2003

Il Tribunale ha fondato la propria decisione sulla circostanza che una ricognizione aerea ed un successivo sopralluogo avevano consentito di verificare che all’interno dell’intera area di proprietà della Snc Cogoni Luigi, area di circa mq 1.600, completamente recintata e accessibile solo tramite un cancello, si trovavano abbandonati rifiuti eterogenei (materiali di demolizione; veicoli fuori uso, pneumatici, materiali ferrosi; accumulatori di piombo, imballaggi). Tali fatti sono stati ritenuti integrare gli estremi della realizzazione dì una discarica non autorizzata.

Con unico motivo di appello il Sig. Cogoni ha censurato la sentenza del Tribunale, affermando che la presenza di materiale vario, adeguatamente separato per categoria e accumulato in modo ordinato, poteva eventualmente integrare l’ipotesi di “deposito incontrollato”, ai sensi del comma secondo del contestato art. 51 d.lgs. n. 22 del 1997.

La Corte di Appello ha respinto l’impugnazione, ritenendo che le caratteristiche dei materiali depositati nell’area non consentissero di accedere alla prospettazione dell’appellante. Il fatto che i materiali fossero raccolti altrove e quindi trasportati nell’area, distante dai luoghi di produzione dei rifiuti, ove venivano accumulati deve essere valutato, secondo la Corte territoriale, anche alla luce del d.lgs. n. 36 del 2003, ed in particolare degli artt. 1 e 2, lett. g). Secondo la Corte, infatti, risulta provato che i materiali depositati erano destinati a restarvi per un lasso di tempo incerto e non preventivato, in alcuni casi certamente superiore ad un anno. Infine, secondo la Corte territoriale, tale ricostruzione dei fatti ed i principi fissati dal d.lgs. n. 36 del 2003 restano validi anche successivamente all’entrata in vigore del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, posto che la nozione di discarica abusiva, sanzionata dall’art. 256, resta ancorata al disposto del d.lgs. n. 36 del 2003.

Avverso tale decisione il Sig. Cogoni presenta ricorso per cassazione lamentando i vizi di travisamento dei fatti e illogicità della motivazione, nonché di errata applicazione sia dell’art. 192 c.p.p. sia della disposizione contenuta nell’art. 51 d.lgs. n. 22 del 1997.

Erroneamente i giudici di merito avrebbero ritenuto provato che i veicoli ed altri materiali fossero stati depositati oltre un anno prima dell’accertamento, posto che nessuna prova sussiste in tal senso per i veicoli a motore e che per i materiali edili i testimoni della difesa hanno attestato che essi provenivano da attività svolte nell’estate del 1993, e cioè pochi mesi prima del sopralluogo. Sarebbero, dunque, del tutto assenti le prove dell’esistenza di un deposito di materiali riconducibili al concetto di discarica in senso proprio, mentre avrebbe dovuto ipotizzarsi l’esistenza di un deposito controllato di rifiuti propri, come tale non più previsto come reato.

 

Osserva

Il ricorso risulta manifestamente infondato per le ragioni di seguito illustrate.

1. Va osservato in via preliminare che le doglianze relative all’errata applicazione dell’art. 192 c.p.p. si caratterizzano come motivo in fatto, come tale sottratto alla valutazione di questa Corte. Ed infatti, il giudizio avanti la Corte di cassazione risponde a logiche e finalità sue proprie, che non ripetono quelle del giudizio nei gradi di merito. Sul punto, con riferimento anche alla modifica apportata dalla legge n. 46 del 2006 all’art. 606 c.p.p., si rinvia all’ampia motivazione, che viene condivisa da questo Giudice, della sentenza della Seconda Sezione Penale della Corte, 5 maggio-7 giungo 2006, n. 19584, Capri ed altra (rv 233773, rv 233774, rv 233775) e della sentenza della Sesta Sezione Penale, 24 marzo-20 aprile 2006, n. 14054, Strazzanti (rv 233454).

Una dimostrazione della sostanziale differenza esistente tra i due giudizi può essere ricavata, tra l’altro, dalla motivazione della sentenza n. 26 del 2007 della Corte costituzionale, che (punto 6.1), argomentando in ordine alla modifica introdotta dalla legge n. 46 del 2006 al potere di impugnazione del pubblico ministero, afferma che la esclusione della possibilità di ricorso in sede di appello costituisce una limitazione effettiva degli spazi di controllo sulle decisioni giudiziali in quanto il giudizio avanti la Corte di cassazione è “rimedio (che) non attinge comunque alla pienezza del riesame di merito, consentito (invece) dall’appello”.

