Cass. Sez. III n. 10264 del 9 marzo 2007 (Ud. 26 gen. 2007)
Pres. Papa Est. Lombardi Ric. Poli
Rifiuti. Sottoprodotti e rapporti con la previgente disciplina

L'art. 14 del D.L. 8.7.2002 n. 138, convertito con modificazioni dalla L. 8.8.2002 n. 178, è stato abrogato dall'art. 264, comma 1 lett. l), del D. L.vo 3.4.2006 n. 152, senza che risulti riprodotta l'eccezione alla applicabilità della normativa in materia di rifiuti di cui all'abrogato articolo 14. La disciplina abrogata è più favorevole per l'imputato, con la conseguente applicabilità di quest'ultima ai sensi dell'art. 2, comma 3, C.P.

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata il Tribunale di Lucca ha affermato la colpevolezza dì Poli Riccardo e Colombini Franco in ordine al reato: 1) di cui agli art. 81 cpv., 110 c.p. 10, comma 2, e 51, comma 1 lett. a). del D.L.vo n. 22/97, nonché il solo Poli del reato: 2) di cui agli art. 81 cpv. c.p. e 51, comma 4 in relazione al comma 1 lett. a) del D.L.vo n. 22/97.

Gli imputati erano stati tratti a giudizio per rispondere del reato di cui al capo 1) della rubrica per avere, nella rispettiva qualità di legali rappresentanti, i! Poli della ditta “Euroservice Tre S.r.l.” ed il Colombini della ditta “EuroSak Imballaggi Industriali S.p.A.”, effettuato attività di recupero di rifiuti speciali non pericolosi, costituiti da scarti di materie plastiche, in assenza della prescritta autorizzazione fino al 20 agosto 2003, ed il Poli perché, nella già precisata qualità, ometteva di rispettare le condizioni previste dalla comunicazione inviata alla Provincia di Lucca ed in particolare per avere mantenuto in deposito 137 tonnellate di rifiuti, mentre la comunicazione prevedeva un limite massimo di 100 tonnellate, e per avere effettuato il deposito al di fuori delle aree indicate nella predetta comunicazione.

Il giudice dì merito ha fondato l’affermazione della colpevolezza degli imputati sull’accertamento di fatto che la ditta di cui era legale rappresentante il Poli svolgeva attività di recupero di rifiuti non pericolosi, costituiti da scatti di materie plastiche inviate dalla ditta di cui era responsabile il Colombini, in assenza della prescritta autorizzazione, avendo regolarizzato la propria posizione solo a decorrere dal luglio 2003, ed il primo imputato aveva altresì violato le prescrizioni della autorizzazione precisate nella imputazione.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore degli imputati che la denuncia per carenza di motivazione e violazione di legge.

 

Motivi della decisione

La difesa dei ricorrenti premette in punto di fatto che gli stabilimenti di cui sono legali rappresentanti gli imputati sono confinanti; che la Eurosak S.p.A. produce film di polietilene, film di polipropilene, film termoretraibile, sacchi “a valvola” e sacchi a “bocca aperta” in polietilene; che il materiale plastico residuato da detta lavorazione, previo temporaneo deposito sul piazzale attiguo alla ditta Euroservice Tre Srl, viene affidato a tale azienda che lo lavora, traendone nuova materia prima, poi utilizzata direttamente dalla Eurosak.

A prova delle indicate risultanze fattuali i ricorrenti riportano parti delle deposizioni testimoniali assunte in dibattimento, in cui le stesse trovano riscontro.

Tanto premesso, con il primo mezzo di annullamento i ricorrenti denunciano la sentenza per mancanza di motivazione.

Si osserva che dinanzi al giudice di merito era stata contestata la natura di rifiuto del materiale plastico residuato dalle produzioni della Eurosak S.p.A. ed affidato alla Euroservice Tre S.r.l. affinché lo lavorasse, traendone nuova materia prima utilizzabile dalla Eurosak, trattandosi di materie prime secondarie utilizzate nell’ambito del medesimo processo produttivo; che la sentenza impugnata, malgrado le deduzioni della difesa degli imputati sul punto, ha totalmente omesso di esaminare la questione circa la natura di rifiuti delle sostanze di cui si tratta, né il giudice di merito ha effettuato alcuna valutazione in ordine all’elemento psicologico del reato, la cui sussistenza poteva ritenersi dubbia alla luce della definizione di rifiuto contenuta nella legge.

Con il secondo mezzo di annullamento si denuncia la violazione ed errata applicazione degli art. 51, comma 1, e 6 del D.L.vo n. 22/97 alla luce della interpretazione autentica della nozione di rifiuto contenuta nell’art. 14 del D.L. 8 luglio 2002 n. 138, convertito in L 8 agosto 2002 n. 178.

Si deduce che i materiali di cui alla contestazione costituiscono materie prime secondarie provenienti dal ciclo produttivo della Eurosak ed affidate in conto lavorazione alla Euroservice Tre, la cui lavorazione si pone in continuità con quella della Eurosak.

