Cass. Sez. III n. 18880 del 3 maggio 2018 (Ud 29 set 2017)
Presidente: Fiale Estensore: Gentili Imputato: Scarabottini ed altri  
Rifiuti.Abbandono e momento consumativo del reato

Ogni qualvolta l'attività di abbandono ovvero di deposito incontrollato di rifiuti sia prodromica ad una successiva fase di smaltimento ovvero di recupero del rifiuto stesso, caratterizzandosi, pertanto, essa come una forma, per quanto elementare, di gestione del rifiuto (della quale attività potrebbe dirsi che essa costituisce il "grado zero"), la relativa illiceità penale permea di sé l'intera condotta (quindi sia la fase prodromica che quella successiva), integrando, pertanto, una fattispecie penale di durata, la cui permanenza cessa soltanto con il compimento delle fasi ulteriori rispetto a quella di rilascio, tutto ciò con le derivanti conseguenza anche a livello di decorrenza del termine prescrizionale. Laddove, invece, siffatta attività non costituisca l'antecedente di una successiva fase volta al compimento di ulteriori operazioni aventi ad oggetto appunto lo smaltimento od il recupero del rifiuto, ma racchiuda in se l'intero disvalore penale della condotta, non vi è ragione di ritenere che essa sia idonea ad integrare un reato permanente; ciò in quanto, essendosi il reato pienamente perfezionato ed esaurito in tutte le sue componenti oggettive e soggettive, risulterebbe del tutto irragionevole non considerarne oramai cristallizzati i profili dinamici fin dal momento dei rilascio del rifiuto, nessuna ulteriore attività residuando alla descritta condotta di abbandono. Sarà compito del giudice del merito valutare, di volta in volta, se l'azione di abbandono e deposito del rifiuto si vada ad innestare in una più articolata fase di gestione dello stesso ovvero se debba, invece, intendersi definita e conclusa in tutti i suoi elementi e non più dotata di un ulteriore dinamismo criminoso.

RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 23 novembre 2016, il Tribunale di Spoleto, in composizione monocratica, ha dichiarato la penale responsabilità di Tranquilli Mario e Santocore Antonio in ordine ai reati loro contestati, rispettivamente, alle lettere C), E), G), e I), quanto al solo Tranquilli,  e K) quanto ad ambedue gli imputati, nonché la penale responsabilità di Magrini Marcello e Scarabottini Roberto in ordine al reato loro ascritto al capo L) della articolata contestazione.
Con la medesima sentenza il Tribunale di Spoleto ha, altresì, dichiarato non doversi procedere nei confronti del Tranquilli quanto ai reati di cui ai capi A), B), D), F) e H) e nei confronti sia del Tranquilli che del Santocore quanto al reato di cui al capo J), per essere gli stessi estinti per prescrizione.
Va precisato che la assai articolata rubrica contestata ai primi due imputati ha ad oggetto la violazione di diverse disposizioni contenute nel dlgs n. 152 del 2006 commesse, in ipotesi, dai due primi imputati nella rispettiva qualità di presidente ed amministratore delegato della Ittica Tranquilli Srl e della Azienda Agraria Santocore e C Snc; mentre per quanto concerne la posizione dei due restanti imputati, la contestazione, concernente un’unica lettera del capo di imputazione, riguarda il fatto di avere costoro, in qualità di tecnici del Servizio di Prevenzione dell’Ambiente istituito presso l’ARPA di Spoleto, incaricati di  coordinare e svolgere le pratiche ed i controlli relativi alle procedure di fertirrigazione da parte delle Aziende Tranquilli e Santocore, omesso, ai sensi dell’art. 40, cpv, cod. pen., per negligenza od imperizia, di eseguire le attività istituzionali di controllo sulla predetta attività, in tal modo non impedendo, pur essendone legalmente tenuti, le attività illecite ascritte al Tranquilli ed al Santocore alle lettere del capo di imputazione per le quali essi sono stati dichiarati penalmente responsabili.
