Cass. Sez. III n. 28456 del 2 luglio 2014 (Cc 29 mag. 2014)
Pres. Teresi Est. Pezzella Ric. PM in proc. Catinari
Rifiuti. Competenza del PM alla distruzione di rifiuti pericolosi in sede di esecuzione

La competenza a provvedere alla distruzione di rifiuti pericolosi disposta dal giudice della cognizione con sentenza ormai irrevocabile spetta al Pubblico Ministero, sia perché cosi ha disposto, nella fattispecie, il giudice della cognizione, sia in applicazione del principio cardine della fase della esecuzione, secondo cui il pubblico ministero cura di ufficio l'esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali. Non vi è, in tal caso, alcuna incompetenza funzionale o carenza di potere da parte del pubblico ministero, ma si tratta di esercitare un potere dovere previsto alla legge.

RITENUTO IN FATTO

1. Il 1.10.2013 il Giudice Monocratico del Tribunale di Lanciano, in funzione di Giudice dell'Esecuzione, dichiarava con decreto l'inammissibilità dell'istanza propostagli dal PM di quel Tribunale tesa ad ottenere la modifica delle statuizioni contenute nella sentenza del Tribunale di Lanciano, sezione distaccata di Atessa, del 14 luglio 2000, nella parte in cui attribuiscono al pubblico ministero il compito di procedere alla distruzione dei rifiuti pericolosi già sottoposti a sequestro.

Con la sentenza de quo l'imputato C.M. era stato mandato assolto per non aver commesso il fatto dal reato di deposito incontrollato di rifiuti (in totale 16 fusti da kg. 200 ed 8 da kg. 18 di materiale a base di sodio) con onere della distruzione posto a carico del pm.

2. Ricorre per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lanciano il quale, premesso che all'esito di accertamenti disposti presso il suo ufficio tale distruzione non risultava essere stata ancora eseguita, si duole del rigetto da parte del G.E. di Lanciano della sua istanza tesa ad ottenere la revoca del provvedimento adottato con la citata sentenza, assumendo che non può essere posto a carico del pubblico ministero l'onere di smaltire i rifiuti "con spese a carico dello Stato che non potranno essere mai recuperate a seguito dell'assoluzione dell'imputato".

Ricorda di avere anche chiesto al giudice dell'esecuzione di dare atto che all'esito della definitività della sentenza le cose in esame, di cui non era stata disposta la confisca, devono ritenersi restituite, ovvero di disporre la revoca del sequestro. In ogni caso le cose sarebbero dovute rientrare nella disponibilità del proprietario del capannone, che avrebbe poi dovuto procedere a quanto di sua competenza.

La tesi prospettata è che sarebbe dovuto essere onere dell'imputato procedere, ai sensi del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 192, comma 3, alla distruzione, nelle forme di legge, dei rifiuti, non potendo non ravvisarsi a suo carico la colpa; così come il sindaco di Atessa avrebbe dovuto emettere ordinanza in tal senso nei confronti del proprietario dell'area.

Viene ricordato come con un primo decreto del 19.1.2013 sia stata dichiarata l'inammissibilità della richiesta, in quanto il giudice premetteva che nella motivazione della sentenza si pone a carico del pm l'onere della distruzione dei rifiuti, a differenza del dispositivo ove ci si limita a ordinare la distruzione; il G.E. aggiungeva nell'occasione che il dictum del giudice della cognizione "giusto o errato che sia va eseguito", sicchè non vi sarebbe alcuna competenza del giudice dell'esecuzione nè possibilità da parte di questi di modificarlo.

Il PM ricorrente, dopo avere ricordato di avere richiesto un preventivo per la distruzione dei rifiuti e di essergli stata richiesta la somma di 54.000 Euro, ricorda di avere nuovamente compulsato il Giudice dell'esecuzione rappresentando la sua incompetenza funzionale, eccepibile in ogni momento, per essere competente il giudice dell'esecuzione.

