Cass. Sez. 3, Sentenza n. 16304 del 23/03/2006 Ud. (dep. 12/05/2006 ) Rv. 234326
Presidente: Onorato P. Estensore: Petti C. Relatore: Petti C. Imputato: Riggio e altro. P.M. Passacantando G. (Conf.)
(Rigetta, Trib. Termini Imerese, 15 maggio 2003)
SANITÀ PUBBLICA - IN GENERE - Rifiuti - Attività di lavorazione del latte - Siero residuato - Eliminazione - Natura di rifiuto.

Il siero residuato dall'attività di lavorazione del latte operata in un caseificio costituisce un rifiuto a condizione che il produttore abbia deciso di disfarsi dello stesso, concorrendo in tale caso entrambi i requisiti, oggettivi e soggettivi, qualificanti un bene quale rifiuto. (Fattispecie nella quale il produttore è stato giudicato responsabile del reato di cui all'art. 51, comma secondo, D.Lgs. n. 22 del 1997, per essersi disfatto del siero residuato mediante sversamento in torrente).

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. ONORATO Pierluigi - Presidente - del 23/03/2006
Dott. PETTI Ciro - Consigliere - SENTENZA
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - N. 497
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. IANNIELLO Antonio - Consigliere - N. 20162/2004
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
difensore di Riggio Francesco, nato a Chiusa Sclafani il 30 aprile del 1957;
Verchiani Giuseppe, nato a Chiusa Sclafani il 13 maggio del 1956;
avverso la sentenza del giudice dell'udienza preliminare del tribunale di Termini Imerese del 15 maggio del 2003;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Ciro Petti;
sentito il Sostituto Procuratore Generale nella persona del Dott. Guglielmo Passacantando, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore avv. Gemelli Maurizio, il quale ha concluso per l'accoglimento del ricorso;
letti il ricorso e la sentenza denunciata.
Osserva quanto segue:
IN FATTO
Con sentenza del 15 maggio del 2003, il giudice dell'udienza preliminare presso il tribunale di Termini Imerese condannava Riggio Francesco alla pena di Euro 10.000,00 di ammenda e Verchiani Giuseppe a quella di Euro 5000,00 di ammenda, con il beneficio della sospensione condizionale per il solo Verchiani, quali responsabili, in concorso tra loro, del reato di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51, comma 2, per avere il Riggio, nella qualità di legale rappresentante della società "La Montanara", ed il Verchiani, quale dipendente della medesima società, immesso nel torrente Ciancianello rifiuti non pericolosi allo stato liquido (siero di latte). Fatto accertato in Basacquino il 25 luglio del 2002.
Secondo la ricostruzione fattuale contenuta nella sentenza impugnata il Verchiani era stato sorpreso mentre da un furgone di proprietà della società anzidetta immetteva siero di latte nel torrente Ciancianiello. All'udienza il predetto aveva dichiarato che quella mattina aveva caricato un "pò di siero di latte" per scaricarlo in un' imprecisata porcilaia e, poiché aveva fretta a causa del ricovero ospedaliero della propria suocera, aveva scaricato il liquido nel torrente.
Tanto premesso in fatto,il giudice riteneva responsabili entrambi gli imputati: Il Verchiani quale esecutore materiale dell'abbandono ed il Riggio quale unico soggetto in grado di prendere una decisione in merito alla destinazione del siero di latte che è un rifiuto liquido.
Avverso la sentenza hanno proposto "appello" (trasmesso a quest'ufficio dalla corte territoriale a norma dell'articolo 568 c.p.p.) entrambi gli imputati per mezzo del comune difensore affidato a cinque motivi.
IN DIRITTO
Con il primo motivo il difensore assume che il giudice avrebbe dovuto assolvere i propri assistiti per l'insussistenza del fatto perché il siero di latte non è un rifiuto, posto che costituisce la materia prima essenziale per molte lavorazioni alimentari e comunque può essere utilizzato ed era solitamente utilizzato dalla ditta "La Montanara" come mangime.
