Cass. Sez. III n. 16957 del 4 maggio 2007
Pres. Onorato Est. Franco Ric. Salamò
Rifiuti. Obbligo di rimozione

E’ illegittima l’ordinanza sindacale di rimozione dei rifiuti abbandonati e di ripristino dei luoghi emessa ex art. 14 del d. lgs. n. 22 del 1997, sost. dall’art. 192 del d. lgs. n. 152 del 2006, nei confronti del proprietario che non abbia abbandonato o concorso nell’abbandono del rifiuto, in quanto non è configurabile a suo carico il reato di cui all’art. 50, comma 2, del decreto n. 22 del 1977, sost. dall’art. 255, comma 2, del decreto n. 152 del 2006. (In applicazione di tale principio la Corte ha confermato la sentenza assolutoria del proprietario di una autovettura abbandonata, successivamente ad un furto, in terreno di terzi).

Svolgimento del processo

Salamò Pietro venne rinviato a giudizio per rispondere del reato di cui all’art. 50, secondo comma, d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, perché, in qualità di proprietario di un’auto rinvenuta abbandonata su una pubblica via di Sanremo, non aveva ottemperato alla ordinanza del dirigente comunale in data 20 maggio 2005 (notificatagli il 27 maggio 2005) che gli ingiungeva di provvedere entro dieci giorni alla rimozione della stessa.

Il giudice del tribunale di Sanremo, con la sentenza in epigrafe, osservò:

- che il veicolo era stato parcheggiato in pessimo stato di conservazione;

- che il 7 giugno 2005 l’imputato, residente in Calabria, aveva denunziato il furto del veicolo in questione, che era stato parcheggiato dal figlio a Pogliano Milanese, senza alcuna intenzione di abbandonarlo;

- che ciò rendeva plausibile che l’imputato non avesse alcuna intenzione di disfarsi della propria auto, abbandonandola, e quindi la stessa non poteva considerarsi rifiuto, sicché veniva meno il presupposto su cui si basava l’ordinanza comunale.

Di conseguenza assolse l’imputato perché il fatto non sussiste.

Il Procuratore generale della Repubblica presso la corte d’appello di Genova propone ricorso per cassazione deducendo inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 50 d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, e mancanza o manifesta illogicità della motivazione, in ordine alla esclusione della responsabilità, essendo risultato che il veicolo, in pessimo stato d’uso, non era più minimamente idoneo alla circolazione ed era irrecuperabile, ed andava quindi qualificato come rifiuto, sicché la eventuale mancanza di intenzione del Salamò di disfarsene era implausibile e comunque irrilevante.

Deduce inoltre, che il reato di cui all’art. 50 d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, è un reato omissivo che è integrato dalla mancata osservanza dell’ordinanza sindacale emanata ai sensi dell’art. 14, terzo comma, con la quale si intima al proprietario la rimozione, senza che rilevi il fatto che l’accumulo di rifiuti non sia ascrivibile al comportamento del destinatario dell’intimazione. E’ quindi irrilevante che il Salamò avesse sporto denuncia di furto dell’auto, posto che del suo ritrovamento e della sua giacenza nella strada di Sanremo aveva avuto rituale notizia con la notificazione dell’ordinanza in questione.

 

Motivi della decisione

Rileva preliminarmente il Collegio che la facoltà di proporre direttamente ricorso per cassazione per la parte che ha diritto di appellare la sentenza di primo grado, prevista dalla disposizione contenuta nell’art. 569, comma 1, cod. proc. pen., è soggetta alle limitazioni stabilite dal terzo comma, sicché in tali casi (art. 606, comma 1, lett. d) ed e)), il ricorso si converte in appello.

Nella specie il reato contestato è punito con la sola pena dell’arresto e, quindi - a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (nella parte in cui, sostituendo l’art. 593 del codice di procedura penale, esclude che il pubblico ministero possa appellare contro le sentenze di proscioglimento) intervenuta con la sentenza n. 26 del 2007 della Corte costituzionale - la sentenza de qua era appellabile da parte del pubblico ministero, sicché il ricorso proposto deve qualificarsi come ricorso per saltum.