Lettere, aventi ad oggetto la violazione dell’art. 256 del dlgs n. 152 del 2006, in relazione all’art. 192 del medesimo dlgs n. 152 del 2006, in quanto, con condotte poste in essere in violazione della normativa sulla gestione e sullo smaltimento dei rifiuti, il Tranquilli ed il Santocore, nelle rispettive qualità, avevano sversato illecitamente rifiuti speciali pericolosi, consistenti nei fanghi derivanti dalla attività di troticoltura dai medesimi svolta nella ricordate qualità imprenditoriali, nelle acque superficiali dei fiumi Nera e Campiano ovvero spandendoli sul terreno attraverso la metodica della fertirrigazione condotta in violazione delle disposizioni che la regolano.
Con la predetta sentenza i primi due imputati sono stati condannati, ritenuta per il primo la continuazione fra i reati contestati, alla pena di euro 4000,00 di ammenda quanto al Tranquilli e di euro 2600,00 quanto al Santocore; i restanti imputati sono stati condannati ambedue alla pena di euro 2600,00 di ammenda.
A tutti è stata concessa la sospensione condizionale della pena.
Hanno interposto ricorso per cassazione - assistiti il Magrini e lo Scarabottini dalla difesa tecnica mentre il Tranquilli ed il Santocore hanno agito in proprio - tutti gli imputati.
Con il comune atto di impugnazione il Tranquilli e il Santocore hanno dedotto tre motivi di ricorso, i primi due, intimamente connessi, aventi ad oggetto la ritenuta violazione dell’art. 256 del dlgs n. 152 del 2006, in relazione alla attribuzione della qualifica di rifiuto ai fanghi derivanti dalla attività di allevamento delle trote dai medesimi svolta, e la illogica valutazione del fatto e valutazione di una prova tecnica, sotto il profilo del vizio di motivazione.
In sintesi i ricorrenti lamentano il fatto che il Tribunale abbia ritenuto qualificabile come rifiuto il prodotto di cui ai capi di imputazione per in quali vi è stata condanna, sebbene lo stesso fosse stato legittimamente destinato alla pratica della fertirrigazione, perdendo, pertanto, la qualifica di rifiuto, trattandosi di prodotto, invece, utilizzato per la concimazione del terreno; parimenti i ricorrenti lamentano il fatto che il Tribunale abbia del tutto disatteso le dichiarazioni rese dagli autorevoli testi a discarico, tutte volte ad escludere la rilevanza penale delle condotte ascritte agli imputati.
Con il terzo motivo di ricorso i due prevenuti hanno contestato, con riferimento alla violazione di legge, la mancata dichiarazione di intervenuta prescrizione, conformemente a quanto disposto relativamente alle imputazioni di cui alle lettere A), B), D), F),  H)  e ), anche per quelle aventi ad oggetto le condotte per le quali è stata, invece, pronunziata condanna.
In particolare i due imputati ricorrenti hanno osservato che anche per i reati residui, trattandosi di reati istantanei ad effetti permanenti, il relativo termine prescrizionale sarebbe scaduto sin dall’aprile del 2015.
La difesa degli altri due imputati ha affidato le proprie lagnanze a ben 14 motivi di impugnazione (a volte costituiti in realtà dalla duplicazione del medesimo motivo di censura per ciascuno degli imputati), qui di seguito brevemente compendiati.
Con il primo è dedotta la violazione di legge in relazione alla omessa motivazione sul punto riguardante la attribuzione ai due imputati di una posizione all’interno dell’Arpa che avrebbe comportato a loro carico l’obbligo, in ipotesi negletto, di vigilanza sull’operato in materia di smaltimento dei rifiuti, della attività svolta dalla impresa gestita dal Tranquilli e dal Santocore.
In secondo ed il terzo motivo concernono il preteso travisamento della prova in ordine alla valutazione del materiale probatorio relativo all’incarico svolto in seno all’Arpa rispettivamente dal Magrini e dallo Scarabottini: il primo non viene mai indicato come persona addetta ai controlli sulla attività dei due computati, mentre il secondo non avrebbe avuto una tale attribuzione in regime di stabilità, posto che la competenza per lo svolgimento dei controlli ruotava fra gli addetti all’Ufficio secondo le necessità di questo. Dagli atti, risulterebbe, anzi, che la pratica in questione fosse stata assegnata ad altri impiegato dell’ARPA.