Con il secondo motivo deduce l'erroneo apprezzamento delle risultanze processuali poiché quella di versare il siero nel torrente era stata un'estemporanea iniziativa del Verchiani.
Con il terzo motivo sostiene che, trattandosi di abbandono occasionale, il fatto integrava la sola infrazione amministrativa di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 50.
Con il quarto motivo lamenta la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e comunque chiede una riduzione della pena. Con il quinto motivo si duole per la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena al Verchiani banche non fosse stato richiesto.
A tal fine precisa che, secondo l'orientamento di questa Corte (Cass. sez. 4^, n, 8050 del 1990 Marchesi; sez. 5^, 10378 del 1994 Paglierini), il prevenuto ha un concreto interesse alla revoca del beneficio.
L'impugnazione è infondata e va pertanto respinta.
Giova premettere che non ricorrono le condizioni per un rinvio del processo, peraltro neppure sollecitato dal difensore presente, a norma della L. n. 46 del 2006, art. 10, comma 5, in quanto i mezzi d'annullamento proposti non riguardano quelli che hanno formato oggetto di modificazione da parte della legge anzidetta. Ciò premesso, in tema di gestione dei rifiuti, secondo la disciplina nazionale e comunitaria, deve intendersi per rifiuto qualsiasi sostanza od oggetto di cui il produttore abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi. Il siero residuato dall'attività di lavorazione del latte operata da un caseificio costituisce un rifiuto qualora il detentore abbia deciso di disfarsene trattandosi di un residuo di lavorazione (Cass. 33205 del 2004).
Ricorrono quindi entrambi i requisiti necessari per definire una sostanza come rifiuto: quell'oggettivo costituito dall'appartenenza all'allegato a) del D.Lgs. n. 22 del 1997 trattandosi di un residuo di produzione e quello soggettivo rappresentato dalla "volontà di disfarsi" di quel residuo. Nella fattispecie non si pone alcun problema di riutilizzazione a norma della L. n. 178 del 2002, articolo 14, proprio perché al momento dell'accertamento il detentore aveva già manifestato l'intenzione di disfarsi di quella sostanza immettendola in un corso d'acqua. D'altra parte, anche se la nozione di rifiuto desumibile dalla normativa comunitaria non presuppone necessariamente l'intenzione da parte del detentore che si disfi del prodotto di escludere qualsiasi utilizzazione da parte di terzi, nella fattispecie è addirittura palese la volontà del detentore di escludere qualsiasi riutilizzazione propria o di altri. Il secondo motivo è palesemente inammissibile, perché si risolve in censure sull'apprezzamento delle risultanze probatorie inammissibili in questa sede se l'apprezzamento non contiene vizi logici o giuridici. Nella fattispecie legittimamente i giudici del merito, con motivazione congrua ed esente da vizi logici, hanno ritenuto responsabili entrambi gli imputati: il Riggio perché, nella qualità di titolare dell'azienda, era l'unico che poteva avere dato l'ordine di sfarsi di quel prodotto; il Verchiani quale esecutore materiale dell'abbandono. La giustificazione addotta dal predetto Verchiani non escludeva il reato poiché l'eventuale fretta di raggiungere l'ospedale, ove a suo dire quel giorno era ricoverata la suocera, non lo autorizzava a trasformare un torrente in una discarica. Di conseguenza era del tutto inutile svolgere accertamenti diretti a stabilire se effettivamente la suocera del prevenuto quel giorno si trovasse o no ricoverata presso l'Ospedale Villa Sofia di Palermo. La porcilaia dove a suo dire doveva essere scaricato quel prodotto, come risulta dalla sentenza impugnata, non è stata neppure indicata e quindi nessuna indagine poteva essere svolta in proposito dai giudici del merito.