Con l'ordinanza oggi impugnata, tuttavia, il giudice dell'esecuzione ribadiva che la competenza ad eseguire il provvedimento in questione appartiene al Pm ai sensi del disposto dell'art. 665 c.p.p., comma 1 e negava la propria competenza sulla destinazione delle cose perchè concerne "le modalità di esecuzione di un obbligo di distruzione di cose in sequestro già specificate dal giudice della cognizione con sentenza irrevocabile", non modificabile dal giudice dell'esecuzione.

Di conseguenza - si ribadiva - la statuizione doveva essere eseguita dal PM. Viene oggi dedotto di fronte a questa Corte Suprema un vizio di violazione di legge che si sarebbe realizzato ad avviso del PM ricorrente proprio con riferimento all'art. 655 c.p.p., comma 1, che non sarebbe la norma di riferimento per l'esecuzione dei provvedimenti definitivi degli organi giurisdizionali relativi alle cose sequestrate, di qualunque natura essa sia.

Nel caso in esame, secondo il PM rimettente, viene in rilievo una questione relativa a cose sequestrate, non essendone stata disposta nè la confisca nè la restituzione, ma solo l'adempimento a carico di organo privo di potere, quindi vi sarebbe la piena competenza del giudice dell'esecuzione a provvedere, non essendosi formato alcun dictum immodificabile sulla destinazione della cosa.

Occorre, in definitiva, un provvedimento, che può essere emesso solo dal giudice dell'esecuzione, sulla destinazione delle cose sequestrate (confisca o revoca del sequestro), propedeutico alla loro eventuale distruzione. In assenza di tale provvedimento che solo il giudice dell'esecuzione può emettere, perchè omesso dal giudice della cognizione, potranno essere adottati - si sostiene - i provvedimenti conseguenti.

Ad avviso del Pm ricorrente la competenza va inquadrata in quella del giudice dell'esecuzione ad eseguire provvedimenti in materia di cose sequestrate.

La violazione di legge sussisterebbe anche sotto altro profilo, in quanto, dovendo essere messo in esecuzione un provvedimento del giudice relativo a cose sequestrate (circostanza pacifica) la competenza è attribuita direttamente al giudice (attraverso la sua cancelleria), a conferma dell'incompetenza funzionale del pubblico ministero e del suo ufficio.

Il PM ricorrente si duole che qualunque attività esecutiva posta in essere dal suo ufficio sarebbe non solo illegittima, ma rischierebbe di comportare evidenti profili di responsabilità diversamente dal giudice (oggi dell'esecuzione) che è titolare di tutte le relative competenze.

Per questi motivi chiede a questa Corte Suprema di voler annullare l'ordinanza impugnata per rimettere gli atti al giudice dell'esecuzione per i relativi adempimenti.

Il P.G. presso questa Corte Suprema ha rassegnato in data 17 gennaio 2014 le proprie conclusioni scritte chiedendo che questa Corte di legittimità voglia rigettare il ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica di Lanciano.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I motivi di doglianza proposti dal Pm di Lanciano, come peraltro rileva anche l'organo della Pubblica Accusa presso questa Corte Suprema, sono infondati e pertanto il proposto ricorso va rigettato.

2. Il provvedimento impugnato appare logico, coerente e rispettoso dei principi di cui al codice di rito, e pertanto immune dai denunciati vizi di legittimità.

Ad avviso del PM ricorrente il GM del Tribunale di Lanciano, sez. dist. di Atessa, non avrebbe provveduto sui rifiuti in sequestro, per cui, dovendo darsi esecuzione ad un provvedimento riguardante una misura cautelare reale ancora in atto, in una fase diversa da quella delle indagini preliminari, la competenza del giudice sarebbe espressamente prevista dall'art. 92 disp. att. cod. proc. pen..