Il quarto motivo riguarda la ritenuta violazione di legge in cui sarebbe incorso il Tribunale nel ritenere la esistenza di uno specifico obbligo giuridico a carico dei funzionari dell’Arpa in ordine allo svolgimento dei controlli, in ipotesi omessi, obbligo che, secondo i ricorrenti, dovrebbe essere compiuto solo a campione su una percentuale pari al 4% delle richieste di autorizzazione alla gestione dei rifiuti annualmente presentate.
Analogamente al quarto motivo, il quinto è costruito sul ritenuto travisamento della prova in relazione alla esistenza del citato obbligo di controllo e verifica a carico dei dipendenti dell’Arpa.
Il sesto motivo ha ad oggetto, ancora con riferimento alla violazione di legge, l’erroneità della affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo la quale la attività di fertirrigazione che doveva essere realizzata dalle imprese in questione doveva essere preceduta dalla presentazione del Piano di utilizzazione agronomica, la cui omissione non sarebbe stata segnalata dagli imputati; diversamente da quanto sostenuto dal Tribunale, siffatto adempimento avrebbe riguardato solo l’utilizzazione dei reflui derivanti dalla troticoltura se utilizzati in determinate zone del territorio, particolarmente vulnerabili a determinate sostanze chimiche, non presenti però nell’ambito territoriale riguardato dei fatti per cui è processo.
Il settimo motivo concerne la violazione di legge con riferimento alla competenza dell’Arpa a verificare la esistenza ed il contenuto delle comunicazioni indirizzate ai Comuni relativamente alla utilizzazione dei reflui per la fertirrigazione.
L’ottavo motivo si riferisce ad un ritenuto travisamento della prova e difetto di motivazione in ordine alla mancata effettuazione da parte dei due prevenuti dei controlli aventi ad oggetto la documentazione relativa allo svolgimento della fertirrigazione.
Il nono motivo concerne la errata qualificazione della condotta attribuita ai precedenti imputati, posto che non si tratterebbe di abbandono di rifiuti ma, semmai di scarico di essi nel corpo recettore costituito dai corsi fluviali indicati nei capi di imputazione. Il preteso sversamento, infatti, non interverrebbe attraverso la dispersione dei reflui nell’ambiente ma tramite il loro diretto scarico nel corso del fiume.
Il decimo motivo di censura riguarda la erroneità della applicazione di legge nella parte in cui è stata fatta derivare la violazione degli artt. 256 e 192 del dlgs n. 152 del 2006 dalla ritenuta falsificazione dei documenti di trasporto riguardanti i fanghi di scarico utilizzati per la fertirrigazione; osservano le difese dei ricorrenti che i tecnici dell’Arpa mai avrebbero avuto l’onere di visionare i predetti documenti di trasporto, sicché la loro falsità non sarebbe stata comunque apprezzabile dai medesimi.
L’undecimo motivo concerne la violazione di legge nonché il vizio di motivazione, per avere il Tribunale ritenuto applicabile l’istituto della cooperazione colposa anche alle ipotesi di reati contravvenzionali.
Il motivo n. 12 riguarda la violazione di legge nonché il vizio di motivazione in ordine alla collocazione temporale della consumazione delle condotte per cui è processo.
Il tredicesimo motivo ha ad oggetto la qualificazione dei rifiuti costituiti dai fanghi derivanti dalla troticoltura come pericolosi sebbene il codice Cer indicato nel capo di imputazione sia inesistente e manchi un’adeguata motivazione in ordine alla intrinseca pericolosità degli stessi.
Infine col motivo n. 14 è contestata la legittimità della sentenza nella parte in cui, pur determinata la sanzione nel minimo edittale, essendo gli imputati incensurati e dotati di una scarsa capacità a delinquere, come precisato in sentenza, tuttavia il Tribunale non ha ritenuto di concedere loro le attenuanti generiche.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Mentre il ricorso proposto dagli imputati Tranquilli e Santocore è inammissibile, la sentenza impugnata, limitatamente alla posizione dei restanti imputati Magrini e Scarabottini deve essere annullata, come da motivazione che segue.