Infondato è anche il terzo motivo perché, in tema di abbandono occasionale dei rifiuti, come risulta dalla riserva contenuta nell'art. 50, comma 1, Decreto Ronchi, la sanzione amministrativa trova applicazione se il fatto non è commesso dal titolare d'impresa o dal responsabile di un ente ossia se è commesso da un privato. Nella fattispecie è stato commesso dal titolare di un'impresa. Inammissibile per la manifesta infondatezza è il quarto motivo perché le circostanze attenuanti generiche sono state negate per i precedenti penali, anche specifici, del Riggio, a nulla rilevando che la recidiva non sia stata contestata nonché per il comportamento processuale del Verchiani e per la gravità del fatto,in quanto il rifiuto era stato immesso in un torrente che, secondo quanto risulta dalla decisione, era fonte di approvvigionamento di acqua per gli agricoltori ed allevatori della zona.
Inammissibile per carenza d'interesse è il quinto motivo perché il beneficio della sospensione condizionale della pena può essere concesso dal giudice a prescindere da qualsiasi richiesta dell'imputato ed è irrinunciabile.
Le Sezioni unite di questa corte, risolvendo un contrasto in merito all'interesse ad impugnare il provvedimento con cui d'ufficio viene concesso tale beneficio, con la decisione n. 6563 del 1994, hanno statuito che la sospensione condizionale della pena non può risolversi in un pregiudizio per l'imputato in termini di compromissione del carattere personalistico e rieducativo della pena;
che l'interesse all'impugnazione, condizionante l'ammissibilità del ricorso, si configura pertanto tutte le volte in cui il provvedimento di concessione del beneficio sia idoneo a produrre in concreto la lesione della sfera giuridica dell'impugnante e la sua eliminazione consenta il conseguimento di una situazione giuridica più vantaggiosa. Il pregiudizio addotto dall'interessato, tuttavia, in tanto può essere rilevante in quanto non attenga a valutazioni meramente soggettive di opportunità e di ordine pratico, ma concerna interessi giuridicamente apprezzabili in quanto correlati alla funzione stessa della sospensione condizionale, consistente nella "individualizzazione" della pena e nella sua finalizzazione alla reintegrazione sociale del condannato. (In applicazione del principio le Sezioni unite hanno escluso che possa assumere rilevanza giuridica la mera opportunità, prospettata dal ricorrente, di riservare il beneficio per eventuali condanne a pene più gravi, perché siffatta valutazione di opportunità, del tutto soggettiva e per giunta eventuale, è comunque in contraddizione con la prognosi di non reiterazione criminale, e quindi di ravvedimento, imposta dall'art. 164 c.p., comma 1, per la concessione del beneficio medesimo). In base a tale decisione un interesse concreto ad impugnare il provvedimento potrebbe sussistere quando la concessione del beneficio della sospensione comporti l'iscrizione della condanna nel casellario giudiziale che viceversa non sarebbe iscritta senza il beneficio,circostanza questa che si verifica per le sole contravvenzioni per le quali a norma dell'articolo 686 c.p.p., n. 1, è ammessa l'oblazione in base all'articolo 162 c.p. ossia per la sola oblazione obbligatoria. Nella fattispecie, trattandosi di reato che può essere punito anche con l'arresto, l'oblazione è ammessa solo a norma dell'articolo 162 bis c.p. e la condanna è comunque iscrivibile. Di conseguenza, secondo l'orientamento delle Sezioni unite, non esiste nella fattispecie un interesse meritevole di tutela che possa legittimare l'impugnazione del provvedimento con cui si è concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena, posto che la condanna va comunque iscritta. D'altra parte l'imputato non ha evidenziato un interesse diverso dall'opportunità di riservarsi il beneficio per altre eventuali condanne a pena detentiva.
P.Q.M.
LA CORTE
Letto l'art. 616 c.p.p..
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali,
Così deciso in Roma, il 23 marzo 2006.
Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2006