Si osserva sul punto che le bobine ed i frammenti di plastica di cui si tratta non possono essere qualificati rifiuto, ai sensi della interpretazione autentica di detta nozione contenuta nella disposizione di legge citata, non potendo considerarsi rifiuti le sostanze o i materiali residuali di produzioni, allorché gli stessi possono e sono effettivamente riutilizzati nello stesso o in analogo ciclo produttivo, senza subire alcun trattamento preventivo o dopo aver subito un trattamento preventivo, senza che si rendano necessarie operazioni di recupero individuate nell’allegato C del decreto legislativo n. 22/97; che i residui di produzione di cui si tratta rispondono ai requisiti indicati dalla norma citata.

Il ricorso non è fondato.

Il giudice di merito ha esattamente affermato la colpevolezza degli imputati in ordine ai reati loro ascritti sulla base delle accertate risultanze fattuali, ma la motivazione della sentenza deve essere integrata con i rilievi che seguono in punto di attribuzione della natura di rifiuto alle sostanze di cui si tratta.

Osserva preliminarmente la Corte che l’art. 14 del D.L. 8 luglio 2002 n. 138, convertito con modificazioni dalla L. 8 agosto 2002 n. 178, è stato abrogato dall’art. 264, comma 1 lett. l), del D.L.vo 3 aprile 2006 n. 152, senza che risulti riprodotta l’eccezione alla applicabilità della normativa in materia di rifiuti di cui all’abrogato articolo 14.

Le sostanze di cui si tratta inoltre rientrano nella categoria dei rifiuti ai sensi dell’art. 183, comma 1 lett. a) del medesimo decreto legislativo (codice CER. 160119).

Rileva, quindi la Corte che la disciplina abrogata è più favorevole per l’imputato, con la conseguente applicabilità di quest’ultima ai sensi dell’art. 2, comma 3, c.p..

Anche in applicazione della norma più favorevole, però, i residui di lavorazione della plastica di cui si tratta non si sottraggono alla definizione dì rifiuto.

Ai sensi del citato art. 14 del D.L. n. 138/2002, convertito in L n. 178/2002, rientrano nella nozione di rifiuto i beni o sostanze e materiali residuali di produzione o di consumo ove sussista una delle seguenti condizioni:

“a) se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, senza subire alcun intervento preventivo di trattamento e senza recare pregiudizio all’ambiente;

b) se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo dopo aver subito un trattamento preventivo senza che si renda necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle individuate nell’allegato C del decreto legislativo n. 22.”

Va, poi, rilevato che tra le operazioni di recupero previste dall’allegato C al D.L.vo n. 22/97 rientrano le operazioni di “Riciclo/recupero di altre sostanze inorganiche” (R5).

Orbene, nel caso in esame, in base a quanto dedotto dagli stessi ricorrenti in punto di fatto, peraltro sulla base delle deposizioni testimoniali riportate nel ricorso, risulta che le materie plastiche residuate dalla attività produttiva della Eurosak (residui di plastica e bobine) venivano trasformate in granuli dalla Euroservice Tre e dopo tale trasformazione venivano nuovamente utilizzate come materia prima dalla Eurosak.

Si tratta, pertanto, di un’operazione che rientra senza ombra di dubbio nella definizione di attività di riciclo/recupero di altre sostanze inorganiche di cui al citato punto R5 dell’allegato C.

Pertanto, sia pure dovendosi integrare la motivazione della sentenza impugnata nei sensi sopra precisati, la applicazione della normativa in materia di rifiuti da parte del giudice di merito si palesa giuridicamente corretta. Gli scarti di lavorazione di cui si tratta non rientrano neppure nella definizione di sottoprodotto di cui all’art. 183, comma 1 lett. n), del D.L.vo n. 152/2006, essendo subordinata la attribuzione di tale qualifica alla condizione che i sottoprodotti vengano “impiegati direttamente dall’impresa che li produce o commmercializzati a condizioni economicamente favorevoli per l’impresa stessa direttamente per il consumo o per l’impiego, senza la necessità di operare trasformazioni preliminari in un successivo processo produttivo; a quest‘ultimo fine, per trasformazione preliminare si intende qualsiasi operazione che faccia perdere al sottoprodotto la sua identità, ossia le caratteristiche merceologiche di qualità e le proprietà che esso già possiede, e che si rende necessaria per il successivo impiego in un processo produttivo o per il consumo.”

Per quanto già rilevato tale condizione non sussiste per gli scarti di materiale plastico residuati alla attività di produzione della ditta Eurosak, dovendo essere sottoposti ad un processo di trasformazione in granuli per il successivo reimpiego.

E, infine inammissibile la censura afferente alla carenza di motivazione della sentenza in punto di accertamento della esistenza dell’elemento psicologico del reato, non risultando che gli imputati abbiano sottoposto la relativa questione all’esame del giudice di merito e, peraltro dovendo la buona fede in materia contravvenzionale formare oggetto di prova rigorosa in ordine alla quale manca qualsiasi riferimento da parte dei ricorrenti.

Peraltro, la doglianza non è certamente riferibile alle violazioni relative alle prescrizioni della autorizzazione o comunicazione.

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. al rigetto dell’impugnazione segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.