Partendo dal ricorso dei primi due prevenuti, rileva la Corte come lo stesso, con riferimento ai due primi motivi di impugnazione, si fondi sostanzialmente su di un duplice presupposto, cioè che i reflui derivanti dalla attività di piscicoltura svolta dai predetti Tranquilli e Santocore, in quanto effluenti di allevamento adibiti alla fertirrigazione, non costituissero rifiuti e, pertanto, che ad essi non dovesse essere applicata la normativa di cui ai capi di imputazione loro contestati.
Tali presupposti sono ambedue fallaci.
Va, infatti, in primo luogo ricordato come in base alla normativa positiva in materia di scarichi idrici, puntualmente richiamata nella motivazione della sentenza impugnata, la disciplina delle acque e non quella dei rifiuti sarà applicabile in tutti i casi nei quali si è in presenza di uno scarico, anche soltanto periodico, discontinuo o occasionale, di acque reflue in uno dei corpi recettori specificati dalla legge ed effettuato tramite condotte o altro sistema stabile.
In tutti gli altri casi nei quali manchi il nesso funzionale e diretto delle acque reflue con il corpo recettore si applicherà, invece, la disciplina sui rifiuti (così, per tutte: Corte di cassazione, Sezione III penale, 21 aprile 2015, n. 16623, nonché, idem Sezione III penale, 20 aprile 2011 n. 15652).
Tali principi sono stati applicati da questa Corte anche alle ipotesi di raccolta di liquami zootecnici in vasche (Corte di cassazione, Sezione III penale, 21 aprile 2015, n. 16623).
Nel caso di specie è emerso che i rifiuti derivanti dall’allevamento delle trote, già raccolti in vasche di sedimentazione - elemento questo che di per se esclude la possibilità di applicare ad essi la ordinaria disciplina degli scarichi idrici stante la presenza di tali elementi intermedi fra il momento di produzione dei reflui e quello di loro trasferimento verso il corpo recettore - si riversavano in maniera incontrollata nelle adiacenti acque fluviali a causa del fatto che dette vasche di sedimentazione in realtà erano utilizzate esse stesse per l’allevamento delle trote, di tal che esse venivano meno alla loro stessa funzione di vasche di decantazione stante il fatto che la presenza, ed il conseguente frenetico movimento, di diverse centinaia di pesci all’interno di esse impediva la sedimentazione dei rifiuti che, pertanto, tracimando l’acqua al di fuori delle vasche, si riversavano, frammisti a quella, nel terreno circostante sino agli adiacenti corsi d’acqua.
Tale accertamento in fatto, cioè l’abbondante tracimazione dei rifiuti provenienti dalle vasche ove i prevenuti gestivano la loro attività di piscicoltura, esclude altresì la pertinenza alla fattispecie della linea difensiva svolta dalle difese dei prevenuti, volta ad affermare la deroga alla normativa in materia di trattamento dei rifiuti giustificata dal fatto che gli stessi erano utilizzati con finalità agronomiche attraverso la pratica della fertirrigazione.
Infatti, sebbene sia ben vero che l’utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento comporta la deroga rispetto alla applicabilità della normativa in tema di rifiuti, anche nel caso in cui quelli siano dapprima stoccati in vasche e successivamente trasferiti sui luoghi di spandimento tramite cisterne mobili (Corte di cassazione, Sezione III penale, 9 ottobre 2008, n. 38411), tuttavia siffatta pratica, onde consentire alla predetta deroga di essere efficace, deve essere svolta secondo i principi della sua corretta applicazione; essa, pertanto, richiede, in primo luogo l’esistenza effettiva di colture in atto sulla aree interessate allo spandimento degli effluenti animali, l’adeguatezza, per qualità e per quantità, di questi ultimi al fini cui appaiono destinati, tenuto conto anche dei tempi e delle modalità di distribuzione in conformità con il tipo ed il fabbisogno delle colture in questione, nonché la assenza di fattori sintomatici di una utilizzazione dei liquami non compatibile con la corretta metodica della fertirrigazione (Corte di cassazione, Sezione III penale, 12 ottobre 2015, n. 40782).
Fattori tutti questi non ravvisabili, secondo quanto accertato dal giudice del merito nel caso ora in discorso, nel quale, invece, lo smaltimento dei reflui di allevamento avveniva, sia pure in forma con esclusiva, attraverso la loro tracimazione dalle vasche di decantazione verso i limitrofi corsi d’acqua.
