Cass. Sez. III n. 44900 del 25 ottobre 2016 (Ud 13 lug 2016)
Pres. Andreazza Est. Renoldi Ric. Acciarito
Rifiuti.Concetto di raccolta
Secondo la definizione offerta dall'art. 183, comma 1, lett. o), per "raccolta" deve intendersi "il prelievo dei rifiuti, compresi la cernita preliminare e il deposito preliminare alla raccolta". E coerentemente con tale definizione va riaffermato che la condotta di raccolta di rifiuti non pericolosi comprende ogni comportamento univoco ed idoneo a culminare nell'accorpamento e nel trasporto dei rifiuti stessi
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 15/10/2015 il Tribunale di Velletri condannò A.F., riconosciute le attenuanti generiche, alla pena di 1.800,00 Euro di ammenda in relazione alla contravvenzione di cui al D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 256, comma 1, lett. a) (così riqualificata l'originaria imputazione relativa alla lett. b del cit. articolo), perchè, nella sua qualità di proprietario del terreno sito in (OMISSIS) s.n.c., era stato trovato alla guida di un escavatore nell'atto di spingere, all'interno di un fosso demaniale, del materiale di risulta da costruzione edile misto a terra; fatto accertato il (OMISSIS).
All'esito dell'istruzione dibattimentale, infatti, il primo giudice aveva ritenuto di qualificare la condotta sopra descritta nei termini di raccolta e recupero/smaltimento non autorizzato di rifiuti "non pericolosi", riqualificando ai sensi dell'art. 256, comma 1, lett. a), l'originaria contestazione avente, invece, ad oggetto rifiuti "pericolosi".
Infatti, ritenuta non contestabile la natura di rifiuto dei beni movimentati, essendo emerso dalle stesse dichiarazioni dell'imputato la sua volontà di disfarsi definitivamente del materiale di risulta, presente nel terreno di sua proprietà fin dal 2002, il Tribunale ritenne che la preventiva raccolta del materiale e la successiva movimentazione con l'escavatore, realizzate senza alcuna autorizzazione ed al fine di realizzare, secondo le ammissioni di A., un argine al confine della proprietà, configurasse una attività non autorizzata di raccolta e di recupero/smaltimento di rifiuti.
2. Avverso la predetta sentenza A.F. ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del proprio difensore, deducendo, con un unico motivo di impugnazione, la erronea applicazione della legge penale ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in riferimento al D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 256, comma 1.
Secondo l'assunto dell'imputato, escluso che egli fosse titolare di una impresa o di un ente, come erroneamente contestatogli, la giurisprudenza di questa Corte configurerebbe nelle condotte di occasionale abbandono/deposito incontrollato di un proprio rifiuto e nel trasporto dello stesso nel luogo destinato all'abbandono, un mero illecito amministrativo D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, ex art. 255, laddove sia la condotta di raccolta che quella successiva di trasporto si esaurirebbero nella fase preparatoria e preliminare rispetto alla condotta finale e principale di abbandono, restando in essa esaurite, senza assumere autonoma rilevanza ai fini penali.
Pertanto, il primo giudice avrebbe errato nell'attribuire valenza penale al mero "spostamento" dei rifiuti, compiuto da un privato ed in modo del tutto occasionale, essendo tale condotta unicamente indirizzata all'abbandono dei materiali, già giacenti nei pressi della propria abitazione, all'interno del fosso demaniale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è manifestamente infondato e, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.
3.1. Corretta deve, infatti, ritenersi, alla stregua della destinazione dei rifiuti dichiarata dallo stesso imputato (il quale, come ricordato, ha riferito che gli stessi dovevano essere utilizzati per rinsaldare il confine del terreno di sua proprietà), la qualificazione operata dal primo giudice, il quale ha ricondotto tale attività alla nozione di "recupero". E infatti, secondo il D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 183, comma 1, lett. t), per "recupero" deve intendersi "qualsiasi operazione il cui principale risultato sia di permettere ai rifiuti di svolgere un ruolo utile, sostituendo altri materiali che sarebbero stati altrimenti utilizzati per assolvere una particolare funzione o di prepararli ad assolvere tale funzione, all'interno dell'impianto o nell'economia in generale".
Rispetto a tale condotta, che se svolta senza autorizzazione su rifiuti non pericolosi configura già di per sè il reato di cui all'art. 256, comma 1, lett. a), A. si è reso responsabile di una ulteriore azione penalmente illecita, consistita nel raccogliere il materiale di risulta, compattarlo e spingerlo, con un escavatore, nel vicino fosso demaniale posto al confine con la sua proprietà; condotta che, correttamente, il primo giudice ha sussunto nella nozione legislativa di "raccolta".
Secondo la definizione offerta dall'art. 183, comma 1, lett. o), per "raccolta" deve, infatti, intendersi "il prelievo dei rifiuti, compresi la cernita preliminare e il deposito preliminare alla raccolta". E coerentemente con tale definizione, questa Corte ha già avuto modo di affermare che la condotta di raccolta di rifiuti non pericolosi comprende "ogni comportamento univoco ed idoneo a culminare nell'accorpamento e nel trasporto dei rifiuti stessi" (Sez. 3, n. 3204 del 2/10/2014, Lucchini, Rv. 262008).
Ne consegue, pertanto, l'esatta qualificazione giuridica delle condotte contestate all'odierno imputato, il cui richiamo ai principi dettati in altro frangente da questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 41352 del 6/10/2014, Parpaiola, Rv. 260648) non è, dunque, pertinente, non ricorrendo nella specie, per le ragioni già chiarite, una condotta di abbandono o di deposito incontrollato di rifiuti, riconducibile, invece, alla previsione del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 255, comma 1.
4. Pertanto, e conclusivamente, il ricorso formulato da A.F. deve essere dichiarato inammissibile, siccome manifestamente infondato.
Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata in 1.500,00 Euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 13 luglio 2016.
Depositato in Cancelleria il 25 ottobre 2016