In alternativa viene proposta la tesi della competenza funzionale del giudice dell'esecuzione ai sensi dell'art. 676 cod. proc. pen. che si fonda sempre sul presupposto (come si dirà di qui a poco erroneo) che il giudice della cognizione non abbia provveduto sui beni in sequestro.

Va premesso che, pur essendosi delineata, sul tema della distruzione dei rifiuti in sequestro, una situazione assimilabile ad un contrasto interpretativo sulla competenza a provvedere, non sarebbe in ogni caso configurabile, per giurisprudenza costante di questa Corte Suprema, alcun formale conflitto di competenza (neppure riconducibile ai casi analoghi previsti dall'art. 28 c.p.p., comma e)) tra un pubblico ministero, che è una parte del processo, anche se pubblica, ed il giudice - la questione posta dalla parte ricorrente deve essere affrontata e risolta avuto riguardo ai principi che regolano, in via generate, l'esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali.

Ciò in quanto, a differenza di quanto si sostiene in ricorso, il giudice della cognizione ha provveduto in maniera chiara nella sentenza emessa il 14 luglio 2000, depositata il 29 luglio 2000 e divenuta irrevocabile il 15.10.2000 sui rifiuti in sequestro.

Scrive in motivazione il GM del Tribunale di Lanciano sez. dist. di Atessa: "Purtuttavia la obbiettiva e riconosciuta pericolosità dei rifiuti, contenenti sostanze altamente infiammabili, impone a questo Giudice di disporne la distruzione (così ribadendo il contenuto di una precedente ordinanza del G.I.P. non eseguita per mancato reperimento di una ditta attrezzata all'uopo)". E aggiunge, con assoluta chiarezza: "La distruzione dei materiale, da eseguirsi a cura dell'Ufficio del Pubblico Ministero, potrà avvenire a mezzo della società individuata dallo stesso requirente". E in dispositivo, ribadisce, sinteticamente: "Ordina la distruzione del materiale in sequestro".

Orbene, ritiene il Collegio che, seppure la terminologia più appropriata sarebbe stata quella di ordinare la "confisca e distruzione" dei rifiuti in sequestro, il dictum del giudice della cognizione sia chiaro. Ed ha ragione il giudice dell'esecuzione, compulsato peraltro oltre 12 anni dopo il passaggio in giudicato della sentenza (e dopo oltre 14 anni dal sequestro di quei rifiuti) a rispondere che quel dictum non è da lui modificabile.

3. Avverso quella statuizione il Procuratore della Repubblica di Lanciano avrebbe potuto, se lo riteneva, esperire nei termini di legge gli ordinari mezzi di impugnazione. Evidentemente, se la sentenza è passata in giudicato, non ha ritenuto di farlo.

Trova dunque applicazione, una volta che la statuizione de quo è divenuta definitiva, quanto dispone in via generale l'art. 655 cod. proc. pen. secondo cui, salva diversa disposizione, "il pubblico ministero presso il giudice indicato nell'art. 665 cod. proc. pen. cura di ufficio l'esecuzione dei provvedimenti".

Si tratta, com'è noto, di una competenza che non si limita alla esecuzione delle pene principali, ma che si estende anche alle pene accessorie, alle misure di sicurezza, alle sanzioni sostitutive ed alle sanzioni conseguenti a violazioni amministrative accertate nel processo penale. Nè si e mai dubitato, in giurisprudenza, che spetti al pubblico ministero (e non al giudice), ad esempio, la competenza ad eseguire l'ordine di demolizione del manufatto abusivo disposto con la sentenza di condanna per violazione della normativa urbanistica ed antisismica (cfr. da ultimo, questa sez. 3, n. 46209 del 12.10.2011, PM in proc. Pacchioni, rv. 251993; conf. sez. 3 n. 13345 del 9 marzo 2011, Pm in proc. Pera, rv. 249922).