Peraltro, come è stato altresì segnalato dalla giurisprudenza di questa Corte, affinché la deroga sia pienamente efficace è, comunque, necessario che l’utilizzo agronomico abbia ad oggetto l’intera produzione di rifiuti e non una sola parte di essi, di tal che, in un caso singolarmente analogo al presente, è stata ritenuta non scriminata la condotta comportante sola una parziale destinazione degli effluenti di allevamento alla fertirrigazione, atteso che la parte di essi eccedente si riversava, esattamente come verificatosi nel caso che ora interessa, sul terreno circostante al luogo di produzione, con conseguenti fenomeni di ruscellamento (Corte di cassazione, Sezione III penale, 31 maggio 2011, n. 21785).
Quanto al profilo esaminato i motivi di ricorso proposti dai due imputati sono, pertanto, manifestamente infondati.
Con riferimento al terzo motivo di impugnazione - onde definire la posizione dei primi due ricorrenti - con il quale i predetti hanno censurato la sentenza impugnata per non avere la medesima dichiarato l’avvenuta estinzione per prescrizione anche dei residui reati loro addebitati, osserva il Collegio che la tesi propugnata dai ricorrenti procede dal rilievo che il reato loro contestato sia un reato istantaneo, sebbene con effetti permanenti, di tal che per esso il momento iniziale di decorrenza della prescrizione sarebbe quello dell’inizio della condotta.
Va detto - al di là della incongruenza rispetto alla fattispecie dell’assunto espresso, come di seguito ci si riserva di chiarire - che la questione della prescrizione appare in radice mal posta atteso che la contravvenzione contestata ai prevenuti è stata, comunque, ritenuta tuttora flagrante alla data del agosto del 2012, sicché in ogni caso il relativo termine prescrizionale sarebbe andato a consumarsi definitivamente solo nell’agosto del 2017, quindi ampiamente dopo la emissione della sentenza impugnata.
In ogni caso, a scioglimento della riserva dianzi formulata, l’assunto secondo il quale la condotta attribuita i predetti integri un reato istantaneo ad effetti permanenti è inadeguato al caso.
Come, infatti, questa stessa Sezione della suprema Corte ha avuto occasione di precisare, sebbene siano riscontrabili nella sua giurisprudenza due orientamenti - l’uno volto ad affermare che "il reato di deposito incontrollato di rifiuti è reato permanente giacché, dando luogo ad una forma di gestione del rifiuto preventiva rispetto al recupero ed allo smaltimento, la sua consumazione perdura sino allo smaltimento o al recupero" (Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 4 dicembre 2013, n. 48489; idem, Sezione 3 penale, 23 giugno 2011, n. 25216), mentre in base all’altro si sostiene che il reato di abbandono e deposito incontrollato di rifiuti (di cui all’art. 256, comma 2, del dlgs n. 152 del 2006) ha natura di reato istantaneo, eventualmente con effetti permanenti, la cui consumazione si perfeziona o con il sequestro ovvero con l'ultimo atto di conferimento da parte del soggetto agente (Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 15 ottobre 2013, n. 42343; idem, Sezione 3 penale, 18 novembre 2010, n. 40850; idem, Sezione 3 penale, 7 febbraio 2008, n. 6098) - il criterio di distinzione fra le due ipotesi è dato, secondo una condivisibile sebbene non esaustiva analisi casistica, dalle concrete modalità in cui si atteggia la fattispecie concreta.
Infatti, non vi è dubbio che ogni qualvolta l'attività di abbandono ovvero di deposito incontrollato di rifiuti sia prodromica ad una successiva fase di smaltimento ovvero di recupero del rifiuto stesso, caratterizzandosi, pertanto, essa come una forma, per quanto elementare, di gestione del rifiuto (della quale attività potrebbe dirsi che essa costituisce il "grado zero"), la relativa illiceità penale permea di sé l'intera condotta (quindi sia la fase prodromica che quella successiva), integrando, pertanto, una fattispecie penale di durata, la cui permanenza cessa soltanto con il compimento delle fasi ulteriori rispetto a quella di rilascio, tutto ciò con le derivanti conseguenza anche a livello di decorrenza del termine prescrizionale.
