Sez. 3, Sentenza n. 8424 del 26/02/2004 (Ud. 16/01/2004 n.00031 ) Rv. 227951
Presidente: Papadia U. Estensore: De Maio G. Imputato: Fiato. P.M. Izzo G. (Parz. Diff.)
(Dichiara inammissibile, App. Catanzaro, 27 dicembre 2002).
614001 SANITÀ PUBBLICA - IN GENERE - Gestione di rifiuti - Materiali da demolizione e scavo - Natura - Rifiuti speciali - Scarico ripetuto in difetto di autorizzazione - Reato di realizzazione di discarica abusiva - Configurabilità.
CON MOTIVAZIONE
Massima (Fonte CED Cassazione)
I materiali provenienti da attività di demolizione o scavo costituiscono rifiuti speciali ai sensi dell'art. 7 del decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22; conseguentemente lo scarico degli stessi attraverso una condotta ripetuta, anche se non abituale e protratta per lungo tempo, configura il reato di realizzazione di discarica non autorizzata di cui all'art. 51 del citato decreto n. 22.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. PAPADIA Umberto - Presidente - del 16/01/2004
1. Dott. VITALONE Claudio - Consigliere - SENTENZA
2. Dott. DE MAIO Guido - Consigliere - N. 31
3. Dott. VANGELISTA Vittorio - Consigliere - REGISTRO GENERALE
4. Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere - N. 014445/2003
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA/ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
FIATO ANTONIO N. IL 24/06/1968;
avverso SENTENZA del 27/12/2002 CORTE APPELLO di CATANZARO;
visti gli atti, la sentenza ed il procedimento;
udita in Udienza pubblica la relazione fatta dal Consigliere Dott. DE MAIO GUIDO;
Udito il P.M. nella persona del Dott. IZZO G. che ha concluso:
rigetto del ricorso;
MOTIVAZIONE
Con sentenza in data 27.12.2002 la Corte d'Appello di Catanzaro confermò la sentenza 26.11.2001 del Giudice monocratico del Tribunale di quella città, con la quale Fiato Antonio era stato condannato, con le attenuanti generiche e la sospensione condizionale, alla pena di mesi otto di arresto e lire dieci milioni di ammenda, perché riconosciuto colpevole del reato di cui agli artt. 51 co. 3 D. L.vo 22/97 ("per avere realizzato e gestito, in assenza di autorizzazione, una discarica di rifiuti speciali - materiale edilizio, eternit ed altro - su suolo di sua proprietà", in Borgia, acc. il 5.10.99).
La sentenza di appello è stata impugnata con ricorso per Cassazione personalmente dall'imputato, il quale ha denunciato, con unico motivo, violazione dell'art. 51 co. 3 D. L.vo 22/97. Il ricorso va dichiarato inammissibile perché le censure propongono questioni di mero fatto, limitandosi a una diversa prospettazione delle risultanze processuali, e sono comunque manifestamente infondate. Infatti, il ricorrente sostiene, innanzi tutto, che "è risultato provato che il sito, presso il quale i CC hanno sorpreso tal Ferro Antonio nell'atto di scaricare da un autocarro del materiale, non è attrezzato ne' destinato a discarica"; che "con interpretazione personale, avulsa dal dato obiettivo e dalle prove testimoniali addotte dalla stessa accusa, ... quella modestissima quantità di materiale inerte non pericoloso osservato dai CC... e di cui al verbale di sequestro, è divenuto, nella parte motiva della sentenza di primo grado, una cospicua quantità di materiale di scarico, operata con dei camion, alla presenza dell'imputato Fiato". Per contro, la sentenza impugnata ha ritenuto, con accertamento di fatto insindacabile in sede di legittimità e sorretto da adeguata motivazione (in quanto basata sui riferimenti dei verbalizzanti e sui rilievi fotografici eseguiti) a) che "sul posto vi era una quantità veramente notevole di materiali provenienti da demolizioni edilizie: frammenti di mattoni, di marmetti e pavimentazioni, eternit, una betoniera, ecc."; b) che tale ammasso di rifiuti, per la sua quantità ed eterogeneità, "non poteva essere stato scaricato in una sola occasione, ma in una pluralità di operazioni, effettuate in tempi diversi, con materiali provenienti da più cantieri". Su tali basi, i giudici di merito hanno fatto ineccepibile applicazione del principio secondo cui i materiali provenienti da demolizioni e scavi costituiscono rifiuti speciali a norma dell'art. 7 co. 3 lett. b) D. L.vo 22/97 e scaricarli in un'area determinata attraverso una condotta ripetuta, anche se non abituale e protratta per lungo tempo, configura quella realizzazione o gestione di discarica per la quale è richiesta l'autorizzazione di cui agli artt. 27 e segg. del citato D. L.vo (tra le molte, Cass. sez. 3^, 28.11.97, Verrastro).
Manifestamente infondata è, poi, la tesi difensiva secondo cui il Fiato non si sarebbe "neppure accorto dell'ingresso sul sito del camion condotto dall'ineffabile Ferro", avendo i giudici di merito persuasivamente rilevato che "la baracca dell'officina del Fiato è posta a pochissimi metri dall'avvallamento ove gli scarichi venivano effettuati", per cui gli stessi "non potevano di certo passare inosservati"; mentre di mero fatto e comunque non decisiva è l'affermazione del ricorrente che "la baracca è posta ad almeno cento metri dall'avvallamento di cui parla la Corte". Manifestamente infondata è anche l'ulteriore deduzione secondo cui la sentenza impugnata "immotivatamente e irragionevolmente estende al Fiato la responsabilità di tutti quegli altri apporti..., per il solo fatto che lo stesso Fiato era il componente della famiglia presente in officina il 5.10.99 e sol perché in quel verbale di sequestro... viene dai CC. indicato - erroneamente - come il proprietario del terreno". Infatti, i giudici di merito hanno basato la riferibilità della discarica all'attuale ricorrente sui seguenti decisivi rilievi: 1) il Fiato aveva la disponibilità del terreno in questione; 2) l'officina di cui si è detto era gestita dallo stesso (in questa sede, non ha importanza se da solo o insieme agli altri componenti della famiglia); 3) per la già sottolineata situazione dei luoghi, egli stesso non poteva non essere a conoscenza degli scarichi (che, quindi, avvenivano con il suo consenso). Del tutto apodittica e infondata è, di conseguenza, anche l'affermazione che il Fiato "deve rispondere del solo fatto del 5.10.99". Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna dell'imputato, che ha sottoscritto personalmente il ricorso, alle spese, nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di cinquecento euro. P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di cinquecento euro alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2004.
Depositato in Cancelleria il 26 febbraio 2004