Nella specie il ricorrente censura la sentenza impugnata anche sotto il profilo della mancanza o manifesta illogicità della motivazione (accertamento dello stato di conservazione del veicolo di proprietà dell’imputato e sua qualificazione come rifiuto) sollecitando la rivalutazione del merito.

Pertanto, essendo stata sollevata questione attinente al fatto, l’impugnazione va convertita in appello e va disposta la trasmissione degli atti alla corte d’appello di Genova.

Peraltro, questa Corte deve anche porsi il problema se dagli atti emerga in modo evidente una causa di proscioglimento nel merito con conseguente obbligo della sua immediata declaratoria ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.

Ed invero, all’imputato è stato contestato il reato in questione perché, nella sua qualità di proprietario dell’auto abbandonata, non aveva ottemperato all’ordinanza di rimozione del dirigente comunale. Senonché, contrariamente a quanto sostiene il ricorrente Procuratore generale - secondo il quale l’ordinanza ex art. 14, comma 3, d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, potrebbe essere intimata anche al proprietario del rifiuto e quindi il reato di cui all’art. 50, comma 2, potrebbe essere commesso da chiunque non la ottemperi e «sia stato nella stessa individuato come responsabile dell’abbandono o proprietario» (peraltro citando in modo incompleto alcune massime di questa Corte) - va precisato che, invece, l’art. 14, comma 3, cit. (ora trasfuso nell’art. 192, comma 3, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152) prevede che l’ordinanza del sindaco con l’ordine di rimozione, smaltimento e ripristino dei luoghi, può essere emessa solo nei confronti dei soggetti che violino le disposizioni di cui ai commi 1 e 2, ossia dei soggetti che hanno abbandonato i rifiuti e, in solido, nei confronti del proprietario dell’area sulla quale i rifiuti sono stati abbandonati (o del titolare di diritti di godimento sulla stessa) e non anche (come sembra sostenere il ricorrente) nei confronti del proprietario, in quanto tale, del rifiuto abbandonato da altri, a meno che, ovviamente, questi non sia colui che l’ha abbandonato o non abbia concorso, materialmente o moralmente, con chi l’ha abbandonato.

Orbene, una ordinanza del sindaco che imponesse ad un soggetto diverso da quelli espressamente indicati una prestazione personale non prevista da una disposizione posta da un atto avente forza di legge, sarebbe illegittima per violazione dell’art. 23 Cost., con conseguente obbligo del giudice di disapplicarla. Il reato di cui all’art. 50, comma 2, cit. (ora trasfuso nell’art. 255, comma 3, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152) non è quindi configurabile nei confronti di chi, non essendo colui che ha abbandonato i rifiuti, o non avendo concorso materialmente o moralmente con questi, e non essendo il proprietario o titolare di diritto di godimento sull’area ove i rifiuti sono stati abbandonati, sia stato destinatario di una ordinanza del sindaco emessa nei suoi confronti esclusivamente perché proprietario del rifiuto abbandonato da altri, attesa la illegittimità e la conseguente disapplicabilità di siffatto provvedimento.

Nel caso di specie l’ordinanza comunale sembra essere stata emessa nei confronti dell’odierno imputato appunto solo nella «qualità di proprietario della autovettura», mentre l’imputato ha eccepito espressamente di non avere abbandonato, o concorso ad abbandonare, l’auto, che sarebbe stata invece abbandonata da ignoti ladri che l’avrebbero sottratta in Pogliano Milanese al figlio cui sarebbe stata affidata.

Tuttavia, poiché la sentenza impugnata non ha preso in considerazione e valutato questa eccezione, dalla stessa e dagli atti non emerge in modo evidente che l’imputato non sia stato anche colui che abbia abbandonato l’auto o non abbia concorso, materialmente o moralmente, con chi l’ha abbandonata, sicché allo stato questa possibilità non può escludersi con assoluta certezza sulla base di una semplice lettura della sentenza impugnata.

Ne consegue che non può in questa sede pronunciarsi sentenza di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen., dovendo il relativo accertamento essere compiuto dal giudice competente sulla proposta impugnazione, fermo restando che per un riconoscimento di responsabilità penale occorrerà che sussista la prova (ovviamente anche presuntiva) che l’imputato investiva una delle qualifiche necessarie per la legittimità dell’emissione nei suoi confronti dell’ordinanza sindacale in questione.