Laddove, invece, siffatta attività non costituisca l'antecedente di una successiva fase volta al compimento di ulteriori operazioni aventi ad oggetto appunto lo smaltimento od il recupero del rifiuto, ma racchiuda in se l'intero disvalore penale della condotta, non vi è ragione di ritenere che essa sia idonea ad integrare un reato permanente; ciò in quanto, essendosi il reato pienamente perfezionato ed esaurito in tutte le sue componenti oggettive e soggettive, risulterebbe del tutto irragionevole non considerarne oramai cristallizzati i profili dinamici fin dal momento dei rilascio del rifiuto, nessuna ulteriore attività residuando alla descritta condotta di abbandono.
Sarà compito del giudice del merito valutare, di volta in volta, se l'azione di abbandono e deposito del rifiuto si vada ad innestare in una più articolata fase di gestione dello stesso ovvero se debba, invece, intendersi definita e conclusa in tutti i suoi elementi e non più dotata di un ulteriore dinamismo criminoso.
È di tutta evidenza, senza con ciò volerne esaurire il novero, che attendibile indice ai fini dello svolgimento della diagnosi differenziale fra un'ipotesi e l'altra, sarà la occasionalità o meno del fatto - essendo chiaro che la sistematica pluralità di azioni, fra loro di identico o comunque analogo contenuto, farà propendere per una forma di organizzazione della condotta, sintomo attendibile di una volontà gestoria e non esclusivamente dismissiva del rifiuto, mentre l'episodicità di esse dovrebbe indirizzare il giudizio sulla istantaneità della natura del reato posto in essere; così come altri indici rivelatori della finalità gestoria potranno essere la pertinenza, o meno, del rifiuto oggetto di rilascio all'eventuale circuito produttivo riferibile all'agente, ove questi svolga attività imprenditoriale; oppure la reiterata adibizione di un unico sito, eventualmente anche promiscuamente utilizzato al medesimo fine pure da altri soggetti, quale punto di rilascio dei rifiuti.
Nel caso ora in esame la evidente ed immediata pertinenza della produzione e della dispersione del rifiuto nell’ambiente al ciclo produttivo svolto dalla imprese gestite dai prevenuti farebbe, ove ce ne fosse bisogno, sicuramente propendere per la natura permanente del reato, essendo esso strumentale ad una stabile forma di gestione dello smaltimento dei rifiuti in questione.  
La inammissibilità per il resto dei ricorsi di Tranquilli e Santocore rende irrilevante, ai fini dell’eventuale pronunzia della estinzione del reato per prescrizione, il tempo trascorso successivamente alla deliberazione della sentenza di merito (Corte di cassazione, Sezioni unite penali, 25 marzo 2016, n. 12602).
Passando ai ricorsi formulati dagli altri due imputati osserva il Collegio come gli stessi, presentando dei profili di fondatezza, come sarà di seguito evidenziato, sebbene non tali da condurre ad una immediata e definitiva pronunzia di proscioglimento dei prevenuti, comportano la doveroso pronunzia dell’intervenuta estinzione del reato loro contestato per prescrizione.
Va preliminarmente osservato che ai ricorrenti ora in esame è stata contestata, ai sensi dell’art. 40 cod. pen., la cooperazione colposa nelle condotte illecite ascritte agli altri prevenuti per avere gli stessi, quali tecnici dell’Arpa della Regione Umbria in servizio presso la Sezione territoriale di Spoleto, omesso di esercitare, con la dovuta diligenza e perizia, i controlli sull’operato dei coimputati Tranquilli e Santocore nella gestione dei rifiuti derivanti dalla loro attività imprenditoriale, in particolare non impedendo loro lo smaltimento illecito di essi tramite la pratica della fertirrigazione condotta al di fuori delle regole che la disciplinano.