Se, dunque, il controllo demandato alla Corte di cassazione non ha “la pienezza del riesame di merito” che è propria del controllo operato dalle corti di appello, ben si comprende come il nuovo testo dell’art. 606, lett. e) c.p.p. non autorizzi affatto il ricorso a fondare la richiesta di annullamento della sentenza di merito chiedendo al giudice di legittimità di ripercorrere l’intera ricostruzione della vicenda oggetto di giudizio.

Come fondatamente osservato dalla citata sentenza Capri ed altra, il rapporto tra il disposto degli artt. 544 e 546 c.p.p., e cioè tra completezza e concisione della motivazione, comporta che la motivazione del giudice di merito non deve dare conto di tutti gli elementi di prova esaminati, ma concentrarsi su quelli che assumono valore decisivo ai fini della decisione, posto che la finalità della motivazione resta quello di rendere edotte le parti delle ragioni essenziali della decisione stessa e del percorso logico seguito. E’ all’interno di questa prospettiva di ordine generale che deve essere inteso il riferimento agli specifici atti del processo, con la conseguenza che il giudice di legittimità è chiamato a valutare l’incidenza di eventuali violazioni commesse dalla decisione impugnata sul risultato finale. Restano pertanto escluse dal controllo della Corte “non soltanto le deduzioni che riguardano l’interpretazione e la specifica consistenza degli elementi di prova, ma anche le incongruenze logiche che non siano assolutamente incompatibili con le conclusioni adottate in altri passaggi argomentativi adottati dal giudici; cosicché non possono trovare ingresso in sede di legittimità i motivi di ricorso fondati su una diversa prospettazione dei fatti adottata dai ricorrenti né su altre spiegazioni fornite dalla difesa per quanto plausibili, ma comunque inidonee ad inficiare la decisione di merito. Al di là di questi limiti finirebbe per accreditarsi la Corte di cassazione di poteri rivalutativi che, come tali, appartengono alla sola cognizione del giudice di merito.”.

In altri e conclusivi termini, questa Corte ritiene che il giudizio sulla completezza e correttezza della motivazione della sentenza impugnata non possa confondersi “con una rinnovata valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporsi a quella fornita dal giudice di merito”, con la conseguenza che una motivazione esauriente nell’affrontare i temi essenziali e coerente nella valutazione degli elementi probatori si sottrae al sindacato di legittimità. Conservano, dunque, piena validità anche dopo la novella del 2006 i principi essenziali fissati dalla sentenza delle Sezioni Unite Penali, n. 2120, del 23 novembre 1995-23 febbraio 1996, Fachini (rv 203767).

2. Conformemente ai principi così affermati, la Corte ritiene che non possa dirsi illogica o contraddittoria la motivazione della sentenza impugnata allorché, ribadendo e confermando il giudizio di prime cure, ha considerato che le modalità con cui i rifiuti erano accumulati, la loro provenienza e le loro caratteristiche ed eterogeneità siano elementi nel complesso indicativi della destinazione dell’area a discarica. Sul punto va ricordato che questa Corte ha affermato in modo convincente che quando le sentenza di primo e secondo grado “concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente” (Prima Sezione Penale, sentenza n. 8886 del 26 giugno-8 agosto 2000, Sangiorgi, rv 216906), con la conseguenza che i motivi di ricorso devono essere oggi esaminati alla luce della complessiva motivazione adottata da entrambe le decisioni di merito.

Quanto al consistente materiale proveniente da demolizioni edili, non vi è dubbio che si sia in presenza di rifiuti, che restano tali sino al completamento delle attività di separazione e cernita, in quanto la disciplina in materia di gestione dei rifiuti si applica sino al completamento delle operazioni di recupero, tra le quali l’art. 183 lett. h) del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152 indica la cernita o la selezione. Né risulta provato da parte della difesa in quali termini e con quali destinazioni detti materiali sarebbero stati integralmente riutilizzati dalla ditta del ricorrente (cfr. Sezione Terza Penale, sentenza n. 33882 del 15 giugno-9 ottobre 2006, PM in proc. Barbati e altri, rv 235114).

Analoga incertezza sussiste circa la destinazione al totale reimpiego in tempi certi dei residui materiali rinvenuti, la cui quantità e la cui eterogeneità e collocazione sono stati dai giudici di merito ritenuti indicativi di uno stato di abbandono e di una permanenza superiore al termine di un anno (sul punto si rinvia alla sentenza di questa Sezione, n. l5997 del 14 marzo-19 aprile 2007, Storace, rv  236350, in tema di deposito temporaneo).

3. I motivi di ricorso risultano, pertanto, manifestamente infondati ed il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento.

Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.