4. La lettura delle norme che stabiliscono, parallelamente, le competenze del giudice dell'esecuzione richiamate dal PM ricorrente, evidenzia che, a fronte di una generale attribuzione al PM del potere- dovere di curare di ufficio l'esecuzione dei provvedimenti (anche quelli del giudice), le attribuzioni degli organi giurisdizionali sono limitate ai soli casi in cui l'intervento del giudice sia richiesto dal pubblico ministero, dall'interessato o dal suo difensore (art. 666 c.p.p., comma 1).

L'organo giurisdizionale di garanzia, il giudice della esecuzione, può essere chiamato a intervenire solo quando vi sia un contrasto da risolvere, una questione la cui applicazione divide le parti ovvero, come nel caso prospettato da parte ricorrente, quando sia necessario assumere determinazioni che il giudice della cognizione abbia omesso.

Il pubblico ministero ricorrente ha sostenuto, infatti, che la competenza del giudice dell'esecuzione nel caso di specie derivi proprio dalla disposizione dell'art. 676 cod. proc. pen. che, nello stabilire le altre competenze del giudice dell'esecuzione, vi ricomprende anche la confisca e la restituzione delle cose sequestrate. Ma l'erroneità dell'assunto di parte ricorrente, come rileva anche il PG, si coglie proprio laddove non considera che, per la necessaria separazione tra la fase del giudizio e la fase dell'esecuzione, la competenza del giudice della esecuzione è configurabile solo ove il giudice del processo non abbia già provveduto, com'è ormai avvenuto da quasi 14 anni, con la sentenza definitiva.

Se il giudice della cognizione, con decisione irrevocabile, ha disposto in ordine alla confisca dei beni ovvero alla restituzione delle cose sequestrate ovvero, come nella specie, alla distruzione delle stesse (si pensi anche alla distruzione delle sostanze stupefacenti), non vi è più spazio per una competenza del giudice della esecuzione ex art. 676 cod. proc. pen., salvo che, in ordine alle concrete modalità esecutive dei provvedimenti definitivi già adottati, sorga controversia tra le parti che richieda l'intervento e la decisione di un organo super partes (analogamente a quanto previsto dall'art. 676 c.p.p., comma 2 in caso di controversia sulla proprietà delle cose confiscate).

Nè può sostenersi che i beni in questione andassero riportati nella sfera di disponibilità dell'imputato (assolto) o di un terzo.

L'imputato C.M., infatti, in qualità di amministratore delegato della General Metalli s.p.a. è stato assolto dal reato di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51, comma 1, lett. b), ai sensi dell'art. 530 c.p.p., comma 2, per non aver commesso il fatto proprio perchè - come si legge in sentenza - non risulta provato la riferibilità all'imputato dell'abbandono dei rifiuti.

Come rileva con argomentazione logica e coerente il G.E. nel provvedimento impugnato, inoltre, "quanto al soggetto individuato dal PM come colui che dovrebbe essere onerato dello smaltimento dei rifiuti, ossia Ca.Fr. nella sua qualità di legale rappresentante della società proprietaria dell'immobile concesso in affitto per lo svolgimento dell'attività industriale, trattandosi di persona non imputata nel procedimento, la sentenza non delinea (ovviamente) alcun profilo di responsabilità. dolosa o colposa, ascrivibile a suo carico per il reato a giudizio".

5. La competenza a provvedere alla distruzione dei rifiuti pericolosi in oggetto spetta, dunque, al Pubblico Ministero, sia perchè cosi ha disposto il giudice della cognizione con la sentenza del 14 luglio 2000, ormai irrevocabile, sia in applicazione del principio cardine della fase della esecuzione, secondo cui il pubblico ministero cura di ufficio l'esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali.

Non vi è nel caso che ci occupa alcuna incompetenza funzionale o carenza d. potere da parte del pubblico ministero, ma si tratta di esercitare un potere-dovere previsto alla legge.


P.Q.M.

Rigetta il ricorso del PM.
Così deciso in Roma, il 29 maggio 2014.