Come è noto la responsabilità omissiva per non avere impedito la verificazione di un evento grava sul soggetto solo ed in quanto egli, investito di una cosiddetta posizione di garanzia, abbia l’obbligo giuridico di impedirlo (in relazione alla sussistenza della responsabilità penale ex art. 40 cod. pen. esclusivamente a carico di chi fosse investito dell’obbligo di impedire l’evento, cfr. ex multis: Corte di cassazione, Sezione III penale, 6 febbraio 2017, n. 5439; idem Sezione III penale, 9 marzo 2011, n. 9281).
Logicamente prioritario, pertanto, alla affermazione della penale responsabilità del soggetto, ove la stessa sia fondata sull’omesso controllo in ordine ad un evento che si aveva l’obbligo di impedire, è l’accertamento in relazione alla esistenza ed alla rilevanza giuridica di tale obbligo.    
In relazione alla sentenza ora in scrutinio osserva, a questo punto, il Collegio come il Tribunale di Spoleto abbia attribuito al predetti funzionari dell’Arpa Magrini e Scarabottini, in quali non hanno pacificamente qualifiche di vertice nella amministrazione di appartenenza, il dovere giuridico, attraverso la verifica della legittimità delle pratiche di fertirrigazione operate tramite l’utilizzo dei reflui rivenienti dalla imprese gestite dai ricordati imputati Tranquilli e Santocore, di impedire la illecita gestione di tali rifiuti, in ragione di una non ben precisata disposizione organizzativa dell’Ufficio di loro appartenenza la quale avrebbe previsto la loro preposizione al servizio in questione.
In particolare il Tribunale ha attribuito ai due funzionari dell’Arpa il  compito stabile di curare la verifica delle procedure amministrative volte a controllare la correttezza dello svolgimento delle fertirrigazioni, ma, si rileva, nulla ha detto in ordine alla fonte, provvedimentale o legale, di tale investitura; tanto più sarebbe stata necessaria una maggiore specificità argomentativa sul punto ove si consideri che tale preposizione apparirebbe, invece, essere smentita dal fatto che, per un verso, la posizione del Magrini come tecnico avente questo particolare compito non emergerebbe da alcun atto istruttorio e che, per altro verso, risulterebbe che i controlli del tipo di quello che i ricorrenti avrebbero, secondo la ipotesi accusatoria, omesso o negligentemente curato, non erano attribuiti in pianta stabile a questo o a quell’impiegato ma l’incarico di eseguirli ruotava fra i vari addetti in base alle contingenti necessità dell’Ufficio.
A fronte di questi dati - i quali avrebbero richiesto un onere motivazionale più intenso onde dimostrare la attribuzione proprio ai due prevenuti del dovere giuridico la cui violazione comporta la rilevanza penale della condotta omissiva loro contestata - il Tribunale, come detto, con motivazione del tutto apodittica e totalmente autoreferenziale, ha affermato sic et simpliciter che ai predetti era assegnato il compito di procedere alla verifica della regolarità delle fertirrigazioni compiute con il materiale prelevato presso le aziende degli altri imputati.
La insufficienza motivazionale, stante la evidente inidoneità dimostrativa delle ragioni addotte dal Tribunale onde concentrare sui predetti la responsabilità penale per i fatti loro ascritti, comporterebbe, anche per ciò solo, l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, affinché il giudice del merito integri meglio la motivazione della sentenza, accertando gli elementi sui quali fondare, se sussistenti, la effettiva responsabilità omissiva dei prevenuti.
A tanto, tuttavia, non vi è la necessità, quanto al presente caso, di pervenire atteso che, stante il considerevole lasso di tempo trascorso dal momento in cui i fatti si sarebbero verificati, essi hanno in ogni caso perso la loro rilevanza penale, essendo il reato di cui sarebbero espressione oramai prescritto.
Nei confronti, pertanto, degli imputati Magrini e Scarabottini la sentenza impugnata, con integrale assorbimento degli altri motivi di ricorso, deve essere annullata senza rinvio per essere il reato loro contestato estinto per prescrizione.       
La ritenuta inammissibilità, invece, dei ricorsi di Tranquilli e Santocore comporta, visto l’art. 616 cod. proc. pen., la loro condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.                             

PQM
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato contestato a Magrini e Scarabottini, perché estinto per prescrizione.
Dichiara inammissibili i ricorsi di Tranquilli e Santocore che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
        Così deciso in Roma, il 29 settembre 2017